Civiltà
I nostri figli pandemici: malati, violenti, suicidi. Ecco il Signore delle Mosche

Stanno alterando i nostri figli, nel corpo e nell’animo. Li stanno annientando e lo fanno sotto i nostri occhi. E qualcuno pure ringrazia. Qualcun altro dice che va bene così e che bisogna farsene una ragione, la salute val bene qualche sacrificio. Quale salute? Che sacrificio?
Vanno ripetendo, nel mentre, che il COVID non colpisce i più giovani. Non è vero: il ritornello serve solo per convincerci tutti che alla categoria, privilegiata per motivi di età, va intestata la colpa in via preventiva e senza diritto di difesa. È vero invece il contrario, il COVID colpisce soprattutto i più giovani, anzi, probabilmente è stato concepito per loro, per renderli malati, violenti, suicidi. Per annichilire il futuro.
Vanno ripetendo, nel mentre, che il COVID non colpisce i più giovani. È vero invece il contrario, il COVID colpisce soprattutto i più giovani, anzi, probabilmente è stato concepito per loro, per renderli malati, violenti, suicidi. Per annichilire il futuro
Il Signore delle mosche è realtà. E quanti muovono le fila di tutto questo pandemonio infernale non possono fingere di non saperlo, perché nel 1983 sono stati loro stessi ad assegnare il premio più prestigioso e massonico del mondo a William Golding.
Lo scrittore britannico – cui peraltro dobbiamo il nome di Gaia, la divinità econazista che sta assoggettando il pianeta con le sue sacerdotesse autistiche – è noto soprattutto per il romanzo intitolato, appunto, Il Signore delle Mosche. Narra le gesta di alcuni ragazzini britannici naufragati su un’isola disabitata. Da affettati rampolli di boarding school, in breve diventano selvaggi efferati, fino ad adorare la testa di un maiale impalata, dividersi in fazioni e combattersi ferinamente per il controllo del territorio. Dalla civiltà dell’educazione alla barbarie della crudeltà, della sopraffazione e del sangue, dice Golding, è un attimo.
Né ai nostri governanti, né i loro cicisbei intellettuali o camerieri di turno è sovvenuto questo collegamento letterario allo scatenarsi delle risse tra adolescenti programmate sui social, con decine, centinaia di partecipanti invasati che si picchiano per strada senza pietà e senza pudore. È successo a Roma, a Milano, parrebbe anche a Modena. Non sono casi isolati, è un pattern.
Dalla civiltà dell’educazione alla barbarie della crudeltà, della sopraffazione e del sangue, dice Il Signore delle Mosche, è un attimo
Loro, i distributori di banchi a rotelle, acclamati nel circo mediatico, hanno il mandato di distruggere ciò che resta della scuola e lo adempiono egregiamente giocando al gioco dei numeri, dei colori e della bacchetta magica, con cui aprono, chiudono, riaprono a percentuale e sotto condizioni capestro.
E così, tenendola sadicamente appesa al filo del chissà se, chissà quando e chissà come, militarizzano la nuova generazione terminale per ammaestrarla a obbedire a ordini vessatori e demenziali, docilmente, supinamente, senza chiedersi alcun perché, ma dimostrando l’immancabile «senso di responsabilità» capace di riscattarli agli occhi dei benpensanti.
Nel frattempo, la scuola è già morta e i becchini si trastullano col suo cadavere.
L’ondata di violenza giovanile – che non riguarda più bande di ventenni debosciati, ma adolescenti e sinanco bambini – è una conseguenza diretta della sparizione della scuola, e quindi della interazione tra pari nell’ambiente extrafamiliare deputato a essere palestra di vita e di civiltà
L’ondata di violenza giovanile – che non riguarda più bande di ventenni debosciati, ma adolescenti e sinanco bambini – è una conseguenza diretta della sparizione della scuola, e quindi della interazione tra pari nell’ambiente extrafamiliare deputato a essere palestra di vita e di civiltà, luogo della formazione del carattere, della cultura, della socialità, luogo di ordine, di riti e di routine.
Vorrebbero persuaderci che, più che i loro corpi, i cuori dei ragazzi se ne possono stare chiusi in casa ed essere tranquilli e felici. Quando invece, come aveva ben capito Ortega y Gasset, il piccolo essere umano brama, oltre all’esperienza, l’appartenenza: ha l’esigenza profonda di essere parte di un gruppo. E se gli si toglie l’istituzione deputata a transitarlo nel consesso sociale sotto il controllo adulto, allora formerà la tribù e ad essa disperatamente si aggrapperà consacrandosi al demone della violenza che la civiltà è chiamata a esorcizzare.
