Pensiero
La Pasqua dei nostri corpi
«E vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù». (Gv 20, 12)
Cristo è risorto, come uomo. Come corpo.
La risurrezione, l’asse portante del credo cristiano, riguarda il corpo umano, la materia biologica.
Lo stesso dicasi per l’altro sconvolgente aspetto del cristianesimo: la promessa, in seguito l’Apocalisse, delle risurrezione delle carni. Dopo il Giudizio, i corpi ritorneranno, e si ricongiungeranno con le loro anime.
Qualcosa di incredibile, per chi crede che la religione riguardi solo lo spirito – ed in genere è così, molti culti diffusi per il mondo non hanno questo aspetto così precisamente materiale, parlano a profusione dell’anima e degli dei, di modo che il potere, quello che invece le cose materiali le gestisce, non abbia problemi di sorta.
Alcuni sostengono, quindi che il cristianesimo sia l’unica vera religione materialista.
Potrebbe essere. Ma ciò che ci preme qui sottolineare è come si tratti di un materialismo biologico. O ancora meglio: come si tratti di una religione del corpo.
A differenza di quanto hanno blaterato per secoli gli anticristiani, i pagani e neopagani, i massoni, il cristianesimo si concentra sul corpo umano, sulla carne, come bene che va onorato e protetto.
L’insistenza sull’uomo Imago Dei va in questo senso. Se non fosse vero, l’intera storia dell’arte occidentale (cioè, la storia dell’arte tout court) non esisterebbe.
Ma quella questione, lucidamente indicata nella prima lettera ai Corinzi:
«O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (1Corinzi, 6, 19-20).
Il corpo umano come tempio dello Spirito Santo. Non si tratta di un concetto da prendere alla leggera. In questo momento, come non mai.
Ci troviamo nel momento di massimo attacco al corpo umano che la storia ricordi.
L’Imago Dei può essere frullata viva quando ancora si trova nel ventre di una madre, oppure può essere prodotta e disintegrata, in quantità ancora vertiginosamente maggiori, in laboratorio, oppure messa in frigo, oppure utilizzata per intrugli di stregoneria terapeutica.
Viviamo nell’era in cui se fate un incidente tornando a casa, possono rubarvi tutti gli organi mentre il cuore vi batte ancora, e non potete fare nulla per difendervi.
Viviamo nell’era dove se un minorenne ha qualche turba, può convincersi di voler cambiare sesso, e quindi il suo corpo può essere mutilato (e sterilizzato) e sottoposto a terapie di alterazione ormonale magari a spese dello Stato.
Viviamo nell’era dove le donne sterilizzano volontariamente il loro corpo con gli steroidi, causandosi modifiche cerebrali e rischi di salute non indifferenti, e per di più inquinando in modo terrificante l’ambiente e rendendo deforme e impazzita la sua fauna.
Il vostro corpo, il tempio prezioso della divinità , ora vi dicono che – in mancanza di fede nella risurrezione della carne, oramai ritenuta una favoletta soprattutto dai preti moderni e dai loro vescovi, cardinali e papi – una volta spirati può essere non solo distrutto, ma proprio incenerito, letteralmente.
La cremazione, grande ossessione massonica dilagata con l’infamia del Risorgimento, oramai è una realtà ineludibile per qualsiasi famiglia, dove si trova sempre quello che vuole farsi bruciare il corpo per l’eternità.
Non basta: ecco pronti le nuove forme di disintegrazione del cadavere: l’acquamazione ecologica, una liquefazione di quelle che faceva un tempio la mafia, con il risultato che poi va in fogna.
Oppure la «riduzione organica naturale», già legge in alcuni Stati: i cadaveri divengono concime, cosicché il vostro essere finisce nuovamente nel ciclo alimentare (una sorta di cannibalismo differito: sappiamo che si va per gradi…)
L’attacco al corpo umano all’interno dei nostri costumi non può essere più spaventoso di così, uno pensa.
