Cina
La Cina sta costruendo una luna artificiale che simula magneticamente la gravità
La Cina sta pianificando future missioni lunari per competere con la NASA e sta persino lavorando su una «Luna artificiale» per prepararsi meglio alla missione lunare.
I ricercatori cinesi stanno sviluppando una struttura in grado di simulare la gravità della superficie lunare, come riporta il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post. La Luna artificiale sarà una camera a vuoto che utilizza un potente campo magnetico per ricreare l’ambiente a bassa gravità.
Il simulatore lunare può essere costruito in pochi mesi. Una volta avviato, farà «scomparire» la gravità, ha dichiarato al giornale di Hong Kong Li Ruilin, ingegnere geotecnico presso la China University of Mining and Technology.
La questione riguarda le dimensioni: avrà solo 60 centimetri di diametro. Non abbastanza per ospitare un astronauta.
Tutto sommato però sarà sufficientemente grande per i ricercatori che vogliono testare determinate apparecchiature e strumenti per vedere la loro reazione all’ambiente a bassa gravità, risolvendo eventuali problemi prima di un vero allunaggio.
«Alcuni esperimenti come un test di impatto richiedono solo pochi secondi», ha detto Li al giornale di Hong Kong. «Ma altri come il test di scorrimento possono richiedere diversi giorni».
Come riporta Futurism, è interessante notare che la struttura è stata in parte ispirata da precedenti ricerche condotte dal fisico russo Andrew Geim, il quale fece «fluttuare» una rana con un magnete. L’esperimento è valso a Geim il premio Ig Nobel (cioè, «ignobile») in fisica, un premio satirico assegnato a ricerche scientifiche insolite.
È sorprendente che un bizzarro esperimento come quello dello scienziato russo possa ispirare la costruzione di una camera antigravitazionale.
La corsa internazionale verso la Luna si sta intensificando in grande stile e la Cina si pone tra i paesi più avvantaggiati nella sfida cosmonautica che poche potenze al mondo sono in grado di portare avanti.
Come ripete Renovatio 21, l’accesso allo spazio sarà un fattore determinante per la sovranità dei Paesi nei prossimi anni.
Cina
Hong Kong, minacciato il segreto confessionale
L’Assemblea legislativa dell’ex colonia britannica si prepara ad adottare in tempi record il disegno di legge sulla sicurezza nazionale presentato l’8 marzo 2024. Questo disegno di legge porta la repressione di ogni forma di dissenso a Hong Kong a un livello senza precedenti: come l’ergastolo per il reato di «tradimento», e fino a dieci anni per chi è accusato di «sedizione».
Il progetto di articolo 23
Questo cosiddetto disegno di legge «Articolo 23», una versione locale della legge cinese sulla sicurezza nazionale, porterà la repressione della libertà di parola a Hong Kong a un livello ancora più brutale rispetto alla versione precedente. Ufficialmente si tratta di una legge locale destinata ad attuare un punto della Legge Fondamentale, la legge che regola il ritorno di Hong Kong alla Cina.
L’articolo 23 prevede una legge specifica per punire i crimini che mettono in pericolo la sicurezza nazionale. Nel 2003, l’allora governo di Hong Kong aveva già tentato di adottare una legge in materia, ma il tentativo venne fermato da un’ondata di proteste popolari. Oggi John Lee è pronto a finire il lavoro.
Se la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong entrerà in vigore così come è stata pubblicata l’8 marzo – e non c’è motivo di dubitarne, data l’assenza di un vero dibattito politico – sarà ora possibile essere condannati all’ergastolo per crimini come «tradimento», «insurrezione» e «minaccia alla sovranità della Cina».
Per il reato di «sedizione» la pena massima passerà da 2 a 7 anni di reclusione, con la possibilità di aumentarla a 10 anni in caso di collusione con una «forza esterna».
La nuova legge definisce «intento sedizioso» l’incitamento all’odio, al disprezzo o alla disaffezione nei confronti della Cina, del suo apparato a Hong Kong, ma anche del governo e del sistema legale della città.
Così, il semplice fatto di possedere una copia dell’Apple Daily – il giornale pro-democrazia fondato da Jimmy Lai e soffocato dall’arresto dei suoi leader e dal congelamento dei suoi conti bancari nel 2021 – nella nuova versione della legge sul controllo nazionale sicurezza attualmente in discussione a Hong Kong, potrebbe diventare un crimine.
Il testo conferisce ancora alla polizia nuovi poteri per limitare l’accesso dei detenuti ai propri avvocati o ritirare i loro passaporti e vietare qualsiasi transazione finanziaria a determinate condizioni: una misura che prende di mira i membri del movimento pro-democrazia che si sono rifugiati all’estero.
La proposta di legge prevede infine un reato definito «tradimento negligente», che mira a prendere di mira le persone che sono a conoscenza di comportamenti lesivi della sicurezza dello Stato (come inteso dalle autorità di Hong Kong), ma che non li denunciano. In questo caso la persona può essere perseguita penalmente e rischiare una pena fino a 14 anni di reclusione.
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Il segreto della confessione minacciato
Quest’ultimo provvedimento ha provocato la reazione di 16 esperti internazionali in materia di libertà di religione e di credo che hanno espresso la loro “profonda e seria preoccupazione” per le implicazioni della nuova legge sulla sicurezza.
Perché la nuova legge potrebbe avere gravi conseguenze sul segreto della confessione, dicono i firmatari della lettera, che sono «profondamente allarmati» da questa disposizione. Per legge, un sacerdote sarebbe obbligato a rivelare ciò che è stato detto durante la confessione.
