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Economia

JD Vance e i figli di Trump esaltano le criptovalute alla conferenza Bitcoin di Las Vegas

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Il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance ha elogiato Bitcoin e le criptovalute, parlando ieri al Venetian Hotel di Las Vegas davanti a oltre 30.000 partecipanti alla conferenza Bitcoin 2025.

 

A lui si sono uniti Donald Trump Jr. ed Eric Trump, i due figli del Presidente, diventati aperti sostenitori del Bitcoin. Molte importanti figure del mondo delle criptovalute hanno parlato all’evento.

 

«Abbiamo un’opportunità irripetibile per liberare l’innovazione e usarla per migliorare la vita di innumerevoli cittadini americani» ha dichiarato dinanzi al pubblico il Vance. «Se non riusciamo a creare chiarezza normativa ora, rischiamo di inseguire questo settore da 3 trilioni di dollari all’estero, in cerca di un clima favorevole».

 

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Vance si riferiva all’S.954, il BITCOIN Act del 2025, presentato all’attuale Congresso dalla senatrice repubblicana del Wyoming Cynthia Lummis e dal deputato repubblicano dell’Arkansas Nick Begich. Il disegno di legge riconoscerebbe Bitcoin come un asset nazionale strategico e istituirebbe una Riserva Strategica di Bitcoin per sostenere il bilancio nazionale – un’idea ripetuta più volte dallo stesso Trump.

 

Il disegno di legge imporrebbe al Tesoro degli Stati Uniti di acquistare 1 milione di Bitcoin e altre criptovalute in un periodo di cinque anni. Dato che Bitcoin viene scambiato a 108.000 dollari per «moneta», ciò significherebbe che, se il governo degli Stati Uniti acquistasse solo Bitcoin, sborserebbe 108 miliardi di dollari.

 

Le normative sarebbero destinate a garantire alle criptovalute una crescita senza ostacoli. I due figli maggiori di Donald Trump hanno fatto dichiarazioni di fede nel settore: «siamo long [cioè con una posizione di investimento sul lungo termine, ndr] sulle criptovalute», ha detto Don Jr., «sono una parte enorme di tutto ciò che facciamo in questo momento».

 

Il figlio minore Eric Trump ha detto: «odio usare la parola odio, ma onestamente, mi piacerebbe vedere alcune delle grandi banche estinguersi».

 

Come riportato da Renovatio 21, alla conferenza Bitcoin 2024 tenutasi a Nashville, il candidato Donald Trump ha proclamato che avrebbe fatto degli Stati Uniti la «capitale mondiale del Bitcoin». Durante la campagna elettorale divenne il primo candidato della storia ad accettare donazioni in criptovaluta, e ad effettuare una transazione in Bitcoin per acquistare un cheesburgherro.

 

A novembre, dopo la vittoria elettorale di Trump, il Bitcoin ha superato per la prima volta nella sua storia la soglia simbolica dei 100.000 dollari la soglia simbolica dei 100.000 dollari.

 

The Donald aveva inoltre promesso di graziare subito Ross Ulbricht, fondatore del marketplace criminale del dark web Silk Road, ritenuto da molti incastrato dalle autorità per alcuni reati e condannato alla pena, ritenuta da alcuni sproporzionata, dell’ergastolo. Promessa che è stata, come tante altre, mantenuta: Ulbricht è ora un uomo libero.

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L’«industria delle criptovalute» ha annunciato che durante le elezioni del 2024 ha contribuito a oltre 250 membri eletti del Congresso e senatori, rendendo la lobby delle criptovalute il gruppo che ha donato il maggior numero di membri del Congresso.

 

Come riportato da Renovatio 21, il 7 marzo, il presidente Trump aveva convocato un «Crypto Summit» presso la Sala da Pranzo di Stato della Casa Bianca, dove ha parlato di un’«azione storica» ​per promuovere le criptovalute.

