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Quelli che su Telegram «Netanyahu è morto» e contorno di bufale. Ebbasta!

Ci sono arrivate negli ultimi giorni diverse segnalazioni riguardo ad un’incredibile notizia circolata sui social, secondo cui il premier israeliano Beniamino Netanyahu sarebbe deceduto.
La «notizia», inviataci dai lettori telegrammari, era anche dettagliosa: l’eterno primo ministro dello Stato Ebraico sarebbe stato colpito mentre era nel suo aereo da un missile Houthi. Ohibò.
Non è che ci serve molto per capire che si tratta di una bufala clamorosa, talmente inverosimile da essere fastidiosa: bastava guardare cosa stava facendo l’uomo in quel momento (con X, si può averne una certa buona approssimazione), o interrogarsi sull’improvvisa iperprecisione dei proiettili yemeniti, che oltre ad essere ipersonici (dicono loro…) ora centrano millimetricamente anche l’aereo del vertice dei vertici dello Stato Ebraico e di tutto il casino mediorientale.
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Niente da fare: abboccano a migliaia. Ecco quello che commenta con livore, ecco quello che spamma ovunque: del resto le notizie per alcuni sono una sorta di moneta sociale, diffonderle è parte di un rapporto di scambio in cui ci si sente «ricchi», ed è per questo che tanti sono in cerca di notizie sempre più sconvolgenti, oltraggiose – ed è per questo che in tanti vogliono offrirvele, spesse volte inventandosele.
È la logica della dopanina, lo sappiamo da anni. I social e il loro doom scrolling (chiamano così l’atto di aggiornare continuamente alla cerca di informazioni sempre più pazzesche) sono una droga.
Non si tratta, tuttavia, del solo danno neurotrasmettitorio. Non è solo l’alterazione biochimica del cervello dei dipendenti da Facebook e Telegram (e X…) ad essere il problema qui: c’è una ramificazione da considerare ancora più devastante.
Ci è stato chiesto, per esempio, di correggere gli articoli che abbiamo pubblicano su Netanyahu, che è talmente presente nelle nostre cronache che, come avrete notato, abbiamo optato perfino per italianizzarne il nome, Beniamino (sapete che abbiamo anche Demetrio Peskov e Medvedev, talvolta Vladimiro Putin, Donaldo Trump, Wuhano etc.) – e non ci rompete, perché su Renovatio 21 stiamo riformando la lingua italiana, re-italianizzandola, come nessun altro, e poi quello si fa chiamare come vuole, come quando da giovane, con i capelli castani e gli occhi spiritati, si presentava come «Ben Nitay».
I lettori ci dicono: correggete gli articoli sul Netanyahu, perché abbiamo certezza che sia morto. Voi capite: Renovatio 21 magari ha appena pubblicato il video in cui il premier israeliano parla per due minuti, con il suo accento della Pennsylvania, al «nobile popolo persiano», in pratica facendo capire di voler rovesciare gli ayatollah stuzzicando l’opposizione interna iraniana. Un documento di un certo significato storico, e strategico in questo momento.
Ma ecco che i telegrammati ti dicono: quel video è falso, è un deep fake, anzi è stato registrato prima. Netanyahu è morto, questa è la verità. Cambiate gli articoli. E se non compare nulla sulla stampa mainstream – neanche quella non filoisraeliana, che esiste in vari Paesi del mondo – è perché lo mondo intero è governato dagli arconti sionisti, che controllano ogni singolo rivolo giornalistico del pianeta, oltre che la struttura realtà stessa, a parte i missili Houthi.
Capite che davanti a plurimi casi, si perde anche la pazienza, ti si tappa la vena, ti scende la catena, ti insusti, per usare una parola veneta intraducibile che definisce il fastidio divenuto intollerabile. Facciamo tanto lavoro – gratis, per i tantissimi che mai hanno fatto nemmeno una microdonazione per mandare avanti Renovatio 21 – lo facciamo di notte, la mattina prestissimo, di giorno, di sera, a tutte le ore, e questo è quello che raccogliamo?
Si tratta, di certo, del danno più grande: la fake news impazzita, installatasi marmoreamente nella mente dell’utente, lo spinge verso la dissonanza cognitiva rispetto a questo sito, che non ripete, non conferma, nemmeno considera la cazzata in questione. Quindi, quello che succede è che il guasto alla credibilità non lo subisce Telegram e il canale che distribuisce le bufale (di cui talvolta neanche ci si ricorda il nome, e che sempre è gestito da sconosciuti con nessuna credenziale per essere creduti), lo subisce Renovatio 21.