Macché. Ecco che improvvisamente, tutto il mondo accetta che il suo corpo, il sacro tempio dello Spirito, venga violato da un siero sperimentale, un farmaco in grado di modificare la stessa struttura profonda del corpo – la genetica.
Tale sostanza viene iniettata su una quantità infinita di corpi umani del pianeta, sicuramente nella maggioranza dei corpi occidentali.
Ecco perché è importante ricordare che la Pasqua è la risurrezione di un corpo: perché il Nemico odia quel corpo, odia il vostro corpo.
Perché il processo in corso è esattamente questo: la distruzione della sovranità biologica, fino al livello biomolecolare dell’mRNA.
Renovatio 21 va dicendolo da anni, dal suo primo giorno, anzi è nata proprio per questo. Per mettere in guardia, già da molto prima della pandemia, riguardo alla manovra che era in corso nei confronti delle vostre vite, delle vostre esistenze biologiche.
I vostri corpi sono in pericolo. Li vogliono bucare, modificare, squartare, bruciare.
È in pericolo anche la vostra discendenza: la vogliono mutilare, adulterare, psicotizzare.
È in pericolo qualsiasi corpo umano verrà dopo di voi: perché sappiamo come a breve gli unici corpi consentiti saranno non solo quelli vaccinati e farmacizzati secondo diktat di regime. Saranno consentiti solo i corpi progettati, i corpi bioingegnerizzati con il CRISPR.
I bambini «naturali», come la famiglia «naturale», l’immunità naturale, l’alimentazione naturale, etc., non esisteranno più.
La natura, ci stanno spiegando, è una roulette impazzita: il compito dell’uomo è quello di dominarne ogni sua parte, fino al suo linguaggio più interiore, la genetica.
Ecco che corpi come il vostro, diverranno illegali. Anzi, saranno semplicemente aboliti.
Se non sono stabiliti dal potere, se non sono controllabili da esso, non avranno diritto di esistere.
Tutta la tecnologica che stiamo vedendo ora, dalla bioingegneria CRISPR agli smart-device (telefonino, smartwatch, sensori vari) della biosorveglianza, vanno in questa direzione. Il controllo terminale del corpo, ossia, il controllo del corpo come terminale, come interfaccia ultima di computazione.
Tuttavia, questa non sarà la fine.
Sono oramai certo che non si fermeranno lì. C’è un gradino oltre, dove già si stanno spingendo. Il controllo del pensiero, puro e semplice, con la possibilità di scansionare il cervello in cerca di idee pericolose, o semplicemente connetterlo direttamente alla macchina, alla rete, all’istituzione informatica tutta. Su questo sito ne scriviamo spesso.
Sarà la fine? No, nemmeno questo lo sarà.
C’è lo strato ancora più profondo, quello dove davvero sta il jackpot dell’operazione. L’anima.
Stanno facendo tutto questo, penetrandovi il corpo, la genetica, il cervello, i neuroni, perché in realtà vogliono arrivare alla vostra anima.
È l’anima l’unica vera moneta che conta nell’economia ultima del Cosmo. È per l’anima di ciascuno di noi che operano i trader del Male. È l’anima di ogni essere umano, così inestimabile, impagabile, insostituibile, non replicabile, che interessa.
Per cui, stanno distruggendo il vostro corpo, il veicolo dell’anima, per arrivare ad essa.
Stanno attaccando il vostro corpo, il tempio dello Spirito, per rubarvi quanto avete di più prezioso. E per separarvi, sperando per sempre, dallo Spirito stesso.
È per questo che dobbiamo ricordarci della Risurrezione del corpo, della carne. Perché dobbiamo difenderci dal piano del Male, dobbiamo ricordarci come questo intende procedere per annientarci.
Proteggete il tempio. Amatelo come la cosa più cara che avete. Perfino: siate pronti a morire per esso.
Il mondo ora vi obbliga ad offenderlo, adulterarlo, vendervelo in una partita a dadi. Resistete, non permettete che nessuno ve lo tocchi, ve lo danneggi, ve lo porti via.
Resistete: conservate l’integrità di questo dono immenso che vi è stato fatto.
