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Necrocultura

Quando Papa Benedetto tuonava contro l’uso degli embrioni per la ricerca

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Oggi abbiamo un papa che straparla di ecologia e obbliga a vaccini ottenuti tramite il sacrificio di feti abortiti. Un pontefice che, su qualsiasi tema ma soprattutto su questi, sembra incapace di affrontare la complessità. Come escluso da una  visione del quadro di insieme della società umana: cioè, non in grado di fare il mestiere che per millenni hanno fatto i vicari di Cristo in Terra.

 

Dobbiamo ricordare fino a pochi anni fa non era così. Dobbiamo ricordare che, fino allo strano golpe che ha intronato Bergoglio, c’era un papa che scriveva, e pensava, in modo diverso. Comunicando ai fedeli cose che, nell’ora presente, suonano profetiche, di importanza assoluta.

 

«Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale»

«Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale».

 

Sono parole dal punto 50 del IV capitolo della Caritas in Veritate, l’enciclica scritta da Benedetto XVI del 2009 riguardo lo «sviluppo umano integrale nella carità e nella verità».

 

Rileggiamo. L’ambientalismo è niente, «se si sacrificano embrioni umani alla ricerca».

 

«La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita»

Parole che esplodono nella mente di noi esuli figli di Eva nell’anno del Signore 2021, il tempo della peste, della tirannide e della follia. Il tempo in cui gli stessi cattolici giustificano il sacrificio «scientifico» degli embrioni umani. Quello, e oltre: lo squartamento a cuor battente dei feti per asportarne organi e tessuti da usare in laboratorio, magari per la produzione di immonde linee cellulari «immortalizzate» con oncogeni, magari per creare topi «umanizzati».

 

Ecco, dinanzi all’abominio che ora ci sembra inarrestabile, una volta c’era qualcuno che, almeno a parole, tentava di ergere una diga di umanità.

 

«La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita. Qui l’assolutismo della tecnica trova la sua massima espressione. In tale tipo di cultura la coscienza è solo chiamata a prendere atto di una mera possibilità tecnica» (Caritas in Veritate, VI, 75)

 

Abbiamo criticato Ratzinger in passato. Ma ci è impossibile, davanti a queste parole, non vedere come quel papa volasse altissimo, comprendendo battaglie – come quella contro la produzione di esseri umani in provetta, cioè la riproduzione artificiale, la FIVET ora pagata dallo Stato – ora totalmente inarticolabili. Renovatio 21, che questa battaglia tenta di farla,  sa bene quanto sia difficile anche solo far capire di cosa si stia parlando. Invece, neanche una dozzina di anni fa, lo scriveva il papa. Nero su bianco.

 

«Non si possono tuttavia minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha a disposizione»

Ora chiudete gli occhi. Pensate ai ragazzi di oggi. Riportate alla mente l’immagine del papa con Greta Thunberg. Pensate al giovane ragazzo allontanato dalla Guardia svizzera perché non si piegava all’obbligo vaccinale del papa, che è la sottomissione ad un vaccino ottenuto tramite cellule di aborto.

 

Ora riapriteli. Leggete.

 

«È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società». (Caritas in Veritate, IV, 51)

 

Ora pensate a noi, che vi tormentiamo con questa idea, quella della Cultura della Morte (che noi chiamiamo, spesse volte, Necrocultura), sapendo che è un’espressione in via di sparizione del discorso cattolico, soppiantata dall’ecoterzomondismo della «cultura dello scarto» o dalla definizione-Tuttocittà papale delle «periferie esistenziali».

 

Della Necrocultura un tempo si parlava nelle encicliche.

 

«Non si possono tuttavia minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha a disposizione. Alla diffusa, tragica, piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente in nuce, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto, va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta. Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana». (Caritas in Veritate, VI, 75)

 

Ratzinger comprendeva che si stava preparando una rivoluzione antropologica. Tuttavia non osava pensare che essa potesse promanare direttamente dalla manipolazione della vita, dalla biotecnologia genetica applicata sull’umanità tutta tramite la siringa mRNA.