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È insustamento vero, totale, inenarrabile, insuperabile, inconsolabile. Sei stato schedato, da anni, come diffusore di fake news per aver parlato del piano globale dei vaccini quando ancora la popolazione mondiale non era sierata mRNA, sei stato disintegrato (con tutto il tuo profilo, foto e contatti di 14 anni di uso) da Facebook, che hai dovuto portare in tribunale.
Per portare informazioni pulite, ragionate, reali – in una parola, «vere» – hai subito l’impossibile, hai pagato un costo alto, talvolta orrendo. E mo’, ti tocca di combattere con il domofugismo (il fenomeno che produce i domofugi, cioè gli scappati di casa) dei telegrammisti anonimi. I giapponesi dicono shikata ga nai. Non c’è niente da fare.
La questione non si ferma all’insustazione professionale (tesserino Ordine Giornalisti dal 2005…) ed esistenziale dello scrivente. Il veleno continua nel sistema circolatorio generale: notate, i telegrammatici sparano la fake news e poi, quando diventa impossibile mantenerla in piedi, non si degnano di smentire, di rettificare, di correggere l’errore.
Nel senso: non ci pensano neanche lontanamente, cioè, nemmeno considerano la cosa. Non hanno motivi per farlo, né lo considerano utile: perché in realtà non rispettano i loro utenti, perché di fatto non vivono nella realtà, ma in un antro solipsista dove pisciano a ciclo continuo parole che copincollano da qualche parte per servirla, come fossero preziosi messaggeri, al loro povero pubblico, che pensa di informarsi e invece è solo inondato di orina informazionale.
Siete bombardati, via smartphone, da coboldi incontinenti senza volto: questa è la pura verità sulla vostra situazione.
Tempo fa ci arrivarono i messaggi di amici che ci inoltravano la notizia secondo cui re Carlo d’Inghilterra era morto. Una notizia del genere, uno pensa, difficilmente si tiene nascosta, perché bisogna comprendere quale sia l’attitudine di giornali e pubblico britannico verso la Famiglia Reale: guardate cosa è successo con la principessa Caterina photoshoppata, le anomalie saltano fuori velocemente, anche senza magari che si spiega tutto.
Passavano le ore, da nessuna parte, nemmeno sui siti più impenitenti di scoop, vi era cenno. I domofugi telegrammatici rincaravano la dose: è certo che è morto re Carlo, la BBC ha cambiato logo, ora è nero. Qualcuno mi disse persino che la diplomazia stava già lavorando informando le segreterie degli Stati. Eccerto.
Secondo voi era vero? Rispondetevi da soli: gli stessi canali erano gli stessi che poco dopo chiedevano la vostra dopamina scandalizzandovi con il ritratto sanguinolento del re svelato alla stampa.
Nel frattempo, vi hanno detto che non era vero che era morto? Vi hanno chiesto scusa? Maddeché.
Ieri l’altro abbiamo notato che era partita un a tipologia ancora più insidiosa di bufala telegramma: quella che cita il precedente e mostra pure un video che non c’entra nulla, ma – in quanto filmato reale – assegna una qualche credibilità. Vari hanno sputazzato la notizia che Israele avrebbe bombardato una struttura del gas di Beirut di proprietà di un colosso energetico francese, di cui fanno nome e cognome, non si sa con quale esattezza.
C’è una certa furbizia di fondo: Macron qualche giorno fa ha alzato la voce con Israele, parlando di embargo sul fornimento di armi, del resto sappiamo quale sia l’attenzione che Parigi ha verso la sua ex colonia, specie ora che tante ex colonie si sono rivoltate contro la Francia. Macron, contando sulla francofonia ancora diffusa, la settimana scorsa aveva fatto pure un video discorso di incoraggiamento ai libanesi. Poi era saltata fuori la reazione di Netanyahu, che aveva attaccato duramente la posizione dell’Eliseo sulle forniture di armi: una «vergogna», secondo il Beniamino.
Ecco che qui si innesta la fake news propalata da telegrammatici e twittaroli: Israele attacca una struttura del gas francese come ritorsione!
Di più: ci piazzano l’immagine della grande esplosione di due notti fa a Beirut, e ti dicono che quello è l’edificio della multinazionale degli idrocarburi francese che va in mille pezzi sotto i missili dello Stato Ebraico.
