Economia
Il CEO di UBS è ora il vero governo della Svizzera – mentre la de-dollarizzazione avanza anche lì

In un talk show con Swissinfo, Marc Chesney, professore di matematica finanziaria all’Università di Zurigo, ha affermato che dall’acquisizione di Credit Suisse, UBS (ex Unione di Banche Svizzere) è diventata una banca di proporzioni titaniche, pari al 40% del PIL del Paese.
L’impatto netto di quanto accaduto, dichiara il professor è che «c’è un ottavo membro nel Consiglio federale. Non è stato eletto. È più potente degli altri. È l’amministratore delegato di UBS».
Il Chesney si riferisce al Consiglio federale, l’organo di governo della Svizzera composto da sette persone, ed è il capo di stato collettivo.
Nel frattempo, nel Paese continuano i discorsi sulla separazione bancaria, com’era stato annunciato in Parlamento il mese scorso.
Magdalena Martullo-Blocher, figlia del fondatore del Partito Popolare Svizzero (SVP) Christoph Blocher e lei stessa deputata al Consiglio Nazionale Svizzero (Nationalrat), ha affermato n un’intervista con il portale di notizie zurighese Watson che un sistema di separazione bancaria di tipo Glass-Steagall avrebbe impedito la debacle del Credit Suisse.
La deputata ha anche affermato che un sistema di valute multi-riserva è positivo per la Svizzera e che l’attuale programma di decarbonizzazione è negativo.
«Dopo il salvataggio statale di UBS, l’UDC, insieme alla sinistra, ha voluto far passare un sistema di separazione bancaria», ha dichiarato la Martullo-Blocher. «La parte più rischiosa di una banca avrebbe potuto fallire separatamente. Il FDP [Liberi Democratici] e il CVP [Democratici Cristiani] lo avevano impedito. La regola “troppo grande per fallire” non si occupava della corsa agli sportelli, quando i clienti ritirano i loro soldi. La garanzia della liquidità è stata lasciata alla Banca Nazionale [svizzera] (BNS). CS ora ha bisogno di importi così ingenti che nemmeno la BNS è attrezzata per gestirli e il governo federale deve intervenire. La sola garanzia federale corrisponde a 1,5 volte il budget federale annuale!»
L’intervistatore ha chiesto se gli Stati Uniti avessero esercitato pressioni sulla Svizzera e se non volessero che la parte statunitense del Credit Suisse venisse scorporata e liquidata. La Martullo-Blocher ha risposto con parole che riprendono la tesi del mondo di valute multipolari e della de-dollarizzazione:
«Sì, in realtà gli americani avrebbero dovuto salvare il business americano in difficoltà, ma ce l’hanno fatta pagare. Un esempio di politica di grande potenza. Gli Stati Uniti controllano i mercati finanziari con il dollaro. Chi è escluso è morto. Gli europei inizialmente hanno tentato di stabilire l’euro come valuta di riserva, ma hanno fallito. Ora la Cina ci sta provando. Riuscirà? Anche per la Svizzera sarebbero migliori diverse valute di riserva».
Nel conflitto USA-Cina, non è bene essere «alla mercé di una grande potenza, come avviene ora con CS… Soprattutto per uno Stato piccolo come la Svizzera, è sempre meglio essere in buon contatto con tutto il mondo. La neutralità lo consente».
Come riportato da Renovatio 21, dopo vari tira e molla su congelamento di fondi russi e vendita di armi all’Ucraina, la Federazione Russa l’anno scorso ha fatto sapere di non considerare più la Svizzera come neutrale.
Sette mesi fa, prima del crollo di UBS, vi era stata una massiccia richiesta di dollari da parte delle banche svizzere, i cui contorni non siamo ancora riusciti ben a definire.
Immagine di Fred Romero via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
Bitcoin a 120.000 dollari

Lunedì mattina il Bitcoin ha raggiunto un nuovo massimo di 120.000 dollari, proseguendo la sua lunga impennata. La più grande criptovaluta del mondo ha raggiunto i 121.207,55 dollari prima di scendere a 120.856,34 dollari.