Un simile reato costituisce quindi una minaccia specifica per le comunità religiose. Nel corso della consultazione popolare è stata sollevata la questione se i ministri di culto ricevano informazioni riservate legate al loro ruolo (in particolare il prete cattolico per il segreto della confessione). Le autorità di Hong Kong non hanno risposto all’obiezione, limitandosi a dire che questo paragrafo non si applica «a coloro ai quali è riconosciuto un diritto in base al loro status professionale».
Un discorso tipicamente marxista e leninista
Questa nuova legge purtroppo non sorprenderà affatto nessuno che abbia studiato le dottrine marxiste, leniniste o comuniste: del resto la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese definisce quest’ultima come «uno stato socialista di dittatura democratica popolare». La parola importante è «dittatura», come tutti avranno capito.
Per comprendere meglio la natura di questa dittatura, basta confrontare quanto sta accadendo a Hong Kong e la protesta di Pechino di fronte alla minaccia che gli Stati Uniti rappresentano per Tik Tok: la Camera dei Rappresentanti ha adottato il 13 marzo 2024 una proposta legge che vieta il social network cinese negli Stati Uniti se non taglia i legami con la sua società madre, ByteDance.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha risposto alla stampa: «se si può usare il cosiddetto pretesto della sicurezza nazionale per escludere arbitrariamente aziende di successo di altri paesi, allora non ci sarà più né equità né giustizia», ha criticato.
Ma schiacciare cittadini innocenti e minacciare le libertà più sacre, in nome della stessa sicurezza nazionale, è certamente molto virtuoso… Una posizione tipicamente marxista, che considera «buono» tutto ciò che favorisce la «dittatura» democratica, e come «cattivo» tutto ciò che gli si oppone.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di Jeremy Rover via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Cina
Taiwan conferma la presenza delle forze speciali americane
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Cina
Vescovi alle plenarie della Repubblica Popolare Cinese
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Tra i delegati riunitisi nei giorni scorsi all’appuntamento che ratifica le scelte politiche di Xi Jinping anche una delegazione di 11 rappresentanti degli organismi «ufficiali» cattolici. Presente anche mons. Yang Yongqiang, uno dei due vescovi che hanno partecipato al Sinodo in Vaticano. Mons. Shen Bin ai giornalisti: nuovi traguardi «nell’autocontrollo, nell’autogestione e nell’autocostruzione» della comunità cattolica in Cina.
Come accade ogni anno, anche una rappresentanza degli organismi cattolici ufficiali cinesi ha preso parte nei giorni scorsi alle «Due sessioni», l’assemblea dei due maggiori organismi che la Repubblica popolare cinese considera il più importante appuntamento politico dell’anno.
In realtà nel rapporto presentato dal governo di Pechino il tema delle religioni non ha avuto grande rilievo: nella sua relazione il premier Li Qiang, seguendo il canone indicato da Xi Jinping, si è limitato a riaffermare l’obiettivo di «promuovere ulteriormente la sinicizzazione della religione nel nostro Paese e guidare attivamente la religione ad adattarsi alla società socialista».
Il sito ufficiale dei cattolici cinesi chinacatholic.cn ha comunque dato ampio risalto alla partecipazione della delegazione dei vescovi ai lavori e ha riferito anche della sessione che il vescovo di Pechino Li Shan, presidente dell’Associazione patriottica, ha tenuto all’indomani per «studiare il testo integrale della risoluzione politica adottata».
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Sono 11 i rappresentanti dei cattolici all’interno della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese (CPPCC): dieci vescovi e un sacerdote. Tra i vescovi insieme a mons. Li Shan e al vescovo di Shanghai mons. Shen Bin, presidente della Consiglio dei vescovi cattolici cinesi, figura anche mons. Yang Yongqiang, vescovo della diocesi di Zochun nella provincia dello Shandong, che è uno dei due vescovi della Repubblica popolare cinese che nell’ottobre scorso hanno preso parte alla prima sessione dei lavori del Sinodo in Vaticano.
Due sono invece i vescovi che sono intervenuti al Congresso nazionale del popolo, che è la camera che approva le leggi della Repubblica Popolare Cinese: si tratta di mons. Huang Bingzhang della diocesi di Shantou nella provincia del Guandong (che è uno dei vescovi ordinati autonomamente a cui nel 2018 papa Francesco ha tolto la scomunica) e mons. Fang Jianping della diocesi di Tangshan nella provincia dell’Hebei.
Il sito cattolico Xinde riferisce che a margine dei lavori il vescovo di Shanghai mons. Shen Bin – sempre più chiaramente indicato come la figura ufficiale di riferimento per la Chiesa cattolica dalle autorità della Repubblica popolare cinese – è stato intervistato dai giornalisti sul «rafforzamento globale dello stile religioso» e sulla «promozione di un sano sviluppo della religione».
Il vescovo Shen Bin – racconta Xinde – ha affermato che le comunità religiose devono raggiungere nuovi traguardi «nell’autocontrollo, nell’autogestione e nell’autocostruzione» (che – nonostante l’Accordo con la Santa Sede sulla nomina dei vescovi – restano le «tre autonomie» da sempre predicate dall’Associazione patriottica ndr). Ha sottolineato al contempo l’esigenza di «migliorare la posizione politica, rafforzare il ruolo guida dei valori socialisti fondamentali, promuovere seriamente una gestione completa e rigorosa della religione, risolvere seriamente i problemi in sospeso che influiscono sulla sana eredità della religione nel nostro Paese e migliorare continuamente il livello di gestione delle comunità religiose».
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