Cina
Protagonista della finanza cinese scomparso da mesi
Bao Fan, il «re delle M&A» cinesi, ossia i processi di fusione e acquisizione societaria in atto nel settore della finanza della Repubblica Popolare, è scomparso da oltre 50 giorni, provocando onde d’urto negli ambienti finanziari e politici del Paese. Lo riporta Epoch Times.
Il 3 aprile, China Renaissance Group, la società fondata da Bao nel 2005, aveva annunciato un’interruzione delle negoziazioni, sospendendo le negoziazioni dalle 9:00 di quel giorno. Anche il rilascio della sua relazione annuale sulla performance per il 2022 è stato rinviato in quanto i revisori non possono emettere una relazione di revisione in assenza del Bao, che dell’azienda è presidente, direttore esecutivo, CEO oltre che azionista di controllo.
Il 16 febbraio, il consiglio di amministrazione di China Renaissance Group aveva annunciato di non essere in grado di contattare Bao. Il 26 febbraio aveva quindi rivelato che il 53enne fondatore stava «collaborando» alle indagini delle autorità.
Nel 2015, China Renaissance Group ha facilitato quattro importanti fusioni e acquisizioni nel settore di Internet in Cina: la fusione dei giganti stile Uber Didi e Kuaidi, la fusione dei siti di annunci 58.com e Ganji.com, la fusione della piattaforma di e-commerce di lifestyle Meituan e il sito di recensioni online Dianping e la fusione delle agenzie di viaggio online Ctrip e Qunar.
Da allora, il Bao è stato coinvolto in quasi tutti i principali finanziamenti, fusioni e acquisizioni e operazioni di IPO nel settore Internet cinese. In tutto, China Renaissance Group ha mediato 439 transazioni pubbliche con 727 diversi investitori dal 2014 al 2021, inclusi numerosi grandi nomi. Ciò ha fatto sì che il Bao ottenesse il titolo di «re delle M&A» del Regno di Mezzo.
La vicenda ha radici e ramificazioni non ancora chiarissime, ma di cui si intravede la rilevanza. Il giorno dopo la scomparsa di Bao, Liu Liange, presidente, direttore esecutivo e capo del Partito Comunista Cinese (PCC) presso la Bank of China, è stato rimosso dalle sue posizioni. Un mese dopo, Bank of China ha affermato che Liu si era «volontariamente» dimesso. Il 31 marzo, la Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare ha annunciato che Liu era sotto inchiesta per gravi violazioni della legge.
Il Liu aveva lavorato nel sistema bancario cinese dagli anni ’90, ricoprendo posizioni chiave, tra cui 11 anni presso la China Exim Bank e successivamente come capo del partito e presidente della Bank of China. Secondo fonti di alcuni siti che si occupano di finanza cinese, i casi Bao e Liu sarebbero connessi, anche se non è esattamente chiaro come.
Il leader cinese Xi Jinping sta «disciplinando» il settore finanziario in Cina, con dozzine di cambi di personale osservati quest’anno in posizioni dirigenziali bancarie.
Secondo la Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare del PCC, nei primi tre mesi del 2023 sono stati indagati almeno dieci dirigenti di alto livello del settore finanziario cinese. Una settimana dopo la scomparsa di Bao, il 23 febbraio la Commissione centrale per l’ispezione disciplinare ha pubblicato un articolo che menzionava la parola «finanza» 16 volte.
L’articolo affermava che la commissione mirava a eliminare i «rischi politici», rompere la mentalità dell’«élite finanziaria» e dell’«occidentalizzazione», rettificare le «regole non dette» dell’industria, eliminare la mentalità di impunità e indagare su questioni come come gli «azionisti ombra» (Yǐngzi dǒngshì, detti anche «direttori ombra») e le «porta girevoli» tra istituzioni e istituti.
Sullo sfondo del giro di vite di Xi un’economia cinese continua a declinare e un deficit fiscale che si aggrava, nonché una crisi del debito possono scoppiare in qualsiasi momento. Pertanto, Xi sta agendo nel sistema finanziario, cercando di alleviare la situazione, tentando di evitare collassi sistemici come quello dell’immobiliare presentatosi pochi mesi fa, o quello possibile, più sottotraccia, per l’agricoltura.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina è teatro di una strana faida finanziaria tra il massimo fondo del pianeta, BlackRock, che supporterebbe il regime cinese , e il megaspeculatore globale George Soros, che non perde occasione per attaccare con veemenza il presidente cinese.
L’altro caso di magnate cinese sparito per lungo tempo è quel del fondatore di Alibaba Jack Ma, assai popolare anche in Occidente, sparito dalla circolazione per mesi e mesi due anni fa.
Cina
Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.
Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.
Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.
Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.
A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.
«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».
L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.
«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».
Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.
«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».
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Cina
Storie di utero in affitto in Cina
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Questa storia nasce dall’intersezione tra la politica cinese del figlio unico, l’assenza volontaria di figli, la maternità surrogata e le norme tradizionali di pietà filiale.
Come riportato dal South China Morning News, un uomo di Yiyang, nella provincia di Hunan, nella Cina centrale, desiderava disperatamente un nipote. Ma sua figlia, 29 anni, ha rifiutato di avere figli o di sposarsi. Così, all’insaputa della moglie, ha organizzato tramite un’agenzia una studentessa universitaria come madre surrogata. Era impregnata del suo stesso sperma.
Sua moglie è tornato a casa un giorno nel 2022 e trovò una tata con un bambino. Lo sconosciuto disse alla moglie che la bambina apparteneva a lei e a suo marito. E infatti, poiché il marito aveva rubato la carta d’identità della moglie, lei e il marito erano stati registrati come genitori del bambino.
La moglie infuriata ha detto ai media: «Mio marito ha detto [a mia figlia]: “La tua scelta significa che non sarò mai nonno. Che senso ha crescerti? Non avere un bambino significa non essere filiale, secondo la cultura tradizionale cinese”». Ora minaccia di divorziare da lui.
Anche la figlia è sconvolta. Lei sostiene che suo padre è del tutto incapace di allevare un figlio da solo. Teme di essere legalmente obbligata ad allevare lei stessa il bambino se i suoi genitori procedessero con il divorzio.
L’orgoglioso padre è ignaro dell’opposizione della sua famiglia. Il suo commento è stato che, poiché la bambina era così carina e sana, la prossima volta avrebbe potuto chiedere all’agenzia di maternità surrogata un maschio.
Michael Cook
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