Sono passati pochissimi anni. La Cultura della Morte ha affinato i suoi strumenti in modo inimmaginabile. L’aborto da «diritto» femminista e liberale è divenuto base industriale per la farmaceutica globale. L’eutanasia è realtà – anzi, siamo andati oltre, stiamo per votare un referendum sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, qualcosa che con la «dolce morte» non ha niente a che fare. L’eugenetica è qui, per la Lebensunwertes Leben, la vita considerata indegna di essere vissuta (ora chiamata briosamente «best interest») hanno già ucciso diversi bambini. La «dignità umana», in un mondo dove persino i volti delle persone sono coperti, è un miraggio lontano, un’espressione pomposa svuotata di ogni realtà.

 

Soprattutto, abbiamo un nuovo, grande strumento della Necrocultura che Ratzinger non aveva previsto: il vaccino pandemico. Esso proviene dallo stesso pozzo maligno da cui provengono tutti i mezzi del male – esso è fatto di sacrifici umani, di bambini immolati. Ma non solo: esso è in grado di ordinare il mondo, di dividerlo e dominarlo, di marchiare l’umanità per permetterle di vivere come annunciato nell’Apocalisse di Giovanni.

 

«Oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell’uomo». (Caritas in Veritate, VI, 75)

 

Ratzinger comprendeva che si stava preparando una rivoluzione antropologica. Tuttavia non osava pensare che essa potesse promanare direttamente dalla manipolazione della vita, dalla biotecnologia genetica applicata sull’umanità tutta tramite la siringa mRNA.

 

La Cultura della Morte provoca la manipolazione della vita, pensava il papa. Ora abbiamo appreso che la manipolazione della vita non solo giustifica, ma potenzia, produce la Necrocultura

La Cultura della Morte provoca la manipolazione della vita, pensava il papa. Ora abbiamo appreso che la manipolazione della vita non solo giustifica, ma potenzia, produce la Necrocultura.

 

Non è il primo scritto del tedesco a suonare oggi come profetico. «La Bestia è un numero, e ci trasforma in numeri» aveva detto il cardinale Ratzinger ai seminaristi di Palermo nel 2000. Egli parlò di «un mondo che corre il rischio di adottare la stessa struttura dei campi di concentramento, se viene accettata la legge universale della macchina».

 

«Le macchine che sono state costruite impongono questa stessa legge, questa stessa legge che era adottata nei campi di concentramento (…) Secondo la logica della macchina, secondo i padroni della macchina, l’uomo deve essere interpretato da un computer, e questo è possibile solamente se l’uomo viene tradotto in numeri».

 

Sono parole perfette per l’era dei vaccini genetici creati al computer e finanziati dall’informatico Bill Gates, l’era dei campi di quarantena, l’era dove la libertà si può sperare solo tramite un codice numerico verde fornito dalla macchina.

 

Quindi, ci rimane la domanda che si sono fatti tutti, ma che nessuno ha mai posto seriamente: perché Ratzinger se ne è andato?

 

Quindi, ci rimane la domanda che si sono fatti tutti, ma che nessuno ha mai posto seriamente: perché Ratzinger se ne è andato? È stato forse per far posto esattamente a tutto ciò che egli paventava nei suoi scritti e nei suo discorsi?

È stato forse per far posto esattamente a tutto ciò che egli paventava nei suoi scritti e nei suo discorsi?

