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Sul Dark Web vendono già le armi americane spedite in Ucraina

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Il ramo arabo della testata governativa russa Sputnik ha pubblicato un’inchiesta su ciò che accade alle armi fornite dalla NATO dopo il loro passaggio in Ucraina.

 

Alcune di esse finiscono sul mercato del bazar delle armi sul dark web. Iniziano a divenire realtà «Gli avvertimenti di Mosca ai Paesi occidentali sui pericoli del pompare in modo incontrollabile armi all’Ucraina (…) con alcune armi fornite dagli Stati Uniti che stanno già emergendo sui mercati della rete oscura e nei traffici di contrabbando internazionale».

 

Uno di questi negozi online, chiamato «Weapons Ukraine», ospitato sul markeplace del Dark Web chiamato THIEF, offre fucili M4S dell’esercito americano per  2.400 dollari a pezzo: il Pentagono li compra ad una cifra tra i 600 e i 1200 dollari.

 

«”Weapons Ukraine” è pronta a vendere diverse centinaia di questi fucili senza complicazioni burocratiche, come le licenze di esportazione, a chiunque si trovi nelle vicinanze» scrive l’articolo.

 

I giornalisti arabi di Sputnik, utilizzando una falsa identità Houthi, sono riusciti a ottenere un accordo per l’acquisto di 200 fucili e 400 granate, del valore di 400.000 dollari per la merce, da spedire nello Yemen nascosti in barili normalmente usati per spedire l’olio motore. Le comunicazioni sono avvenute con l’app chiamata Wickr.

 

Il trafficante si è detto pronto a fare omaggio di alcune munizioni extra per fucili e granate a frammentazione.

 

Il trasporto stesso avrebbe richiesto solo dieci giorni, ha assicurato il venditore. Una velocità di consegna impressionante.

 

I barili vengono spediti su navi raramente ispezionate che trasportano assistenza umanitaria. Tuttavia, il venditore ha rifiutato di vendere una quantità di 100 «barili» di armi per non destare ulteriori sospetti, preferendo inviarne solo una ventina.

 

La transazione per il pagamento si compone di diversi passaggi.

 

In primo luogo, i termini finali dell’accordo vengono discussi e consolidati in presenza di un intermediario fornito dal mercato. Quindi, l’acquirente deposita la somma in criptovaluta, in questo caso Monero, su un conto sulla piattaforma, mentre il venditore spedisce la merce.

 

Al ricevimento della spedizione, l’acquirente ne conferma l’integrità e la quantità e trasferisce la caparra all’intermediario. Quest’ultimo quindi invia il denaro al venditore, trattenendo il 2% per i propri servizi. L’accordo dei giornalisti arabi di Sputnik che si fingevano yementi Houthi avrebbe portato all’intermediario 8.000 dollari in cambio della garanzia che il venditore ricevesse i soldi e che l’acquirente non fosse derubato.

 

I dettagli completi della spedizione diventano disponibili solo una volta concordato l’accordo e il deposito viene trasferito all’intermediario. L’acquirente ottiene un numero di tracciamento che gli consente di sapere su quale nave sono caricate le sue armi, quando e da quale porto parte e quando arriva a destinazione.

 

«Prima di concludere l’affare, il venditore era pronto solo a fornire i dettagli generali della spedizione» scrive Sputnik. «”Weapons Ukraine”, invece, ha fatto capire che le armi saranno caricate su una nave dai loro “alleati in Polonia”. Il trafficante d’armi ha anche fornito una mappa scritta in russo con una stima disegnata a mano della rotta della nave».

 

«Secondo la mappa, il transito partirà da un porto del Portogallo, farà il giro del continente africano e arriverà in Yemen. Il proprietario del negozio non ha spiegato come arriveranno le armi dall’Ucraina alla Polonia e poi al Portogallo»,

 

La testata russa non offre altre dettagli, perché i giornalisti si sono ad un certo punto fermati, non portando a termine il grande ordine.

 

Tuttavia è facile immaginare che la filiera sia fittamente strutturata anche per quanto concerne il delivery.

 

«”Weapons Ukraine” ha 32 vendite riuscite di quantità non specificate di armi, è lecito ritenere che abbiano sviluppato un percorso di lavoro per le consegne. Sulla base del limite di 20 barili, il negozio online potrebbe aver venduto fino a 6.400 fucili e 12.800 granate in tutto il mondo».

 

Bisogna capire che questo business non è possibile senza l’immane fornitura che i venditori stanno ricevendo.

 

«Tutto ciò di cui hanno bisogno ora sono più armi da vendere, il che significa più consegne di armi dai paesi della NATO».

