Economia
De-dollarizzazione e guerra economica: il caso bengalese
Il Washington Post il 16 maggio ha pubblicato un articolo sulla de-dollarizzazione, che a questo punto viene ammessa anche dalle testate del mainstream imperiale.
Il pezzo pubblicato in settima si intitola significativamente «Spostati, dollaro USA, la Cina vuole fare dello yuan la valuta globale».
Si tratta di un’affermazione bella forte, e si ha la sensazione che più che constatare l’incredibile serie di errori e incompetenze della banda Biden che ha portato il mondo a rifiutare la valuta americana, si tratti qui di cominciare a far rullare i tamburi contro l’avversario geopolitico – il quale in realtà è complice, ma ad una guerricciola gli yankee quando mai hanno detto di no.
«Improvvisamente più clienti sono disposti a saldare i propri conti in yuan cinesi» ammette il WaPo, «grazie in vario modo alle crisi economiche interne, alle sanzioni occidentali contro la Russia, alla posizione della Cina come principale finanziatore e alle crescenti preoccupazioni di essere in debito con le politiche di Washington».
L’unica nuova informazione portata dal giornalone è che le sanzioni statunitensi sono state utilizzate per impedire, con la minaccia di un’interruzione del commercio, i pagamenti del Bangladesh su un prestito all’esportazione di un progetto di energia nucleare dalla Russia, che venivano effettuati in yuan. Dello sganciamento del Bangladesh (e dell’India, e del Pakistan, Iraq, Sri Lanka, Ghana, Arabia Saudita, Argentina, Malesia, Brasile, Indonesia, Cina, ovviamente…e pure la Svizzera e la Francia!) dal dollaro Renovatio 21 ha parlato quattro settimane fa.
L’articolo del Post afferma, contrariamente ad altri articoli precedenti, che i pagamenti non vengono ora effettuati ma vengono depositati in garanzia dal Bangladesh. La sanzione è su una sussidiaria di Rosatom e non si applicherebbe al Bangladesh che effettua transazioni in yuan.
Tuttavia gli Stati Uniti, in conformità con la loro politica recentemente adottata per tentare di rovinare l’industria nucleare russa così come stanno cercando di rovinare l’industria cinese dei semiconduttori, chiedono che il pagamento non venga effettuato in alcuna valuta – cioè, che il Bangladesh non risponda a un prestito internazionale – altrimenti Il commercio degli Stati Uniti con il Bangladesh sarà sanzionato.
Siamo arrivati, cioè, alla guerra economica pura e semplice. E non solo contro la Russia – come hanno iniziato a fare la Von der Leyen e i vertici UE con l’aiuto di Draghi e della Yellen – ma contro pure micrologici Paesi del Terzo Mondo che si permettono di avervi a che fare.
«Preparatevi ad un mondo di valute multipolari» era il titolo di un articolo del Financial Times di qualche settimana fa: forse sì, ma prima non è detto che verrà tentato di salvare il dollaro con qualche guerra, economica o anche cinetica, militare, terroristica.
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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