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Il governo tedesco sta valutando la chiusura di Telegram
Il quotidiano tedesco Die Welt ha scritto che il governo di Berlino starebbe valutando di intraprendere un’azione per chiudere l’app di messaggistica Telegram perché le persone contrarie alle restrizioni e ai lockdown COVID la usano per organizzare proteste e condividere informazioni.
L’articolo del giornale contiene un’intervista con il ministro dell’Interno tedesco Nancy Faeser che, quando le è stato chiesto se la piattaforma sarà presa di mira per la censura, ha risposto «non possiamo escluderlo».
«Uno shutdown sarebbe grave e chiaramente sarebbe l’ultima risorsa. Tutte le altre opzioni devono essere esaurite prima», ha chiarito il neoministro membro del Partito socialdemocratico.
Quando le è stato chiesto se la piattaforma sarà presa di mira per la censura, ha risposto «non possiamo escluderlo»
Il ministro ha anche detto al giornale che, sebbene al momento non sia chiaro quale azione legale sarebbe necessaria per chiudere la piattaforma, il governo tedesco è in consultazione con l’Unione Europea in merito a una sua potenziale regolamentazione.
Telegram è stato chiuso o bloccato in altri Paesi tra cui Iran, Cina, Pakistan, India, Thailandia e Russia. Quest’ultima, patria nativa di Telegram, nel 2018 bloccò l’app, chiedendo poi invano a Apple e Google di rimuovere Telegram dai loro app store nel 2019. Tuttavia, nel 2019, Mosca tolse il blocco dopo che la società dichiarò di essere pronta a «aiutare nella lotta all’estremismo».
La piattaforma ha registrato un enorme aumento di utenti l’anno scorso dopo che Whatsapp, di proprietà di Facebook, ha introdotto un controverso aggiornamento sulla privacy che ha suscitato preoccupazioni sul fatto che l’app avrebbe consegnato i dati degli utenti alla società madre, che ora si chiama Meta. La questione si era posta peraltro nelle stesse settimane in cui il presidente Trump era stato «depiattaformato» praticamente da tutti i grandi social media.
Il fondatore di Telegram, Pavel Durov, giovane matematico di San Pietroburgo che ha vissuto a lungo a Torino ha avvertito che le persone «sono tenute in ostaggio dai monopoli tecnologici».
Oltre ad essere indipendente dalla grande tecnologia, Telegram promette una solida crittografia end-to-end, assicurando che i messaggi rimangano privati.
Ciò ha reso Telegram un bersaglio per i grandi monopolisti tecnologici e i media tradizionali oramai in totale deriva totalitaria.
Come ricorda Summit News, a inizio 2021 il gruppo di lobbisti statunitensi chiamato Coalition for a Safer Web («Coalizione per una rete più sicura») ha persino intentato una causa contro Apple nel tentativo di rimuovere Telegram dall’app store, sostenendo che consente agli «estremisti» di diffondere e hate speech, cioè, «incitamento all’odio».
In Italia la questione Telegram era stata posta, su altre basi, all’inizio del lockdown 2020: gli editori italiani lamentarono che esistavano sull’app alcuni canali dove si potevano scaricare gratuitamente giornali e riviste – praticamente, un angolo di pirateria diffusa. La Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) chiese all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) di «un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto».
Due settimane dopo, a fine aprile 2020, Telegram, con una mossa inedita, rispose ad una mail dei giudici italiani e disattivò i canali accusati. Come scrisse trionfalmente La Repubblica: «Il primo grande risultato nella lotta alla contraffazione dell’editoria arriva nella notte da Dubai alla casella di posta elettronica della procura di Bari: “Hello, thank you for your email”, esordiscono brevemente i manager della piattaforma di messaggistica, prima di dare l’annuncio: “Abbiamo appena bloccato tutti i canali che ci avete indicato, all the best”, firmato: “Telegram Dmca”».
Telegram LLC è una società basata a Dubai.
I fondatori, i fratelli Pavel e Nikolaj Durov, avevano fondato un social network molto popolare nel mondo russofono, Vkontakte («In contatto»), molto simile a Facebook.
Pavel Durov ha dichiarato a fine 2020 che la piattaforma godeva ogni mese di mezzo miliardo di utenti attivi. A questi dovremmo togliere forse qualche milione, o forse qualche decina di milioni, di utenti tedeschi – nell’attesa che anche il resto d’Europa si faccia contagiare dall’idea.
L’idea che i governi (e i giornali) agiscano contro le piattaforme indipendenti e non il Big Tech USA (Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft) è di per sé molto, molto rivelatrice.