 

Come riportato da Renovatio 21, armi mandate in Ucraina sono riaffiorate a Idlib, in Siria, una zona dove ancora operano i terroristi islamisti che hanno insanguinato il Paese per anni.

 

La portavoce degli Esteri del Cremlino Maria Zakharova ha avvertito che le armi occidentali regalate agli ucraini finiranno nelle mani dei terroristi operanti in Europa.

 

L’Europol ha ammesso che le armi spedite a Kiev potrebbero essere usate da gruppi criminali per anni e anni a venire.

 

Un’altra ammissione è stata fatta da un funzionario dell’esercito USA, che ha dichiarato che le armi inviate in Ucraina finiscono al mercato nero.

 

La guerra in Ucraina ha alterato profondamente l’equilibrio degli armamenti in Europa e nel mondo.

 

La Repubblica Ceca ha esaurito le sue riserve di armi: le ha mandate tutte in Ucraina.

 

I repubblicani fedeli al presidente Trump stanno invece minacciando di chiudere la fornitura di armia a Kiev.

 

Renovatio 21 ha descritto invece lo scenario in cui i veterani ucraini, magari facenti parte dei crudeli battaglioni nazi-nichilisti, a guerra finita finiscano in Italia, armati fino ai denti, ad attaccare abitazioni private, come fu per i veterani delle guerre balcaniche negli anni Novanta.

 

A questo punto ci chiediamo: che vuole il sostegno armato dell’Occidente a Kiev c’è solo il parlamentare «democratico» occidentale, o anche il signore della guerra e colui che vuole più massacri in tutto il mondo per trarne profitto?

 

Quale differenza tra queste categorie, oramai?

 

 

 

 

 

 

 

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Cina

App per la fertilità condivide i dati sensibili delle utenti con aziende cinesi

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Una popolare app per il monitoraggio della fertilità chiamata «Premom» (di proprietà di Easy Healthcare) è sotto accusa per aver condiviso le informazioni sulla salute degli utenti con inserzionisti di terze parti, secondo una nuova denuncia della Federal Trade Commission, l’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti atta a promuovere la tutela dei consumatori e l’eliminazione e la prevenzione di pratiche commerciali anticoncorrenziali.

 

L’applicazione per smartphone, che agisce come tracker dell’ovulazione, calendario mestruale e strumento per la fertilità avrebbe condiviso i dati sensibili dell’utente con terze parti tramite kit di sviluppo software integrati nell’app. Lo riporta il sito di tecnologica Tech Crunch.

 

Nell’agosto 2020, l’International Digital Accountability Council ha scoperto che Premom condivideva i dati sulla posizione dell’utente e gli identificatori del dispositivo con due società cinesi senza il consenso dell’utente.

 

«In definitiva, ciò potrebbe consentire a queste terze parti di associare questi eventi app personalizzati di fertilità e gravidanza a un individuo specifico», afferma la denuncia FTC.

 

«Easy Healthcare avrebbe anche condiviso i dati sensibili identificabili degli utenti con due società di analisi mobile con sede in Cina note per “pratiche sospette sulla privacy“, secondo una dichiarazione del procuratore generale del Connecticut William Tong» scrive Tech Crunch. «I dati, inclusi i numeri IMEI – stringhe di numeri legati ai singoli dispositivi – e precisi dati di geolocalizzazione sono stati trasferiti alle società di analisi Jiguang e Umeng tra il 2018 e il 2020, secondo la FTC».

 

«La FTC sostiene che la società lo abbia fatto sapendo che Jiguang e Umeng potrebbero utilizzare questi dati per i propri scopi commerciali o potrebbero trasferire i dati a terze parti aggiuntive, e afferma che Easy Healthcare ha smesso di condividere questi dati solo quando Google ha notificato al produttore dell’app nel 2020 che il trasferimento di dati a Umeng ha violato le norme del Google Play Store» continua il sito della Silicon Valley.

 

Samuel Levine, direttore del Bureau of Consumer Protection della FTC, ha affermato che l’app per la salute «ha infranto le sue promesse e ha compromesso la privacy dei consumatori».

 

Il Dipartimento di Giustizia USA si è accordato con Easy Healthcare per 100.000 dollari per aver violato la regola di notifica delle violazioni sanitarie della FTC. E la società di app si è accordata anche con il Connecticut, l’Oregon e il Distretto di Columbia per 100.000 dollari.

 

Il problema vero, nella questione delle app che condividono i dati con Pechino, rimane TikTok, la app-social media molto popolare tra i giovani. E non solo per le autorità americane: la Commissione Europea ha ordinato ai propri dipendenti di disinstallare l’app dai telefonini aziendali, nonostante la società si sia offerta di combattere la «disinformazione» nella UE.

