Economia
La moneta digitale globale debutta all’incontro annuale FMI/Banca mondiale

La tanto annunciata valuta digitale globale ha fatto la sua comparsa agli incontri primaverili annuali del FMI/Banca mondiale dal 30 marzo al 15 aprile a Washington.
«Oggi, in occasione delle riunioni di primavera del 2023 del Fondo monetario internazionale (FMI), la Digital Currency Monetary Authority (DCMA) ha annunciato il lancio ufficiale di una valuta digitale della banca centrale internazionale (CBDC) che rafforza la sovranità monetaria di banche centrali partecipanti e si conforma alle recenti raccomandazioni sulla politica delle criptovalute proposte dal FMI» scrive il sito di comunicati PRNewswire il 10 aprile.
Parliamo insomma di un bitcoin di Stato globale – una moneta elettronica mondialista, emessa da enti globali non nazionali.
«L’unità monetaria universale (UMU), simboleggiata dal carattere ANSI, Ü, è legalmente una merce monetaria, può effettuare transazioni in qualsiasi valuta di regolamento a corso legale e funziona come una CBDC per far rispettare le normative bancarie e proteggere l’integrità finanziaria del sistema bancario internazionale sistema».
Il FMI non ha approvato formalmente questa moneta unica mondiale, ma il suo «consigliere finanziario» Tobias Adrian ci è andato molto vicino in un’intervista del 9 aprile. Per quanto riguarda questa «autorità monetaria digitale» che chiamano DCMA, essa ha avuto origine in una forza di discussione della Banca dei regolamenti internazionali (BRI) istituita nel 2020.
«Il DCMA è un leader mondiale nella difesa della valuta digitale e innovazioni di politica monetaria per i governi e le banche centrali. L’appartenenza al DCMA è composta da stati sovrani, banche centrali, banche commerciali e al dettaglio e altre istituzioni finanziarie» scrive ancora il comunicato.
Si intende quindi una valuta comune globale per il commercio, gestita dalle banche centrali partecipanti alla BRI, che può «prezzare» digitalmente le valute nazionali rispetto al suo presunto valore, con tassi di cambio programmati nella sua catena— pertanto potrebbe essere utilizzato dalle Banche Centrali sia per cercare di forzare, sia per impedire, cambiamenti nei tassi di cambio delle valute nazionali stabiliti da accordi nei principali contratti commerciali.
Ciò renderebbe il danaro digitale del FMI e Banca Mondiale un diretto concorrente e/o oppositore dei valori commerciali concordati di una nuova valuta di riserva BRICS. Di fatto, pare una contromossa contro BRICS e Unione economica eurasiatica (EAEU) che hanno iniziato le discussioni di una nuova valuta di riserva.
Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazione, superinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.
Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.
JUST IN: ???????? European Central Bank President reveals plans to launch a digital euro (CBDC), says there will be control over payments. pic.twitter.com/szCFxBkZDR
— Watcher.Guru (@WatcherGuru) April 6, 2023
Come ripetuto da Renovatio 21, la piattaforma su cui si è costruito il green pass è la medesima dell’euro digitale, i cui preparativi sono partiti ben prima del COVID.
Come suggerito da Renovatio 21, il crollo degli istituti bancari e dei banchi di criptovalute (più gli arresti e le strane morti degli imprenditori del bitcoin) possono essere come una preparazione al grande cambiamento del danaro programmabile inflitto all’intera popolazione occidentale, e oltre.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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