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Economia

Peter Thiel è uscito dagli investimenti in Bitcoin poco prima del crash del mercato cripto

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Founders Fund, la società di venture capital co-fondata dal miliardario Peter Thiel, ha riferito di aver chiuso quasi tutti i suoi investimenti durati otto anni sulle criptovalute poco prima che il mercato iniziasse a crollare lo scorso anno. Lo riporta il Financial Times.

 

Peter Thiel è un personaggio di cui seguire sempre l’operato. Probabilmente il più acuto venture capitalist su piazza, era stato socio di Elon Musk in PayPal per poi divenire il primo investitore in Facebook con 500 mila dollari che gli fruttarono poi un miliardo.

 

Thiel in seguito ha fondato l’enigmatica misteriosa azienda software di Intelligence Palantir (che, come visibile nei video di questi giorni, ha un grande stand di rappresentanza al World Economic Forum di Davos), e si era lanciato, nella contrarietà stupefatta generale dei colleghi della Silicon Valley, nel fiancheggiamento del candidato dato per sfavorito alle elezioni 2016, il Donald Trump –  tuttavia non fece il bis per la tornata 2020… è davvero in grado di vedere il futuro.

 

Qui ricordiamo anche che Thiel è stato allievo del filosofo del sacrificio Réné Girard all’Università di Stanford. Una delle lezioni che egli ha assorbito dallo Girard è sicuramente quella sul desiderio mimetico, ossia il fenomeno per cui gli uomini tendono a desiderare la stessa cosa, ed essere come gli altri – qualcosa che Thiel comprende essere la logica da sovvertire per poter vedere realtà e affari che sfuggono ai più – una concezione affascinante contenuta nel libro Da Zero a uno.

 

Di fatto, quindi, quando il mercato delle criptovalute non era ancora caduto, Thiel già ne usciva. Perché lo aveva sentito? Perché – forte di qualche entratura con l’Intelligence USA – aveva qualche informazione in più?

 

Fatto sta che la mossa controintuitiva non ha fruttato poco.

 

Il fondo di Thiel avrebbe generato quindi 1,8 miliardi di rendimenti. Il fondo aveva effettuato il suo primo investimento in Bitcoin all’inizio del 2014; circa due terzi del suo investimento complessivo è stato utilizzato per acquistare Bitcoin, riferiscono fonti al Financial Times.

 

Era emerso che i fondi di Thiel avevano cominciato ad investire pesantemente in cripto nel gennaio 2018.

 

L’investitore ha cambiato idea più di una volta sul Bitcoin. Nel 2021 aveva avvertito che il Bitcoin «potrebbe essere un’arma finanziaria cinese contro gli Stati Uniti» .

 

L’anno passato il miliardario ha inoltre dichiarato che potrebbe avere un’idea di chi sia Satoshi Nakamoto, il misterioso inventore dei Bitcoin, o di quantomeno sapere che questi era con lui ad un evento sulle valute digitali precedente al lancio del Bitcoin «sulla spiaggia di Anguilla nel febbraio del 2000».

 

Come riportato da Renovatio 21, di recente il Thiel ha stupito per un suo discorso pubblico ad un congresso conservatore in Florida in cui ha paragonato la California all’Arabia Saudita e la cultura woke al wahabismo.

 

Alle ultime elezioni USA Thiel aveva due candidati precisi, già suoi collaboratori nei fondi venture: Blake Masters ha corso per un seggio nella problematica Arizona, ma ha perso, mentre J.D. Vance, autore del fortunato libro divenuto film di Hollywood Elegia Americana, ha vinto in Ohio.

 

Thiel è noto anche per aver finanziato con 10 milioni di dollari una causa che il wrestler Hulk Hogan intentò contro un giornale scandalistico che, anni prima, aveva scritto che Peter Thiel è gay. Il giornale perse la causa e dovette chiudere. Il magnate è inoltre interessato a tecniche di estensione della vita umana.

 

 

 

 

 

 

Immagine di Dan Taylor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Cina

La ristorazione smentisce il PIL cinese in crescita: 459 mila chiusure nel primo trimestre 2024

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Piccoli ristoranti ma anche nuovi ambiziosi brand costretti a gettare la spugna dal calo dei consumi: le cessazioni delle attività sono aumentate del 232% rispetto a dodici mesi fa. Le riaperture dopo la politica Zero Covid si sono scontrate con l’aumento dei prezzi e la minore disponibilità economica delle famiglie.