 

TikTok era già stata messa al bando in India tre anni fa in seguito alle tensioni himalayane tra Pechino e Nuova Dehli.

 

«Pechino accede a tutti i dati» ha dichiarato un ex ingegnere delle società che possiede TikTok.

 

TikTok in USA è stata altresì accusata di perseguire una sorta di piano di ingegneria sociale sulla gioventù americana, con video volgari ed inutili distribuiti in America e, al contrario, video patriottici che promuovono la responsabilità e l’impegno diffusi nella Repubblica Popolare Cinese.

 

Un gruppo bipartisan di legislatori americani guidati dal senatore della Florida Marco Rubio sta introducendo una legislazione per colpire l’app di condivisione video cinese, definita come «fentanil digitale» per la popolazione statunitense.

 

Tuttavia, il progetto di legge colpirebbe in generale ogni realtà di internet, portando un controllo ulteriore del governo americano sui contenuti in rete.

 

È emerso che anche nel ramo americano di TikTok sono attivi tanti ex dipendenti delle agenzie di Stato, e di Intelligence, USA.

 

 

 

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Internet

YouTube censura l’omelia di Pasqua di monsignor Viganò

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YouTube ha rimosso il video dell’omelia pasquale di monsignor Carlo Maria Viganò e sanzionato con uno «strike» (un «avvertimento») il canale di Renovatio 21 per averlo pubblicato.

 

Proprio nelle ore in cui si stava risolvendo il problema tecnico che ha tenuto spento il sito di Renovatio 21 tra domenica e lunedì, ci arrivava una comunicazione dalla grande piattaforma di video di proprietà di Alphabet-Google: «YouTube ha rimosso i tuoi contenuti» scrive l’oggetto della missiva elettronica.

 

«Il nostro team ha esaminato i tuoi contenuti e, purtroppo, riteniamo che violino le nostre norme sulla disinformazione medica. Abbiamo rimosso i seguenti contenuti da YouTube: Omelia di Monsignor Viganò per la Pasqua 2023»

 

Il motivo, ci viene detto, è una violazione della policy di YouTube. «YouTube non ammette affermazioni sulle vaccinazioni contro il COVID-19 che contraddicono il consenso degli esperti delle autorità sanitarie locali o dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)».

 

 

Dobbiamo far notare che nella sua omelia, monsignor Viganò accennava appena alle vaccinazioni, per dedicarsi alla questione spirituale della Santa Pasqua.

 

Per questa infrazione, viene quindi non solo censurata la predica pasquale del prelato già nunzio apostolico negli USA, ma anche sanzionato il canale YouTube.

 

«Il tuo canale ha ora 1 strike [avvertimento, ndr]. Non sarai in grado di eseguire operazioni come caricare, pubblicare o trasmettere in live streaming per 1 settimana. Un secondo strike ti impedirà di pubblicare contenuti per 2 settimane. Tre strike nello stesso periodo di 90 giorni comporteranno la rimozione definitiva del tuo canale da YouTube».

 

 

Colpisce, anche qui, la retroattività della sanzione: dal momento della pubblicazione, e cioè la scorsa Pasqua, è passato più di un mese. Del resto sappiamo che accade spesso: a Renovatio 21 è arrivato poche settimane fa un  piccolo ban temporaneo da Facebook per un post dove si descriveva semplicemente la crisi internazionale che si poteva ingenerare con la morte del generale Suleimani, assassinato da un’operazione americana il 3 gennaio 2020. Come si possa infliggere a qualcuno una pena per qualcosa di scritto tre anni prima (qualcosa che non solo era perfettamente rispondente alla libertà di espressione prevista in Costituzione, ma che era reso giornalisticamente in linguaggio neutro, di sola preoccupazione per le tensioni internazionali) resta un mistero.

 

Il lettore calcoli pure che la piattaforma di Mark Zuckerberg aveva nel settembre 2021 cancellato l’intera pagina Facebook di Renovatio 21 e tutti gli account personali collegati, e pure altre pagine legate ai profili estromessi per sempre: pagine e account sono tornate solo dopo l’ordinanza del tribunale, ma ci pare proprio vi sia uno shadowban piuttosto consistente: i nostri post su Facebook, piattaforma che in pratica non usiamo più, raccolgono magari due-tre like (letteralmente due o tre), invece delle centinaia e migliaia di un tempo.

 

Ciò detto, è davvero rilevante che ora anche le omelie pasquali possano essere censurate. Non è più solo una questione di libertà di espressione  – art. 21 della Costituzione: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria».