Assistiamo alla incalzante tribalizzazione dei nostri figli senza muovere un dito. In fin dei conti, senza più nemmeno passare per l’importazione massiva di esseri umani dal continente nero, è la stessa gioventù italiana ad africanizzarsi, precipitando nel gorgo di quell’odio inter-tribale che funesta l’Africa quale piaga endemica.
Se gli si toglie l’istituzione deputata a transitarlo nel consesso sociale sotto il controllo adulto, allora formerà la tribù e ad essa disperatamente si aggrapperà consacrandosi al demone della violenza che la civiltà è chiamata a esorcizzare
Si può dire che la pandemia abbia obliquamente realizzato, con minimo sforzo, quanto desiderava il conte Kalergi, secondo cui «[gli abitanti dei futuri] Stati Uniti d’Europa non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale (…) È necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’élite al potere. L’uomo del futuro sarà di sangue misto. La razza futura eurasiatica-negroide, estremamente simile agli antichi egiziani, sostituirà la molteplicità dei popoli, con una molteplicità di personalità».
La realtà è che il meticciato, per Kalergi, non era che un mezzo.
Ciò che gli interessava era colpire i connotati interiori, psicologici, spirituali del futuro popolo europeo: «Nei meticci si uniscono spesso mancanza di carattere, assenza di scrupoli, debolezza di volontà, instabilità, mancanza di rispetto, infedeltà con obiettività, versatilità e agilità mentale, assenza di pregiudizi e ampiezza di orizzonti». In pratica, la liquefazione della società e della identità, la creazione di individui dei quali è agevole la manipolazione permanente.
Assistiamo alla incalzante tribalizzazione dei nostri figli. Senza più nemmeno passare per l’importazione massiva di esseri umani dal continente nero, è la stessa gioventù italiana ad africanizzarsi, precipitando nel gorgo di quell’odio inter-tribale
L’immagine plastica di questi ragazzini che si spaccano la faccia su appuntamento, dopo averlo stabilito su internet, ci fa capire che siamo dinanzi al virus Kalergi, strumento perfetto e magnifico per la riprogrammazione degli esseri umani secondo la formula massonica del solve et coagula, ovvero la dissoluzione e la ricreazione dell’essere.
Tuttavia, l’aggressività scaturita dalla clausura forzata non si dirige soltanto verso l’esterno, contro il rivale estemporaneo e fluttuante a piacere tra il fronte virtuale e quello materiale. Si scaglia anche contra se.
Al Bambin Gesù hanno lanciato l’allarme, reparto di neuropsichiatria tutto esaurito di piccoli autolesionisti e aspiranti suicidi. Ingressi quotidiani al pronto soccorso. «È come se il male fisico li liberasse dal dolore interiore», dice il dottor Stefano Vicari, spiegando anche come, per cercare la causa principale di tanto disagio, non si debba andare troppo lontano: è la chiusura delle scuole.
L’aggressività scaturita dalla clausura forzata non si dirige soltanto verso l’esterno si scaglia anche contra se: sfoghi improvvisi e apparentemente immotivati; disturbi del sonno; regressione fisica e psichica; rapporti incrudeliti con compagni e professori; masse di ragazzine piombate nell’anoressia
Nei racconti di genitori, si sente molto altro: sfoghi improvvisi e apparentemente immotivati; disturbi del sonno; regressione fisica e psichica; rapporti incrudeliti con compagni e professori; masse di ragazzine piombate nell’anoressia.
Non è notissimo il fatto che il titolo del romanzo di Golding, il Signore delle Mosche, alla fine fu scelto dal più grande poeta del Novecento, T.S. Eliot, all’epoca direttore delle edizioni Faber&Faber.
Eliot considerò troppo astratto il quello presentato dall’autore, Stranger from within («Straniero dal di dentro»). Leggendo la storia dell’idolo suino adorato dai bambini innocenti nel loro processo di metamorfosi in belve sanguinarie, Eliot trovò più consono assegnare al libro uno dei nomi di colui che era altrimenti chiamato anche «Signore della sporcizia e dello sterco»: in ebraico Ba’al zebub, in greco Baal Muian o Beelzeboul. Insomma, Belzebù.
