Civiltà
Avete voluto la modernità, ora siate coerenti
«Voi siete la prima generazione che ha preteso l’aria condizionata in ogni sala d’aula; le vostre lezioni sono tutte fatte al computer; avete un televisore in ogni stanza; passate tutta la giornata a usare mezzi elettronici; invece di camminare a scuola prendete una flotta di mezzi privati che intasano le vie pubbliche; siete i maggiori consumatori di beni di consumo di tutta la storia, comperando in continuazione i più costosi capi di abbigliamento per essere trendy; la vostra protesta è pubblicizzata con mezzi digitali e elettronici».
«Ragazzi, prima di protestare, spegnete l’aria condizionata, andate a scuola a piedi, spegnete i vostri telefonini e leggete un libro, fattevi un panino invece di acquistare cibo confezionato. Niente di ciò accadrà, perché siete egoisti, mal educati, manipolati da persone che vi usano, proclamando di avere una causa nobile mentre vi trastullate nel lusso occidentale più sfrenato. Svegliatevi, maturate e chiudete la bocca. Informatevi dei fatti prima di protestare»
«Vi trastullate nel lusso occidentale più sfrenato. Svegliatevi, maturate e chiudete la bocca. Informatevi dei fatti prima di protestare»
Con queste dure e puntuali parole, il giornalista di SkyNews Australia, Andrew Bolt, ha criticato le recenti manifestazioni giovanili di piazza contro il cosiddetto «cambiamento climatico» alla stregua della nuova beniamina rivoluzionaria Greta Thunberg.
Non possiamo che sottoscrivere ogni parola, rimarcando l’assurda quanto puerile ipocrisia che si cela dietro questi movimenti di massa, pilotati secondo copione — come del resto lo è la ragazzina svedese tutta trecce e (supposta) sindrome di Asperger: un vero e proprio modellino sintetico creato ad hoc per i nostri tempi , una Giovanna d’Arco aggiornata all’era in cui l’autismo cresce esponenzialmente fra la popolazione infantile.
Una Giovanna d’Arco aggiornata all’era in cui l’autismo cresce esponenzialmente fra la popolazione infantile
Aggiungiamo che Il leitmotiv del movimento giovanile eco-ambientalista è non solo l’ignoranza generale di una generazione social network che vive distante dai libri, ma altresì la specifica, naturale ignoranza nella materia che si vorrebbe trattare manifestando contro climate change annessi.
Qualche lettore ricorderà certamente le videointerviste realizzate nelle prime piazze della protesta da Il Messaggero, nel marzo scorso. Davanti alla domanda «Cos’è il buco nell’ozono?» si è sentito qualsiasi tipo di risposta, tranne quella esatta. Fanciulli totalmente ignari del problema, senza nemmeno la ben che minima cognizione della causa per la quale erano scesi in piazza.
Il passare del tempo e l’accumulo delle sempre più numerose piazzate non ha certamente migliorato le cose. La realtà è che l’ignoranza è un efficace strumento per pilotare le masse e sterilizzarle.
Lo scenario della piazza ricolma di ragazzini ignoranti che gridano slogan ambientalisti con il placet del neo-ministro all’Istruzione, è il recinto migliore dentro al quale rinchiudere la gioventù, il cui sostegno, negli ultimi anni, l’establishment ha visto assottigliarsi sino a sparire. Rinchiudere, indottrinare, domare: controllare. Riprogrammare.
Il recinto migliore dentro al quale rinchiudere la gioventù, il cui sostegno, negli ultimi anni, l’establishment ha visto assottigliarsi sino a sparire. Rinchiudere, indottrinare, domare: controllare. Riprogrammare
Nessuno degli studenti, come ha affermato il giornalista australiano, rinuncerebbe ai riti della religione consumista e al suo Moloch, l’obsolescenza di ogni prodotto, che va gettato e sostituito.
E se qualcuno dice che i padri di questa generazione hanno responsabilità maggiori, tutto sommato non sbaglia. Perché chi è venuto prima delle masse di giovani belanti ha distrutto ogni ultimo senso di Civiltà che potesse definirsi tale.