 

Né ci pare solo una questione di diritto commerciale – secondo alcuni esperti di giurisprudenza non è possibile cambiare i termini di un contratto senza l’assenso di ambo le parti.

 

Si potrebbe pensare che possa trattarsi di una questione di libertà religiosa, un diritto che in Italia ha pure copertura costituzionale.

 

Art. 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto».

 

Perché, di fatto, quella di Viganò era un’omelia religiosa, spirituale. E qui si consuma il tema su cui Renovatio 21 si è spesa da anni (molto prima della pandemia), praticamente dall’atto stesso della sua creazione: la vaccinazione come questione religiosa.

 

Renovatio 21 ha tentato, sin dal 2017, di organizzare i materiali per far entrare la questione vaccinale nell’ambito della sfera religiosa, per cui è prevista in Italia l’obiezione di coscienza. Il fatto che la produzione dei vaccini si serva di linee cellulari da feti abortiti aiuta a comprendere che, di fatto, per un cristiano e non solo, la vaccinazione può essere intesa come qualcosa che ferisce l’intimità spirituale del cittadino.

 

Venne approntata, a questo fine, il più grande convegno internazionale mai realizzato sulle linee cellulari di feto abortito, al quale parteciparono ricercatori e attivisti americani e italiani nonché il cardinale Raymond Leo Burke. L’idea era quella di spingere il mondo cattolico verso la validità di un’obiezione di coscienza verso le vaccinazioni obbligatorie.

 

Come noto, il Vaticano nel 2017 e più tardi, in pandemia, avrebbe emesso noto in cui assicurava la liceità morale della vaccinazione con sieri derivati da cellule di aborto, di fatto promuovendo globalmente l’obbligo vaccinale – che peraltro, come documentato da Renovatio 21, fu imposto draconianamente alla popolazione della Santa Sede.

 

Ci è chiaro che se fossimo riusciti nel nostro intento, milioni di persone avrebbero potuto evitare la vaccinazione sventolando all’autorità la bontà della propria obiezione legale, visto che il vaccino alla fine riguardava anche aspetti di carattere religioso. Dall’altra parte, tuttavia, c’era il papa del Battesimo di Satana, che non avevamo ancora visto scatenarsi con il COVID.

 

Ecco perché anche questa nuova censura di YouTube non ci sorprende: vaccino e religione, siringa e spirito, sono stati tenuti separati dal discorso pubblico, con ettolitri di inchiostro della stampa versato con benedizione vaticana.

 

Dunque, si può censurare anche un’omelia di un successore degli Apostoli?

 

Chi scrive, ricorda, anni fa, di aver conferito telefonicamente con Claudio Messora, il titolare del sito video Byoblu, al momento della sua estromissione da YouTube. Giorgia Meloni, allora allora all’opposizione, lo aveva difeso in Parlamento contro il colosso dei video condivisi. Era un buon punto da cui iniziare, dicevo – bisognava creare una consapevolezza politica, con vera proiezione parlamentare, del tema della censura sui social.

 

È chiaro che non avrei il medesimo suggerimento oggi: non crediamo vi sia nessuno, nemmeno tra i politici sedicenti «cattolici», che abbia il coraggio (più che la voglia) protestare lo scandalo di un’autorità religiosa censurata, per soprammercato, da gruppi stranieri. Nessuno ha mosso un dito per le migliaia e migliaia di persone cancellate dai social per le loro opinioni durante la stretta pandemica, figurarsi se adesso, in questo Parlamento dimezzato e post-cristiano, qualcuno si muove per il diritto di un vescovo di fare un’omelia. Costituzione, decoro, pudore: abbiamo capito, infine, quanto valgano davvero.

 

E per quanto riguarda i «cattolici», specie quelli tiepidi che fingono di essere caldi per intortare il dissenso e carpirne le donazioni (più, magari, qualche mancia dall’8 per mille), ci torna in mente la prospettiva che sembrava stagliarsi all’orizzonte qualche anno fa con la storia della legge anti-omofobia.

 

I cattolici-attivisti, quelli controllati dall’episcopato traditore (lo stesso che ci ha venduto alla siringa del Male), all’epoca cercavano neanche tanto nascostamente, un compromesso – del resto, sono democristiani, e i compromessi suicidi sono l’unica cosa che sanno fare. C’era chi già diceva, all’epoca, che sì, la legge anti-omofobia si poteva in fondo fare, purché si facesse passare un emendamento-San Paolo, con cui cioè si potessero leggere nelle chiese quei passaggi della Bibbia che sarebbero stati illegalizzati.

