Economia
Gas naturale, triplicheranno i prezzi europei?
Secondo Rystad Energy, una delle principali società di ricerca sulle materie prime in Norvegia, sostiene che a causa degli eventi in corso potremmo veder triplicare i prezzi del gas naturale liquefatto (GNL) in contesto europeo.
«Semplicemente non c’è abbastanza GNL in giro per soddisfare la domanda. A breve termine, questo renderà l’inverno in Europa rigido» scrive l’analista di Rystad Kaushal Ramesh.
«Ai produttori questo può suggerire che il prossimo boom del GNL è qui, ma arriverà troppo tardi per soddisfare il forte aumento della domanda. Il terreno è pronto per un deficit di offerta sostenuto, prezzi elevati, volatilità estrema, mercati rialzisti e geopolitica del GNL intensificata».
L’analisi norvegese dichiara dunque che l’UE ha un «obiettivo ambizioso di ridurre la dipendenza dal gas russo del 66% entro quest’anno, un obiettivo che si scontra con l’obiettivo dell’UE di ripristinare lo stoccaggio del gas all’80% della capacità entro il 1 novembre».
L’azienda ha affermato che evitare le forniture di gas naturale russo destabilizzerà l’intero mercato globale del gas, che ha avuto una fine anno turbolenta con prezzi alle stelle in tutta Europa a causa della mancanza di forniture.
L’UE sta attualmente riducendo la dipendenza dai gas naturali russi e ha svelato la possibilità di vietare i combustibili fossili russi in toto. Questo porterà solo a ulteriori problemi per l’UE, dove i prezzi potrebbero aumentare ancora.
Secondo il rapporto, nel 2021 sono entrati in Europa 155 miliardi di metri cubi di gas naturale russo, pari a circa il 31% della fornitura gasiera del continente.
«Sostituire una parte significativa di questo sarà estremamente difficile, con conseguenze di vasta portata per la popolazione, l’economia europea e per il ruolo del gas nella transizione energetica della regione», osserva realisticamente l’analisi di Rystad Energy.
Secondo la stessa analisi, dunque, può arrivare il momento in cui le scorte di gas naturale (solo il 35% piene) si possono esaurire entro la fine dell’anno, con il risultato di una triplicazione dei prezzi del gas dai livelli attuali a 100 dollari per milione di unità termiche britanniche (MMBtu).
Un movimento così drammatico dei prezzi del natgas avrebbe enormi implicazioni sull’economia, come «riduzioni industriali», ha affermato Rystad Energy, aggiungendo, «in uno scenario estremo di un inverno molto freddo, nemmeno il settore residenziale sarebbe al sicuro».
Riassume Zerohedge: «Le ambizioni dell’UE di sostituire la dipendenza russa dai combustibili fossili con un’altra fonte avranno un costo che secondo Rystad Energy potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza energetica del continente».
La Germania e l’Italia sono i Paesi europei che saranno più fortemente colpiti, e sono pure praticamente i due Paesi più industrializzati.
Si tratta, per caso, di un grande progetto di de-industrializzazione che finalmente trova il suo sfogo suicida?
Se c’è un fine occulto di questo disastro energetico autoinflitto da ben prima dell’Operazione Z, esso è per caso la distruzione delle capacità produttive umane per imbarbarire e, dopo averla affamata e magari spinta in una guerra sanguinaria, ridurre la popolazione – in una parola, resettarla?
Economia
Le Filippine approvano una nuova criptovaluta per agevolare le rimesse dall’estero
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La Banca Centrale delle Filippine ha dato l’approvazione per il lancio di PHPC, una stablecoin agganciata al peso filippino in modo da ridurne la volatilità. La piattaforma Coins.ph punta a raggiungere tra i 20 e i 30mila utenti nel primo mese. Sono circa 10 milioni i lavoratori all’estero che con la nuova moneta digitale sperano di abbattere i costi di transazione.
Le Filippine hanno approvato l’emissione di un nuovo tipo di criptovaluta, una stablecoin (letteralmente: «moneta stabile») chiamata PHPC che sarà ancorata al peso filippino. Una risorsa che potrebbe abbattere i costi di transazione nell’invio delle rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero.
A differenza delle criptovalute «tradizionali», infatti, il valore delle stablecoin è legato a quello di un asset di riserva stabile. In questo modo la volatilità è ridotta, o meglio, è più prevedibile e misurabile. (…)
Dopo aver ricevuto il via libera dalla Bangko Sentral ng Pilipinas – la Banca centrale – la principale piattaforma di blockchain del sud-est asiatico, Coins.ph, ha annunciato di essere pronta a emettere la criptovaluta PHPC entro l’inizio di giugno per provare a raggiungere, nel primo mese, dai 20 ai 30mila utenti.
Uno degli utilizzi principali per cui è stata pensata la nuova moneta digitale è l’invio di rimesse da parte dei filippini che vivono all’estero, pari a circa 10 milioni in tutto il mondo. Rispetto agli altri canali, come le banche o i cosiddetti «pera padala», enti finanziari locali, l’invio di rimesse tramite criptovalute è più economico e disponibile 24 ore su 24.
La diaspora filippina ha finora utilizzato le stablecoin agganciate al dollaro statunitense, dovendo quindi pagare una serie di tariffe per la conversione in pesos. Con la PHPC questi costi di transazione verrebbero eliminati: «il parente che riceve il denaro non dovrà più convertire i dollari in pesos», ha commentato Wei Zhou, amministratore delegato di Coins.ph, spiegando che da circa un anno il progetto era in discussione con la Banca centrale delle Filippine.
Zhou ha aggiunto che la nuova stablecoin delle Filippine verrà resa disponibile anche in altri exchange di criptovalute (le piattaforme online per il trading), in modo che diventi accessibili anche su altri mercati e permetta l’invio di rimesse da tutto il mondo.
«Si può immaginare che se la PHPC è quotata sui nostri exchange di criptovalute partner, ad esempio in Australia, o a Singapore, o negli Stati Uniti, allora i nostri familiari e possono acquistare la PHPC e inviarla direttamente ai portafogli di Coins.ph», ha commentato Zhou.
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Immagine di jopetsy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Alimentazione
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Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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