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Geopolitica

Victoria Nuland si dimette. La sua storia di morte e distruzione non verrà dimenticata

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Si è dimessa Victoria Nuland, il sottosegretario del dipartimento di Stato USA considerabile come la grande pupara dietro alla catastrofe ucraina degli ultimi dieci anni sfociata nella guerra cruenta che ha ucciso centinaia di migliaia di persone. La notizia, che è di grande portata, è stata data pochi minuti fa da un comunicato firmato dallo stesso segretario di Stato Anthony Blinken comparso sul sito governativo del dicastero degli Esteri statunitense.

 

«Victoria Nuland mi ha fatto sapere che intende dimettersi nelle prossime settimane dalla carica di Sottosegretario di Stato per gli affari politici, un ruolo in cui ha incarnato l’impegno del presidente Biden a riportare la diplomazia al centro della nostra politica estera e a rivitalizzare l’economia e la leadership globale dell’America in un momento cruciale per la nostra Nazione e il mondo» scrive il Blinken, che attacca quindi a chiamare la Nuland (vero cognome «Nudelman») con l’affettuoso diminutivo «Toria».

 

«Il mandato di Toria corona tre decenni e mezzo di straordinario servizio pubblico sotto sei presidenti e dieci segretari di Stato. A partire dal suo primo incarico come funzionario consolare a Guangzhou, in Cina, Toria ha ricoperto la maggior parte dei lavori in questo dipartimento. Funzionario politico e funzionario economico. Portavoce e capo dello staff. Vice segretario aggiunto e vice segretario. Inviato Speciale e Ambasciatore. Queste esperienze hanno dotato Toria di una conoscenza enciclopedica di un’ampia gamma di questioni e regioni e di una capacità senza pari di utilizzare l’intero kit di strumenti della diplomazia americana per promuovere i nostri interessi e valori».

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«Ciò che rende Toria davvero eccezionale è la feroce passione che mette nel combattere per ciò in cui crede di più: libertà, democrazia, diritti umani e la capacità duratura dell’America di ispirare e promuovere quei valori in tutto il mondo. Questi erano i principi che guidavano Toria quando ci incontrammo per la prima volta più di 30 anni fa. Sono gli stessi principi che ha portato nel suo lavoro di Sottosegretario e di Vice Segretario di Stato ad interim – un ruolo che ha ricoperto senza interruzioni per sette mesi».

 

«Negli ultimi tre anni, Toria ha guidato questo Dipartimento su tutto, dall’affrontare le crisi complesse nel Sahel, ad Haiti e nel Medio Oriente, all’ampliamento e al rafforzamento delle alleanze e dei partenariati americani in tutta Europa e nell’Indo-Pacifico».

 

Le parole di circostanza, tuttavia, lasciano il posto al tema centrale della carriera di «Toria»: l’Ucraina, cioè la guerra alla Russia.

 

«È proprio la leadership di Toria sull’Ucraina che i diplomatici e gli studiosi di politica estera studieranno negli anni a venire» assicura Blinken, anche lui discendente di ebrei fuggiti dall’Ucraina.

 

«I suoi sforzi sono stati indispensabili per affrontare l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte di Putin, schierando una coalizione globale per garantire il suo fallimento strategico e aiutando l’Ucraina a lavorare verso il giorno in cui sarà in grado di reggersi con forza sulle proprie gambe – democraticamente, economicamente e militarmente».

 

«C’è così tanto da ammirare in Toria oltre la sua abilità diplomatica. Dice sempre quello che pensa, a mio vantaggio e a vantaggio della nostra politica estera. Lei difende e investe sempre nei diplomatici americani, facendo loro da mentore, incoraggiandoli e assicurando che loro e le loro famiglie abbiano ciò che meritano e ciò che la nostra missione richiede. Trova la luce nei momenti più bui, ti fa ridere quando ne hai più bisogno e ti copre sempre le spalle» dice Blinken, che non tenta nemmeno di nascondere quanto la Nuland, di fatto, fosse più importante di lui, chitarrista fallito, nelle decisioni vere della geopolitica americana e mondiale – decisioni che hanno incendiato il mondo.

 

«Siamo così grati per il servizio di Toria e per il segno duraturo che ha lasciato in questa istituzione e nel mondo». Il segno della Nuland, per quanto vediamo noi, è una scia di morte e distruzione della quale ancora non vediamo la fine.

 

La notizia delle dimissione della pupara della politica antirussa arriva nel momento in cui, bizzarramente, un articolo del New York Times con oltre 200 (duecento) fonti rivelava che la CIA ha poderose basi piazzate sul territorio ucraino dal 2014 – ossia dall’anno del colpo di Stato di Maidan organizzato con i famigerati 5 miliardi di dollari che la Nuland aveva dichiarato di aver investito a Kiev, dall’alto dei quali, nella famosa telefonata intercettata all’ambasciatore Pyatt, si permetteva di dire «Fuck the EU», ossia «fanculo all’Unione Europea».