 

I democristiani catto-familisti e catto-abortisti, che ancora continuano a far perdere tempo alla gente, volevano portarci al compromesso osceno di poter parlare di Cristo, cioè della Verità, solo nella riserva indiana degli edifici religiosi.

 

Come tutti i tiepidi, dice l’Apocalisse (3, 14-20), essi saranno vomitati: di fatto, i loro sciocchi paletti liberticidi sono già superati dalla realtà, dove si punta oramai a eliminare ogni discorso non allineato, religioso o no che sia. È disintegrata ogni pensiero, più la sua possibilità di locuzione, per una parola ritenuta sbagliata.

 

Questo è il mondo cui siamo capitati: la censura impera, il vero discorso religioso è perseguitato, come lo è la Verità – cioè, come lo è stato Dio.

 

Che possiamo dire: ricaricheremo l’omelia di Monsignor Viganò su Rumble, senza tuttavia avere aspettative di essere al sicuro.

 

Tuttavia, di una cosa siamo certi: questo momento osceno prima o poi, in un modo o nell’altro, dovrà finire.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

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Internet

Apple indagata per l’obsolescenza programmata

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La Procura di Parigi ha aperto un’inchiesta sui presunti tentativi di Apple di rendere obsoleti i propri dispositivi per costringere gli utenti all’aggiornamento. La denuncia segue sentenze di successo contro il colosso tecnologico della California in Francia e in Italia.

 

«A seguito di un reclamo, nel dicembre 2022 è stata aperta un’indagine sulle pratiche di marketing ingannevoli e sull’obsolescenza programmata», ha affermato lunedì l’ufficio in una dichiarazione, aggiungendo che la denuncia è stata presentata da un gruppo di attivisti chiamato «Halte a L’Obsolescence Programmee» (HOP).

 

La denuncia del gruppo è incentrata sulla pratica della «serializzazione», in base alla quale pezzi di ricambio come microchip o altoparlanti vengono abbinati con numeri di serie a una specifica generazione di iPhone. Ciò impedisce ai riparatori di terze parti di utilizzare parti generiche e, poiché i modelli vengono gradualmente eliminati da Apple, lo sono anche i ricambi associati, costringendo i clienti a sborsare per un modello più recente.

 

Apple, afferma HOP, è in grado di rilevare quando un telefono è stato riparato con parti non autorizzate e può «degradare» da remoto le sue prestazioni.

 

Un precedente reclamo di HOP ha portato Apple a essere multata di 27 milioni di dollari da un ente di protezione dei consumatori francese nel 2020 per aver rallentato le prestazioni dei vecchi iPhone tramite aggiornamenti obbligatori del sistema operativo.

 

Una decisione simile era stata presa in Italia un anno prima, con l’autorità antitrust del paese che aveva imposto una multa di 10,8 milioni di dollari alla società californiana.

 

Un tentativo simile di citare in giudizio Apple per obsolescenza programmata è stato sconfitto in Corea del Sud a febbraio, con un tribunale di Seoul che ha archiviato la causa senza spiegazioni e costringendo i querelanti a pagare le spese legali di Apple.

 

Come riportato da Renovatio 21, Apple due settimane fa ha costretto milioni di utenti ad un «aggiornamento rapido» di sicurezza, le cui cause non sono state ben spiegate.

 

Apple è stata accusata di aver ristretto il sistema di comunicazione tra telefoni durante le proteste antilockdown che hanno investito massivamente la Cina sei mesi fa. Mesi prima, la fabbrica di Apple a Shanghai aveva subito una rivolta.

 

Si tratta della società più capitalizzata della storia, la prima a raggiungere l’anno scorso un valore di mercato di 3 trilioni di dollari, superiore persino alla società petrolifera saudita ARAMCO.

 

L’azienda di Cupertino si è distinta per particolari prese di posizioni, come l’implementazione di emoji della donna barbuta e dell’uomo incinto.

 

Durante la pandemia Apple si era distinta, con Google, per l’integrazione di tecnologie di tracciamento COVID direttamente nei telefoni degli utenti.

 

Aveva suscitato polemiche l’annuncio di Apple di una scansione delle foto private degli utenti alla ricerca di materiale definito «pedofilo». L’azienda parrebbe avervi infine rinunciato, tuttavia altre società che gestiscono i dati di miliardi di persone lo stanno già facendo, con errori agghiaccianti che travolgono le vite di genitori e pediatri.

 

Rilevante la decisione di Apple di rimuovere la app di appuntamenti tra persone non vaccinate, il cosiddetto «Tinder no-vax».

 

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