Politica
Conferma: l’amministrazione Biden ha definito gli oppositori dei mandati COVID come «estremisti violenti interni»
Documenti recentemente desecretati mostrano che a partire da dicembre 2021, l’amministrazione Biden ha scelto di designare una vasta fascia di americani come «estremisti violenti domestici» semplicemente perché si opponevano all’obbligo di indossare mascherine e vaccinarsi per il COVID-19.
La notizia sensazionale è stata diffusa questa mattina dai giornalisti investigativi indipendenti Michael Shellenberger, Alex Gutentag e Catherine Herridge sui loro account di abbonamento X.
La scioccante designazione «ha creato uno ‘scopo esprimibile’ per l’FBI o altri agenti governativi per avviare una ‘valutazione’ degli individui, che è spesso il primo passo verso un’indagine formale, ha affermato un ex agente dell’FBI», ha riferito il trio.
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«L’idea che l’amministrazione Biden considerasse milioni di americani una minaccia terroristica sembra una teoria del complotto, ma non lo è», ha scritto Shellenberger.
L’FBI, il Dipartimento per la sicurezza interna (DHS) e il Centro nazionale antiterrorismo (NCTC) hanno affermato nel loro rapporto del 2021 che «le critiche ai mandati come ‘narrazioni prominenti’ legate all’estremismo violento», tra cui «la convinzione che i vaccini contro il COVID-19 non siano sicuri, soprattutto per i bambini, fanno parte di una cospirazione governativa o globale per privare gli individui delle loro libertà civili e dei loro mezzi di sussistenza, o sono progettate per dare inizio a un nuovo ordine sociale o politico».
Il rapporto appena desecretato, pubblicato dal direttore dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, si è concentrato sugli americani che «considerano la vaccinazione contro il COVID-19 e l’obbligo di indossare la mascherina come prova di un eccesso di potere da parte del governo».
The idea that the Biden administration viewed millions of Americans as a terrorist threat sounds like a conspiracy theory, but it’s not. Newly declassified documents show that in December 2021, the FBI and DHS labeled opponents of Covid mandates “Domestic Violent Extremists.” pic.twitter.com/9GyQdIoptn
— Michael Shellenberger (@shellenberger) May 23, 2025
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Come riportato da Renovatio 21, l’amministrazione Biden aveva iniziato immediatamente la persecuzione di ogni tipo di dissidenza, etichettando coloro che si opponevano alle restrizioni pandemiche (vaccini, lockdown, mascherine) e genitori di scolari (contrari a indottrinamento su razza e gender) come possibili «domestic terrorists», cioè «terroristi interni».
In pratica, appena installatosi Biden cominciò l’avvio della trasformazione dei dissidenti (attivisti pro-life o anche solo genitori contrari a teoria del gender, obbligo vaccinale, lockdown e mascherine) come «domestic terrorist». Tale shift è comune ad altri Paesi anglofoni, come la Nuova Zelanda.
Le stesse tecniche usate all’estero per combattere il terrorismo islamica, hanno notato molti, sono ora applicate – in maniera più capillare – all’interno del Paese contro cattolici, pro-life e persino consigli di istituto di scuole elementari e medie.
Una slide di un presentazione sul terrorismo tenuta dai membri dell’esercito americano a Fort Liberty (rinominato Fort Bragg) emersa la scorsa estate dimostrava che i funzionari militari dell’amministrazione Biden continuano a insegnare che i loro pacifici oppositori politici sono estremisti violenti, in particolare le organizzazioni pro-life.
Come riportato da Renovatio 21, sotto Biden l’FBI aveva inoltre programmato di infiltrare le messe in latine, perché ritenute fucine di «terrorismo domestico».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Tucker Carlson: Putin è il «leader più popolare al mondo»
🇺🇸🇷🇺 “Putin is one of the most popular leaders in the world” — Tucker Carlson
“Wherever you go, you won’t meet anyone who doesn’t like Putin. Putin is like a global celebrity. I travel a lot, I know what I’m talking about” pic.twitter.com/YguN7ZbXL2 — Lord Bebo (@MyLordBebo) October 27, 2025
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Politica
Costantinopoli, per il sindaco (incarcerato) Imamoglu anche l’accusa di spionaggio
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Dalla cella il leader dell’opposizione definisce il nuovo procedimento è un «complotto» per estrometterlo dalla scena politica. Per analisti e oppositori è un tentativo di governo e AKP – sconfitti alle urne – di assumere il controllo della metropoli. I due volti della Turchia di Erdogan: repressione e carcere per gli oppositori e critici sul fronte interno, mediatore per la pace a Gaza (e in Siria).
Dopo le imputazioni per corruzione e legami con organizzazioni terroristiche, per il sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu – in carcere dal marzo scorso ma pur sempre il principale rivale del presidente Recep Tayyip Erdogan – arriva anche quella di «spionaggio politico».
Un tribunale turco ha emanato un ordine di arresto – emettere un mandato per una persona già in cella è una pratica tutt’altro che inusuale per il Paese – per il primo cittadino della capitale economica e commerciale, segnando un’ulteriore escalation in un’ottica di repressione. Per critici e cittadini scesi in piazza anche oggi a manifestare sfidando i divieti, il nuovo procedimento è un segnale della «politicizzazione» dei tribunali e l’uso ad orologeria della giustizia, accuse respinte dal governo di Ankara che rivendica l’indipendenza dei giudici.