È impossibile non vedere come questo attacco ai nostri figli e alla Civiltà, sferrato con le armi non convenzionali dei virus e dei decreti, non sia opera del Male
È impossibile non vedere come questo attacco ai nostri figli e alla Civiltà, sferrato con le armi non convenzionali dei virus e dei decreti, non sia opera del Male. Ed è uno spettacolo tragico la vista dei suoi luridi servitori, al governo e fra la gente, seduti tronfi e pasciuti nelle loro poltrone di potere usurpato mentre i nostri figli soffrono fino a impazzire nella disperazione e nella brutalità.
Roberto Dal Bosco
Elisabetta Frezza
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Civiltà
Professore universitario mette in guardia dall’«imperialismo cristiano europeo» nello spazio

La preside di scienze sociali della Wesleyan University Mary-Jane Rubenstein, una «filosofa della scienza e della religione» (che è anche affiliata al programma di studi femministi, di genere e sessualità della scuola), afferma di aver notato come «molti dei fattori che hanno guidato l’imperialismo cristiano europeo» siano stati utilizzati in «forme ad alta velocità e alta tecnologia».
La Rubenstein si chiede se «pratiche coloniali» come «lo sfruttamento delle risorse ambientali e la distruzione dei paesaggi», il tutto «in nome di ideali quali il destino, la civiltà e la salvezza dell’umanità», faranno parte dell’espansione dell’uomo nello spazio.
Lo sfruttamento degli altri corpi celesti, quantomeno nel nostro sistema solare, è stata considerata in quanto vi è una ragionevole certezza che su altri pianeti vicini non vi sia la vita, nemmeno a livello microbico. Quindi, che importanza ha se aiutiamo a salvare la Terra sfruttando Marte, Mercurio, la fascia degli asteroidi, per minerali e altre risorse?
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Rubenstein nota che il presidente della Mars Society Robert Zubrin ha sostenuto esattamente questo. In un editoriale del 2020, Zubrin ha attaccato un «manifesto» da un gruppo NASA DEI (diversità, equità e inclusione) che aveva sostenuto «dobbiamo lavorare attivamente per impedire l’estrazione capitalista su altri mondi».
Ciò «dimostra brillantemente come le ideologie responsabili della distruzione dell’istruzione universitaria in discipline umanistiche possano essere messe al lavoro per abortire anche l’esplorazione spaziale», ha scritto lo Zubrin.
Lo Zubrin ha osservato che poiché il gruppo DEI non ha alcun senso su base scientifica, deve ricorrere a «una combinazione di antico misticismo panteistico e pensiero socialista postmoderno» – come affermare che anche se non ci sono prove nemmeno dell’esistenza di microbi su pianeti come Marte, «danneggiarli sarebbe immorale quanto qualsiasi cosa sia stata fatta ai nativi americani o agli africani».
Tuttavia la Rubenstein afferma che varie credenze indigene «sono in netto contrasto con l’insistenza di molti nel settore sul fatto che lo spazio sia vuoto e inanimato».
Tra questi vi sono un gruppo di nativi australiani che affermano che i loro antenati «guidano la vita umana dalla loro casa nella galassia» (e che i satelliti artificiali sono un pericolo per questa «relazione»), gli Inuit che sostengono che i loro antenati vivono in realtà su “corpi celesti” e i Navajo che considerano sacra la luna terrestre.
«Gli appassionati laici dello spazio non hanno bisogno di accettare che lo spazio sia popolato, animato o sacro per trattarlo con la cura e il rispetto che le comunità indigene richiedono all’industria», afferma la Rubenstein.
In effetti, in una recensione del libro di Rubenstein Astrotopia: The Dangerous Religion of the Corporate Space Race, la testata progressista Vox ha osservato che «in effetti, alcuni credono che questi corpi celesti dovrebbero avere diritti fondamentali propri».
Quindi, l’ordine degli accademici è che gli esseri umani dessero priorità alle credenze dei nativi nell’esplorazione dello spazio rispetto a quelle dei cristiani europei?
Dovremmo rinunciare all’estrazione di minerali preziosi da asteroidi, comete e pianeti vicini, perché hanno tutti una sorta di Carta dei diritti «mistica panteistica»?
I limiti posti ai programmi di esplorazione spaziale sono da sempre legati a movimenti antiumanisti che odiano la civiltà – in una parola alla Cultura della Morte.
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Lo stesso Zubrin, ex dipendente NASA frustrato dalla mancanza di un programma per la conquista di Marte e il suo terraforming, ne ha scritto in libri fondamentali come Merchants of Dispair (2013), dove spiega come la pseudoscienza e l’ambientalismo siano di fatto culti antiumani.
