Economia
Il fondatore di Alibaba Jack Ma è scomparso da 2 mesi
Bass sosteneva che Ma era sopravvissuto alla sua utilità e che Pechino non avrebbe mai tollerato un miliardario con così tanto potere e influenza, sia in patria che in Occidente. L’investitore americano si era sbagliato di pochi mesi.
Yahoo Finance ora dice che nessuno ha visto Ma in pubblico da almeno due mesi
Ora sembra che la stampa occidentale si sia appena resa conto del fatto che nessuno ha visto Jack Ma negli ultimi due mesi. La scorsa notte a New York, Yahoo Finance ha finalmente battuto la notizia: Jack Ma è ufficialmente «scomparso».
Il Financial Times ha riferito pochi giorni fa che Ma era stato bruscamente sostituito da un dirigente di Alibaba per la registrazione del finale della sua trasmissione Africa’s Business Heroes. Di più: la sua fotografia è stata rimossa dalla pagina web dei giudici del talent show ed è stato chiaramente escluso da un video promozionale.
Yahoo Finance ora dice che nessuno ha visto Ma in pubblico da almeno due mesi.
Ma aveva criticato con leggerezza alcuni aspetti del quadro normativo cinese, sostenendo che soffocava l’innovazione.
Ma aveva criticato con leggerezza alcuni aspetti del quadro normativo cinese, sostenendo che soffocava l’innovazione.
Il lancio in borsa della società spinoff di Ant Financial (una consociata finanziaria di Alibaba) pareva segnare l’inizio di una spinta «anti-monopolio» contro i giganti tecnologici cinesi che ha martellato le loro azioni (nei mercati continentali e all’estero) e ha ispirato seri preoccupazioni per un’acquisizione da parte dello stato del settore tecnologico fino ad allora indipendente (anche se certamente sottomesso).
A seguito di questa quotazione in borsa rovinata, il Partito Comunista Cinese ha ordinato ad Ant Financial di ritirarsi da alcune delle sue attività come parte di una sorta di piano di «rettifica» per impedire all’azienda di crescere ulteriormente.
Il Partito Comunista Cinese ha ordinato ad Ant Financial di ritirarsi da alcune delle sue attività come parte di una sorta di piano di «rettifica» per impedire all’azienda di crescere ulteriormente
Molti temono che misure simili possano essere imposte ad altri giganti tecnologici cinesi come Tencent e JD.com.
Ovviamente, l’intero episodio rispecchia una spinta anti-trust contro i giganti tecnologici americani lanciata attraverso una serie di cause civili nei tribunali americani presentate dal Dipartimento di Giustizia USA e dai procuratori generali di molti stati.
È stato riferito che Ma è un membro del Partito Comunista. Questo, ovviamente, non lo renderebbe immune all’azione penale. In effetti, potrebbe essere usato come scusa per aumentare la punizione che potrebbe ricevere. Inoltre, tutto questo sta accadendo mentre l’UE sta portando avanti un accordo commerciale storico che integrerebbe ulteriormente la sua economia con quella cinese.
Tutto questo sta accadendo mentre l’UE sta portando avanti un accordo commerciale storico che integrerebbe ulteriormente la sua economia con quella cinese
Alibaba Group è la piattaforma di commercio tra aziende più grande al mondo. Ha attualmente (dati del primo quarto 2020) circa 117600 dipendenti e un fatturato di 65 miliardi, con quasi 13 miliardi di utile.
Ovunque egli sia, ricordiamo Jack Ma, un ex guida turistica della città d’arte Hangzhou concome unica competenza la conoscenza della lingua inglese, come una persona carismatica e determinata, capace davvero di fornire ispirazione, come si vede in questo video girato agli albori del suo progetto, dove pur in una cornice di povertà egli dettagliava il piano di espansione con immensa lucidità.
Immagine del World Trade Organization via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Economia
Oro, il Mali sequestra le riserve della seconda compagnia aurifera del mondo
Il governo del Mali ha sequestrato circa 245 milioni di dollari in azioni aurifere della canadese Barrick Gold, la seconda più grande società mineraria d’oro al mondo, nella miniera di Loulo-Gounkoto. Lo riporta EIRN.
Il governo maliano ha accusato la Barrick di dover al Paese 5,5 miliardi di dollari in royalties. L’anno scorso hanno arrestato quattro dirigenti della società mineraria e hanno emesso un mandato di arresto per il CEO della Barrick, Mark Bristow. Dopo che il governo maliano ha eseguito un ordine provvisorio per sequestrare le riserve aurifere l’11 gennaio, la Barrick ha annunciato di aver sospeso temporaneamente le operazioni a Loulo-Gounkoto, in una dichiarazione sul sito web aziendale.
Il Mali, che è il terzo produttore di oro in Africa, ha emanato nuove regole minerarie poiché cerca una quota maggiore di entrate dai minatori stranieri. Il sito di Loulo-Gounkoto contiene circa 4 tonnellate metriche di oro, valutate a quasi 380 milioni di dollari, secondo stime interne, e rappresenta circa il 14% della produzione di oro prevista dalla Barrick per il 2025, e riduce i suoi guadagni dell’11%.
Le azioni della Barrick sono scese dell’1,8% il 13 gennaio alla diffusione della notizia.
Mali, Burkina Faso e Niger hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) per migliorare la sicurezza e la cooperazione economica e alla fine trasformarsi in una confederazione. Burkina Faso, il quarto produttore di oro in Africa, e Niger, uno dei maggiori produttori di uranio al mondo, stanno tutti esaminando i contratti di estrazione negoziati dai governi precedenti.
