Oligarcato
Il World Economic Forum aveva cancellato Twitter – ma non le app social cinesi
Twitter escluso dai media del World Economic Forum di Davos.
È quanto si evinceva dalla lettura della pagina del WEF «Come seguire Davos 2023» pubblicata il 19 dicembre sul sito web del WEF.
Tuttavia, forse in seguito ad articoli che notavano la bizzarra assenza del grande social media ora di proprietà di Elon Musk, la versione attuale della pagina apre la lista dei social con cui seguire l’evento di Davos proprio con Twitter.
Ad ogni modo, uno screenshot della Waybackmachine del 20 dicembre mostra ancora che inizialmente la pagina non menzionava in alcun modo Twitter.
In ambo le versioni appaiono i social cinesi TikTok, Weibo e Wechat. Come riportato da Renovatio 21, TikTok, popolarissimo tra i giovani di tutto il mondo, potrebbe essere bandito da Washington, in quanto ritenuto da un volume sempre maggiore di esperti uno strumento di spionaggio e una vera e propria «droga» che intossica le giovani generazioni americane, al punto da essere chiamato da deputati e senatori USA di ambo i partiti «fentanil digitale».
Due mesi fa, l’ex direttore dell’FBI Christopher Wray aveva dichiarato che la Cina ha rubato agli americani più dati di «ogni altra Nazione messa insieme».
Come riportato da Renovatio 21, l’India due anni fa aveva già messo al bando TikTok assieme ad altre 59 app cinesi.
Secondo anticipazioni ottenute da The Dossier, Davos 2023 vedrà sul palco Shou Zi Chew, CEO di TikTok, il quale apparirà in un evento intitolato «Affrontare il danno nell’era digitale».
L’organizzazione mondialista di Klaus Schwab con evidenza preferisce le app dello Stato ultratotalitario della Cina comunista rispetto al Twitter passato sotto Musk, il quale in teoria dovrebbe essere riverito come messia a Davos, visto che la sua azienda Tesla sta conducendo l’elettrificazione dei trasporti così come da comandamento del WEF. Il fatto che Musk possa essere invece boicottato dice molto che, in fin dei conti, non importa ciò che dicono (auto elettriche, cibo entomologico, etc.) ma la quantità di potere che riescono ad agglutinare; ciò che non viene totalmente assimilato dal potere di Davos, viene combattuto.
Non dobbiamo dimenticare quando il presidente cinese Xi Jinping, più volte partecipe del consesso davosiano, nell’edizione del WEF seguita all’inaspettata elezione di Trump, fu accolto come il salvatore della globalizzazione, e come tale descritto dai media mainstream. Amiamo rammentare il titolo dato all’articolo dell’inviato del giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore: «Xi Jinping a Davos difende la globalizzazione»
Davos ha recentemente rivelato che il loro ufficio in Cina ha ora 40 dipendenti a tempo pieno. Inoltre, ogni anno a Pechino, il WEF ospita il suo «Incontro annuale dei nuovi campioni», che facilita le partnership tra le imprese internazionali e il Partito Comunista Cinese (PCC).
Nel 2018, il PCC ha conferito a Klaus Schwab la medaglia dell’Amicizia per la Riforma della Cina, una medaglia per non cinesi responsabili di «straordinari contributi alla riforma e all’apertura del Paese negli ultimi 40 anni».
Di suo lo Schwabbo, in una recente intervista con la TV nazionale cinese CCTV, ha elogiato la Cina comunista indicandola come modello: «Penso che sia un modello per molti Paesi», ha dichiarato il calvo tedesco. «Penso che dovremmo stare molto attenti nell’imporre i sistemi. Ma il modello cinese è certamente un modello molto attraente per un buon numero di Paesi»
Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Oligarcato
Soros finanzia le proteste universitarie filopalestinesi in America
Diversi gruppi studenteschi che hanno organizzato accampamenti di protesta nelle principali università statunitensi hanno ricevuto denaro dall’attivista miliardario George Soros, ha riferito venerdì il New York Post.
Le proteste iniziate all’inizio di questo mese alla Columbia University di New York City si sono poi diffuse in 40 università e college negli Stati Uniti e in Canada, tra cui Harvard, Yale e UC Berkeley. La protesta in Colombia è stata organizzata da Students for Justice in Palestine (SJP), Jewish Voice for Peace (JVP) e Within Our Lifetime.