 

È un bel mistero. Un mistero che ha, in verità, indicibili resposabilità mondiali. Un mistero da cui sono dipese immani conseguenze per lo spirito e la carne di tutti i popoli.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

Immagine di Mangouste35 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0); immagine modificata

Necrocultura

Materialismo e Necrocultura: il disastro italiano nelle relazioni personali

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In un mondo dove la nostra religione cristiana sembra un accessorio sempre meno presente nelle nostre vite e i cattolici italiani sono in drastico calo e non conoscono più la loro fede, prende sempre più corpo una società fondata sul materialismo, una società che inneggia direttamente alla Necrocultura e a una visione orizzontale della vita, senza avere quella percezione verticale di trascendenza e spiritualità che ha caratterizzato, fino a qualche decennio fa, le precedenti generazioni.

 

Possiamo osservare un gretto materialismo individualista, dove tra i meno giovani, quando ci si confronta nell’ordinario, si tende a porre l’accento su quel primo obiettivo (e spesso come fosse un vanto) che è la posizione sociale e lavorativa, che viene misurata in quello che percepiamo in busta paga a fine mese.

 

È sempre più raro affermarsi nella nostra comunità per quello che effettivamente facciamo, per una prospettiva di crescita umana, culturale o spirituale. Conta solo il danaro che illude di essere migliori del prossimo. Una visione effimera, che colma, all’atto pratico, i nostri desideri più bassi quali le vacanze, la bella macchina, un abito firmato, un orologio o un gioiello, ma di certo non riempie in alcun modo il vuoto morale e culturale che ci portiamo dentro. 

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Il materialismo della quotidianità sfocia anche nell’egoismo tradotto nell’individualismo «devo avere il diritto di vivere la mia vita» o del «devo rifarmi una vita». Quante volte abbiamo udito queste frasi che ci risuonano fin troppo spesso durante la pausa caffè con i nostri colleghi o seduti per un irrinunciabile aperitivo. Di fatto poi la vita ci pone dinanzi a delle responsabilità familiari. Gli obblighi morali verso nostra moglie, verso i figli e gli altri familiari. 

 

Non vorrei addentrarmi nel discorso della disgregazione delle unioni sentimentali – che oggi più che mai ci appare come una nuova normalità – ma mi limito a citare i dati ISTAT relativi all’anno 2023: 139.887 matrimoni e 82.392 separazioni. Lascio a voi stilare la percentuale, ma il «diritto» a «rifarsi una vita» evidentemente è ben più forte del cercare di mantenere unita la famiglia. 

 

Di contro abbiamo un «femminismo sfrenato» che urla le proprie libertà appoggiando incondizionatamente il «diritto all’aborto», in quanto sostiene che sia più importante il vivere in libertà la vita della donna, che la vita del figlio che brevemente si porta in grembo. Le istituzioni oggi avvallano questi «desideri», come in Inghilterra, dove il reato di aborto è stato definitivamente abrogato, capitolo recente dell’ascesa del gius-edonismo, «il diritto al piacere» prima di ogni altra cosa, caposaldo dell’utilitarismo.

 

L’utilitarismo si esprime anche in quella ricerca di felicità effimera tramite prolungamenti di una «movida» che non esiste più (parlo soprattutto della generazione dei quarantenni e cinquantenni), di «diversamente giovani» che tentano di allungare un periodo della loro esistenza che giocoforza appartiene al passato, perché è figlio di un’altra età oramai tramontata, che aveva la sua massima espressione in quegli anni leggeri e spensierati.

 

Riprodurre fasi giovanili della vita da over quaranta potrebbe risultare patetico e anacronistico, ma orde di cinquantenni sembrano non arrendersi e riempiono locali e bar dove si beve, si balla e si tenta una sorta di socializzazione – che, va detto, altrimenti è sostituita dai social network con la loro narrazione deviata della realtà, una visione patinata della realtà che si basa sull’invidia e il risentimento per il prossimo, ostentando in reel e stories foto di un effimero benessere.

 

Quel benessere deve essere perseguito a ogni costo e nel perseguirlo scorgiamo una società ipocrita nel suo professare carità e benevolenza nei confronti dei deboli e dei fragili, ma non accettando le difficoltà della vita.

