Persecuzioni
Altro attacco terrorista dei coloni israeliani in Cisgiordania contro un villaggio cristiano

Un gruppo di coloni israeliani ha nuovamente attaccato il villaggio cristiano di Taybeh in Cisgiordania, dando fuoco alle auto, lanciando pietre contro le case e disegnando graffiti intimidatori sui muri nell’ultimo episodio di un assedio in corso contro la città. Lo riporta LifeSite.
Nonostante la recente visita dell’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee a Taybeh, l’ultima città completamente cristiana della Cisgiordania, durante la quale ha condannato la violenza contro la città e ha chiesto «dure conseguenze» per i responsabili, gli aggressori hanno nuovamente colpito il villaggio.
Secondo diverse fonti locali, lunedì mattina presto i coloni israeliani hanno assalito le case con pietre, hanno tentato di darne fuoco a una, hanno minacciato gli abitanti con graffiti e hanno dato fuoco a tre auto, tra cui una appartenente a un giornalista cristiano e una a un membro del consiglio del villaggio.
Molti di lingua ebraica hanno affermato che il graffito appena dipinto a Taybeh, la cui foto è stata pubblicata su X dal cristiano palestinese Ihab Hassan, si traduce come «te ne pentirai».
BREAKING: At 2:30 AM Palestine time, a group of Israeli settlers stormed the Christian village of Taybeh, near Ramallah in the West Bank—setting vehicles on fire, hurling rocks at homes, and spraying hateful graffiti on the walls.
As a result of the attack, two cars were set… pic.twitter.com/rFs35f8pj4
— Ihab Hassan (@IhabHassane) July 28, 2025
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L’ambasciatore tedesco in Israele, Steffen Seibert, ha condannato gli attacchi, affermando lunedì «che l’obiettivo sia un villaggio cristiano o una comunità musulmana, questi coloni estremisti possono rivendicare un mandato divino, ma in realtà sono criminali, estranei a qualsiasi fede autentica». Da notare come le stesse autorità israeliane due anni fa, prima della strage del 7 ottobre, avevano accusato i coloni di «terrorismo» – qualcosa di molto distante dalla realtà attuale, dove essi hanno il sostegno di figure politiche come i ministri Itamar Ben-Gvir e Belazel Smotrich, il quale promuove istituzionalmente i nuovi insediamente e la colonizzazione della stessa Gaza nel segno dell’idea del Grande Israele, mentre si moltiplicano i pogrom contro gli autoctoni.
Anche il Forum dei cristiani di Terra Santa ha rilasciato lunedì una dichiarazione in cui condanna l’attacco terroristico e chiede «un’indagine approfondita da parte di un organismo internazionale neutrale», che i terroristi siano ritenuti responsabili e che vengano presi provvedimenti contro coloro che li istigano.
Il portale di informazione della Santa Sede Vatican News ha riferito che gli aggressori fanno parte di un gruppo estremista israeliano chiamato No’ar HaGva’ot o Hilltop Youth («Gioventù della cima della collina»), noto per aver creato avamposti illegali sul territorio palestinese e per aver commesso violenze contro i palestinesi e la loro terra.
Secondo l’esperto di terrorismo Ami Pedahzur, i giovani di Hilltop aderiscono a una visione del mondo «kahanista» (cioè seguace del pensiero del rabbino Meir Kahane, suprematista ebraico ucciso a Nuova York ad inizio anni Novanta), approvando «la deportazione, la vendetta e l’annientamento dei gentili che rappresentano una minaccia per il popolo di Israele».
Durante il loro ultimo attacco a Taybeh, i coloni israeliani avrebbero appiccato il fuoco nei pressi del cimitero della città e della storica chiesa di San Giorgio (Al-Khadr), uno dei più antichi monumenti religiosi della Palestina.
Padre Bahar Fawadleh, parroco della chiesa di Cristo Redentore a Taybeh, situata a est di Ramallah, ha recentemente affermato: «non viviamo in pace, ma nella paura e nell’assedio quotidiani».