Tutti e tre hanno ricevuto finanziamenti dalla Open Society Foundations di Soros attraverso una rete di organizzazioni no-profit, ha affermato il giornale neoeboraceno, citando la propria ricerca. Altri importanti donatori ai gruppi studenteschi furono identificati come il Rockefeller Brothers Fund e l’ex banchiere di Wall Street Felice Gelman.
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L’organo di informazione ha anche nominato tre «membri» della Campagna statunitense per i diritti dei palestinesi (USCPR), finanziata da Soros, che hanno pagato diverse migliaia di dollari per organizzare campagne nel campus. Due di loro sono ex stagisti per i democratici del Congresso.
Gli attivisti hanno chiesto che le università americane, che hanno enormi fondi impegnati in borsa, «disinvestano» da aziende come Amazon, Google e Microsoft, nonché Lockheed Martin, che hanno contratti con il governo israeliano. Vogliono anche che il governo degli Stati Uniti smetta di fornire risorse a Israele, citando il suo «genocidio» dei palestinesi a Gaza.
Il leader del gruppo filo-israeliano Anti-Defamation League, Jonathan Greenblatt, ha attribuito le proteste ai «delegati nei campus» dell’Iran in un’intervista con MSNBC questa settimana.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che «folle antisemite hanno preso il controllo delle principali università» negli Stati Uniti e chiedono «l’annientamento di Israele», paragonando i manifestanti ai nazisti tedeschi negli anni Trenta e ha detto che le loro azioni dovevano essere «condannate e condannate inequivocabilmente».
I rapporti tra Soros e Netanyahu sono tesi da decenni.
Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che l’anno scorso, durante le proteste massive contro le riforme giudiziarie del governo Netanyahu, in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.
A quel tempo, il figlio di Netanyahu, Yair, ha affermato che il Dipartimento di Stato americano era «dietro le proteste in Israele, con l’obiettivo di rovesciare Netanyahu, apparentemente per concludere un accordo con gli iraniani».
Come noto, il ragazzo qualche anno fa pubblicò un meme, incredibilmente definito come «antisemita» pure dalla stampa italiana, che ritraeva George Soros come puparo del mondo.
Prime Minister Netanyahu's son posts anti-Semitic Soros meme on his Facebook page. pic.twitter.com/1rtzNATdg0
— Yashar Ali 🐘 (@yashar) September 9, 2017
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Lo scontro nelle università americana sulla questione palestinese ha provocato sconquassi inaspettati, come nel caso del rettore di Harvard, la donna di colore Claudine Gay, costretta alle dimissioni dopo essere stata accusata di non aver contenuto l’odio anti-israeliano nel campus.
La Gay, che ha rappresentato il più breve rettorato nella storia del prestigioso ateneo americano (si era insediata nel luglio precedente) era stata trascinata in polemiche accesissime con scavo ossessivo sul suo operato, fino a trovare segni di plagio in alcuni suoi lavori.
Le proteste anti-Israele nei campus USA sembrano una continuazione della campagna BDS (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), una campagna globale avviata nel 2005 da 171 ONG palestinesi, che coinvolse moltissime facoltà, professori e studenti, al punto che nel 2014 il ministro delle finanze israeliano Yair Lapid disse che i boicottaggi stavano portando Israele nella situazione internazionale del Sudafrica prima della fine dell’apartheid.
38 stati hanno approvato progetti di legge e ordini esecutivi volti a scoraggiare il boicottaggio di Israele. Separatamente, il Congresso degli Stati Uniti ha preso in considerazione una legislazione anti-boicottaggio in reazione al movimento BDS.
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Immagine di Can Pac Swire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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«Epstein rap»: Puff Daddy avrebbe segreti su «politici» e «principi»
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NEW: Diddy’s former bodyguard Gene Deal suggests that Diddy may have tapes of politicians, princes and even preachers which could now be in the hands of the feds.
“I don’t think it’s only celebrities gonna be shook. He had politicians in there, he had princes in there. He also… pic.twitter.com/hheJPwrKMe — Collin Rugg (@CollinRugg) April 5, 2024
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«Corruzione e conflitto di interessi»: la Procura Europea indaga su Von der Leyen e vaccini Pfizer
I procuratori dell’UE hanno preso in carico un’indagine di corruzione in corso sulla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Lo riporta il sito Politico, che cita un portavoce anonimo della procura di Liegi in Belgio.
