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Geopolitica

Afghanistan, laboratorio COVID, corruzione dei Biden: un patto tra Washington e Pechino?

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Abbiamo voglia di unire i puntini. Biden commette un harakiri politico e geopolitico mai visto prima. L’Afghanistan brucia, mentre la storia del COVID infuria, e Biden jr. è sui giornali con video di depravazione e corruzione sempre più inquietanti.

 

Questo sito, a partire dalla sua posizione sui vaccini, è stato pubblicamente definito un sito complottista, per cui, marchiati a vita, possiamo permetterci di supporre qualcosa di inedito e indicibile: dietro a tutto questo potrebbe esserci un patto tra la Casa Bianca e Pechino.

 

Andiamo con ordine.

 

 

Saigon al cubo

Nessuno ha ancora spiegato il motivo per il quale l’amministrazione Biden si è impegnata nella catastrofe che stiamo ora vedendo in Afghanistan.

 

Biden si è offerto a quella che forse è la più colossale figura mai fatta da un presidente americano. Biden è stato beccato a mentire o a proclamare, ostentando sicumera, informazioni totalmente scollate dalla realtà. L’esercito afghano, che ribadiva essere 6 volte quello talebano e molto meglio armato, si è squagliato poche ore dopo i suoi proclami dalla Casa Bianca. Come ha detto Bryan Dean Wright, un veterano della operazioni estere CIA, si è trattato della «conferenza stampa più infame e devastante mai tenuta da un presidente americano».

 

Dietro a tutto questo potrebbe esserci un patto tra la Casa Bianca e Pechino

Ora tutti stanno mettendo in questione la leadership americana, e quindi Biden l’eletto.

 

L’Europa, perfino: la Merkel ha fatto dichiarazioni che sembrano smarcarsi dagli USA, e preludere a chissà cosa.

 

La pazienza dei giornali è finita: Sky News Australia sostiene apertamente che Biden non è fit per il comando degli Stati Uniti.

 

Le proporzioni di questo fiasco presidenziali sono immani: aveva sdegnosamente risposto ai giornalisti che non sarebbe stata un’altra Saigon, e poi abbiamo visto tutti che le immagini sono le stesse. Perfino l’elicottero sembra essere proprio quello, il Chinhook…

 

E poi, il destino della popolazione di Saigon era di finire nelle mani di uno Stato comunista, che certo avrebbe fatto le sue rappresaglie sui «collaborazionisti», ma non siamo sicuri che i Vietcong siano andati in ogni Paese a chiedere la lista delle femmine non sposate dai dodici anni in su. Non vogliamo fare paragoni, tuttavia uno può trovarsi ad immaginare che ciò che succederà agli afghani sarà possibilmente molto peggiore di quello che accadde ai vietnamiti.

 

Della violenza  e della distruzione che seguiranno, degli stupri e delle impicaggioni, delle torture e delle razzie, sarà – per quanto stia cercando di dare la colpo, nell’ordine, all’esercito afghano, al governo afghano, agli afghani in generale e ovviamente a Trump – considerato responsabile Biden.

Nessuno ha ancora spiegato il motivo per il quale l’amministrazione Biden si è impegnata nella catastrofe che stiamo ora vedendo in Afghanistan

 

La domanda che non si pone nessuno è: perché questa débâcle? Possibile che nessuno attorno a lui abbia capito?

 

Ragioniamo: le sue dimensioni sono tali che non è possibile che nessuno avesse previsto che qualcosa potesse andare storto…

 

Nonostante le immagini delle persone che precipitano dai carrelli dei cargo (quanto assomigliano a quei corpi che volavano dalle Due Torri, evento intimamente legato alla storia che stiamo vedendo) nel suo discorso di ieri sera, tornato senza fretta dalle ferie estive come un Gigi Di Maio qualsiasi, Biden non ha fatto un passo indietro che sia uno.

 

Biden, nonostante la promessa di inviare 7000 soldati, ha sostanzialmente ribadito la sua posizione.

 

Forse si era sbagliato nei confronti dell’esercito afghano, e vabbè, del resto gli USA ci hanno solo sacrificato 20 anni di addestramenti e 100 miliardi di dollari – più qualche migliaio di morti, amputati, disastrati nella psiche e nella famiglia, più 60 mila veterani suicidi in patria.

 

È possibile che Biden non abbia solo tollerato questo esito, ma lo abbia in qualche modo fortemente voluto, a scapito di questa enorme, eterna chiazza di sangue sulla sua immagine?