 

Il video con l’intercettazione sta gradualmente sparendo da YouTube, ma su qualche canale ancora resiste.

 

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La tempistica farebbe quindi pensare all’ipotesi, già discussa sulle colonne di Renovatio 21, che stia per andare in atto un grande sbaraccamento: gli USA si potrebbero ritirare dall’Ucraina, oramai considerata per persa, anche rispetto ad un elettorato che a breve andrà al voto e non vuole assistere allo scialo ulteriore delle risorse nel grottesco teatro politico-militare di Kiev.

 

L’altra ipotesi, più inquietante, è quella per cui si tratta di una finta: fanno rivelazioni sul fatto che sostanzialmente Putin aveva ragione e allontanano la sua acerrima nemica «Toria» per poi procedere ad un attacco diretto – il famoso scontro diretto NATO-Russia di cui parlano i giornali europei e pure i presidenti, da avviarsi magari con un bel false flag fatto scattare magari proprio quando la Russia si ferma a tirare il fiato. Anche Mosca, come noto, a breve va alle elezioni…

 

Blinken dice che assieme a Biden ha già chiesto al sottosegretario alla gestione John Bass di ricoprire l’incarico di sottosegretario di Stato ad interim per gli affari politici fino alla conferma della sostituzione della Nuland. Chi prenderà certe decisioni, insomma, non è ancora noto. Di certo il Bass non potrà mai sostituire la Nuland, che, come ricordato, da decenni tirava i fili più oscuri e cruenti della trama mondiale.

 

A quanti sostengono che con chiunque verrà dopo di lei non cambierà nulla, anzi magari sarà peggio, diciamo che non conoscono la portata personale, famigliare, metafisica dell’odio che la Nuland cova verso la Russia.

 

La Nuland è una cosiddetta neoconservatrice. I neocon sono un gruppo di discepoli, in genere di origini ebraiche, del filosofo ebreo tedesco trapiantato in USA Leo Strauss. Si dice, professore all’Università di Chicago, lo Strauss aveva un lato essoterico – le sue lezioni pubbliche – ed uno esoterico, a cui impartiva un insegnamento segreto ad un gruppo di studenti scelti.

 

Lo Strauss insegnava, tra le altre cose, l’uso della «nobile menzogna». Secondo quanto riportato, il professore invitava gli studenti più vicini a lui ad organizzare azioni di disturbo nei confronti di professori avversari.

 

Un numero consistente di straussiani, riconducibili al movimento autonominatosi «neoconservatore» che ha derivazione originariamente trotskista, è riuscito ad infiltrarsi in amministrazioni sia repubblicane che democratiche sin dai tempi di Ronaldo Reagan: Paul Wolfowitz arrivò ad essere piazzato a capo della Banca Mondiale, William Kristol fu capo di gabinetto del vicepresidente Dan Quayle, Lews «Scooter» Libby fu considerato un’eminenza grigia dell’amministrazione Bush junior, dove anche l’onnipotente vicepresidente Dick Cheney si diceva essere influenzato da Strauss e dai neocon, che domandavano una guerra frontale e permanente con tutti i Paesi che non si genuflettevano del tutto all’egemonia della superpotenza americana: Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Iran… Qualcuno fa notare che si trattava quasi sempre di Nazioni in conflitto con lo Stato Ebraico.

 

La Nuland è una neocon per formazione e matrimonio, avendo sposato Robert Kagan, attivissimo fulcro, con il fratello e il padre, dei think tank neocon che hanno stabilito la politica estera americana degli anni 2000, per esempio la guerra in Iraq. Sono gli stessi, che, all’interno di un gruppo chiamato Progetto per un nuovo secolo americano (PNAC) nel 2000 vergarono il rapporto Ricostruire le difese dell’America dove si parlava della necessità di «una nuova Pearl Harbor», poi per coincidenza concretatasi con il megaterrorismo dell’11 settembre 2001.

 

Ad ogni modo il marito Kagan, anche lui proveniente da una famiglia di ebrei fuggiti dalla Russia, è, teniamo a mente, un anti-trumpiano zelota che all’elezione di Biden scrisse per il Washington Post un editoriale in cui sosteneva che il fatto che Donald avesse perso le elezioni non era abbastanza e la società americana trumpizzata era il vero problema – il vero nemico? – a cui bisognava pensare.

 

Qualcuno sostiene che i neocon abbiano in odio almeno da quando mandò lo zio di Christian De Sica ad uccidere a colpi di ascia Leone Trotskij. Secondo alcuni teorie circolanti in ambienti americani, alcuni neocon godrebbero di fortune che Trotskij avrebbe portato con sé fuggendo dall’Unione Sovietica, e dell’aiuto di servizi segreti e di circoli di potere interessati ad utilizzare la rivoluzione permanente – divenuta, di fatto, per i discendenti neoconi, «guerra permanente» – come strumento di dissoluzione degli ordini sociali e nazionali necessaria all’instaurazione della sinarchia tecnocratica definitiva.