L’indagine riguarda l’acquisto di quasi due miliardi di dosi di vaccino Pfizer COVID-19 per l’UE al culmine della pandemia di coronavirus. L’accusa sostiene che il capo della UE abbia negoziato l’accordo multimiliardario con l’amministratore delegato del colosso farmaceutico, Albert Bourla, in privato tramite messaggi di testo prima che gli studi clinici sul vaccino fossero completati.
La Von der Leyen si è rifiutata di rivelare il contenuto di quei messaggi, sostenendo di non riuscire a trovarli.
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Gli investigatori della Procura Europea (EPPO), che hanno lavorato sul caso negli ultimi mesi, ritengono che Von der Leyen possa essere colpevole di «interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di SMS, corruzione e conflitto di interessi», scrive Politico citando i documenti legali che avrebbe visionato.
Nonostante le accuse e la stessa von der Leyen abbia ammesso di aver comunicato privatamente con Bourla per quasi un mese prima di firmare l’accordo da quasi 20 miliardi di euro (21,5 miliardi di dollari), nessuna accusa formale è stata ancora mossa contro il capo della Commissione Europea.
Il caso è stato sostenuto dai governi di Polonia e Ungheria, che hanno anche presentato denunce ufficiali sul ruolo di Von der Leyen nei negoziati sui vaccini, hanno detto fonti di Politico. Il quotidiano ha osservato, tuttavia, che Varsavia si è mossa per ritirare la denuncia dopo che il governo pro-UE del primo ministro Donald Tusk è salito al potere lo scorso anno.
Il New York Times, che per la prima volta nel 2021 riferì che conversazioni private tra Von der Leyen e Bourla erano effettivamente avvenute prima della firma dell’accordo sui vaccini, ha anche intentato una causa contro la CE per essersi rifiutata di rivelare il contenuto degli SMS e respingere una richiesta di accesso ai documenti.
Il caso contro il capo della Commissione europea ha raccolto «un interesse pubblico estremamente elevato», secondo i funzionari dell’UE, tra le preoccupazioni che il blocco abbia acquistato significativamente più vaccini COVID del necessario.
Nel dicembre dello scorso anno, Politico riferì che gli stati dell’UE avevano scaricato almeno 215 milioni di dosi, che erano costate ai contribuenti fino a 4 miliardi di euro. Nonostante ciò, i vaccini continueranno ad arrivare nell’UE secondo il contratto con Pfizer, almeno fino al 2027.
La presidenza Von der Leyen ha una storia carica di scandali, alcuni dei quali sembrano ripetere altre controversie che le erano capitate quando era in forze al governo della Repubblica Federale Tedesca.
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Come riportato da Renovatio 21, la Von der Leyen, quando era ministro della Difesa tedesco, era incappata in accuse dopo aver «ripulito» il suo cellulare che doveva divenire prova importante all’interno di uno scandalo di appalti militari. La medesima situazione pare esser capitata con i messaggini che si sarebbe scambiata con Albert Bourla, CEO di Pfizer, spariti nel nulla proprio quando le si chiede conto dei contratti per l’iniezione massiva di mRNA nei corpi di centinaia di milioni di europei. (Bourla ha riconosciuto la preparazione del presidente della Commissione sui sieri genici, ma non ha poi avuto il coraggio di presentarsi davanti ai deputati europei, mandando una sua sottoposta a fare l’ammissione sulla mancanza di test di trasmissibilità del COVID dopo il vaccino Pfizer).
L’Ursula è inoltre incappata in ulteriore scandalo famigliare basato riguardo proprio l’mRNA, quando è emerso un conflitto di interessi con il marito, che lavora presso un’azienda di terapia genica, partecipante ad una cordata di aziende-università che dovrebbe intercettare fondi europei.
La sua posizione di falco nella questione Ucraina ha visto, oltre ai continui inutili e dannosi round di sanzioni antirusse, con il programma di sequestro di 300 miliardi russi presenti su banche straniere nonché con l’esortazione al governo tedesco di «dare a Kiev tutte le armi di cui hanno bisogno».
Secondo alcune indiscrezioni, il presidente americano Joe Biden vorrebbe la Von der Leyen a capo della NATO – altra istituzione transnazionale che, guarda caso, sempre sta a Bruxelles…
Immagine di Kuhlmann/MSC via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Germany
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