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Economia

Profonda «povertà energetica» e miseria per i britannici entro gennaio 2023: studio

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Un nuovo studio dell’unità di ricerca sulle politiche sociali dell’Università di York dipinge un quadro netto della miseria che i sudditi britannici dovranno subire nei prossimi mesi. Lo riporta il quotidiano Guardian.

 

Secondo la ricerca circa due terzi di tutte le famiglie britanniche verranno intrappolate in una «povertà energetica». Una risposta inadeguata da parte del governo potrebbe quindi lasciare anche le famiglie della classe media nell’impossibilità di pagare la bolletta.

 

A seguito di ulteriori aumenti del cosiddetto «price cap» previsto per ottobre e gennaio, 18 milioni di famiglie britanniche, cioè circa 45 milioni di persone, faranno fatica a sbarcare il lunario.

 

La «povertà di carburante» è definita come la situazione in cui i costi energetici superano il 10% del reddito netto della famiglia.

 

Il nuovo studio include alcune statistiche a dir poco sorprendenti: l’86,4% delle coppie di pensionati e il 90,4% dei genitori single con due o più figli dovrebbero rientrare in questa categoria entro gennaio, se non prima, con l’inflazione a luglio che registra un massimo di 40 anni di 10,1 %.

 

Stuart Rose, presidente della catena di supermercati ASDA, ha criticato il governo per una «orribile» mancanza di azione sull’inflazione.

 

Lo studio eboraceno sottolinea che ci sono variazioni significative nella capacità delle regioni di far fronte all’aumento dei costi energetici.

 

Nel sud-est del Paese, il 57,9% della popolazione dovrà lottare con le bollette energetiche entro gennaio; la quota sale al 70,9% nel West Midland e al 76,3% nell’Irlanda del Nord.

 

Nessuno dei candidati conservatori alla carica di Primo Ministro, il Segretario agli Esteri Liz Truss e l’ex Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, pare avere le idee chiare sulla soluzione.

 

Anzi, come riportato da Renovatio 21, la Gran Bretagna, con o senza premier, sta continuando nella sua spregiudicata guerra alla Russia tramite il proxy ucraino, con addestramenti sul campo, laute forniture di armi e forse non solo queste cose.

 

Londra ha annunciato di star considerando razionamento energetico. Parimenti è stata dichiarato con certezza l’arrivo di blackout per il prossimo inverno.

 

Il governo di Johnson aveva provato a tardare la chiusura programmata della centrale atomica di Hinkley Point B, ma la società che la gestisce, la francese (recentemente rinazionalizzata da Macron) EDF si è opposta alla procrastinazione della produzione di energia nucleare.

 

L’ex primo ministro Gordon Brown ha parlato di «un’inverno di spaventosa povertà» con scarsità di cibo, già visibile, dice, nella sua Scozia. La situazione in agricoltura è talmente grave che il famoso presentatore di Top Gear, che possiede una farm, ha parlato di ritorno del cannibalismo nel Paese. Forse non è un’iperbole

 

La crisi ucraina, è al centro del disastro energetico europeo in corso: Albione tuttavia continua a gettare benzina (che a breve non avrà più…) sul fuoco.

 

Forse perché l’effetto desiderato è esattamente questo: un «lockdown» energetico per sottomettere, se non propriamente sfoltire, l’intera popolazione occidentale e poi mondiale.

 

Questo pensiero diviene ogni giorno più concreto.

 

Non abbiamo paura di pensare che questa sia la volontà del Regno degli Inglesi, visto il recente caso di Archie Battersbee, l’ultimo di una serie di sacrifici umani in cui il potere sanitario e giudiziario britannico mette a morte i figli del popolo.

 

In Gran Bretagna, come ovunque, avanza l’Imperio della Necrocultura.

 

E non abbiamo visto ancora nulla. Aspettate qualche mese.

 

Winter is coming

 

 

 

 

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Economia

Petrolio, l’Iraq avverte: si va verso i 300 dollari al barile

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L’escalation delle tensioni in Medio Oriente e la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz potrebbero far salire i prezzi del petrolio fino a 300 dollari al barile, ha avvertito il ministro degli Esteri iracheno Fuad Hussein durante una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul.

 

Venerdì mattina, gli aerei israeliani hanno bombardato siti militari e nucleari in tutto l’Iran, dando il via a un continuo scambio di ostilità tra i due Paesi.

 

Secondo Hussein, i prezzi del petrolio potrebbero salire fino a raggiungere una cifra compresa tra 200 e 300 dollari al barile «se dovessero scoppiare operazioni militari, il che aumenterebbe significativamente i tassi di inflazione nei paesi europei e complicherebbe le esportazioni di petrolio per gli stati produttori come l’Iraq».

