Economia
Il rublo diventa valuta per le transazioni all’interno dell’Unione economica eurasiatica
La Russia sta passando a transazioni reciproche in rubli russi tra i Paesi dell’Unione economica eurasiatica (EAEU), ha affermato il vice segretario del Consiglio di sicurezza russo Rashid Nurgaliev. Lo riporta l’agenzia Interfax
«Le transazioni reciproche per il pagamento di merci e servizi tra i paesi dell’EAEU stanno passando ai rubli. Il volume di tali operazioni supera già i due terzi del loro numero complessivo», ha detto Nurgaliev in un’intervista al quotidiano governativo russo Rossiyskaya Gazeta.
«Il Consiglio della Commissione economica eurasiatica ha adottato una serie di misure per migliorare la sostenibilità delle economie degli Stati dell’EAEU, misure che, in realtà, sono un programma d’azione per affrontare compiti urgenti e per adottare misure a lungo termine».
Come riportato da Renovatio 21, il valore del rublo è in crescita, e ha più che recuperato quello che aveva perso nei primi giorni dell’Operazione Z.
Nel frattempo, il ministro dell’Integrazione e della Macroeconomia della Commissione economica eurasiatica Sergej Glaz’ev ha rivelato alla testata russa Expert di ritenere che presto potrebbe emergere un nuovo sistema monetario mondiale, a causa della formazione di ampie coalizioni internazionali.
«Siamo alle soglie della transizione verso un nuovo sistema monetario e finanziario. Sono convinto che nei prossimi anni verrà introdotta una nuova valuta di regolamento mondiale basata su un trattato internazionale, verrà ripristinato il diritto internazionale. Ma ciò richiede sforzi comuni, compresi gli sforzi nella sfera della diplomazia pubblica, che unisce esperti, studiosi, uomini d’affari, cittadini, tutte le persone che hanno a cuore il destino del mondo», ha affermato Glaz’ev durante la sessione plenaria del Forum internazionale della diplomazia pubblica, dedicato al quinto anniversario dell’Assemblea dei Popoli dell’Eurasia.
Il ministro Glaz’ev inoltre affermato che una normalizzazione della situazione mondiale richiede la formazione di ampie coalizioni internazionali. Tali coalizioni dovranno ripristinare il diritto internazionale e la nuova valuta mondiale sarà creata su questa base.
Essa «Lavorerà per lo sviluppo del commercio e della cooperazione», ha affermato il ministro russo.
Il mondo va quindi verso la de-dollarizzazione, ossia la rinuncia a dollaro come valuta di scambio del mercato globale.
Ciò nel lungo termine distruggerà l’economia e la possanza di Washington, nel breve renderà completamente instabile ogni zona dove gli USA hanno interessi sempre più traballanti.
In molti oramai commentano questo processo, che sembra irrefrenabile: il Partito Comunista Cinese, l’ex presidente brasiliano Ignacio Lula, l’ex presidente brasiliano Dilma Roussef, nonché dallo stesso ministro degli Esteri russo Lavrov, che si è chiesto se i diplomatici USA non abbiano per caso perso la testa.
Anche i sauditi, per quasi cento anni alleati di ferro degli USA che ottenero l’uso del petrodollaro su promessa di protezione per la famiglia Saud (non il Paese, la famiglia, proprio) tentennano, e parlano di cominciare a commerciare petrolio con la Cina in yuan.
Un grande ammontare di valuta cinese negli ultimi mesi è stato acquistato anche dallo Stato di Israele.
Economia
Dazi, Trump «distributista»: dividendo di 2.000 dollari alla maggior parte degli americani
Il presidente Donald Trump ha annunciato domenica che la maggior parte degli americani riceverà un dividendo di «almeno» 2.000 dollari, finanziato con le entrate delle tariffe doganali statunitensi.
«Un dividendo di almeno 2.000 dollari a persona (escluse le persone ad alto reddito!) sarà pagato a tutti», ha scritto Trump su Truth Social, sottolineando che i dazi hanno generato «migliaia di miliardi di dollari» e che i conti 401(k) hanno raggiunto i «livelli più alti di sempre». Ha inoltre sostenuto che le tariffe non hanno provocato «alcuna inflazione». Il 401(k) è un piano di risparmio pensionistico offerto da molti datori di lavoro negli Stati Uniti.
«Chi si oppone ai dazi è stupido!», ha proseguito. A settembre il Dipartimento del Tesoro ha comunicato di aver incassato oltre 195 miliardi di dollari dai dazi nel 2025, mentre il segretario al Tesoro Scott Bessent prevede che gli Stati Uniti raccoglieranno annualmente 500 miliardi di dollari o più in entrate tariffarie.