Anche qui, ne hanno certezza. I canaletti bufalatori citano «fonti», mettendo così la parola, a caso, in modo da gabbare almeno qualcuno. Il pensiero di infinocchiamento della massa vaccina (cioè, bovina) lo fanno anche quelli che il vaccino ripetevano sui social 20 volte al giorno di non averlo fatto, magari perché dentro c’erano le nanomacchine autoassemblanti.
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Ma ci rendiamo conto della portata di una notizia del genere? Israele attacca direttamente gli interessi di uno Stato europeo? Ci rendiamo conto che se fosse vero, quali conseguenze ci sarebbero? Ci rendiamo conto che una notizia del genere sarebbe impossibile da tener nascosta? Ci rendiamo conto che vi sarebbero delle ripercussioni inevitabili, anche per la UE, e finanche – pur senza far scattare l’articolo 5 – per la NATO?
Ci rendiamo conto dell’enormità di questa cazzata? Ci rendiamo conto della nequizia necessaria a confezionare questa fake news sfruttando un video che sta circolando per descrivere tutt’altra notizia?
Con evidenza, no. E sappiamo come andrà a finire: nessuno rettificherà, nessuno smentirà, perché per loro il ciclo delle notizie è fisiologia escrementizia, una volta prodotta la cosa questi se ne disinteressano, tirano lo sciacquone verso i loro utenti, che evidentemente considerano come creature della fogna che sta sotto di essi.
La notizia rimarrà in circolo, resterà in testa a moltissimi, esattamente come quella del Netanyahu morto. Qui arriva la realizzazione ulteriore che ne consegue: a causa degli scappati di casa dei social, si crea come un universo parallelo, che persiste nel tempo a fianco della realtà, con sempre minori punti di contatto tra i due mondi. È il multiverso degli ebeti dopaminici, la quinta dimensione dei perdigiorno telegram-canalizzati.
E quindi, chiediamoci: cosa è possibile fare con questi? Si possono far ragionare? Si possono portare a combinare qualcosa di concreto, per cambiare le cose? No, difficile. Dormono, pure in una dimensione che non è quella dove viviamo noi. Sognano, o meglio, hanno incubi, e a loro piace pure così. Oltre ai confini della realtà.
Uno può pensare che anche questo sia parte della grande opera di demoralizzazione, di sconvolgimento – nel senso, della fine del coinvolgimento – ordita dal Signore del Mondo con i padroni del vapore etc. Ognuno chiuso nel suo loculo di fake news allettanti, appagati del fatto che se vai al bar – ammesso che ti lascino andare… – può stupirei tuoi amici sapendola più lunga: Israele attacca la Francia, Netanyahu è morto, re Carlo è morto, Biden è morto…. (e neanche io mi sento tanto bene, direbbe quel tizio discutibile che ha sposato sua figlia e frequentato Epstein).
State certi che non avevamo voglia di scrivere questo articolo, perché fare i fact-checker è qualcosa che non può non farci venire il vomito – anzi usiamo anche qui un’altra parola gergale veneta: pensare al fact-checking ci fa bettonare. (Credo che la parola si sia innestata perché a qualcuno, ad un certo punto, l’atto di rimettere deve aver ricordato l’attività di una betoniera, ma non voglio far partire qui una fake news glottologica…)
E poi: davvero ci tocca di difendere quei soggetti? Soggetti sui quali, negli anni, abbiamo bettonato l’impossibile?
Siamo certi che vi sarà qualcuno che alla fine di questo articolo, magari soprattutto senza leggero, ci darà dei collusi: quisling di Netanyahu, Israele, della famiglia Windsor Sassonia Coburgo-Gotha, della NATO, degli UFO, di chi volete – è la reazione psicologica che capita ai sonnambuli, non puoi svegliarli di colpo, ché diventano aggressivi.
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Non è che a noi ci importa qualcosa: questo sito è fatto per chi vuole un luogo di informazione, di riflessione, di meditazione vera. Un sito fatto di realtà, più che di dopamina.
Sapete chi dirige questo sito, e cosa questo sito fa. Sapete che non si inventa le cose, perché vi rispetta troppo – è per questo che qui gli articoli hanno sempre riferimenti chiari, quando non hanno video e foto, che a differenza di altri mettiamo sempre quando è possibile farlo.
Sapete che Renovatio 21, non ha intenzione di sparire: nonostante la guerra subita dai giganti della tecnologia, la mancanza di fondi, gli attacchi hacker, l’odio di tantissimi, le minacce varie, anche concrete, subite in questi anni.