Un giorno, nonostante chi vuole impedirlo, la Pasqua dei nostri corpi si compirà.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Il Corriere e Lavrov, apice del cringe giornalistico italiano
In un episodio imbarazzante come pochi altri per la stampa nazionale italiana, il Corriere della Sera ha rifiutato di pubblicare un’intervista esclusiva con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.
L’incredibile sviluppo è stato ridicolizzato dal portavoce del ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova, che, facendo ridere i presenti ad un briefing a Mosca, ha raccontato che quando il ministero russo ha chiesto come mai l’intervista non fosse stata pubblicata il Corriere avrebbe risposto che non c’era spazio; la Zakharova ha proseguito dicendo che, visiti i «problemi con la Carta che deve avere l’Italia», era stato proposto dal Cremlino di pubblicarla sul sito, ma sarebbe stato risposto da via Solferino che non c’era spazio nemmeno su internet. Infine, non si sa quanto scherzando, la portavoce dice che è stato ulteriormente proposto all’antico quotidiano italiano di pubblicare un link ad una pagina esterna, ma sarebbe stato detto che non c’era spazio nemmeno per quello.
È finita che l’intervista la ha pubblicata il sito del ministero degli Esteri russo e dell’ambasciata russa in Italia.
Il video fantastico (tradotto in italiano) della #Zakharova che smerda i giornalai del Corriere della Serva per aver ridotto l’intervista a #Lavrov con la scusa che “non c’era sazio sul giornale” (e neanche sul sito web… e neanche lo spazio per un link da cui fosse possibile… pic.twitter.com/KfyimUl3du
— Sabrina F. (@itsmeback_) November 13, 2025
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Se le parole della Zakharova non fossero per ischerzo saremmo davanti ad un fatto di gravità – professionale, diplomatica, umana – sconcertante. Il racconto della portavoce racconta di una vetta di cringe giornalistico senza precedenti.
Nelle scorse ore il giornale della borghesia italiana ha tentato di rispondere, giustificando la mancata pubblicazione di uno dei vertici della massima superpotenza atomica planetaria (possiamo dire «censura»?) con i contenuti dei discorsi del Lavrov, che con evidenza il giornale ed i suoi padroni non condividono – ma dei quali i lettori dovrebbero essere informati.
«Le risposte del ministro contenevano anche molte affermazioni del tutto discutibili e dal chiaro intento propagandistico» scrive il Corriere in un articolo. Come, ad esempio, il passaggio sul «cruento colpo di Stato anticostituzionale a Kiev del febbraio 2014, organizzato dall’amministrazione Obama» (in via Solferino forse erano in vacanza quando uscì l’audio di Victoria Nuland che oltre che a parlare degli investimenti USA e decidere il premier di Kiev proclamava in maniera indimenticabile «Fuck the EU»), oppure quello sul «regime di Kiev» che definisce «subumani» o «terroristi» gli abitanti delle quattro regioni ucraine annesse illegalmente dalla Russia» (anche qui, forse il giornalone era in letargo negli anni dal 2014 al 2022, e quanto alle annessioni illegali, magari ricordare che ci sono stati dei referendum in zone quasi totalmente russofone sarebbe stata una cosa bella e «giornalistica»)
Il Corriere mica desiste: ha cancellato la pubblicazione dell’intervista al decano della diplomazia mondiale perché «in altre parti, Lavrov arriva a sostenere che, “a differenza degli occidentali”, l’esercito russo protegge “le persone, sia civili che militari” e che le “nostre forze armate” agiscono “con massimo senso di responsabilità, sferrando attacchi di precisione esclusivamente contro obiettivi militari e relative infrastrutture di trasporto ed energetiche”».