E una delle scelte peggiori che hanno fatto è stata quella di distruggere la Civiltà contadina o quantomeno ciò che di essa rimaneva.
Sì, la tanto beffeggiata civiltà contadina, quella che faceva figli «come conigli» (per citare il primo sostenitore della nuova ecoreligione, Jorge Mario Bergoglio), ha tenuto testa, finché ha potuto, alle grigie derive dell’era industriale, quella che ha inquinato la terra, l’etere, il corpo e l’anima.
Hanno voluto abbandonare la terra, lontano dalla famiglia e dal contatto con la natura che rendeva la vita sì faticosa, ma sempre tesa verso l’alto, con lo sguardo fisso sulla terra ma costantemente proiettato verso il Cielo, l’orizzonte per il quale l’uomo è stato posto, propedeuticamente, su due gambe in senso verticale
Hanno voluto la rivoluzione, le industrie e il lavoro meccanico. Hanno voluto abbandonare la terra, portare l’uomo nella città, lontano dalla famiglia e lontano dal contatto con la natura che rendeva la vita sì faticosa, ma sempre e completamente tesa verso l’alto, con lo sguardo fisso sulla terra ma costantemente proiettato verso il Cielo, l’orizzonte per il quale l’uomo è stato posto, propedeuticamente, su due gambe in senso verticale.
Hanno mandato le donne in fabbrica, distruggendo la complementarietà fra uomo e donna e creando i miti del liberismo lavorativo che avrebbe reso tutti «più liberi».
Hanno distrutto l’equilibrio, creando pian piano, fino ad arrivare ad oggi, le novelle generazioni demezial-digitalizzate che non sanno però nemmeno cosa voglia dire correre dietro ad una gallina. Rinchiusi nelle mura urbane, gonfi di televisione e video-giochi, ora i gretini si risvegliano con un innato bisogno primordiale di lotta al «cambiamento climatico» per «proteggere l’ambiente». E noi dovremmo credergli.
Rinchiusi nelle mura urbane, gonfi di televisione e video-giochi, ora i gretini si risvegliano con un innato bisogno primordiale di lotta al «cambiamento climatico» per «proteggere l’ambiente». E noi dovremmo credergli
Nessuno scappa più dalla città né dagli ambienti e dagli elementi che la compongono e la attorniano, perché la città è il segno più evidente di questa società materiale e materialista, dove la natura diventa circoscritta a «parchi naturali» più artificiali che mai.
Il tema del «creato», di cui parla tanto la nuova Chiesa di Bergoglio, diventa l’artifizio più immediato per incentivare il panteismo moderno e amorfo. Esso è per sua stessa natura l’altra faccia della identica medaglia: la nuova «Religione Climatica» in cui il pianeta è esso stesso un dio (Gaia, figura tanto amata da Casaleggio…), il cui giorno di culto e precetto è, ovviamente, il #fridayforfuture.
Ma dormite pure sonni tranquilli: la nostra società sarà la prima legalizzata vittima di questo massivo suicidio assistito della Civiltà.
Moriremo tutti più sani, forse. Sicuramente più scemi.
Moriremo tutti più sani, forse. Sicuramente più scemi.
Cristiano Lugli
Civiltà
Professore universitario mette in guardia dall’«imperialismo cristiano europeo» nello spazio
La preside di scienze sociali della Wesleyan University Mary-Jane Rubenstein, una «filosofa della scienza e della religione» (che è anche affiliata al programma di studi femministi, di genere e sessualità della scuola), afferma di aver notato come «molti dei fattori che hanno guidato l’imperialismo cristiano europeo» siano stati utilizzati in «forme ad alta velocità e alta tecnologia».
La Rubenstein si chiede se «pratiche coloniali» come «lo sfruttamento delle risorse ambientali e la distruzione dei paesaggi», il tutto «in nome di ideali quali il destino, la civiltà e la salvezza dell’umanità», faranno parte dell’espansione dell’uomo nello spazio.