Lo Zubrin era animatore della Mars Society, un’associazione dedicata alla promozione dell’espansione su Marte, quando nei primi anni Duemila si presentò ad una serata del gruppo uno sconosciuto, che alla fine lasciò in donazione un assegno con una cifra inusitata per la Society, ben 5.000 dollari: si trattava di Elon Musk.
Il quale, marzianista convinto al punto da realizzare razzi che dice ci porteranno sul pianeta rosso tra quattro anni, è anche uno dei più accesi nemici del politicamente corretto, della cultura woke e soprattutto dell’antinatalismo, oltre che una persona che attivamente, negli anni – lo testimonia la sua costante attenzione per la storia della Roma antica – ha dimostrato di aver compreso il valore, e la fragilità, della civiltà umana.
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Civiltà
L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra

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Civiltà
Tecnologia e scomparsa della specie umana: Agamben su progresso e distruzione

Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.
Quali che siano le ragioni profonde del tramonto dell’Occidente, di cui stiamo vivendo la crisi in ogni senso decisiva, è possibile compendiarne l’esito estremo in quello che, riprendendo un’icastica immagine di Ivan Illich, potremmo chiamare il «teorema della lumaca».
«Se la lumaca», recita il teorema, «dopo aver aggiunto al suo guscio un certo numero di spire, invece di arrestarsi, ne continuasse la crescita, una sola spira ulteriore aumenterebbe di 16 volte il peso della sua casa e la lumaca ne rimarrebbe inesorabilmente schiacciata».
È quanto sta avvenendo nella specie che un tempo si definiva homo sapiens per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico e, in generale, l’ipertrofia dei dispositivi giuridici, scientifici e industriali che caratterizzano la società umana.
Questi sono stati da sempre indispensabili alla vita di quello speciale mammifero che è l’uomo, la cui nascita prematura implica un prolungamento della condizione infantile, in cui il piccolo non è in grado di provvedere alla sua sopravvivenza. Ma, come spesso avviene, proprio in ciò che ne assicura la salvezza si nasconde un pericolo mortale.
Gli scienziati che, come il geniale anatomista olandese Lodewjik Bolk, hanno riflettuto sulla singolare condizione della specie umana, ne hanno tratto, infatti, delle conseguenze a dir poco pessimistiche sul futuro della civiltà. Nel corso del tempo lo sviluppo crescente delle tecnologie e delle strutture sociali produce una vera e propria inibizione della vitalità, che prelude a una possibile scomparsa della specie.
L’accesso allo stadio adulto viene infatti sempre più differito, la crescita dell’organismo sempre più rallentata, la durata della vita – e quindi la vecchiaia – prolungata.
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«Il progresso di questa inibizione del processo vitale», scrive Bolk, «non può superare un certo limite senza che la vitalità, senza che la forza di resistenza alle influenze nefaste dell’esterno, in breve, senza che l’esistenza dell’uomo non ne sia compromessa. Più l’umanità avanza sul cammino dell’umanizzazione, più essa s’avvicina a quel punto fatale in cui progresso significherà distruzione. E non è certo nella natura dell’uomo arrestarsi di fronte a ciò».
È questa situazione estrema che noi stiamo oggi vivendo. La moltiplicazione senza limiti dei dispositivi tecnologici, l’assoggettamento crescente a vincoli e autorizzazioni legali di ogni genere e specie e la sudditanza integrale rispetto alle leggi del mercato rendono gli individui sempre più dipendenti da fattori che sfuggono integralmente al loro controllo.
Gunther Anders ha definito la nuova relazione che la modernità ha prodotto fra l’uomo e i suoi strumenti con l’espressione: «dislivello prometeico» e ha parlato di una «vergogna» di fronte all’umiliante superiorità delle cose prodotte dalla tecnologia, di cui non possiamo più in alcun modo ritenerci padroni. È possibile che oggi questo dislivello abbia raggiunto il punto di tensione massima e l’uomo sia diventato del tutto incapace di assumere il governo della sfera dei prodotti da lui creati.
All’inibizione della vitalità descritta da Bolk si aggiunge l’abdicazione a quella stessa intelligenza che poteva in qualche modo frenarne le conseguenze negative.
L’abbandono di quell’ultimo nesso con la natura, che la tradizione filosofica chiamava lumen naturae, produce una stupidità artificiale che rende l’ipertrofia tecnologica ancora più incontrollabile.
Che cosa avverrà della lumaca schiacciata dal suo stesso guscio? Come riuscirà a sopravvivere alle macerie della sua casa? Sono queste le domande che non dobbiamo cessare di porci.
Giorgio Agamben
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