 

Il presidente ha nominato l’investitore di venture capital David Sacks come zar dell’Intelligenza Artificiale e delle criptovalute degli Stati Uniti, affidando la politica in questo settore a un sostenitore delle criptovalute. Il pensiero attualmente prevalente a Washington sembra essere di favore nei confronti delle crypto – questo a differenza dei tempi dell’amministrazione Biden, che da subito aveva invece annunciato un giro di vite sul settore.

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Economia

Il conflitto tra Israele e Iran potrebbe interrompere le catene di approvvigionamento del commercio globale

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L’associazione tedesca per il commercio estero (BGA) ha messo in guardia dalle conseguenze di vasta portata dell’ultima escalation tra Israele e Iran per l’economia globale.   «Possiamo già vedere gli effetti del conflitto sul prezzo del petrolio, che sta aumentando», ha dichiarato il responsabile del commercio estero Dirk Jandura ai quotidiani di Funke Mediengruppe il 14 giugno.   La BGA sottolineato che gran parte delle forniture di petrolio passa attraverso lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale viene trasportato circa un quinto della produzione mondiale di petrolio.

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Se l’Iran volesse aumentare la pressione sulla comunità internazionale, potrebbe bloccarla, ha avvertito lo Jandura. A suo avviso, ciò avrebbe un «impatto immediato sulle nazioni industrializzate occidentali» e gli effetti sulla regione potrebbero avere gravi conseguenze anche per l’intera economia globale, in particolare per la Germania in quanto nazione esportatrice.   Un blocco dello Stretto di Hormuz colpirebbe gravemente anche la Cina, cui gli iraniani vendono una cifra vicina ai 3/4 del petrolio estratto nella Repubblica Islamica. Una crisi energetica cinese porterebbe ad un aumento verticale dei prezzi della manifattura cinese, divenuta con la globalizzazione il cardine del Nuovo Ordine instauratosi nell’ultimo quarto di secolo.   La somma della crisi energetica ucraina sommata ad una nuova crisi energetica iraniana potrebbe portare ad una paralisi totale dell’economia mondiale. E quindi, ancora instabilità, violenza, guerra, morte.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Economia

L’Austria chiede la revisione del divieto europeo sul gas russo

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L’UE dovrebbe tenere sul tavolo l’opzione di riprendere le importazioni di gas russo una volta raggiunto un accordo di pace tra Mosca e Kiev, ha dichiarato martedì il ministero dell’energia austriaco al Financial Times.

 

La proposta austriaca, precedentemente avanzata da Ungheria e Slovacchia, giunge mentre la Commissione europea si prepara ad aggirare i veti degli stati membri con un disegno di legge commerciale che vieterebbe qualsiasi nuovo accordo sul gas con la Russia e porrebbe fine agli accordi attuali entro due anni, indipendentemente dall’esito dei colloqui di pace.

 

Bruxelles «deve mantenere la possibilità di rivalutare la situazione» dopo la risoluzione del conflitto in Ucraina, ha dichiarato il ministero austriaco al giornale.

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Secondo quanto riferito a FT da diplomatici a conoscenza delle discussioni, la Segretaria di Stato austriaca per l’energia Elisabeth Zehetner avrebbe supplicato i suoi colleghi dell’UE durante un incontro tenutosi lunedì in Lussemburgo.

 

È la prima volta dall’escalation del conflitto in Ucraina nel febbraio 2022 che un Paese dell’UE diverso da Ungheria e Slovacchia ha pubblicamente manifestato la propria disponibilità a ripristinare i legami del gas con Mosca in caso di raggiungimento di un accordo di pace.

 

L’Italia, classificata dal think-tank Ember come uno dei principali importatori di gas russo nel 2024, ha anche ventilato l’opzione di riprendere le importazioni di gas una volta terminato il conflitto a porte chiuse, sostiene il giornale.

 

I funzionari di Bruxelles si oppongono fermamente a un simile passo. Un potenziale accordo di pace «non dovrebbe portarci a ricominciare a importare gas russo», ha dichiarato lunedì al Financial Times il commissario europeo per l’energia Dan Jorgensen.