Allora, perché? Perché Biden si è risolto a portare avanti un simile cataclisma, che giocoforza segnerà per sempre lui e l’establishment democratico? Dopo Saigon ci fu l’ambasciata di Teheran… e Carter, per quell’ulteriore umiliazione subita dagli USA in Asia, perse le successive elezioni. Il Partito Democratico rispuntò dodici anni dopo con Clinton, in mezzo ci furono Reagan e Bush padre.

 

E allora, perché?

 

È possibile che Biden non abbia solo tollerato questo esito, ma lo abbia in qualche modo fortemente voluto, a scapito di questa enorme, eterna chiazza di sangue sulla sua immagine?

 

Quella che segue è una pura speculazione. Tuttavia, i fatti su cui essa si appoggia non lo sono. Per niente.

 

 

L’Afghanistan regalato alla Cina. Perché?

La Cina si era già detta pronta a riconoscere il governo talebano. L’inviato RAI a Pechino Giovanna Botteri ieri mostrava con grande sincerità le immagini della TV cinese: mostravano una città dove tutto era in ordine, neanche l’ombra degli ingorghi sulle strade o del massacro all’aeroporto.

 

La Cina, ricordiamolo, sia pur per una piccola linea sulla terra, è un Paese confinante con l’Afghanistan. Tuttavia, lo scambio che l’Afghanistan può avere su quella parte della Cina musulmana – lo Xinjiang, cioè quello che gli uiguri chiamano Turkestan orientale – è grandissimo, e il confine, fatto di montagne che splendono su laghi di limpidezza incantata, è poroso, specie per soggetti che a piedi e con i muli hanno sconfitto i sovietici e (da oggi possiamo dirlo) pure gli americani.

 

Chi scrive vide alla stazione degli autobus della città di Kashgar (dove la memoria di Marco Polo, passato di lì, è onorata) vetture con destinazione Jalalabad – oltre ovviamente a Peshawar e città pachistane limitrofe che fungono da decenni da valvole da e per l’Afghanistan.

 

La Cina si era già detta pronta a riconoscere il governo talebano

I cinesi hanno lavorato con profitto in Afghanistan durante l’era americana, soprattutto nell’estrazione mineraria.

 

Tuttavia, le mire di Pechino non sono solo economiche: se un nemico islamista si installasse in Afghanistan potrebbe riversare verso lo Xinjiang il terrorismo – è il problema del separatismo uiguro, basato sempre più sull’islamismo radicale. Lo Xinjiang, ricordiamolo, è praticamente l’unica provincia cinese dove c’è il petrolio.

 

Non si tratta di fantapolitica. Lo abbiamo visto anche quando il terrore islamico globale si fece un santuario non-confinante con i musulmani cinesi: in Siria hanno combattuto migliaia di uiguri cinesi, prontamente convertiti al takfirismo di Daesh.

 

Ora, lasciare che i talebani creino il loro Emirato senza patti chiari, sarebbe stata una follia politica, comune tra gli occidentali ma impossibile tra i cinesi.

 

Come ha riportato Renovatio 21, che i cinesi stessero armando i talebani lo sapevano tutti. Così come sono ovviamente addentro all’accelerazione talebana gli altri due avversari: l’Iran (l’Afghanistan contiene sacche sciite, e la lingua di alcune tribù è parente del persiano) e la Russia, che procede a prendersi quello che gli americani lasciano (come visibile nell’ultima stagione della serie Homeland).

 

La Cina starebbe preparando un’ammissione pubblica riguardo al virus uscito dal laboratori. In cambio di cosa? Dell’Afghanistan

Ma Iran e Russia non hanno né il danaro, né l’interesse strategico della Cina, e neppure hanno in cantiere la più grande opera infrastrutturale della Storia, la Belt and Road Initiative, ovvero la Nuova Via della Seta.

 

Quello che pare chiaro, insomma, è che l’America abbia consegnato le chiavi di Kabul alla Cina. Lo avrebbe fatto a costo di questo fiasco titanico che ne segnerà la reputazione nei decenni e nei secoli. Lo avrebbe fatto quindi, volontariamente?

 

Lo avrebbe fatto, in cambio di cosa?

 

 

Patto occulto per il mondo post-pandemico

Qualche settimana fa una grande testata, che già in passato aveva dimostrato di avere ottime fonti su Wuhan e dintorni, aveva fatto uscire una strana notizia: la Cina starebbe preparando un’ammissione pubblica riguardo al virus uscito dal laboratorio.  Il che, avendo imparato a conoscere i funzionari del Partito Comunista Cinese, sarebbe clamoroso.