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Durov ammette: Telegram condivide i dettagli degli utenti con molti Stati
Il CEO di Telegram, Pavel Durov, ha rivelato mercoledì che il servizio di messaggistica ha rispettato le norme sulla privacy di diversi Paesi negli ultimi sei anni e ha correttamente comunicato alle autorità informazioni sui criminali.
Il miliardario della tecnologia di origine russa ha ricevuto l’ordine di non lasciare la Francia dopo essere stato arrestato a Parigi a fine agosto e accusato di molteplici reati, tra cui la gestione di una piattaforma utilizzata dalla criminalità organizzata e il rifiuto di collaborare con le autorità francesi.
Il mese scorso, il Durov, che è anche uno dei fondatori della società assieme al fratello Nikolaj, ha annunciato un aggiornamento dei Termini di servizio e dell’Informativa sulla privacy della piattaforma, che, a suo dire, avrebbe chiarito che gli indirizzi IP e i numeri di telefono di coloro che violano le regole del messenger «possono essere divulgati alle autorità competenti in risposta a valide richieste legali».
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In un post di follow-up sul suo canale Du Rove mercoledì, il CEO di Telegram ha osservato che la nuova politica non costituisce un «grande cambiamento» nel funzionamento della piattaforma e che aveva già condiviso con le autorità competenti i dettagli dei criminali che ne abusavano.
«Dal 2018, Telegram è stata in grado di rivelare indirizzi IP/numeri di telefono di criminali alle autorità, secondo la nostra Informativa sulla privacy nella maggior parte dei Paesi», ha spiegato Durov, osservando che ogni volta che la piattaforma riceveva una «richiesta legale correttamente formulata tramite linee di comunicazione pertinenti», la verificava e rivelava gli indirizzi IP/numeri di telefono di criminali pericolosi.
Durov ha rivelato che in Brasile, ad esempio, Telegram ha divulgato i dati di oltre 200 richieste legali dall’inizio dell’anno e quasi 7.000 in India nello stesso periodo.
Ha inoltre osservato che negli ultimi mesi in Europa si è registrato un aumento del numero di «richieste legali valide», il che suggerisce che ciò potrebbe essere attribuito al fatto che più autorità dell’UE hanno iniziato a utilizzare la linea di comunicazione corretta per tali richieste.
Durov ha spiegato che il recente aggiornamento dell’informativa sulla privacy della piattaforma aveva il solo scopo di semplificarla e unificarla, sottolineando che i principi fondamentali di Telegram non sono cambiati.
«Ci siamo sempre sforzati di rispettare le leggi locali pertinenti, purché non andassero contro i nostri valori di libertà e privacy», ha affermato, aggiungendo che Telegram è stato creato per «proteggere gli attivisti e la gente comune da governi e aziende corrotte» e non ha mai permesso ai criminali di abusare della piattaforma o di eludere la giustizia.
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Durov è stato arrestato dopo l’atterraggio in un aeroporto di Parigi a fine agosto e rilasciato su cauzione diversi giorni dopo. È stato accusato di 12 capi d’imputazione, tra cui complicità nella distribuzione di materiale pedopornografico, spaccio di droga e riciclaggio di denaro. Le accuse derivano dall’accusa che le regole di moderazione permissive di Telegram consentano l’uso improprio diffuso del servizio di messaggistica.
L’imprenditore ha negato con veemenza le accuse, sottolineando che Telegram ha sempre cercato di collaborare con i regolatori statali per stabilire «il giusto equilibrio tra privacy e sicurezza» e osservando che la piattaforma rimuove «milioni di post e canali dannosi ogni giorno» e pubblica «rapporti sulla trasparenza giornalieri» sulle azioni intraprese contro la diffusione di contenuti illegali.
Come riportato da Renovatio 21, Telegram collaborò con le autorità italiane all’inizio del lockdown 2020: gli editori italiani lamentarono che esistevano sull’app alcuni canali dove si potevano scaricare gratuitamente giornali e riviste – praticamente, un angolo di pirateria diffusa. La Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) chiese all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) di «un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto».
Due settimane dopo, a fine aprile 2020, Telegram, con una mossa inedita, rispose ad una mail dei giudici italiani e disattivò i canali accusati. Come scrisse trionfalmente La Repubblica: «Il primo grande risultato nella lotta alla contraffazione dell’editoria arriva nella notte da Dubai alla casella di posta elettronica della procura di Bari: “Hello, thank you for your email”, esordiscono brevemente i manager della piattaforma di messaggistica, prima di dare l’annuncio: “Abbiamo appena bloccato tutti i canali che ci avete indicato, all the best”, firmato: “Telegram Dmca”».
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Immagine di TechCrunch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine modificata.
