Geopolitica
Stati Uniti e Francia minacciano i militari golpisti del Niger

Gli Stati Uniti e la Francia, attraverso le loro dichiarazioni e attraverso la pressione e l’influenza sui gruppi regionali, stanno minacciando i leader militari che hanno preso il potere con il golpe in Niger il 26 luglio.
Il segretario di Stato americano Tony Blinken ha minacciato di interrompere l’assistenza «sostanziale» di Washington.
l 30 luglio il presidente francese Emmanuel Macron, l’ex potenza colonialista sul Niger, ha fatto minacce simili, in cui ha promesso un’azione «immediata» se cittadini o interessi francesi fossero stati attaccati in Niger, dopo che migliaia di nigerini si erano radunati davanti all’ambasciata francese.
La sua dichiarazione ha suscitato una risposta pubblica da parte dei leader militari del Niger, che hanno rilasciato una dichiarazione in cui accusano i francesi di aver tentato di organizzare un intervento militare.
Il Niger è stato il fulcro della cosiddetta «guerra contro il terrore» francese nella regione del Sahel, che non ha avuto molto successo dopo quasi due decenni – la cosiddetta operazione Barkhane.
La Francia ha circa 1.500 soldati nel paese che è uno dei suoi ultimi alleati nella regione del Sahel, dopo che le forze francesi hanno dovuto ritirarsi dal vicino Mali, che ha cacciato anche le ONG francesi e accusato Parigi perfino di addestrare i terroristi che dichiara di voler combattere.
Non va dimenticato che il Niger è l’hub per lo U.S. Africa Command (AFRICOM), dove i generali statunitensi vanno e vengono e dove sono basati due aerei cargo C-130.
L’Unione Africana ha minacciato producendo un ultimatum di 15 giorni per il ripristino dell’ordine costituzionale. I Paesi membri della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) hanno deciso di chiudere i confini per i partecipanti al colpo di Stato in Niger, ha riferito il canale televisivo quatariota Al-Jazeera il 30 luglio, citando la dichiarazione del vertice ECOWAS del 30 luglio.
L’ECOWAS ha anche deciso di congelare i beni appartenenti ai militari del Niger coinvolti nel colpo di Stato, chiedendo il rilascio del presidente del Niger Mohamed Bazoum e il ripristino dell’ordine costituzionale, entro sette giorni, altrimenti ci sarebbero molte misure punitive, tra cui la sospensione delle operazioni commerciali e l’assistenza finanziaria.
Se l’adesione del Niger all’ECOWAS viene sospesa, sarà la quarta sospensione di questo tipo, le altre sono Burkina Faso, Guinea e Mali, dove ci sono stati recenti colpi di Stato militari.
Al contrario delle minacce di Nazioni e organizzazioni dell’establishment del Continento Nero, la Russia – oramai potenza di influenza non più negabile nell’area –ha chiesto il dialogo e una soluzione pacifica della situazione.
La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato il 27 luglio: «Chiediamo alle parti in conflitto di astenersi dall’uso della forza e di risolvere tutte le controversie attraverso un dialogo pacifico e costruttivo»
La Zakharova ha dichiarato inoltre che la Russia esprime la speranza che «questa crisi politica interna venga presto risolta nell’interesse della pace civile per il bene del fraterno popolo nigeriano. Ci aspettiamo che i militari rilascino il presidente Mohamed Bazoum il prima possibile».
Il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov ha dichiarato alla TASS il 28 luglio che la Russia non è stata coinvolta, ma in alcuni paesi africani «molti sono insoddisfatti tra i militari, tra i civili, nella società in generale» e quindi tali manifestazioni si verificano «al di fuori l’ambiente costituzionale in termini di cambiamento di potere».
Vi sono inoltre altri sforzi a guida africana per risolvere la situazione. Il 31 luglio il presidente ad interim del Ciad Mahamat Idriss Deby ha dichiarato di aver incontrato il capo militare del Niger, Abdourahmane Tchiani, e il presidente nigerino Mohamed Bazoum per discutere una soluzione pacifica alla crisi politica.
«A Niamey [la capitale del Niger, ndr], ho avuto ampie discussioni con i leader del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria, tra cui il generale Abdourahmane Tchiani, il presidente Mohamed Bazoum e l’ex presidente Mahamadou Issoufou, in uno spirito fraterno al fine di esplorare tutti i modi possibili per trovare una soluzione pacifica alla crisi che sta scuotendo questo Paese vicino», ha twittato Deby.
Ciò segue la sua visita del 30 luglio ad Abuja, in Nigeria, su invito del presidente nigeriano e capo ad interim dell’ECOWAS Bola Tinubu.
Il Ciad, un paese confinante con il Niger, non è membro dell’ECOWAS. Non è chiaro dove il presidente del Ciad agisca di propria iniziativa o in collaborazione con l’ECOWAS. Resta da vedere se le sue azioni si basino sul principio delle «soluzioni africane ai problemi africani».
Come riportato da Renovatio 21, ieri con un comunicato stampa congiunto Burkina Faso e Mali hanno espresso la loro solidarietà al Niger, avvertendo che qualsiasi intervento militare contro il Paese equivarrebbe a una dichiarazione di guerra contro i due Paesi.
Iil 30 luglio il Niger ha sospeso le esportazioni di uranio e oro. La Francia importa dal Niger finanche il 30% dell’uranio necessario a far funzionare il suo programma nucleare. Curiosamente, quattro settimane prima del colpo di Stato Cina e Niger avevano firmato un accordo proprio sull’Uranio.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr.
Geopolitica
Il presidente Petro: la Colombia deve interrompere i legami con la NATO