 

La domanda da porsi anche qui è la stessa: in cambio di cosa?

 

Proviamo a dare la nostra risposta speculativa: in cambio dell’Afghanistan.

 

La Cina, ammettendo, si becca anche lei la Top 5 nella figura del secolo, ma è un danno calcolato, pilotato. Anzi, potrebbe aiutare: se diciamo una mezza verità, magari possiamo dissipare quel sospetto tremendo, e cioè che nel laboratorio ci lavorava l’esercito, e il SARS-nCoV-2 era un progetto buono per creare anche bioarmi.

Il COVID è stato definito «la Chernobyl della Globalizzazione». Bisogna purificare, pulire, bonificare, a costo di avvelenarsi un po’. Tutti

 

Immaginatelo come l’inizio di un condono tombale per la catastrofe del COVID. Se Pechino ammette, perché accanirsi? Basta accuse, basta sospetti, basta con la furia populista, e quel pensiero che hanno nel retrocranio tutti: la Cina è responsabile… ma la Cina, sa anche che nella responsabilità della fuga dal laboratorio, ora può tirare dentro anche Fauci e il sistema sanitario americano, che finanziava gli studi sulla manipolazione (gain of function) del coronavirus SARS. Mal comune, mezzo gaudio.

 

Il risultato, alla fine, sarebbe una normalizzazione dei rapporti. Con beneficio della classe dirigente occidentale, funestata dalla situazione attuale: i container non arrivano più dalla Cina (provate a fare un giro nelle grandi catene di articoli sportivi o bricolage per capire come mai molti prodotti non arrivano più…), e quindi il mondialismo stesso è in pericolo.

 

Il COVID è stato definito «la Chernobyl della Globalizzazione». Bisogna purificare, pulire, bonificare, a costo di avvelenarsi un po’. Tutti.

 

Casa Bianca e Dragone fanno tutti e due un passo indietro, e si scambiano favori. Un patto di beneficio reciproco, per un restart del quadro globale, che – almeno per quanto riguarda il rapporto con la Cina «fabbrica del mondo» (e Paese pilota del totalitarismo digitale) – deve tornare allo status quo ante.

 

 

Video hard e miliardi cinesi: l’interesse della Banda Biden

Mettiamo sul piatto anche il caso umano di Joe Biden, che in un negoziato oscuro con il Dragone non potrebbe non avere il suo peso specifico.

 

È uscito in settimana un nuovo video del figlio Hunter, che in una camera di albergo confessa ad una prostituta a caso che in uno dei suoi costosissimi bagordi negli hotel di Las Vega degli spacciatori russi gli avrebbero portato via un computer (sarebbe il terzo che perde…) pieno di video in cui si impegna in «sesso pazzo».

 

Il pezzo davvero incriminante in cui è coinvolto Hunter non riguarda lui e la sua depravazione, ma l’immensa quantità di capitale cinese confluito su un suo fondo.

Non è tuttavia la tragicommedia erotica del figlio di Biden a essere l’unica leva dei servizi stranieri (russi, cinesi, etc.) nei confronti di quella che Rudy Giuliani chiama, ricordando il suo passato di martellatore delle famiglie mafiose di Nuova York, la Biden Crime Family.

 

Il pezzo davvero incriminante in cui è coinvolto Hunter non riguarda lui e la sua depravazione, ma l’immensa quantità di capitale cinese confluito su un suo fondo.

 

Non si tratta di un mistero complottista: l’operazione fu rivendicata pubblicamente da un professore cinese, che lasciava capire che i miliardi cinesi assegnati al fondo di Biden jr. compravano l’influenza sul futuro presidente, perché i rapporti tra Pechino e Washington con Trump si erano intesiti al punto che anche tutti i canali riservati erano inservibili, con grande scorno – disse il cinese – dell’establishment precedente e di Wall Street.

 

 

«Ora vediamo che Biden è stato eletto. L’élite tradizionale, l’élite politica, l’establishment sono molto vicini a Wall Street, giusto?» aveva dichiarato in TV Di Dongsheng, un professore all’Università Renmin di Pechino.

 

Poi, ridacchiando, una domanda retorica: «Trump ha detto che il figlio di Biden ha una sorta di fondo internazionale. Lo avete sentito? Chi lo ha aiutato a mettere in piedi le fondazioni?»

 

Le voci filo-Trump, durante la campagna elettorale, suggerirono che il socio segreto del fondo di Hunter fosse il padre Joe, l’attuale presidente, identificato in alcuni messaggi rinvenuti nel laptop di Hunter come «The Big Guy».