 

Sempre più frequentemente – in una società che vive un inverno demografico senza precedenti e destinata inesorabilmente ad invecchiare – ci troviamo alle prese con l’anzianità dei nostri cari, i quali necessitano di compagnia, di affetto e di cure.

 

Nel 2022 il 2,6% degli ultra sessantacinque ha usufruito di un servizio residenziale all’interno di una RSA e un altro 3,2% ha ricevuto Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Se consideriamo gli over settantacinque siamo rispettivamente al 4,6% e al 5,3% di persone che sono state assistite. Dal 2017 al 2022 siamo passati dalle 296 mila persone con oltre sessantacinque anni residenti in RSA alle 362 mila. 

 

In Italia, la solitudine degli anziani rappresenta una vera e propria emergenza sociale sottaciuta e nascosta, che con il passare degli anni rischia un sensibile peggioramento. Al momento, dati alla mano, circa 2,5 milioni di persone oltre i settantaquattro anni vivono da sole, una condizione che riguarda ben il 40% di essi. Viste le condizioni e il trend, i dati sono destinati a crescere nei prossimi anni.

 

Evidentemente molti figli o nipoti preferiscono le loro libertà, la loro indipendenza, la loro «crescita sociale», piuttosto che vivere o fare compagnia ai propri cari.

 

Troppe volte gli anziani appaiono come un peso, un ostacolo ai nostri desideri, un impiccio alla soddisfazione dei nostri effimeri egoismi. L’egoismo come ragion d’essere; «io voglio vivere la mia vita», «pretendo di vivere la mia vita», oscurati da qualsiasi afflato di bontà e carità verso il prossimo.

 

La disumanità che ci vede lasciare «i fragili» abbandonati a loro stessi, senza una telefonata, senza una visita, senza una carezza, senza una parola di conforto. Tutto questo in una società «moderna e inclusiva» è del tutto inaccettabile, ma evidentemente l’inclusività non deve ledere le libertà personali. 

 

Coloro che oggi non si prendono cura dei propri nonni o dei genitori, domani che invecchieranno anche loro, chi li aiuterà e li sosterrà? Ci sono forti possibilità che il problema non gli si ponga, in quanto l’eutanasia, o meglio la «dolce morte» o il suicidio assistito – secondo la neo lingua del politicamente corretto – gli venga in soccorso.

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Uno Stato illuminato come il Canada si fa portabandiera della nuova necropolitica sociale e i dati ufficiali del governo ci mostrano che circa la metà dei cittadini che non sono malati terminali, desideravano porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito autorizzato dallo Stato (che laggiù chiamano MAiD), perché affermavano di sentirsi soli.

 

L’Europa si allinea agli echi d’oltreoceano, tanto che in il presidente del più grande fondo sanitario belga, Christian Mutualities (CM), ha chiesto una soluzione radicale al problema dell’invecchiamento della popolazione, dichiarando ai media che alle persone stanche della vita dovrebbe essere permesso di porvi fine.

 

Come riportato da Renovatio 21, in Olanda invece, il rapporto annuale per il 2023 dei comitati regionali di revisione dell’eutanasia (RTE), identificano un aumento del 4% delle eutanasie rispetto al 2022. Va ricordato che in quel Paese il termine eutanasia comprende l’iniezione letale e suicidio assistito. I 9.068 decessi rappresentano il 5,4% del totale dei deceduti.

 

Quando non siamo più utili a questo schema sociale, possiamo tranquillamente morire. Ce lo insegna bene il rock n’ roll, che nel corso delle ultime decadi ci ha educato con il suo spirito falsamente libero e ribelle. Le «vecchie cariatidi musicali», quando divengono anacronistiche per stare su un palco e non possono più gozzovigliare a loro piacimento, ecco che decidono di farsi un bel funerale laico prima della morte, che sia indotta o naturale

 

«Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto chi può far perdere nella Geenna e anima e corpo» (Mt 10, 28).

