Cina
Tracciatori segreti per le navi con carichi di microchip che potrebbero finire in Cina

Le autorità statunitensi stanno segretamente inserendo dispositivi di tracciamento nelle spedizioni di chip che ritengono ad alto rischio di essere inviate in Cina, violando le restrizioni all’esportazione imposte da Washington. Lo riporta l’agenzia Reuters.
Gli Stati Uniti hanno iniziato a limitare le vendite di chip all’avanguardia alla Cina nel 2022 a causa di presunte preoccupazioni per la sicurezza nazionale. Pechino ha definito la pratica un «blocco dannoso» e ha accusato Washington di «politicizzazione e strumentalizzazione di questioni tecnologiche e commerciali».
Gli Stati Uniti hanno iniziato a utilizzare i localizzatori per costruire cause legali contro individui e aziende che traggono profitto aggirando le restrizioni all’esportazione, ha riferito Reuters mercoledì, citando fonti anonime. Alcuni dispositivi di localizzazione potrebbero essere nascosti negli imballaggi delle spedizioni, mentre versioni più piccole potrebbero essere installate all’interno degli articoli stessi, come i server, ha scritto l’agenzia.
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Secondo quanto affermato da Reuters citando le sue fonti, in genere in tali operazioni è coinvolto l’Ufficio per l’industria e la sicurezza del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, a cui potrebbero partecipare anche l’FBI e la Homeland Security Investigations.
A seguito di un accordo commerciale con Pechino di lunedì, il presidente Donald Trump ha approvato le licenze di esportazione per Nvidia e AMD, consentendo alle aziende di riprendere le esportazioni di alcuni semiconduttori in Cina. Le vendite dell’unità di elaborazione grafica H20 di Nvidia e del chip MI308 di AMD sono state autorizzate a condizione che le aziende cedessero al governo degli Stati Uniti una quota del 15% dei relativi ricavi.
Tuttavia, Pechino ha esortato le aziende nazionali a evitare di utilizzare l’H2O per attività governative o di sicurezza nazionale sensibili, a causa di preoccupazioni relative alla fuga di informazioni, ha riferito Bloomberg martedì.
Lunedì la Cina e gli Stati Uniti hanno concordato di estendere la tregua tariffaria di altri 90 giorni, scongiurando il ritorno di dazi a tre cifre sulle merci di entrambe le nazioni.
All’inizio di quest’anno, la guerra commerciale tra le due potenze ha visto i dazi di Washington sulle importazioni cinesi raggiungere il 145%, mentre le imposte di ritorsione di Pechino hanno raggiunto il 125%.
Le tensioni si sono allentate a giugno dopo che a Londra è stato raggiunto un accordo commerciale in base al quale gli Stati Uniti si sono impegnati ad allentare i controlli sulle esportazioni di alcuni chip in cambio dell’allentamento da parte della Cina delle restrizioni sui minerali essenziali delle terre rare, essenziali per la produzione di microelettronica.
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Riguardo alla «guerra dei chip», con il contorno dei balletti sui dazi, entra in gioco anche la questione Taiwan.
Sinora, lo status quo nella questione tra Pechino e Taipei è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwano, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei. Aziende europee hanno dichiarato di poter spengere da remoto gli impianti di produzione a Taiwan in caso di invasione da parte dell’Esercito di Liberazione del Popolo.
La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese. La collaborazione tra Taiwan e UE riguardo ai microchip, nonostante la volontà espressa da Bruxelles, non è mai davvero decollata.
Come riportato da Renovatio 21, il colosso del microchip TSMC ha dichiarato due anni fa che la produzione dei microchip si arresterebbe in caso di invasione cinese di Formosa.
I microchip taiwanesi sono un argomento centrale nella tensione tra Washington e Pechino continuata da Trump a Biden, che qualcuno ha definito come una vera guerra economica mossa dall’amministrazione USA contro il Dragone.
Come riportato da Renovatio 21, durante il suo discorso per la celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese nel 2021 lo Xi, mostrandosi in un’inconfondibile camicia à la Mao, parlò della riunificazione con Taipei come fase di un «rinnovamento nazionale» e della prontezza della Cina a «schiacciare la testa» di chi proverà ad intimidirla. Lo Xi ha ribadito il concetto di riunificazione «inevitabile» ancora lo scorso dicembre.
La «guerra fredda» tecnologica tra Pechino e Washington riguarda sempre più apertamente l’Intelligenza Artificiale, considerata come strumento necessario al controllo della società globale futura.
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Cina
Pechino dichiara guerra al fumo

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Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Cina
Trump: gli USA imporranno dazi del 100% alla Cina

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