Di motivi per regalare l’Afghanistan alla Cina per Biden ce ne sarebbero molti. Personali, politici, sempre occulti

 

Se ciò fosse provato e fatto emergere pubblicamente, niente potrebbe salvare l’attuale presidenza.

 

Di motivi per regalare l’Afghanistan alla Cina per Biden ce ne sarebbero molti. Personali, politici, sempre occulti.

 

Viviamo un’era di menzogna, lo sapevamo.

 

Quello che non abbiamo ancora realizzato è il prezzo di questa menzogna in termini di vite umane.

 

Guardiamo i poveri afghani sfracellarsi sull’asfalto dell’aeroporto per iniziare a comprenderlo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

Geopolitica

Trump non esclude il taglio degli aiuti a Israele, attacca Netanyahu e rivela dettagli sull’assassinio di Soleimani

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rifiutato di escludere il ritiro degli aiuti militari a Israele per forzare la fine della guerra a Gaza se verrà rieletto. Un tempo strenuo difensore del primo ministro Benjamin Netanyahu, Trump ha sostenuto che il leader israeliano e il suo esercito hanno «pasticciato» la guerra con Hamas.

 

In un’intervista con la rivista Time pubblicata questa settimana, il candidato alla Casa Bianca ha confermato la sua insistenza del mese scorso sul fatto che Israele dovrebbe «porre fine alla guerra» prima di perdere ulteriore sostegno internazionale.

 

«Penso che Israele abbia fatto molto male una cosa: le pubbliche relazioni», ha detto Trump al quotidiano, aggiungendo che secondo lui l’esercito israeliano non dovrebbe «inviare ogni notte immagini di edifici che crollano e vengono bombardati».

 

Alla domanda se escluderebbe di negare o applicare condizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele per portare la guerra a una conclusione, Trump ha risposto «no», prima di lanciarsi in una feroce critica a Netanyahu.

 

«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», ha detto, riferendosi a Netanyahu con il suo soprannome. Trump ha ricordato come Netanyahu avrebbe promesso di prendere parte all’attacco aereo statunitense che ha ucciso il comandante militare iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020, prima di ritirarsi all’ultimo minuto.

 

«È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», ha detto Trump al Time, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».

 

Come riportato da Renovatio 21, secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.

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Netanayhu, ha detto The Donald, «è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», riferendosi all’attacco di Hamas contro Israele. «E penso che abbia avuto un profondo impatto su di lui, nonostante tutto. Perché la gente diceva che non sarebbe dovuto succedere».

 

Israele ha, proseguito «le attrezzature più sofisticate», ha continuato. «Tutto era lì per fermarlo. E molte persone lo sapevano, migliaia e migliaia di persone lo sapevano, ma Israele non lo sapeva, e penso che sia stato fortemente incolpato per questo».

 

Trump non è la prima persona ad affermare che l’esercito e il governo israeliani non hanno risposto agli avvertimenti di un imminente attacco di Hamas. Secondo quanto riportato dai media israeliani, diversi membri del personale militare e dell’Intelligence hanno cercato di avvertire i loro superiori che era in corso un attacco, mentre i funzionari egiziani hanno riferito all’Associated Press di aver trasmesso avvertimenti alle loro controparti israeliane nelle settimane precedenti il ​​7 ottobre.

 

Trump è stato uno stretto alleato di Netanyahu durante il suo mandato alla Casa Bianca e si è descritto come «il presidente degli Stati Uniti più filo-israeliano della storia». Ha imposto sanzioni all’Iran su richiesta di Netanyahu, ha spostato l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme ovest e ha mediato gli accordi di Abramo, che hanno visto Israele normalizzare le relazioni con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco e il Sudan.

 

Alla domanda se potrebbe lavorare meglio con il principale rivale politico di Netanyahu, Benny Gantz, se dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali di novembre, Trump non ha dato una risposta diretta. Tuttavia, ha osservato che «Gantz è bravo» e che ci sono «alcune persone molto brave che ho conosciuto in Israele che potrebbero fare un buon lavoro».

 

Benjamin Netanyahu è stato sostenuto negli anni dalla famiglia del genero di Trump Jared Kushner, il cui padre – controverso immobiliarista ebreo ortodosso finito in galera per una squallida storia di ricatti perfino a famigliari – era uno dei primi finanziatori di Bibi, il quale, si dice, quando era a Nuova York dormisse nella camerette del Jared.