 

Nel 2021 il gasdotto russo rappresentava oltre il 40% delle importazioni dell’UE, ma nel 2024 era sceso a circa l’11%. Mosca ha ridotto drasticamente le esportazioni verso l’Unione nel 2022 a seguito delle sanzioni occidentali e del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream.

 

Nonostante ciò, i paesi dell’UE avrebbero speso 927,4 milioni di euro per il gasdotto russo solo lo scorso dicembre, mentre le importazioni di gas naturale liquefatto (GNL) russo ammontavano a 917 milioni di euro. Entrambe le cifre hanno raggiunto il livello più alto dall’inizio del 2023.

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Fino all’anno scorso, l’Austria, paese senza sbocco sul mare, acquistava circa l’80% del suo gas dalla Russia, quando Kiev ha interrotto le forniture tramite i gasdotti ucraini.

 

L’Ungheria e la Slovacchia si sono già opposte in passato all’imposizione di sanzioni alle importazioni di gas russo, che attualmente richiedono l’approvazione unanime di tutti gli Stati membri.

 

Anche il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha criticato la proposta di eliminare completamente il gas russo entro il 2027, definendola «una follia assoluta», avvertendo che potrebbe innescare aumenti dei prezzi dell’energia e minare seriamente la sovranità degli Stati membri dell’UE. Il premier ungherese Viktor Orban si è impegnato a bloccare l’iniziativa.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Austria è dipendente dal gas russo all’80%. Già in passato ha definito «impossibile» rinunciare all’idrocarburo di Mosca.

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Economia

Il Vietnam diventa partner BRICS

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Il Vietnam è entrato a far parte dei BRICS come decimo paese partner, segnando un passo significativo nell’espansione del blocco, ha annunciato sabato il ministero degli Esteri brasiliano.   I BRICS sono stati fondati nel 2009 da Brasile, Russia, India e Cina, a cui si è aggiunto il Sudafrica nel 2010. Il blocco si è poi ampliato includendo Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Indonesia e Iran. I BRICS rappresentano circa il 40% del PIL globale in termini di parità di potere d’acquisto, superando il peso economico combinato del G7, secondo quanto annunciato dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.   «Con una popolazione di quasi 100 milioni di persone e un’economia dinamica profondamente integrata nelle catene del valore globali, il Vietnam si distingue come un attore rilevante in Asia», ha affermato il ministero degli Affari Esteri brasiliano.

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Il ministero ha aggiunto che Hanoi «condivide con i membri e i partner dei BRICS l’impegno per un ordine internazionale più inclusivo e rappresentativo».   Gli altri nove paesi partner del gruppo sono Bielorussia, Bolivia, Kazakistan, Cuba, Malesia, Nigeria, Tailandia, Uganda e Uzbekistan.   L’inclusione di Hanoi come Paese partner gli garantisce l’accesso a iniziative economiche chiave senza diritto di voto formale.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi mesi sono entrate nei brics Nigeria, Tailandia, Indonesia. Cuba ha segnalato il suo interesse. La Serbia si sta muovendo verso un referendum per l’adesione. L’Algeria si è unita alla Nuova Banca per lo Sviluppo BRICS, che già ha prestato centinaia di milioni di dollari al Bangladesh. Il Pakistan ha chiesto di entrare ancora due anni fa. La Bolivia ha partecipato a vari vertici, dai quali è stato escluso il presidente francese Emanuele Macron, che aveva chiesto se poteva esserci anche lui.   Più spinosa la richiesta di adesione turca elaborata negli scorsi mesi: la Turchia, come noto, è un Paese NATO. Forti pressioni sono state rivelate sull’Arabia Saudita per uscire dalla scena BRICS. Arrivato al potere, il presidente dell’Argentina Saverio Milei ha immediatamente fatto uscire Buenos Aires dall’alleanza. Il Messico pure ha annunciato la volontà di rimanere fuori.

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Immagine di Aerra Carnicom via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International   
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