La Colombia deve tagliare i legami con la NATO poiché i leader del blocco militare sostengono il “genocidio” dei palestinesi, ha dichiarato il presidente Gustavo Petro.
La Colombia, tradizionale alleato degli Stati Uniti in Sud America, è diventata il primo Paese della regione a ottenere lo status di partner globale della NATO nel 2017.
Petro, entrato in carica nel 2022 come primo presidente di sinistra della Colombia, ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele lo scorso anno a causa di quello che descrive come un genocidio perpetrato dal governo israeliano contro i palestinesi.
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«Cosa facciamo nella NATO? Se i vertici della NATO sono a favore del genocidio, cosa ci facciamo lì?», ha detto Petro mercoledì a una conferenza internazionale pro-palestinese a Bogotà.
«Non è forse giunto il momento di un’altra alleanza militare? Perché come possiamo stare con eserciti che sganciano bombe sui bambini?», ha aggiunto. «Quegli eserciti non sono eserciti della libertà, sono eserciti delle tenebre. Dobbiamo avere eserciti della luce».
Petro ha sostenuto che la NATO è una reliquia della Guerra Fredda e ha affermato che nazioni come la Colombia sono trattate come «mezzi membri» all’interno del blocco militare guidato dagli Stati Uniti, a cui vengono concesse partnership simboliche ma non la piena adesione.
La conferenza di due giorni a Bogotà ha ospitato rappresentanti di una dozzina di paesi del Sud del mondo. I partecipanti hanno firmato una dichiarazione congiunta che chiede sanzioni economiche e azioni legali contro Israele, tra cui un embargo sulle armi, restrizioni sui beni a duplice uso, divieti di accesso ai porti per le navi che trasportano merci per le forze armate israeliane e sostegno alla responsabilità internazionale per i crimini presumibilmente commessi nei territori occupati.
Le critiche di Petro riflettono una rottura nei rapporti storicamente cordiali della Colombia con Israele. Il defunto presidente venezuelano Hugo Chavez una volta soprannominò la Colombia «l’Israele dell’America Latina», sostenendo che svolgesse un ruolo geopolitico simile nella regione.
Come riportato da Renovatio 21, ora la Colombia ha rotto i rapporti con Israele, verso cui ha proibito la vendita di carbone. Petro ha chiesto a gran voce il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale dell’Aia per Netanyahu.
Javier Milei, presidente dell’Argentina, che ha di fatto preso il ruolo di principale partner di Israele nella regione (al punto di essere in procinto di «convertirsi» all’ebraisimo) ha chiamato Petro «assassino terrorista».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Orban: il piano di bilancio di Bruxelles potrebbe distruggere l’UE

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Geopolitica
Bombe su un monastero buddista in Birmania, decine di morti, tra cui bambini

Un raid aereo ha colpito un monastero buddista nel villaggio di Lin Ta Lu, nel cuore della Birmania, causando la morte di ventidue civili, tra cui tre bambini. L’assalto, avvenuto intorno all’una di notte di venerdì, ha preso di mira la sala del monastero dove si erano rifugiati numerosi sfollati in cerca di sicurezza.
Due persone sono rimaste gravemente ferite e sono ora in condizioni critiche in ospedale. Un combattente anti-giunta ha sottolineato l’amara ironia dell’attacco, evidenziando come gli sfollati credevano che il monastero fosse un luogo sicuro, ma siano stati comunque colpiti.
Un abitante del villaggio ha descritto la devastazione, raccontando che la sala del monastero è stata completamente rasa al suolo. All’alba, i corpi delle vittime sono stati trasportati al cimitero su un veicolo. Lo stesso residente, recatosi sul posto per documentare l’accaduto e aiutare a identificare le vittime, ha contato ventidue corpi, molti dei quali presentavano gravi ferite alla testa o erano mutilati, uno spettacolo che ha definito straziante.
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La Birmania è devastata da un conflitto civile scoppiato dopo il colpo di stato militare del 2021, che ha destituito il governo democratico. La regione di Sagaing, dove si trova Lin Ta Lu, è stata teatro di numerosi attacchi aerei da parte della giunta militare contro i ribelli, nonostante una tregua annunciata a marzo in seguito a un devastante terremoto di magnitudo 7,7, che aveva causato circa 3.800 vittime.
Nel caos delle fazioni in lotta, si delineano diversi scontri di natura etno-confessionale, come gli attacchi ai Rohingya musulmani da parte dei buddisti dell’Arakan Army.
Come riportato da Renovatio 21, nel Paese si susseguono anche bombardamenti di chiese cattoliche, colpite pure con droni, mentre villaggi vengono attaccati e saccheggiati dai soldati.
A febbraio fa è stato colpito a morte nel Sagaing padre Donald Martin Ye Naing Win, sacerdote cattolico di 44 anni, assassinato da una banda armata in un villaggio. «Mi inginocchio solo davanti a Dio»: l’ultima ha detto il prete prima di morire.
Nella primavera 2024 era stato ucciso da due sconosciuti padre Paul Khwi Shane Aung, 40 anni, assassinato durante la Santa Messa.
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Immagine da Twitter
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