Le aggressioni dei coloni israeliani contro i cittadini della città, che includono incendi dolosi ai raccolti e furti di attrezzature, sono riconosciute dai cristiani locali «come parte di uno sforzo sistematico per strangolarli economicamente e cacciarli via», ha spiegato il sacerdote.
Tali violenze perpetrate da questi coloni terroristi non sono affatto rare in Cisgiordania. Durante l’anno solare 2024, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha registrato circa 1.420 episodi di violenza da parte dei coloni israeliani. «Questi episodi includono l’uccisione di cinque palestinesi, tra cui un bambino, il ferimento di altri 360 palestinesi, tra cui 35 bambini, e la vandalizzazione di oltre 26.100 alberi di proprietà palestinese da parte dei coloni».
Amnesty International ha descritto questi attacchi come «parte di una campagna decennale sostenuta dallo Stato per espropriare, sfollare e opprimere i palestinesi nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, sotto il sistema di apartheid israeliano».
«Le forze israeliane hanno una lunga storia di favoritismi della violenza dei coloni ed è scandaloso che ancora una volta siano rimaste a guardare e in alcuni casi abbiano preso parte a questi brutali attacchi», afferma un rapporto dell’aprile 2024.
I commentatori hanno criticato il governo israeliano per non aver ritenuto responsabili questi coloni per i loro continui e immotivati atti di violenza e terrore contro i palestinesi.
I «coloni» ebrei in Cisgiordania sono spesso associati alla crescente influenza del sionismo religioso, che abbraccia un’ideologia di supremazia ebraica radicale e quindi una giustificazione per gli orrendi crimini violenti di pulizia etnica e genocidio contro il popolo palestinese come mezzo per impossessarsi della Terra Santa e costruire un esclusivo stato etnico ebraico.
Una volta completata la conquista del territorio, mirano a costruire il cosiddetto Terzo Tempio per il sacrificio animale (la famigerata «giovenca rossa») a Gerusalemme e ad accogliere il loro moshiach (il «messia» dei giudei), da cui le loro aspettative sono in stretta sintonia con ciò che le autorità cattoliche si aspettano dall’Anticristo. E da Gerusalemme, questi sionisti religiosi si aspettano che questa figura sottometta tutti gli altri popoli alle leggi di Noè, sconfiggendo il cristianesimo come «idolatria» e persino eseguendo la pena di morte contro i cristiani per questo presunto crimine.
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Le comunità di coloni illegali beneficiano anche di un sostegno finanziario indiretto, costituito da miliardi di dollari dei contribuenti statunitensi che sostengono le forze militari israeliane e contribuiscono così ad aiutare i coloni e gli insediamenti a espandersi efficacemente in Cisgiordania. Anche gli interessi privati americani forniscono fondi significativi per l’ulteriore sviluppo degli insediamenti illegali, dei gruppi paramilitari e delle unità dell’IDF che operano a Gaza e in Cisgiordania.
Nel luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione militare israeliana, durata 58 anni, di territori palestinesi riconosciuti a livello internazionale era illegale ai sensi del diritto internazionale. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dato seguito a questa sentenza a settembre, approvando a larga maggioranza una risoluzione che chiede a Israele di porre fine all’occupazione illegale di questi territori, compresa l’evacuazione degli insediamenti in Cisgiordania, entro 12 mesi.
Le voci unanimi e costanti dei vescovi cattolici e ortodossi della regione hanno definito l’occupazione illegale di questi territori palestinesi da parte di Israele come l’aggressione «alla radice» del conflitto, un «peccato» continuo che deve essere contrastato e a cui si deve porre rimedio se si vuole che ci sia una qualche speranza di pace nella regione.
Come riportato da Renovatio 21, per i cristiani questi anni, anche prima della guerra tra lo Stato Giudaico e Hamas e i relativi massacri, sono stati puntellati da quantità di attacchi senza precedenti.
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Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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