 

Sempre con maggior enfasi la Necrocultura prolifera sui social con numerosi post della «generazione di mezzo» che esaltano l’eroismo di chi ha deciso di mettere fine alla propria vita. Una magnificazione della morte in antitesi con la nostra religione che ci dice che la morte non è altro che un passaggio verso la vita eterna. 

 

Francesco Rondolini

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Gender

Pedofilo omosessuale ottiene un bambino tramite maternità surrogata. Bisogna stupirsi?

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La rete si scalda per un caso che cala un tris considerevole: matrimonio gay, pedofilia, utero in affitto. Si aggiungerebbe, in questo caso, anche il crowdfunding. Lo riporta LifeSite.   Un coro di indignazione è esploso sui social media statunitensi dopo che è stato rivelato che un omosessuale registrato come molestatore sessuale dopo essere stato condannato per abusi sessuali su un giovane adolescente, è riuscito a ottenere un bambino tramite maternità surrogata.   L’uomo che ha «sposato» un altro uomo è descritto come un molestatore sessuale di primo livello in Pennsylvania, condannato per «abuso sessuale su minori» e «possesso di materiale pedopornografico». All’epoca insegnante di chimica al liceo, l’uomo era stato arrestato nel 2016 per numerose «esplicite richieste e conversazioni sessualmente esplicite» con uno studente sedicenne, dopo che era stato scoperto per aver inviato 20 foto di nudo e un video sessualmente esplicito di se stesso.   Lo scandalo è esploso dopo che la coppia ha condiviso un video in cui festeggiava le feste con il bambino nato da madre surrogata durante il suo primo anno di vita.   Il giornalista cittadino Derek Blighe ha pubblicato il video su X, osservando: «a meno che non accada un miracolo, questo bambino non ha quasi nessuna possibilità di avere una vita normale».   Il post di Blighe è stato visualizzato ben oltre 11 milioni di volte.    

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«Come fanno dei degenerati malati come questi a ottenere l’approvazione per diventare tutori di un bambino?» ha chiesto l’attivista contro la presenza di transessuali nello sport Riley Gaines. «Per quanto mi riguarda, chiunque sia coinvolto nel processo di approvazione dovrebbe essere in prigione».     «Concepire un bambino con l’intenzione di affidarlo a una famiglia senza madre per farlo crescere da queste due creature», ha scritto il commentatore cattolico youtuber Matt Walsh su X. «Assolutamente orribile. Una malvagità indescrivibile».     Secondo quanto scrive Lifesite, non solo la coppia è riuscita ad ottenere il bambino nonostante i trascorsi sessuali criminali dell’uomo, ma pare che abbiano utilizzato l’app di crowdfunding GoFundMe per aiutarlo.   «È stato rivelato che una coppia gay che ha finanziato tramite crowdfunding il proprio percorso di maternità surrogata ora ha la custodia di un bambino, nonostante uno dei partner (…) sia stato condannato per reati sessuali su minori, sfruttando una scappatoia della Pennsylvania per la maternità surrogata che aggira le restrizioni statali sull’adozione per i predatori registrati», ha riportato Right Angle News Network su X.   «Orribile», ha scritto l’attivista pro-life Lila Rose, fondatrice di LiveAction. «Dopo la diffusione virale di un video di due uomini che baciavano un neonato acquistato tramite crowdsourcing, fecondazione in vitro e madre surrogata, gli investigatori di internet hanno scoperto che uno degli uomini era un molestatore sessuale registrato».     «Non è richiesto alcun processo di verifica per la maternità surrogata. Chiunque abbia soldi può comprare un bambino», ha detto Rose. «Non solo questo bambino è stato privato di una madre intenzionalmente, ma non sono stati messi in atto meccanismi di sicurezza per proteggerlo. I bambini non sono merci».   «Vietate la maternità surrogata», ha aggiunto la Rose.   La deputata repubblicana degli Stati Uniti Anna Paulina Luna ha chiesto al procuratore generale della Pennsylvania: «perché a questo molestatore di bambini è consentito adottare un bambino?»   «Il fatto che quest’uomo stia sfruttando una scappatoia che consente l’adozione tramite maternità surrogata, pur essendo un molestatore sessuale registrato, è disgustoso. Dovrebbe essere FUORILEGGE», ha dichiarato.   «Non mi interessa chi sei, qual è la tua razza o il tuo genere: se sei un molestatore sessuale registrato, non ti dovrebbe essere permesso di avvicinarti ai bambini, figuriamoci adottarli», ha detto la Luna.