 

Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica, in Cina nel primo trimestre di quest’anno sono state cancellate o soppresse 459mila imprese di ristorazione, con un aumento di circa il 232% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Di questi ristoranti 180mila hanno chiuso nel solo mese di marzo, quando l’anno scorso furono 140mila nell’intero primo trimestre.

 

Si tratta di un indicatore «dal basso» che mostra un panorama decisamente diverso rispetto all’ottimismo «ufficiale» sull’economia cinese, che appena pochi giorni fa sbandierava per lo stesso arco di tempo una crescita del Prodotto interno lordo del 5,3%, addirittura superiore agli obiettivi fissati per il 2024.

 

Al dato sulla chiusura delle imprese della ristorazione ha dedicato un approfondimento Radio Free Asia, che ha raccolto alcune voci di operatori locali secondo cui il mercato dei consumi in Cina non si è affatto ripreso dopo la fine della politica Zero COVID. «Alti costi di affitto, alti costi di manodopera, aumento dei prezzi e diminuzione dei consumi dei clienti», ha riassunto il quadro della situazione un ristoratore di Wuhan. «Ci sono ancora alcune attività di catering che vanno molto bene, ma gli affari dei ristoranti più grandi no». All’inizio di quest’anno anche brand considerati in ascesa nella pasticceria cinese come ad esempio Hutou sono stati costretti a gettare la spugna.

 

La signora Yao, residente a Jingdezhen, nella provincia di Jiangxi, ha raccontato all’emittente che molti dei suoi amici che gestivano ristoranti hanno chiuso e faticano ad arrivare alla fine del mese: «I residenti non hanno più soldi, è difficile portare avanti qualsiasi attività».

 

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Immagine di Frank Michel via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Economia

Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani

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Il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe rinunziando alla sua speciale tecnologia «Just Walk Out» che permetteva ai clienti di mettere la spesa nella borsa e lasciare il negozio senza dover fare la fila alla cassa. Lo riporta The Information, testata californiana che si occupa del business della grande tecnologia.   La tecnologia, disponibile solo nella metà dei negozi Amazon Fresh, utilizzava una serie di telecamere e sensori per tracciare ciò con cui gli acquirenti lasciavano il negozio. Tuttavia, secondo quanto si apprende, invece di chiudere il ciclo tecnologico con la pura automazione e l’intelligenza artificiale, l’azienda ha dovuto fare affidamento anche su un esercito di oltre 1.000 lavoratori in India, che fungevano da cassieri a distanza.   Di questo progetto denominato «Just Walk Out» – uno stratagemma di marketing per convincere più clienti a fare acquisti nei suoi negozi, minando attivamente il mercato del lavoro locale – forse non ne sentiremo la mancanza.   Nel 2018 Amazon ha iniziato a lanciare il suo sistema «Just Walk Out», che avrebbe dovuto rivoluzionare l’esperienza di vendita al dettaglio con l’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Diverse altre società, tra cui Walmart, hanno seguito l’esempio annunciando negozi simili senza cassiere.

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Tuttavia più di cinque anni dopo, il sistema sembra essere diventato sempre più un peso. Stando sempre a quanto riportato da The Information, la tecnologia era troppo lenta e costosa da implementare, con i cassieri in outsourcing che avrebbero impiegato ore per inviare i dati in modo che i clienti potessero ricevere le loro ricevute.   Oltre a fare affidamento su manodopera a basso costo e in outsourcing e invece di pagare salari equi a livello locale, le critiche hanno anche messo in dubbio la pratica di Amazon di raccogliere una quantità gigantesca di dati sensibili, compreso il comportamento dei clienti in negozio, trasformando una rapida visita al negozio in un incubo per la privacy, scrive Futurism.   L’anno scorso, il gruppo di difesa dei consumatori Surveillance Technology Oversight Project, aveva intentato un’azione legale collettiva contro Amazon, accusando la società di non aver informato i clienti che stava vendendo segretamente dati a Starbucks a scopo di lucro.   Nonostante la spinta aggressiva nel mercato al dettaglio, l’impatto dei negozi di alimentari di Amazon negli Stati Uniti, è ancora notevolmente inferiore a quella dei suoi concorrenti quali Walmart, Costco e Kroger, come sottolinea Gizmodo.   Invece di «Just Walk Out», Amazon ora scommette su scanner e schermi incorporati nel carrello della spesa chiamato «Dash Carts». Resta da vedere se i «Dash Carts» si riveleranno meno invasivi dal punto di vista della privacy dei dati.

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  Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  
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Economia

FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»

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I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.

 

L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».

 

L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».

 

«Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».

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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.

 

Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.

 

Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazionesuperinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.

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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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