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Il giudice Moraes infligge a Musk un’altra multa per X in Brasile
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Trump minaccia di perseguire Google
Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, ha promesso di portare Google in tribunale se verrà rieletto a novembre, accusando il gigante della tecnologia di aver deliberatamente pubblicato storie negative su di lui e di aver favorito la sua rivale democratica, la vicepresidente Kamala Harris.
In un post su Truth Social, Trump ha espresso la speranza che il Dipartimento di Giustizia persegua penalmente Google, di proprietà di Alphabet, per la «palese interferenza nelle elezioni», aggiungendo che «ne richiederà il perseguimento» se verrà rieletto.
«È stato stabilito che Google ha utilizzato illegalmente un sistema per rivelare e visualizzare solo brutte storie su Donald J Trump, alcune inventate a questo scopo, mentre, allo stesso tempo, rivela solo belle storie sulla compagna Kamala Harris», ha affermato l’ex presidente nel post.
President Trump says he will request the prosecution of Google at “the maximum levels” when he wins the Election and becomes President of the United States. pic.twitter.com/viyG7tVdya
— Laura Loomer (@LauraLoomer) September 27, 2024
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All’inizio di questo mese, il Media Research Center, un ente conservatore di controllo dei media, ha pubblicato uno studio che suggerisce che Google ha posizionato il sito web della campagna di Harris in una posizione più favorevole nei suoi risultati di ricerca rispetto al sito ufficiale della campagna di Trump.
Il colosso della tecnologia ha respinto i risultati, affermando di non manipolare i risultati di ricerca per avvantaggiare una parte specifica. Un portavoce di Google ha dichiarato a Fox News Digital all’epoca: «entrambi i siti web della campagna appaiono costantemente in cima alla Ricerca per query di ricerca pertinenti e comuni».
Trump aveva già attaccato in precedenza la società tecnologica, sostenendo che essa dà priorità alle «fake news» nei suoi risultati di ricerca, che sono «truccati» contro di lui e altri conservatori. Google ha negato le accuse.
A luglio, il miliardario della tecnologia statunitense Elon Musk ha accusato l’azienda di essere prevenuta nei confronti del candidato repubblicano. Ha condiviso uno screenshot di una pagina in cui la query «Presidente Donald» è stata digitata nella barra di ricerca.
Lo screenshot dimostra come la funzione di completamento automatico di Google, che fornisce suggerimenti in base alle parole digitate, non offrisse in risposta «Presidente Donald Trump», ma mostrasse invece «Presidente Donald Duck» (nome originale del personaggio Disney Paperino) e «Presidente Donald Reagan».
Wow, Google has a search ban on President Donald Trump!
Election interference? pic.twitter.com/dJzgVAAFZA
— Elon Musk (@elonmusk) July 29, 2024
All’epoca, un rappresentante di Google disse a NBC News che la funzione di completamento automatico stava riscontrando problemi quel giorno, aggiungendo che l’azienda stava «esaminando queste anomalie e lavorando per apportare miglioramenti».
Altri commentatori avevano notato che Google sembrava non rimandare subito a risultati relativi all’attentato alla vita di Trump qualora si procedesse con una query, privilegiando pagine riguardanti gli attentati di tutti gli altri presidenti di decenni fa.
Alcuni utenti hanno lamentato che la ricerca per «Donald Trump» produce risultati che riguardano Kamala Harris secondo una luce positiva.
Google Search results for ‘Donald Trump’ filled with news articles about Kamala Harris.
— Oli London (@OliLondonTV) July 29, 2024
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Come riportato da Renovatio 21, l’ex moglie del cofondatore di Google Sergej Brin – nonché madre di sua figlia, affetta da autismo – Nicole Shanahan è ora, in quanto ex candidata vicepresidente di Robert F. Kennedy jr., un’alleata di Trump.
La Shanahan ha prodotto un video satirico per dimostrare quanto sia grande la distorsione dei media nei confronti del popolo MAGA.
“MAGA Meets MAHA”
Nicole Shanahan RFK Jr’s ex running mate released this EPIC Documentary About MAGA supporters!!! #MakeAmericaGreatAgain #MakeAmericaHealthyAgain #TRUMP2024ToSaveAmerica pic.twitter.com/W7Z3Dbn9RW— Project Constitution (@DeleteLawzClips) September 15, 2024
La Shanahan ha dettagliato il suo supporto a Trump in un recente incontro pubblico con Tucker Carlson, dove ha parlato, tra le altre cose, di autismo e vaccini, del tradimento del Partito Democratico rispetto alla democrazia, del pericolo e dell’aberrazione della riproduzione artificiale e del culto transumanista che vive in Silicon Valley.
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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0
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