La principale crypto mondiale, il cui valore è aumentato del 29% dall’inizio dell’anno, è sostenuta dalle speranze di grandi vittorie politiche sotto un presidente che si è definito «il presidente delle criptovalute».
A partire da oggi, la Camera dei rappresentanti discuterà una serie di proposte di legge volte a dotare le attività digitali di un quadro normativo nazionale, una richiesta che da tempo è avanzata dal settore e dagli investitori.
Donald Trump ha accolto con favore le criptovalute durante la sua campagna elettorale, promettendo di fare degli Stati Uniti la «capitale delle criptovalute del pianeta» e di costituire una riserva nazionale di Bitcoin. Trump inoltre aveva promesso di graziare Ross Ulbricht, in carcere per la creazione del sito di ecommerce del Dark Web Silk Road ed eroe dei bitcoinisti. La promessa è stata mantenuta.
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Come riportato da Renovatio 21, ad una conferenza sul Bitcoin a Las Vegas il vicepresidente americano JD Vance e i figli di Donald Trump Don jr e Eric hanno esaltato le criptovalute davanti a 30 mila partecipanti.
L’industria delle criptovalute ha speso quasi 120 milioni di dollari per sostenere candidati pro-cripto durante le elezioni. Quella campagna è stata in gran parte un successo, e ha visto la sconfitta di nemici dichiarati delle criptovalute come il presidente del Senato per le Banche Sherrod Brown in Ohio, e la vittoria di candidati pro-cripto in Michigan, West Virginia, Indiana, Alabama e North Carolina.
Come riportato da Renovatio 21, il presidente del primo partito indiano, il partito induista BJP, due settimane fa ha chiesto che anche Nuova Delhi si doti di una riserva di bitcoini. Un mese fa la principale banca russa, la Sber (già Sberbank) ha annunciato il lancio di obbligazioni legate al bitcoino. Mesi fa è emerso che il Nord Corea sarebbe il terzo detentore di bitcoin al mondo. A inizio anno El Salvador ha annunciato che avrebbe abbandonato l’esperimento per dare corso legale al bitcoin nel Paese.
Il mercato spot di Bitcoin negli USA è dominato dal colosso finanziario BlackRock, che ha varato anche il trading sulle borse europee. In un dibattito a Davos durante l’ultimo World Economic Forum, il capo di BalckRock Larry Fink ha dichiarato di prevedere che il Bitcoin toccherà 700.000 dollari.
Il noto imprenditore John McAfee aveva detto in TV che se il Bitcoin non avesse toccato il milione di euro si sarebbe mangiato i testicoli in diretta. McAfee è poi morto in Ispagna in circostanze da alcuni considerate come misteriose.
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Economia
Il caldo ha portato le riserve europee di gas 20% sotto il normale

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Economia
Casa produttrice dice agli utenti di distruggere i suoi videogiochi (non avrai nulla, e sarai felice)

La grande azienda produttrice di videogame Ubisoft ha aggiornato il suo EULA, il Contratto di Licenza con l’Utente Finale, includendo una clausola insolita secondo cui, in certe condizioni, richiede la distruzione delle copie dei giochi. Lo riporta Multiplayer.it
La Ubisoft è una celeberrima casa editrice di videogiochi con sede in Francia e studi di sviluppo in tutto il mondo. Le serie Ubisoft più famose sono Assassin’s Creed, Far Cry, Just Dance, Prince of Persia, Rayman, Watch Dogs.
Secondo alcuni osservatori, la manovra di Ubisoft risponde all’iniziativa Stop Killing Games, che promuove la conservazione dei videogiochi, soprattutto online, dopo la cessazione del supporto da parte degli editori. La richiesta, tuttavia, sembra eccessiva e poco chiara. Il punto controverso si trova nel capitolo 8, chiamato «Termination», del nuovo contratto di licenza.
«Il presente Contratto di Licenza con l’Utente Finale (EULA) ha efficacia a partire dalla data anteriore tra quella in cui l’Utente acquista, scarica o utilizza il Prodotto, e fino alla sua risoluzione secondo i termini qui stabiliti. L’Utente e UBISOFT (o i suoi licenziatari) possono risolvere il presente EULA, in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo».