 

Va notato, tuttavia, che la «Toria» ha un conto aperto con la Russia a livello transgenerazionale, in quanto il nonno sarto ebreo fuggì dai Pogrom in Bessarabia a inizio Novecento, ma a rimanerne segnato fu essenzialmente il padre, il chirurgo e bioetico Shervin B. Nuland.

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Nato nel Brox come Shepsel Ber Nudelman, divenne medico e storico della medicina, con specializzazione in chirurgia, e cambiò il suo cognome nel più american sounding Nuland perché, disse, testimoniò episodi di discriminazione antisemita.

 

Agnostico dichiarato ma ebreo ortodosso praticante, nella sua carriera di esperto di bioetica e filosofia medica l’uomo dichiarò di aver un «rapporto unico» con la morte, dedicando specifici saggi.

 

Nuland senior è ricordato come, in verità, come vittima della malattia mentale. In un discorso TED del 2001, pubblicato nell’ottobre 2007, parlò della sua grave depressione e dei suoi pensieri ossessivi nei primi anni ’70, probabilmente causati dalla sua infanzia difficile (il nonno ebreo moldavo di Toria era forse molto severo) e dalla fine del suo primo matrimonio.

 

Poiché la terapia farmacologica risultava inefficace, fu suggerita una lobotomia, tuttavia il suo medico curante optò per una terapia elettroshock, la quale, assicura Nuland il vecchio, lo portò alla guarigione.

 

Curiosamente, Nuland padre morì nella sua casa di Hamden, nel Connecticut, di cancro alla prostata, il 3 marzo 2014, ossia proprio nei giorni in cui il golpe di Maidan, progettato dalla figlia Victoria, stava trovando sfogo tra rivolte di piazza e misteriosi cecchini che sparavano indiscriminatamente su manifestanti e polizia.

 

Oltre all’odio genetico, patologico, transgenerazionale – e atomico – per Mosca, possiamo ricordare altri punti salienti della recente carriera della straussiana.

 

Come riportato da Renovatio 21, è significativo anche il video in cui, mesi fa, annunziava in conferenza stampa che il Nord Stream 2 sarebbe stato terminato nel caso la Russia avrebbe invaso l’Ucraina.

 

Dopo la sua ammissione in udienza al Senato riguardo ai biolaboratori USA in Ucraina, la Duma – il Parlamento russo – l’ha invitata a Mosca a spiegarsi, tuttavia la Nuland-Kagan non pare aver accettato l’invito.

 

Ad agosto era volata in Niger per incontrare la giunta golpista e metterla in guardia contro l’arruolamento dell’appaltatore militare privato russo Wagner. Prigozhin, al sentirlo, gioì.

 

Lo scorso maggio aveva dichiarato che la Crimea costituiva un «obiettivo legittimo» dell’esercito ucraino. In Sudafrica aveva definito la titanica questione della de-dollarizzazione globale in corso «una chiacchiera».

 

Poche settimane fa era tornata a Kiev, facendo scattare, anche simpaticamente, la diplomazia del Cremlino, che disse che, come l’altra volta nel 2014, quando distribuì biscotti alla gente in piazza Maidan, la visita del vicesegretario per gli affari eurasiatici non portava nulla di buono.

 

Il nome di Victoria Nuland è stato fatto in messaggio di Donald Trump contro la prospettiva della Guerra Mondiale.

 

«Per decenni, abbiamo avuto le stesse persone, come Victoria Nuland e molte altre come lei, ossessionate dall’idea di spingere l’Ucraina verso la NATO, per non parlare del sostegno del Dipartimento di Stato alle rivolte in Ucraina… Queste persone hanno cercato lo scontro per molto tempo, proprio come nel caso dell’Iraq e di altre parti del mondo, e ora stiamo vacillando sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. E molte persone non lo vedono, ma io lo vedo e ho avuto ragione su molte cose».

 

Ricordiamo, infine, il messaggio finale di Gonzalo Lira, registrato al confine tra Ucraina e Ungheria, dove stava cercando di scappare in moto per chiedere asilo politico. Negli ultimi attimi di libertà prima di essere catturato e messo in prigione – dove ha trovato la morte – Lira rivelò che lo avevano informato che Victoria Nuland conosceva bene il suo caso, e che lo odiava visceralmente.

 

La tragica morte di Gonzalo, è, in fondo, solo una delle tante, delle tantissime, che discendono da «Toria». Una generazione intera di ragazzi ucraini è stata spazzata via.

 

Di questo, non di altro, gli storici onesti scriveranno. Il giudizio finale, ad ogni modo, lo darà qualcun altro.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di pubblico dominio CCo via Flickr, modificata

Geopolitica

Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati

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Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.   In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».   Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.

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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.   Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.   L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.   «Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».   Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».   Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.   «Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.

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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato   Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.   L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.   Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.   Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.

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Geopolitica

Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.

 

Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.

 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».

 

La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.

 

Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.

 

Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.

 

The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».

 

Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.

 

La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.

 

Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.

 

Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.

 

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Geopolitica

L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.   Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.   «Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.   Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in ​​Israele.   L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.   La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.

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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.   Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.   Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.   Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.   Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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