Invece che scrollare drogasticamente Telegram, venite su renovatio21.com. Credeteci, è meglio per tutti.
E magari, per continuare a far vivere questo angolo di realtà vera e necessaria, fate una piccola donazione. Essendo praticamente astemi, assicuriamo ci sarà impossibile spenderli in alcolici per dimenticare questo disastro. Nessuno si può ubriacare qui – a farci bettonare ci pensa già lo stato delle cose.
In questa mia amarezza limitata chirurgicamente – sapete che mi hanno asportato un organo preposto alla bile poche settimane fa… – ringrazio di cuore (quello me lo hanno lasciato al momento) i nostri fedeli lettori.
A cui vorremo sempre bene, anche quelli che qualche volta dobbiamo salvare mentre affogano tra le pozzanghere dei canali telegrammari.
Roberto Dal Bosco
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La Francia apre un procedimento penale contro X di Musk. Durov: da Parigi una «crociata» contro la libertà di parola e il progresso tecnologico

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Google chiude il sito Messa in Latino. Contro il totalitarismo web, sarebbe ora di finirla con i blog

Il sito Messa in Latino è stato rimosso dalla piattaforma che lo ospitava, Blogger, che è di proprietà di Google.
Il sito, noto come MiL, era nato nel 2007 all’altezza del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, il motu proprio secondo cui, in teoria, veniva «liberata» la messa tradizionale nel mondo. Il blog era molto trafficato (si parla di un milione di visite solo lo scorso mese!) da chi si interessava della Messa in rito antico e non di rado conteneva succose rivelazioni riguardo le meccaniche interne della gerarchia a Roma e nelle diocesi.
La notizia della chiusura del sito è rimbalzata sui giornali e anche al di là dell’Atlantico: a parlarne è anche LifeSiteNews. Secondo quanto riportato in una email inviata da blogger.com si informavano i redattori di Messa in Latino che il sito era stato chiuso con effetto immediato. MiL aveva qualcosa come 22.000 post, un vero tesoro di testimonianza degli ultimi 20 anni di post-concilio.
«Spiacenti, il blog all’indirizzo lamessainlatino.blogspot.com è stato rimosso» è la scritta che appare se si digita l’URL del sito.
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Il Giornale riporta che ora «proprietari del blog hanno reagito rivolgendosi ad uno studio legale ed inviando una diffida per lamentare quella che hanno definito “l’inopinata e soprattutto immotivata soppressione dello stesso” ed hanno richiamato il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione in merito al diritto alla libera manifestazione del pensiero».
I motivi della chiusura ad oggi restano, come quasi sempre accade, oscuri.
«Il team di Blogger non ha fornito dettagli su possibili violazioni della politica. Tuttavia, MIL ha suggerito che l’azienda di proprietà di Google avesse sollevato obiezioni ad alcuni post che promuovevano la dottrina cattolica e mettevano in guardia dai pericoli della Massoneria» scrive l’inviato di LifeSitea Roma Michale Haynes. In rete circolano varie altre speculazioni su quale contenuto possa aver fatto scattare la censura: questa o quell’intervista, questo o quell’articolo, quel commento, etc.
Tuttavia, nessuna di queste ipotesi è credibile: è quello che Renovatio 21, che di piattaforme e censure se ne intende, ha imparato in tanti anni di colpi ricevuti, anche in tribunale. L’amara realtà, valida per chiunque sui social, è che non sai mai davvero per cosa ti abbiano censurato.
Si tratta, invero, di una situazione del tutto simile a quella de Il Processo di Franz Kafka: si viene processati e condannati ma non si sa nemmeno per quale accusa. Appellarsi è impossibile, e non vi è – a meno di non passare per gli avvocati, anche lì con tanta fatica, nessun volto umano con cui parlare, talvolta nemmeno una email generica a cui rivolgersi.
Come abbiamo tante volte ripetuto su queste pagine, i social in questo modo altro non fanno che fungere da grande prefigurazione della società totalitaria del futuro prossimo, dove il cittadino diviene «utente» che non ha più diritti, ma gode di «accessi» revocabili a comando dall’alto, con lo Stato a divenire piattaforma in una società controllata e regolata in modo macchinale.
Il fenomeno di rimuginare riguardo alla censura inflitta può arrivare a livelli di paranoia – tante volte lo abbiamo visto anche con grandi figure americane, sparite improvvisamente da YouTube (un’altra mega-piattaforma di Google) o perfino da Amazon, dove abbiamo visto sparire negli anni – cioè essere cancellati, come non fossero mai esistiti – i libri dello psicanalista della terapia riparativa per omosessuali Joseph Nicolosi, i testi di E. Michael Jones o, più di recente, i libri del pensatore russo Alessandro Dugin.