Lo sfruttamento degli altri corpi celesti, quantomeno nel nostro sistema solare, è stata considerata in quanto vi è una ragionevole certezza che su altri pianeti vicini non vi sia la vita, nemmeno a livello microbico. Quindi, che importanza ha se aiutiamo a salvare la Terra sfruttando Marte, Mercurio, la fascia degli asteroidi, per minerali e altre risorse?
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Rubenstein nota che il presidente della Mars Society Robert Zubrin ha sostenuto esattamente questo. In un editoriale del 2020, Zubrin ha attaccato un «manifesto» da un gruppo NASA DEI (diversità, equità e inclusione) che aveva sostenuto «dobbiamo lavorare attivamente per impedire l’estrazione capitalista su altri mondi».
Ciò «dimostra brillantemente come le ideologie responsabili della distruzione dell’istruzione universitaria in discipline umanistiche possano essere messe al lavoro per abortire anche l’esplorazione spaziale», ha scritto lo Zubrin.
Lo Zubrin ha osservato che poiché il gruppo DEI non ha alcun senso su base scientifica, deve ricorrere a «una combinazione di antico misticismo panteistico e pensiero socialista postmoderno» – come affermare che anche se non ci sono prove nemmeno dell’esistenza di microbi su pianeti come Marte, «danneggiarli sarebbe immorale quanto qualsiasi cosa sia stata fatta ai nativi americani o agli africani».
Tuttavia la Rubenstein afferma che varie credenze indigene «sono in netto contrasto con l’insistenza di molti nel settore sul fatto che lo spazio sia vuoto e inanimato».
Tra questi vi sono un gruppo di nativi australiani che affermano che i loro antenati «guidano la vita umana dalla loro casa nella galassia» (e che i satelliti artificiali sono un pericolo per questa «relazione»), gli Inuit che sostengono che i loro antenati vivono in realtà su “corpi celesti” e i Navajo che considerano sacra la luna terrestre.
«Gli appassionati laici dello spazio non hanno bisogno di accettare che lo spazio sia popolato, animato o sacro per trattarlo con la cura e il rispetto che le comunità indigene richiedono all’industria», afferma la Rubenstein.
In effetti, in una recensione del libro di Rubenstein Astrotopia: The Dangerous Religion of the Corporate Space Race, la testata progressista Vox ha osservato che «in effetti, alcuni credono che questi corpi celesti dovrebbero avere diritti fondamentali propri».
Quindi, l’ordine degli accademici è che gli esseri umani dessero priorità alle credenze dei nativi nell’esplorazione dello spazio rispetto a quelle dei cristiani europei?
Dovremmo rinunciare all’estrazione di minerali preziosi da asteroidi, comete e pianeti vicini, perché hanno tutti una sorta di Carta dei diritti «mistica panteistica»?
I limiti posti ai programmi di esplorazione spaziale sono da sempre legati a movimenti antiumanisti che odiano la civiltà – in una parola alla Cultura della Morte.
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Lo stesso Zubrin, ex dipendente NASA frustrato dalla mancanza di un programma per la conquista di Marte e il suo terraforming, ne ha scritto in libri fondamentali come Merchants of Dispair (2013), dove spiega come la pseudoscienza e l’ambientalismo siano di fatto culti antiumani.
Lo Zubrin era animatore della Mars Society, un’associazione dedicata alla promozione dell’espansione su Marte, quando nei primi anni Duemila si presentò ad una serata del gruppo uno sconosciuto, che alla fine lasciò in donazione un assegno con una cifra inusitata per la Society, ben 5.000 dollari: si trattava di Elon Musk.
Il quale, marzianista convinto al punto da realizzare razzi che dice ci porteranno sul pianeta rosso tra quattro anni, è anche uno dei più accesi nemici del politicamente corretto, della cultura woke e soprattutto dell’antinatalismo, oltre che una persona che attivamente, negli anni – lo testimonia la sua costante attenzione per la storia della Roma antica – ha dimostrato di aver compreso il valore, e la fragilità, della civiltà umana.