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Il paragrafo del nuovo EULA di Ubisoft stabilisce in pratica che la licenza può terminare in caso di notifica all’utente, chiusura dell’account Ubisoft o decisione dell’azienda di interrompere l’offerta o il supporto di un prodotto. In tali casi, l’utente è obbligato a disinstallare il gioco e distruggere tutte le copie in suo possesso, fisiche o digitali.
Tuttavia, l’accordo non specifica come attuare questa «distruzione». Per le copie digitali, non è chiaro se basti disinstallarle o se sia richiesto cancellare ogni file associato. Per le copie fisiche, non si capisce se sia sufficiente rendere il supporto inutilizzabile (ad esempio, graffiando un disco) o se servano misure più drastiche, come distruggere completamente il supporto.
Questa vaghezza crea confusione, poiché non viene fornito un protocollo chiaro per l’utente. Sul forum di discussione Reddit è stato notato che clausole simili appaiono anche negli EULA di altri giochi, come Final Fantasy 7 Remake, Metaphor: ReFantazio e The Elder Scrolls IV: Oblivion Remastered, suggerendo che questa pratica non sia esclusiva di Ubisoft, ma parte di una tendenza più ampia nell’industria videoludica.
La mancanza di chiarezza e le implicazioni di tali richieste alimentano il dibattito, soprattutto in relazione a iniziative come Stop Killing Games, che chiedono la preservazione dei giochi anche dopo la fine del supporto ufficiale.
L’impressione che se ne può ricavare è quella di un mondo in cui il cittadino non è più davvero padrone di nulla, soprattutto delle cose che acquista. Se pensiamo alle auto elettriche (che in vari casi esistono in funzione a collegamenti con centrali della casa madre, che possono disattivarle a piacimento) e a qualsiasi altro dispositivo IoT (cioè collegato in rete; su Renovatio 21 tempo fa abbiamo visto il caso delle stampanti…) comprendiamo che l’utente non dispone più davvero del bene che ha comprato.
Per il software, in realtà, è sempre stato così: di videogiochi e programmi si acquista in realtà solo la licenza di farlo girare nel proprio hardware – in un numero limitato, peraltro. Mai, tuttavia, questa cosa era stata sottolineata con forza, tanto più che, più che altro per inerzia di marketing perdurante dal XX secolo – le grandi case non vogliono perdere la distribuzione delle grandi catene di supermercati ed elettro domestici, che vogliono e devono vendere supporti fisici – molti ancora acquistano DVD, Blue-Ray, cartucce contenenti (in teoria…) il gioco che desiderano.
La realtà è che tutto il mercato, e con esso tutta la società (quello è il fine) si sta softwarizzando. E il software, come insegna il caso Adobe, viene venduto oramai in larga parte solo con la formula SaaS, cioè Software as a Service: non paghi il programma per sempre, ma solo quando lo usi, cioè ogni mese… un abbonamento, detta in soldoni.
Ora anche le auto vanno definitivamente verso il modello as a Service, come i libri, la musica, i device vari, perfino i vestiti e tutto il resto: di fatto il cittadino non possiede più nulla, e anche quello che crede di possedere può essergli tolto con un clic.
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È, come sa il lettore di Renovatio 21, il trionfo del mondo preconizzato dal World Economic Forum di Davos: «non avrai nulla e sarai felice». Lo stesso WEF che da anni spinge per la limitazione riguardo «l’uso dell’auto privata», cioè di fatto sta lanciando il modello as a Service per i nostri trasporti, sotto l’imperativo assoluto del clima..
Non sappiamo, tuttavia, quanto i gamer – razza coriacea, come si è visto in passato – siano felici di essere spogliati dei prodotti che acquistano.
La prepotenza delle multinazionali informatiche e non solo, che aumentano i prezzi in modo unilaterale, cambiano le interfacce, vendono i tuoi dati ad altri o li danno in pasto all’AI, prima o poi, crediamo, troverà un’opposizione significativa.
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Immagine di – EMR – via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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