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Renovatio 21 considera che lo stupore si addice solo a chi fino ad ora ha tenuto gli occhi chiusi: tutti i nodi della Necrocultura sono collegati l’uno con l’altro in modo istituzionalizzato grazie allo Stato moderno: con il diritto all’aborto si crea il diritto alla fecondazione in vitro (che uccide molte più bambini dell’aborto, ma che grazie a questo sono finalmente considerati come sacrificabili), con il matrimonio gay si crea giocoforza il «diritto» alla maternità surrogata, con il «diritto al gender» si apre all’istituzionalizzazione di ogni possibile devianza (come visibile ai gay pride), con l’erosione progressiva di vari tabù: si ricordano gli ammiccamenti a certe manifestazioni riguardo ai bambini delle famiglie normali.   Aggiungiamo che, se fosse vero che l’omosessualità proviene dall’assenza della figura paterna (come sosteneva Sigmund Freud), l’ondata presente è stata creata dalle leggi sul libero divorzio – un’altra legge teratogenetica che andrebbe abolita quanto prima, ma siete dei folli se sperate che i pro-vita dell’establishment provino a dirlo e a farci una battaglia.   A Renovatio 21, invece, abbiamo proprio intenzione di farlo: combattere la Necrocultura in maniera integrale, senza nessun compromesso, e con tutta la forza che abbiamo.

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Bioetica

La pop star britannica Lily Allen ride mentre racconta i suoi molteplici aborti

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La cantante, cantautrice e attrice Lily Allen, candidata ai Grammy ha dichiarato in un recente podcast, di non ricordare quanti aborti ha avuto, mentre rideva sguaiatamente della materia.

 

In una puntata del podcast Miss Me? del 1° luglio, Allen ha parlato dettagliatamente della sua vita personale. «Ora ho una spirale», cioè dispositivo contraccettivo intrauterino (che di fatto è un abortivo e non un contraccettivo, perché uccide l’emrbione), ha detto alla co-conduttrice del podcast Miquita Oliver. «Credo di essere al terzo o quarto figlio e ricordo solo che prima era una zona disastrata. Rimanevo incinta di continuo».

 

La Allen, che ha una figlia di 13 anni e una di 11 con l’ex marito (il secondo marito è il robusto attore hollywoodiano David Harbour, noto per la serie Stranger Things e per le sue veementi sparate contro Trump; ma sembra si sia separata anche da questo) ha poi parlato dei bambini che ha abortito. «Aborti, ne ho avuti alcuni, ma d’altronde», ha cantato ridacchiando sulle note della nota canzone My Way di Frank Sinatra, poi rifatta dai Sex Pistols. «Non ricordo esattamente quanti. Non ricordo, sì. Penso forse cinque, quattro o cinque».

 

 

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«Ricordo che una volta sono rimasta incinta e l’uomo mi ha pagato l’aborto, e io ho pensato che fosse così romantico», ha detto la cantante. Tuttavia, la donna da allora ha cambiato idea su quell’episodio in particolare. «Ti dico quanto è stato romantico: non credo che mi abbia scritto dopo. Giusto, a dire il vero. Ero una pazza stronza. Lo sono ancora».