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Civiltà
L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra
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Civiltà
Tecnologia e scomparsa della specie umana: Agamben su progresso e distruzione
Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.
Quali che siano le ragioni profonde del tramonto dell’Occidente, di cui stiamo vivendo la crisi in ogni senso decisiva, è possibile compendiarne l’esito estremo in quello che, riprendendo un’icastica immagine di Ivan Illich, potremmo chiamare il «teorema della lumaca».
«Se la lumaca», recita il teorema, «dopo aver aggiunto al suo guscio un certo numero di spire, invece di arrestarsi, ne continuasse la crescita, una sola spira ulteriore aumenterebbe di 16 volte il peso della sua casa e la lumaca ne rimarrebbe inesorabilmente schiacciata».
È quanto sta avvenendo nella specie che un tempo si definiva homo sapiens per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico e, in generale, l’ipertrofia dei dispositivi giuridici, scientifici e industriali che caratterizzano la società umana.
Questi sono stati da sempre indispensabili alla vita di quello speciale mammifero che è l’uomo, la cui nascita prematura implica un prolungamento della condizione infantile, in cui il piccolo non è in grado di provvedere alla sua sopravvivenza. Ma, come spesso avviene, proprio in ciò che ne assicura la salvezza si nasconde un pericolo mortale.
Gli scienziati che, come il geniale anatomista olandese Lodewjik Bolk, hanno riflettuto sulla singolare condizione della specie umana, ne hanno tratto, infatti, delle conseguenze a dir poco pessimistiche sul futuro della civiltà. Nel corso del tempo lo sviluppo crescente delle tecnologie e delle strutture sociali produce una vera e propria inibizione della vitalità, che prelude a una possibile scomparsa della specie.
L’accesso allo stadio adulto viene infatti sempre più differito, la crescita dell’organismo sempre più rallentata, la durata della vita – e quindi la vecchiaia – prolungata.
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«Il progresso di questa inibizione del processo vitale», scrive Bolk, «non può superare un certo limite senza che la vitalità, senza che la forza di resistenza alle influenze nefaste dell’esterno, in breve, senza che l’esistenza dell’uomo non ne sia compromessa. Più l’umanità avanza sul cammino dell’umanizzazione, più essa s’avvicina a quel punto fatale in cui progresso significherà distruzione. E non è certo nella natura dell’uomo arrestarsi di fronte a ciò».
È questa situazione estrema che noi stiamo oggi vivendo. La moltiplicazione senza limiti dei dispositivi tecnologici, l’assoggettamento crescente a vincoli e autorizzazioni legali di ogni genere e specie e la sudditanza integrale rispetto alle leggi del mercato rendono gli individui sempre più dipendenti da fattori che sfuggono integralmente al loro controllo.
Gunther Anders ha definito la nuova relazione che la modernità ha prodotto fra l’uomo e i suoi strumenti con l’espressione: «dislivello prometeico» e ha parlato di una «vergogna» di fronte all’umiliante superiorità delle cose prodotte dalla tecnologia, di cui non possiamo più in alcun modo ritenerci padroni. È possibile che oggi questo dislivello abbia raggiunto il punto di tensione massima e l’uomo sia diventato del tutto incapace di assumere il governo della sfera dei prodotti da lui creati.
All’inibizione della vitalità descritta da Bolk si aggiunge l’abdicazione a quella stessa intelligenza che poteva in qualche modo frenarne le conseguenze negative.
L’abbandono di quell’ultimo nesso con la natura, che la tradizione filosofica chiamava lumen naturae, produce una stupidità artificiale che rende l’ipertrofia tecnologica ancora più incontrollabile.
Che cosa avverrà della lumaca schiacciata dal suo stesso guscio? Come riuscirà a sopravvivere alle macerie della sua casa? Sono queste le domande che non dobbiamo cessare di porci.
Giorgio Agamben
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