Il Mali aveva precedentemente chiesto circa 500 milioni di dollari di tasse non pagate a Barrick, hanno riferito fonti all’agenzia Reuters. Barrick nega qualsiasi illecito.
Il rapporto trimestrale sugli utili della società afferma che ha pagato 85 milioni di dollari al governo maliano in ottobre.
In Mali negli scorsi mesi, ha riportato Le Monde, sarebbero stati addestrati miliziani Tuareg dalle forze di Kiev, intente a limitare l’oramai straripante influenza russa in Africa. Il Mali ha interrotto da mesi i rapporti diplomatici con Kiev.
Il Mali ha di fatto annullato i rapporti con la Francia un anno fa.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa il Mali aveva accusato la Francia di addestrare i terroristi che dice di combattere con le sue operazioni militari nell’area, alle quali, va ricordato, ha partecipato talvolta anche l’esercito italiano.
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Immagine di Timm Guenther via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
I prezzi mondiali del petrolio aumentano a causa delle ultime sanzioni alla Russia
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Alimentazione
Ramen verso i 1000 yen: la crisi del «piatto economico» giapponese
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’aumento dei costi di ingredienti e manodopera sta mettendo in crisi i conti dei ristoratori di quello che è il cibo popolare per eccellenza in Giappone. Secondo i dati di Teikoku Databank il 34% ha registrato perdite nello scorso anno fiscale. Rincari nei listini ormai inevitabili, anche se molti giapponesi non sembrano disposti a spendere di più per una ciotola dio ramen.
I ramen sono sempre di più uno dei piatti simbolo del Giappone in tutto il mondo. Una combinazione di noodle, dashi (brodo), tare (salsa) con l’aggiunta di grasso o olio e diversi ingredienti: piatto popolare, completo e soprattutto molto economico. Nella loro terra d’origine, però, l’aumento dei prezzi del 2024 sta creando i problemi ai tantissimi ristoranti che nel Paese del Sol Levante propongono questa specialità, ciascuno con le specificità della propria regione.
A rilevarlo è Teikoku Databank, compagnia fondata nel 1900 con l’obiettivo di «proteggere le aziende dalle frodi» e che detiene oggi il più ampio database aziendale del Giappone. Tra i ristoranti di ramen i bilanci in passivo di almeno 10 milioni di yen lo scorso anno sono aumentati di oltre il 30%, raggiungendo quota 72, rispetto ai 53 del 2023. A pesare non è solo il costo delle materie prime e dei servizi: c’è anche l’aumento delle spese per il personale a causa della carenza di manodopera, accompagnata dall’inarrestabile inverno demografico, che nel 2023 ha toccato il minimo storico.
A causare l’alto numero di insolvenze è anzitutto il mantenimento dell’economicità dei ramen nonostante gli aumenti. Il prezzo medio di una ciotola di ramen è difatti ancora inferiore ai 700 yen (circa 4 euro), secondo Teikoku Databank. Ma con i costi degli ingredienti del 2024 che, a ottobre, sono aumentati in media di oltre il 10 per cento rispetto al 2022, le aziende si trovano a dover avvicinare i prezzi alla soglia dei 1000 yen (circa 6 euro). Sebbene resti un prezzo basso rispetto a molte altre opzioni culinarie, il suo superamento è visto come un colpo all’immagine di questo cibo popolare, che potrebbe allontanare i clienti.
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Takatoyo Sato, gestore del ristorante Menkoi Dokoro Kiraku nel quartiere degli affari Shimbashi di Tokyo, ha dichiarato all’agenzia giapponese Kyodo News di aver aumentato i prezzi per l’ultima volta nel maggio 2024. Il più popolare tra la sua clientela locale è il ramen shoyu con brodo a base di salsa di soia a 950 yen, in aumento rispetto ai 780 yen del 2021.
«Non potevo più evitare di aumentare i prezzi, altrimenti saremmo andati in rosso», ha detto il 52enne durante una pausa tra il servizio del pranzo e della cena, in uno dei turni di 17 ore che svolge sei giorni alla settimana.
Circa il 34% dei 350 ristoranti di ramen intervistati da Teikoku Databank ha segnalato di aver registrato perdite nel corso dell’anno fiscale 2023. Sato ha raccontato che la scelta di aumentare i prezzi non è stata ben accolta da molti clienti abituali. «Abbiamo perso una parte della clientela. Anche se non lo ammettono apertamente, molti pensano che, in fondo, siano solo ramen… Ma questa visione cambierà», ha dichiarato, riferendosi al rincaro dei costi necessari per offrire anche questo cibo.
Nel frattempo, alcuni consumatori iniziano a modificare il loro punto di vista. Munayoshi Suzuki, un 34enne di Tokyo, ha espresso l’opinione che i clienti siano stati «viziati» dai prezzi contenuti e che ormai i ramen sono considerati un bene superfluo, alla stregua di alcol o sigarette.
Guardando al 2025, Teikoku Databank prevede che i fallimenti potrebbero continuare, con le piccole e medie imprese probabilmente più restie rispetto alle grandi catene a ritoccare i prezzi dei menu. Anche Sato si dice scettico sulla possibilità di convincere i clienti a spendere di più.
«Non ci resta che sperare che i costi non continuino a salire anche quest’anno», conclude.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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