 

Lungi dall’essere scioccata, l’intervistatrice Miquita Oliver ha risposto osservando che anche lei aveva avuto «circa cinque» aborti e che l’inserimento della spirale contraccettiva le aveva assicurato di «smettere di abortire», cosa che pare fosse divenuta diventata di routine. «Lo schema era: sfortunatamente, rimango incinta, non voglio esserlo, abortisco, poi mentre sono sedata durante l’aborto, mi mettono la spirale», ha detto. «Mi sentivo davvero in imbarazzo anche solo a dire di aver avuto più di un aborto, perché diavolo dovrei vergognarmi? Ne ho avuti diversi».

 

«Mi irrita davvero, e l’ho già detto apertamente. Ho visto meme in giro a volte, su Instagram, da account pro-aborto o altro, ogni volta che si parla di questo argomento, e all’improvviso si comincia a vedere gente che pubblica cose su motivi straordinari per abortire», ha ammesso Allen.

 

«Tipo: “Mia zia aveva una figlia con questa disabilità”, o qualcosa del genere, ‘Se fosse andata a termine la morte l’avrebbe uccisa, quindi dobbiamo farlo”», ha continuato. «È come dire: ‘Stai zitto!’ Semplicemente: “Non voglio un fottuto bambino in questo momento”. Letteralmente: “Non voglio un bambino” è una ragione sufficiente».

 

«In uno degli aborti che ho avuto, odiavo quell’uomo e non avevo assolutamente alcun interesse ad avere quel fottuto figlio», ha aggiunto Oliver. «Ho pensato: “Assolutamente no”, e come sapete, per tutti i miei 20 e 30 anni, avere un bambino non è stato poi così importante per me, e mi sarebbe dispiaciuto non avere la possibilità e la libertà di fare ciò che dovevo fare per la mia vita».

 

La Allen ha da tempo espresso apertamente la sua posizione pro-aborto. Nel 2012, mentre era incinta (di un bambino che aveva tenuto in grembo), rispose su Twitter al suggerimento del ministro della Salute britannico Jeremy Hunt di ridurre il limite di aborto a 12 settimane, scrivendo: «possono questi idioti dalla mente ristretta smettere di dire alle donne se hanno diritto o meno all’aborto, per favore?»

 

Nel 2022, è salita sul palco con Olivia Rodrigo al festival musicale di Glastonbury per cantare la sua hit Fuck You, per denunciare la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare la sentenza Roe v. Wade.

 

«Vorrei che la gente smettesse di pubblicare esempi di motivi eccezionali per abortire» aveva scritto su Instagram. «La maggior parte delle persone che conosco, me compresa, semplicemente non voleva avere un fottuto bambino. E questa è una ragione sufficiente! Non dobbiamo giustificarlo. Non dovrebbe essere necessario dirlo, e penso che tutti questi esempi facciano solo il gioco dei cattivi».

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Si tratta del libero aborto invocato dalle femministe – cioè senza alcuna remore, feticidio a comando, per capriccio, pure, magari pure pagato dallo Stato.

 

La realtà è che si sta andando oltre: le frange femministe, sempre più vecchie e inacidite (la vita «libera», cui aspiravano, che era di fatto solo mancanza di morale e odio della legge naturale, ha presentato il conto) stanno trasformando l’aborto da diritto a vero e proprio «sacramento» della vita moderna.

 

Ciò è in linea con varie realtà religiose, come le serque di sigle ebraiche (cui si sono aggiunti i satanisti organizzati) che hanno reagito alla sentenza della Corte Suprema Dobbs v. Jackson che defederalizzava il diritto di aborto dichiarando che il feticidio è un loro diritto religioso.

 

Guardiamo la realtà per quello che è: le popstar ridono del sacrificio umano, vi partecipano, ne difendono la continuazione. La situazione della cultura popolare oggi è questa. Sappiamo come chiamarla: la musica, il cinema, la TV e pure altre forme di intrattenimento come le letteratura, la filosofia, la politica, vivono sotto l’ombra della Necrocultura.

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Immagine di Justin Higuchi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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