Qui sarebbe bello che il giornalissimo dimostrasse che non è così, facendoci vedere, chessò, Kiev e Kharkov ridotte in macerie come Baghdad e Beirut – perché non è che ci voglia un genio per vedere quanto la guerra condotta dalla Russia sia diversa da quelle fatte da USA, NATO e compagni in Iraq, Libano, Afghanistan, Siria, Libia e pure in Serbia… Diverso è il caso di Donetsk, città che dicono essere ucraina, ma che l’Ucraina, per qualche ragione, bombarda, anche a Natale e a Pasqua vicino alle chiese, nei mercati, nei centri commerciali, con le ondate di sangue civile che conosciamo: ma guarda chi li fa, i massacri degli innocenti.
Al Corrierone, come a tutte le testate occidentali possedute da camerieri atlantici o peggio, brucia ancora che Bucha non sia riuscita col buco, e di questa presunta «strage» che doveva fungere da casus belli per mandare i nostri soldati a morire in Ucraina non se ne è fatto più nulla. Voi avete più sentito nulla? Chissà perché.
Ma non basta: il Corriere è disturbato assai dal fatto che il Lavrov «dichiara che «il nazismo sta rialzando la testa in Europa». Lo scrive il giornale dove in prima pagina, con corsivi non esattamente imperdibili, scrive per qualche ragione uno che in TV andò a dire che un generale vicino al Battaglione Azov è «giusto» come Schindler e Perlasca. Lo scrive il giornale il cui inviato a Kiev riprese un militare nazi-odinista dichiarare la sua fede pagana dinanzi all’assedio dei monaci della Lavra. È stato detto, giustamente, che il Corriere in quell’occasione era riuscito, senza volerlo, a realizzare l’apice della propaganda ucraina e pure russa nello stesso momento.
L’inviato del Corriere a Kiev va davanti al Monastero delle Grotte e produce un documento che segna contemporaneamente il culmine sia della propaganda occidentale che di quella russa. pic.twitter.com/miLeXY85EG
— Marco Bordoni (@bordoni_russia) April 4, 2023
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Ma non è finita. Il giornalone nelle mani del venditore di pubblicità proprietario del Torino calcio alza il ditino con boria e pervicacia: «il ministero degli Esteri russo ha risposto alle domande inviate preliminarmente dal Corriere della Sera con un testo sterminato pieno di accuse e tesi propagandistiche. Alla nostra richiesta di poter svolgere una vera intervista con un contraddittorio e con la contestazione dei punti che ritenevamo andassero approfonditi il ministero ha opposto un rifiuto categorico».
Un’intervista scritta con il contraddittorio? Ma di cosa stanno parlando? Il compito dell’intervistatore è sentire quello che dice il più alto diplomatico della superpotenza oppure salvaguardare la mente dei lettori dalla possibilità di sentire l’altra campana – cioè il lavoro che dovrebbe fare il giornalismo?
Lavrov, accusa il Corrierissimo, «Evidentemente pensava di applicare a un giornale italiano gli stessi criteri di un Paese come la Russia dove la libertà d’informazione è stata cancellata». A questo punto non è più possibile trattenere le risate. «Quando il ministro Lavrov vorrà fare un’intervista secondo i canoni di un giornalismo libero e indipendente saremo sempre disponibili».
Il Corriere «libero e indipendente»? Eccerto. Ce lo ricordiamo in pandemia, quando, dopo decenni di abbonamento (chi scrive ha letto quel giornale quotidianamente da quando aveva praticamente 15 anni) abbiamo mollato il colpo, ché le menzogne (per esempio sull’ivermectina farmaco per cavalli) erano divenute intollerabili. Anche dopo, con la guerra ucraina e la lista dei putiniani italiani, con per soprammercato la stupenda affermazione che la stampa russa avrebbe usato come manifesto un articolo di Manlio Dinucci: le giornalistissime in cima al massimo quotidiano italiano non si era ovviamente peritata di comprendere o approfondire nulla – Dinucci riprendeva uno studio della Rand Corporation, citato varie volte anche da Renovatio 21, dipingendo quindi l’84 geografo italiano come faro della politica di Putin… eh?
Vabbè, qualche lettore lo sa: con il Corriere per Renovatio 21 ci può essere stata qualche screzio in passato. Come quando un video un po’ minaccioso di Bill Gates e consorte (col COVID stavano ancora assieme) trovato e sottotitolato da Renovatio 21 comparve per magia, senza credito alcuno, talis et qualis sul sito del Corriere.