 

Il personaggio si è fatto notare di recente per aver detto che «è un peccato» che l’Europa non accolta più profughi palestinesi in fuga da Gaza, per poi fare dichiarazioni entusiastiche sul valore delle proprietà immobiliari future sul lungomare della Striscia.

 

Il Jared – che è sospettato da molti di essere una «talpa» contro Donald, perfino nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago –  e la moglie, l’adorata figlia di Trump Ivanka, sarebbero stati lasciati fuori dalla nuova campagna per esplicita richiesta dell’ex presidente.

 

Trump, in uno degli ultimissimi atti della sua presidenza, diede la grazia al traditore (e spia israeliana) Jonathan Pollard, analista dell’Intelligence USA artefice di una delle più grandi falla di segreti militari della storia degli apparati statunitensi.

 

Nei primi giorni del 2021, agli sgoccioli della presenza di Trump alla Casa Bianca, Pollard arrivò in Israele, dove lo attendevano ali di folla a festeggiarlo come un eroe (per aver tradito il loro principale alleato: incomprensibile fino al grottesco, a pensarci), tramite un jet privato messo a disposizione dal controverso magnate dei casino di Las Vegas – e finanziatore di quasi tutto il Partito Repubblicano USA come del Likud israeliano –  Sheldon Adelson, morto poche ore dopo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Trump il mese scorso ha dichiarato che il comportamento di Israele a Gaza ha causato un danno enorme alla percezione dello Stato ebraico nel mondo, mettendoli «nei guai» e incoraggiando l’antisemitismo.

 

Attacchi pubblici di Trump a Netanyahu si sono registrati già a fine 2021, mossa che gli valse uno screzio con i fondamentalisti protestanti americani, cioè i cristiano-sionisti che sostengono Israele per la profezia apocalittica secondo cui gli ebrei, ricostruendo il Terzo Tempio, genereranno il loro messia che sarà l’anticristo dei cristiani, accelerando la venuta di Cristo.

 

Tale teologia escatologica è in azione anche in questi giorni, come visibile nel caso della giovenca rossa, e di altri animali da sacrificio che hanno tentato di trafugare sul Monte del Tempio di Gerusalemme.

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Geopolitica

Israele colpisce ancora in Siria

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Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno colpito un edificio utilizzato dalle forze di sicurezza siriane fuori Damasco, ha riferito Reuters giovedì sera, citando una fonte della sicurezza allineata con il governo siriano.   L’agenzia di stampa statale siriana SANA ha citato una propria fonte di sicurezza che ha affermato che otto soldati sono stati uccisi. Ha segnalato “danni materiali” a terra, senza specificare l’obiettivo. Secondo SANA, i missili sono stati lanciati dalle alture di Golan occupate da Israele.   Le autorità israeliane non si sono ancora pronunciate sulla questione. Gerusalemme Ovest raramente ha riconosciuto gli attacchi al di fuori del suo territorio.    

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L’attacco segnalato ha avuto luogo nel contesto delle continue tensioni tra Israele e Iran, nonché della guerra di Israele con Hamas a Gaza, che entrerà nel suo settimo mese la prossima settimana. Israele ha accusato l’Iran di armare e guidare Hamas e le milizie filo-palestinesi con sede in Siria, Iraq e Libano. Teheran, tuttavia, sostiene che Hamas e i gruppi allineati agiscono in modo indipendente.   Il 1° aprile, Israele aveva bombardato un complesso diplomatico iraniano a Damasco, uccidendo diversi ufficiali militari, tra cui due generali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica.   Poco più di una settimana dopo, l’Iran ha risposto con una raffica di droni e missili lanciati contro Israele. Secondo l’IDF, la maggior parte dei proiettili sono stati intercettati e l’attacco non ha causato vittime.   Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi due anni oltre a Damasco (bombardata anche in raid diurni) gli aeroporti della capitale e di Aleppo sono ripetutamente colpiti. Nel 2022, la Russia, che ha truppe presenti sul territorio siriano, dopo l’ennesimo raid emise una rara, molto inusuale condanna pubblica degli attacchi israeliani all’aviosuperficie della capitale.   È emerso negli scorsi giorni che le forze armate israeliane utilizzerebbero l’Intelligenza Artificiale negli attacchi aerei.

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Immagine di Clemens Vasters via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.

 

La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.

 

Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.

 

La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.

 


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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.

 

Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.

 

La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.

 

Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.

 

Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.

 

Ieri il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.

 


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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.

 

La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.

 

Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.

 

Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».

 

«Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.

 

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Immagine screenshot da Twitter

 

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