Economia
Virus, il bavaglio di Pechino ai propri scienziati
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews
La censura di Stato vanifica l’indagine OMS sulle origini del coronavirus. Ricercatori cinesi istruiti dal regime su come trattare il tema della pandemia. Vietato lo scambio d’informazioni con l’estero. Ritirati gli studi non autorizzati. Un altro duro colpo alla credibilità scientifica del Paese.
Il direttore OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha sollevato la necessità di nuovi studi per escludere che la pandemia abbia avuto origine da un laboratorio di Wuhan
La richiesta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di una nuova indagine in Cina sulle origini del COVID-19 riaccende i riflettori della comunità internazionale sull’integrità della ricerca scientifica cinese. Presentando i risultati finali della missione investigativa dell’OMS a Wuhan, dove il coronavirus è apparso alla fine del 2019, il direttore dell’organizzazione Tedros Adhanom Ghebreyesus ha sollevato la necessità di nuovi studi per escludere che la pandemia abbia avuto origine da un laboratorio della capitale dell’Hubei.
Tedros ha chiesto a Pechino di condividere in modo più completo e tempestivo le informazioni richieste. Ciò richiede un confronto maggiore tra gli esperti indipendenti dell’OMS e gli scienziati cinesi. Il problema è che sin dallo scoppio dell’emergenza sanitaria la Cina ha silenziato i propri ricercatori.
Il regime ha fatto lo stesso con tutti i cittadini che hanno lanciato l’allarme sanitario agli albori della crisi o che hanno tentato di fare luce sull’accaduto. Fra loro Li Wenliang, il medico poi morto per il COVID, o la dottoressa Ai Fen, prima scomparsa e poi allontanata dal lavoro. La blogger Zhang Zhan e altri giornalisti sono finiti in prigione per i loro reportage da Wuhan. Il giurista Xu Zhangrun è caduto in disgrazia per aver criticato la gestione della pandemia da parte di Xi Jinping; per la stessa denuncia, l’avvocato per i diritti umani Xu Zhiyong si trova in carcere con l’accusa di sovversione.
La censura di Stato sulle origini del COVID risulta da una circolare del 25 febbraio 2020 che informa i ricercatori cinesi che ogni nuovo progetto di ricerca deve essere «avallato e approvato»
La censura di Stato sulle origini del COVID risulta da una circolare del 25 febbraio 2020, finita poi nelle mani dall’Associated Press. Essa informa i ricercatori cinesi che ogni nuovo progetto di ricerca deve essere «avallato e approvato» a livello centrale dalla Commissione sanitaria nazionale.
La direttiva vieta agli scienziati di passare «informazioni sull’epidemia da COVID-19», oltre che dati, campioni biologici e agenti patogeni legati alla stessa ad altre istituzioni o individui. La circolare governativa ordina anche che gli articoli sul tema presentati alle riviste scientifiche, o pubblicati come anticipazioni, senza autorizzazione Statale fossero ritirati in tempi rapidi e riscritti secondo le nuove indicazioni.
Un caso eclatante di ritiro ha riguardato uno studio anticipato su ResearchGate da Botao Xiao e Lei Xiao, due biologi dell’università tecnologica della Cina meridionale. Nel loro lavoro, Botao e Lei scrivevano che a 280 metri dal mercato umido di Huanan (a Wuhan) si trovano due laboratori: rivedendo la storia delle due strutture, gli autori ipotizzavano che con ogni probabilità il coronavirus aveva avuto origine da uno di essi.
Un caso eclatante di ritiro ha riguardato uno studio anticipato su ResearchGate da Botao Xiao e Lei Xiao, due biologi dell’università tecnologica della Cina meridionale. Nel loro lavoro, Botao e Lei scrivevano che a 280 metri dal mercato umido di Huanan (a Wuhan) si trovano due laboratori
L’articolo, riporta Le Monde, è scomparso dal web, così come i profili dei due ricercatori su ResearchGate. Il quotidiano francese ricorda un avvertimento contenuto nella circolare statale, che «chiunque violi le linee guida sarà trattato con severità».
La repressione della libera ricerca universitaria sul coronavirus assesta un altro duro colpo alla credibilità internazionale della produzione scientifica cinese.
Secondo un’indagine pubblicata ieri su Nature, da gennaio 2020 giornali scientifici di diversa origine hanno ritirato 370 articoli di produzione cinese. L’accusa nei confronti degli autori è di plagio o di aver presentato dati e informazioni false.
Di recente le autorità di Pechino hanno scagionato alcuni scienziati dall’accusa di cattiva condotta. L’indagine era scattata dopo le denunce di falsificazione arrivate dalla comunità scientifica straniera.
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Economia
Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani
Il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe rinunziando alla sua speciale tecnologia «Just Walk Out» che permetteva ai clienti di mettere la spesa nella borsa e lasciare il negozio senza dover fare la fila alla cassa. Lo riporta The Information, testata californiana che si occupa del business della grande tecnologia.
La tecnologia, disponibile solo nella metà dei negozi Amazon Fresh, utilizzava una serie di telecamere e sensori per tracciare ciò con cui gli acquirenti lasciavano il negozio. Tuttavia, secondo quanto si apprende, invece di chiudere il ciclo tecnologico con la pura automazione e l’intelligenza artificiale, l’azienda ha dovuto fare affidamento anche su un esercito di oltre 1.000 lavoratori in India, che fungevano da cassieri a distanza.
Di questo progetto denominato «Just Walk Out» – uno stratagemma di marketing per convincere più clienti a fare acquisti nei suoi negozi, minando attivamente il mercato del lavoro locale – forse non ne sentiremo la mancanza.
Nel 2018 Amazon ha iniziato a lanciare il suo sistema «Just Walk Out», che avrebbe dovuto rivoluzionare l’esperienza di vendita al dettaglio con l’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Diverse altre società, tra cui Walmart, hanno seguito l’esempio annunciando negozi simili senza cassiere.
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Tuttavia più di cinque anni dopo, il sistema sembra essere diventato sempre più un peso. Stando sempre a quanto riportato da The Information, la tecnologia era troppo lenta e costosa da implementare, con i cassieri in outsourcing che avrebbero impiegato ore per inviare i dati in modo che i clienti potessero ricevere le loro ricevute.
Oltre a fare affidamento su manodopera a basso costo e in outsourcing e invece di pagare salari equi a livello locale, le critiche hanno anche messo in dubbio la pratica di Amazon di raccogliere una quantità gigantesca di dati sensibili, compreso il comportamento dei clienti in negozio, trasformando una rapida visita al negozio in un incubo per la privacy, scrive Futurism.
L’anno scorso, il gruppo di difesa dei consumatori Surveillance Technology Oversight Project, aveva intentato un’azione legale collettiva contro Amazon, accusando la società di non aver informato i clienti che stava vendendo segretamente dati a Starbucks a scopo di lucro.
Nonostante la spinta aggressiva nel mercato al dettaglio, l’impatto dei negozi di alimentari di Amazon negli Stati Uniti, è ancora notevolmente inferiore a quella dei suoi concorrenti quali Walmart, Costco e Kroger, come sottolinea Gizmodo.
Invece di «Just Walk Out», Amazon ora scommette su scanner e schermi incorporati nel carrello della spesa chiamato «Dash Carts». Resta da vedere se i «Dash Carts» si riveleranno meno invasivi dal punto di vista della privacy dei dati.
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Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Economia
FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»
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Economia
La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari
Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.
Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.
Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.
Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.
L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.
Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.
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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.
Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.
Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.
I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.
Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.
Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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