Faccia il lettore il confronto. L’unica vera differenza e che noi – che abbiamo realizzato i sottotitoli, sistemato l’audio e finalizzato – non ci abbiamo messo la pubblicità.
Aiuta Renovatio 21
O quella volta che, ci segnalarono tanti lettori, c’era nelle pagine di cultura quella lenzuolata della celeberrima romanziera Susanna Tamaro sulla scuola che sembrava, a detta di molti, un pochino somigliante ad un articolo di Elisabetta Frezza pubblicato sulle colonne di Renovatio 21.
Pressati dal nostro pubblico, scrivemmo all’altezza del Natale 2022 alla redazione di via Solferino. Siamo in grado qui di riprodurre la missiva.
Gentili signori della redazione del Corriere,
Secondo voi i colleghi del Corriere dei grandi ci risposero? Maddeché – neppure agli auguri di Natale.
Gli auguri a questo punto glieli facciamo noi: perché, se continuano così, quanto avanti potrà andare ancora avanti il giornalismo italiano?
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Intelligence
Il potere della vittima
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Separazione delle carriere, equivoci vecchi e nuovi. Appunti minimi in tema di future riforme della Giustizia
In mezzo alle turbolenze inaudite di questi tempi, è tornata ad alleviare le nostre pene la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Che è un po’ come la polemica calcistica nell’intervallo di un film dell’orrore. E tutto sommato servirebbe a sollevare gli animi se non implicasse cose un po’ più grandi di quelle a cui spesso viene ridotta.
Quella che ad alcuni può apparire una questione nuova, è invece una vecchia diatriba, andata un pò in sordina e tornata ora di prepotenza forse per dare lustro all’affaccendarsi di alcuni volenterosi, infaticabili riformatori della giustizia.
Il tema infatti poteva essere considerato in qualche misura obsoleto, perché emerso quando era in vigore il sistema processuale cancellato nel 1989 con la riforma del processo penale, o rivoluzione che dir si voglia in omaggio ad una data fatale per definizione.
Le ragioni addotte allora, per sostenere la necessità di una separazione delle carriere, si fondavano sulla vicinanza «fisica» tra i soggetti deputati alle funzioni giudicanti e requirenti che, alloggiati negli stessi ambienti giudiziari, potevano intrecciare rapporti troppo amicali, e quindi capaci di compromettere il corretto esercizio delle funzioni svolte rispettivamente da giudici e pubblici ministeri. Si trattava di una querelle che andava per la maggiore, ma confondeva gli effetti con una causa di ben altra portata: quella strutturale del cosiddetto «processo misto». Ovvero si vedeva la pagliuzza e non si vedeva la trave.
Sostieni Renovatio 21
Infatti in varie fasi processuali le funzioni del pubblico ministero venivano a confondersi o a sovrapporsi. Il giudice aveva poteri istruttori non dissimili da quelli del pubblico ministero mentre quest’ultimo, oltre ad essere titolare di una istruzione segreta, dalla quale per lungo tempo sono rimasti esclusi i difensori, anche se non pronunciava sentenze, era fornito di un importante potere decisorio «paragiurisdizionale», come quello di disporre misure cautelari, convalida di arresti e fermi etc.
Insomma, le possibili compromissioni e influenze reciproche, in bene o in male, non derivavano tanto dal fatto che i titolari dei diversi uffici potessero avere l’ abitudine di «prendere il caffè insieme». Derivavano semplicemente dal sistema processuale vigente. E non sarebbe valsa la separazione delle carriere ad ovviare agli inconvenienti di una commistione organica di funzioni e di poteri che di certo la separazione delle carriere non avrebbe potuto risolvere in alcun modo.