L’unica realtà possibile, è il consiglio spassionato di Renovatio 21 a MiL e a tutti, è quella di andare avanti comunque, tenendo a mente una serie di cose.
In primis, il modello hub and spoke: immaginate che la vostra operazione sia una ruota, ebbene non dovete concentrarvi sui raggi, ma sul mozzo, sul centro della ruota, e da lì procedere verso i raggi (i social, etc.). Il sito, quindi, non può appoggiarsi su una piattaforma straniera, soprattutto se del giro della Silicon Valley compromessa non solo con la cultura wokista, ma soprattutto con lo Stato Profondo USA. È necessario farsi un sito proprio, con un hosting provider fuori dal giro – nemmeno quello, sappiamo, è abbastanza, ma con i backup (in teoria, anche qui: sempre in teoria) in caso di chiusura si può riaprire rapidamente da un’altra parte. Basarsi sul sito, e non sui social o su piattaforme che rendono tutto più facile, non solo è arduo, ma garantisce meno traffico: eppure, la via più corta ti espone alla devastazione che conosciamo.
In secundis, cercare di solidificare la propria posizione, mettendo di mezzo corpi intermedi: come sapete, qui abbiamo penato non poco, e da poco ottenuto, lo status di testata registrata in tribunale – e guai a chi gli scappa di chiamare ancora «blog» Renovatio 21 (Sua Eccellenza, la perdoniamo). Chiaramente, nemmeno questo mette a riparo dalla censura – lo abbiamo visto in pandemia, dove venivano oscurate testate tradizionali antiche e pure dell’establishment, e lo vedremo ancora grazie all’Unione Europea – tuttavia mettere di mezzo corpi intermedi dello Stato e delle sue corporazioni potrebbe, in qualche modo, aiutare.
Farla finita con i blog, i profili Instagram, le pagine Facebook, i canali Telegram e Youtube. E aprire testate giornalistiche sic et simpliciter: sfruttiamo a possibile schermatura la pletora di Stato (leggi, sindacati, ordini, ministeri, tribunali) che esse comportano. No alla bloggheria; sì alla burocrazia.
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Sono solo le nostre indicazioni, basate sulla realtà vissuta nel travaglio di questi lustri. Non è escluso che la cosa si risolva al volo: è successo così anche a Chiesaepostconcilio, altra realtà molto conosciuta sparita dai radar qualche settimana fa, per poi ricomparire d’improvviso. Anche quello è un sito, anzi proprio un sedicente blog, che è rimasto appoggiato per decenni, senza evoluzione di sorta, ad una piattaforma aliena. Comodo, perfino gratuito: ma esiziale.
È facile che in questi casi, la censura sia scattata, più che per contenuti, per segnalazioni a ripetizione: tenete a mente che vi sono orde, specie di certuni orientamenti, fortemente organizzate, e pagate per esserlo, e per agire nella delazione online e pure IRL, cioè nella vita reale. A volte la segnalazione genera la censura, ma infine non attacca del tutto, perché l’argomento è considerato di importanza secondaria (la religione, per essi, lo è: «oppio dei popoli» diceva uno dei loro maestri di ingegneria sociale materialista) e non c’è volontà di rischiarsela in Paesi con leggi dove sopravvivono, malomodo, barlumi di libertà di parola con copertura costituzionale. Non è stato il nostro caso…
Non abbiamo una ricetta magica per evitare il bavaglio, ma possiamo dire che ci siamo, purtroppo, passati. Ai ragazzi di MiL possiamo dire che capiamo il senso di sgomento abissale nel vedere tutto il proprio lavoro – che coincide, in alcuni pensieri, con la propria vita, e forse pure, visto il significato storico, sociale e morale di quel che si fa, qualcosa di più – disintegrato con un click da un’autorità invisibile ed oscura.
Lo ribadiamo: si tratta solo di un’antemprima della società futura, dove saremo valutati, premiati e puniti per i nostri pensieri, e nemmeno quelli scritti o detti, ma quelli del nostro foro interiore, come nei progetti di interfaccia cervello-macchina di Klaus Schwab e compagni.
Forza, avanti. Mica ci si può fermare quando ti distruggono tutto. No?
«Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm 8, 31)
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Andrewgardner1 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Immagine modificata
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