Il sindaco è apparso ieri in tarda mattinata davanti ai giudici del tribunale di Caglayan, per rispondere dei nuovi capi di imputazione a suo carico in un crescendo di attacchi e incriminazioni, mentre all’esterno un migliaio di sostenitori si sono riuniti per manifestare. Dopo diverse ore l’entourage di Imamoglu ha diffuso una nota, ripresa dalla stampa turca, in cui egli respinge le accuse: «non ho assolutamente alcuna conoscenza o connessione con le agenzie di intelligence o i loro dipendenti» bollandole come «assurde» e collegate a una «complotto» per estrometterlo dalla scena politica.
«Sarebbe più realistico dire» ha concluso «che ho incendiato Roma».
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All’esterno del tribunale, il leader del Partito popolare repubblicano (CHP) Ozgul Ozel ha parlato a una folla di sostenitori e simpatizzanti riunita per protestare contro il nuovo procedimento a carico del sindaco, sorvegliati a vista da poliziotti in tenuta antisommossa. «Lo hanno chiamato ladro, non ha funzionato; lo hanno chiamato corrotto, non ha funzionato; lo hanno accusato di sostenere il terrorismo, non ha funzionato» ha detto di Imamoglu il presidente del CHP. «Ora, come ultima risorsa, hanno cercato di chiamarlo spia. Vergogna su di loro!» ha gridato Ozel, anch’egli finito nel mirino della magistratura.
Il 24 ottobre scorso, infatti, il tribunale ha respinto il processo intentato dal governo a carico del principale partito di opposizione (il Partito Popolare Repubblicano, CHP), che mirava all’annullamento del congresso 2023 e all’elezione del suo leader. Una decisione che sembrava aver allentato la morsa voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan contro il principale schieramento rivale, con decine di sindaci e alte personalità del partito finite sotto processo o già condannate.
Per la Corte le (presunte) irregolarità non hanno alcuna rilevanza giuridica. In realtà, a distanza di pochi giorni è giunta la notizia delle nuove accuse contro Imamoglu in un quadro di continua repressione.
Analisti ed esperti sottolineano che il nuovo attacco al primo cittadino sia un tentativo del governo e del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) – sconfitto alle urne – di assumere il controllo di Istanbul, una metropoli dall’importanza strategica. Imamoglu parla di «calunnie, bugie e cospirazioni», ma resta il fatto che le accuse potrebbero consentire al governatore nominato dallo Stato di assumere per via giudiziale la guida della città. Secondo l’analista di GlobalSource Partners Atilla Yesilada il ministero turco degli Interni ha infatti l’autorità di licenziare Imamoglu e sostituirlo con un fiduciario, assestando un colpo durissimo al partito di opposizione.
Del resto già nel settembre scorso, e nel silenzio internazionale, la magistratura – col benestare del governo – ha di fatto azzerato – e commissariato – i capi del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale movimento di opposizione del Paese, a Istanbul.
Inoltre si sono registrati diversi arresti fra quanti sono scesi in piazza a dimostrare, oltre al blocco di internet e il divieto di manifestazioni nel tentativo di «oscurare» dissenso e malcontento fra la popolazione contraria alla deriva autoritaria impressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Il giro di vite è parte di una più ampia campagna che si è intensificata dopo le schiaccianti vittorie dell’opposizione nelle elezioni locali del marzo 2024.
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Dall’ottobre dello scorso anno i pubblici ministeri e la polizia hanno condotto indagini su corruzione e terrorismo che hanno portato a centinaia di arresti, tra cui quello, avvenuto a marzo, del sindaco di Istanbul, la personalità più importante finita in cella. Decine di sindaci e amministratori CHP sono stati incarcerati in attesa di processo, con ripercussioni anche economiche per turbolenze sui mercati e preoccupazione di investitori stranieri, mentre il partito ha trasferito la sede provinciale a Istanbul per sfuggire alla morsa della magistratura.
Se, sul fronte interno, il governo di Ankara e il presidente Erdogan alimentano la repressione contro oppositori e critici, a livello internazionale cercano di capitalizzare il ruolo di attore regionale sul fronte mediorientale e un ruolo nella tregua a Gaza e sulla nascitura forza di stabilizzazione. Un tentativo di rafforzare la propria immagine, ben rappresentato dalla foto a Sharm el-Sheikh in cui Erdogan si ergeva in prima fila accanto al padrone di casa Abdel Fattah al-Sisi e al presidente USA Donald Trump, artefice del piano di pace per la Striscia.
Anche in queste ore Erdogan ha insistito per garantire ad Ankara un ruolo nella risoluzione dei vari scenari di crisi dalla Siria all’Ucraina fino alla Striscia. «Ora vi è una Turchia nella regione e nel mondo» ha affermato il presidente «che è rinomata per la sua promessa di esportare pace e stabilità» in quanto «potenza globale» in una prospettiva di «pace, armonia e stabilità».
Un tentativo di leadership, quello turco, che parla di pace ma non disdegna di mostrare i muscoli: è attesa la visita in Turchia del premier Keir Starmer per discutere della vendita, attualmente in sospeso, di 40 jet Eurofighter Typhoon, che secondo le intenzioni di Erdogan dovrebbero rafforzare la pattuglia dei caccia assieme agli F-16 ed F-35 USA.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Politica
La nuova presidente irlandese è NATO-scettica e contraria alla militarizzazione dell’UE
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