Semmai la formazione e l’incardinamento comune, che rendevano plausibile anche il passaggio da una funzione all’altra, passaggio ormai precluso dalla riforma Cartabia, portavano il vantaggio di evitare in qualche misura la sclerotizzazione della mentalità accusatoria, sempre in agguato in chi l’accusatore lo deve fare per mestiere e rischia perciò di trasformarsi in un irriducibile e messianico Javert. Un rischio sentito dallo stesso legislatore che da tempo ha previsto la possibilità per il pubblico ministero di chiedere l’assoluzione dell’imputato.
Ma il vero katechon contro la fissazione pregiudiziale di ogni attitudine critica poteva darsi e deve continuare ad essere riposto in quella solida e interiorizzata formazione giuridica e culturale capace di orientare ogni decisione sui valori etici superiori che il diritto dovrebbe tutelare, in sintonia con una forte etica personale.
Ora, con l’avvento della riforma del processo penale e l’adozione di un sistema radicalmente diverso da quello preesistente, l’esigenza di liberare certe funzioni da schemi anche mentali precostituiti dovrebbe essersi soddisfatta naturalmente. Infatti, nonostante successivi interventi legislativi abbiano ampliato nel tempo i poteri del pubblico ministero, tanto da richiamare alla memoria il vecchio schema della istruzione sommaria nelle fasi preliminari, l’attuale sistema accusatorio lo vede comunque nella scena dibattimentale davanti al giudice quale coprotagonista alla pari con la difesa.. Un quadro che avvalora quella capacità di equidistanza e neutralità, richiesta alle parti pubbliche, e di comprensione reciproca che viene dalla formazione giuridica comune a tutti i protagonisti di questa sacra rappresentazione triadica.
Insomma, all’esigenza di assicurare l’esercizio oggettivo della funzione dialettica richiesta dal sistema, risponde proprio quella formazione culturale comune che se da un lato fornisce a difensore, accusatore e giudice un imprescindibile linguaggio tecnico, dall’altro impone ai due soggetti incardinati nella amministrazione pubblica, la visione più elevata dell’interesse superiore della giustizia al quale hanno giurato di volersi votare. E in questa chiave va considerata come una contraddizione e una perversione dei principi cardine del sistema, quella separazione delle carriere che viene sostenuta con argomenti di lana caprina e della limpidezza delle cui finalità è legittimo dubitare.
Anzitutto proprio la auspicata costituzione di un corpo separato quasi in forma corporativa porterebbe di certo a ricostituire quella figura quasi metafisica dello accusatore per antonomasia e a prescindere, che il sistema sembra aver voluto seppellire. Infatti sembra soprattutto tradire quella aspirazione alla oggettività dello accertamento del fatto penalmente rilevante che il sistema accusatorio pretende di assicurare per quanto possibile.
Tanto più che si ventila già la prospettiva di concorsi i separati e di una formazione ad hoc. Cosicché quella base concettuale e quella identità e unità di linguaggio comune a tutti gli operatori giuridici verrebbe ad essere spezzato all’origine dallo scavo di un fossato pregiudiziale.
E a questo proposito si verifica un fenomeno abbastanza curioso: sono proprio i fautori della separazione delle carriere ad invocare, forse per una suggestione linguistica, il principio accusatorio come presupposto logico che imporrebbe quella separazione,.
Ma si tratta di una argomentazione senza fondamento razionale dal momento che quello cosiddetto «accusatorio», al di là delle assonanze che appunto sembrano suggestionare il presidente delle Camere Penali (come è risultato nel corso di una vivace polemica con un componente della Associazione Nazionale Magistrati), è un criterio di tecnica processuale che attiene alla formazione viva della prova davanti al giudice grazie allo scambio dialettico tra accusa e difesa.
Una tecnica che dovrebbe servire meglio all’ accertamento della verità nel processo e per questo non inchioda affatto il pubblico ministero ad una destinale missione accusatoria, volta ad ottenere ad ogni costo la condanna dell’imputato. Del resto, come dicevamo, la legge stessa prevede da molto tempo che la richiesta di assoluzione possa venire da parte del pubblico ministero sulla base di prove a favore.