Domenica mattina, Bessent ha dichiarato nel programma This Week dell’emittente ABC che l’obiettivo dell’amministrazione con i dazi è «riequilibrare gli scambi commerciali», non soltanto generare introiti.
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Trump aveva anticipato l’idea di una «distribuzione alla popolazione» da 1.000 a 2.000 dollari durante un’intervista di ottobre con One America News Network, affermando che ciò avrebbe fruttato oltre un miliardo di dollari all’anno.
Per la maggior parte degli americani sarebbe difficile recuperare i 2.000 dollari se la Corte Suprema annullasse i dazi. I mercati delle criptovalute hanno reagito immediatamente (in positivo) alla prospettiva.
Varrebbe la pena di considerare che l’amministrazione Trump sta materialmente muovendosi verso una filosofia economica distribuista. Urge una riflessione da parte degli esperti, che latitano.
Il distributismo è un sistema economico proposto da autori come G.K. Chesterton e Hilaire Belloc, ispirato alla dottrina sociale cattolica (enciclica Rerum Novarum). Contrappone sia capitalismo che socialismo: promuove la proprietà diffusa di mezzi produttivi (terra, botteghe, piccole imprese) per evitare concentrazione di ricchezza. Ideale: «tre acri e una mucca». Favorisce cooperative, corporazioni, sussidiarietà. Critica monopoli e statalismo. Influenzò partiti come la britannica Distributist League.
L’idea di ridistribuire i proventi delle politiche economiche dello Stato ai suoi cittadini – ossia i veri stakeholder dello stesso – è rivoluzionaria, e da leggersi in un senso contrario al capitalismo di Stato (che accomuna ambedue i sistemi, liberale e socialista) e muove verso un orizzonte definibile appunto come distributista.
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Economia
Aumento del traffico merci sul Canale di Suez
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Economia
Trump continua la corsa alle terre rare con gli accordi in Asia centrale
Il presidente statunitense Donald Trump ha rivelato una serie di intese commerciali e di investimento incentrate sui minerali di terre rare con i leader degli Stati dell’Asia centrale. L’iniziativa si inserisce nell’obiettivo di Washington di ampliare il proprio coinvolgimento nella regione ricca di risorse naturali, in un contesto di tensioni commerciali con Pechino.
Le intese sono state siglate giovedì al termine del vertice alla Casa Bianca tra Trump e i presidenti di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
L’incontro ha posto l’accento su minerali critici, collaborazione energetica e diversificazione degli scambi, con Trump che ha evidenziato come l’Asia centrale sia «una regione immensamente ricca» di depositi di uranio, rame, oro e terre rare. Ha precisato che la sua amministrazione sta forgiando nuove alleanze per variare le filiere di approvvigionamento e garantire agli USA un maggiore accesso a questi materiali strategici.
L’evento ha generato vari patti su commercio e risorse, tra cui 17,2 miliardi di dollari in nuovi contratti tra il Kazakistan e imprese americane, oltre a un’intesa da 1,1 miliardi di dollari con Astana per lo sfruttamento di uno dei maggiori giacimenti di tungsteno inesplorati al mondo. Inoltre, Tagikistan, Kazakistan e Uzbekistan hanno concordato l’acquisto di 37 aerei Boeing. Trump ha annunciato pure che l’Uzbekistan conta di investire oltre 100 miliardi di dollari nel prossimo decennio in comparti USA come l’aerospaziale, i ricambi auto e i minerali critici.
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La banca d’affari Goldman Sachs ha avvertito che l’Occidente potrebbe impiegare fino a un decennio per contrastare il dominio cinese nel settore delle terre rare. Questi minerali, indispensabili per la maggior parte delle tecnologie contemporanee, restano al centro di una controversia commerciale tra Washington, l’UE e Pechino.
Il vertice è avvenuto una settimana dopo l’incontro tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping in Corea del Sud, mirato a dirimere la «guerra commerciale» tra Washington e Pechino. In esito a quel colloquio, la Cina ha sospeso per un anno i nuovi vincoli sulle esportazioni di terre rare, mentre gli USA hanno posticipato l’introduzione di dazi del 100% sui beni cinesi.
Ciononostante, Washington ha intensificato gli sforzi per reperire fonti alternative di materiali strategici, dato che Pechino domina circa il 90% della raffinazione globale delle terre rare. Oltre ai vicini asiatici della Cina, gli Stati Uniti hanno di recente stipulato accordi per forniture di terre rare anche con Giappone e Ucraina.
Come riportato da Renovatio 21, in questi giorni Trump ha raggiunto accordi sulle terre rare con l’Australia.
Il ministero del Commercio cinese ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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