Il procedimento si svolge per fasi separate, senza commistione di funzioni, e senza precostituzione di prove. Il principio «accusatorio» che domina la fase dibattimentale, quale tecnica per la formazione non precostituita della prova, non ha nulla a che fare con la supposta esigenza di separare le carriere e assicurare una maggiore indipendenza tra le diverse funzioni processuali attraverso un diverso incardinamento amministrativo dei rispettivi magistrati.
Anzi, proprio questo renderebbe non «neutrale» il magistrato che, incardinato in un organismo diverso da quello canonico, diverrebbe un «accusatore» precostituito. Non per nulla secondo Cassese sostenitore convinto della riforma, occorrerebbe «una preparazione diversificata che miri a formare attitudini diverse: una psicologia giudiziaria secondo capacità e competenze».
Insomma proprio il contrario di quello che serve per una oculata e distaccata ricerca della verità processuale, secondo le finalità proprie della tecnica dialogica del sistema «accusatorio».
Anche in questa figura ipostatizzata dell’accusatore preformato, torna prepotente il modello del processo americano che tanto ha suggestionato il pubblico italiano ai tempi delle serie televisive di Perry Mason. Come è noto la stessa riforma del 1989 ha tratto ispirazione dai modelli anglosassoni, per poi dovere fare i conti con la realtà della propria tradizione giuridica e di una diversa base socioculturale. Ma l’adozione acritica di modelli estranei non è mai senza innocue conseguenze.
Aiuta Renovatio 21
Sta di fatto che ora, come un tempo, la separazione delle carriere avrebbe lo scopo edificante di combattere il malcostume all’interno della amministrazione della giustizia, indotto dalle camarille interne o sul piano delle dipendenze politiche esterne.
Ma anche se questa riforma avesse veramente uno scopo moralizzatore e non, come appare probabile, quello esattamente contrario, di andare incontro ad un più esplicito condizionamento politico, resta il fatto che le leggi, come le famose gride manzoniane, di per sé non moralizzano un bel nulla ma e e quando servono da paravento al medesimo potere politico che le sciorina.
E uno degli indizi che si tratti di una riforma che va in senso contrario alle esigenze di indipendenza di un parte della magistratura e soprattutto a quelle di una corretta applicazione dei principi di garanzia di cui si è dotato il processo penale, è fornito dallo sdoppiamento degli organi di controllo previsto dalla riforma, che oltre a radicalizzare pericolosi antagonismi corporativi, rafforzerebbero le radicalizzazioni politiche e partitiche all’interno di una amministrazione della giustizia per la quale è prescritta in Costituzione la indipendenza politica.
Per la serenità e oculatezza dei giudizi, occorrono coscienze eticamente e culturalmente formate, libere da precondizionamenti e dai lacci di ruoli assegnati e da pregiudizi di sorta, dai nodi scorsoi delle «competenze» che, con buona pace di Cassese, oggi hanno assunto il senso profondo del vuoto a perdere.
Patrizia Fermani
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine: Antonio Canova (1757–1822), La Giustizia (1792), Gallerie d’Italia, Milano
Immagine Fondazione Cariplo di via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine tagliata
-



Ambiente2 settimane faLe mucche danesi crollano dopo l’aggiunta al mangime del prodotto anti-peti al metano
-



Spirito6 giorni faMons. Viganò: la mano di Satana ha vergato la nota dottrinale «Mater populi fidelis»
-



Senza categoria1 settimana faRenovatio 21 partecipa alla Tabarrata dell’Oca 2025
-



Civiltà2 settimane faChiediamo l’abolizione degli assessorati al traffico
-



Salute1 settimana faI malori della 45ª settimana 2025
-



Fertilità2 settimane faUn ingrediente comune presente in shampoo e lozioni può compromettere la fertilità femminile per generazioni
-



Immigrazione2 settimane faAccoltellamento di massa in un treno inglese. Silenzio sulle origini immigrate dei massacratori
-



Animali2 settimane faLa malvagia lontra ladra di surf è tornata