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La chiusura dello Stretto di Hormuz, una via di trasporto fondamentale, potrebbe «comportare la perdita di circa cinque milioni di barili al giorno dalle forniture di petrolio del Golfo e dell’Iraq sul mercato globale», ha affermato il ministro degli Esteri iracheno.

 

Lo Stretto di Hormuz è un passaggio marittimo cruciale attraverso il quale transita circa il 20% del petrolio mondiale. Sabato, il parlamentare iraniano e comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, Esmail Kousari, ha dichiarato che Teheran sta seriamente valutando la possibilità di chiudere lo stretto al traffico marittimo.

 

Gli analisti hanno evidenziato il potenziale impatto di una simile chiusura sui prezzi globali del petrolio. Gli analisti di JPMorgan stimano che, in uno scenario grave, il petrolio potrebbe salire a 130 dollari al barile. Altri esperti suggeriscono che un blocco totale potrebbe spingere i prezzi ancora più in alto, con alcune previsioni che potrebbero raggiungere i 300 dollari al barile.

 

Venerdì, i prezzi del greggio Brent sono saliti del 7%, raggiungendo i 74,23 dollari al barile, in risposta ai primi attacchi. Sebbene Israele non abbia preso di mira i principali siti di esportazione petrolifera iraniani, gli analisti avvertono che futuri attacchi potrebbero avere gravi ripercussioni sulle forniture di petrolio. Al contrario, la Repubblica Islamica potrebbe reagire interrompendo le spedizioni di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuzzo.

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Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi mesi i prezzi mondiali del petrolio sono aumentati a cause delle ultime sanzioni alla Russia.

 

Nel frattempo, in Russia, il capo della commissione per la politica dell’informazione del Consiglio della Federazione, Aleksej Pushkov, ha affermato che il conflitto tra Israele e Iran potrebbe portare a un aumento significativo dei prezzi del petrolio a causa del possibile blocco del Golfo Persico da parte di Teheran.

 

Come riportato da Renovatio 21, otto mesi fa la Banca d’Inghilterra aveva lanciato l’allarme shock sui prezzi del petrolio.

 

Negli ultimi mesi ha fatto la sua ricomparsa sul mercato anche il petrolio libico.

 

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Economia

La trappola degli Stablecoin: parlano gli esperti

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Gli stablecoin – tipo di criptovaluta in cui il valore dell’asset digitale dovrebbe essere agganciato a un asset di riferimento, che può essere moneta fiat, materie prime negoziate in borsa o perfino un’altra criptovaluta – hanno numerosi sostenitori all’interno dell’amministrazione Trump e nel Congresso degli Stati Uniti, scrive EIR.   I fautori istituzionali degli stablecoin li descrivono come un mezzo per sostenere il debito statunitense, tuttavia alcuni osservatori ritengono che qualora la deregolamentazione del GENIUS Act dovesse essere approvata, il Tesoro statunitense sarà costretto a sostenere la proliferazione di stablecoin digitali e private, in un modo che potrebbe creare una carenza di liquidità e rendere il debito pubblico statunitense meno sostenibile.   Un paper scritto dal professore Yesha Yadav della Vanderbilt University e Brendan Malone (un esperto indipendente) chiarisce la situazione degli stablecoini.

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Nel capitolo intitolato «Rischi degli stablecoin per il mercato dei titoli del Tesoro statunitensi», gli autori spiegano che «il mercato dei titoli del Tesoro ha ora il compito di fornire direttamente gli asset necessari per il pagamento dei crediti monetari denominati in dollari emessi privatamente, progettati per ancorare un sistema di pagamento globale in dollari basato sulla blockchain».   Ciò ha implicazioni importanti. In primo luogo, richiede di «garantire che la liquidità del mercato dei titoli del Tesoro sia sufficiente a supportare i rimborsi massicci di crediti in stablecoin, nonché di fornire la garanzia che tale capacità sia prontamente disponibile. È anche ipotizzabile che l’elevata crescita del mercato dei stablecoin metta a dura prova la liquidità del mercato dei titoli del Tesoro, con la politica potenzialmente predisposta a dare priorità ai rimborsi di stablecoini, dato il loro ruolo preminente futuro nei pagamenti globali in dollari statunitensi».   Concretamente, ciò significa che il Tesoro è costretto a emettere sempre più obbligazioni a breve termine, al fine di fornire agli emittenti di stablecoin la quantità necessaria di liquidità.   Cosa accadrebbe se ci fosse – e ci sarà – una liquidazione massiccia di stablecoin? Attualmente, il mercato degli stablecoini vale 200 miliardi di dollari, mentre la quantità media giornaliera di titoli del Tesoro scambiata sul mercato secondario è di 900 miliardi di dollari. Una liquidazione massiccia non causerebbe una grave crisi.   Si calcola però che, attraverso la deregolamentazione, il mercato delle stablecoin raggiungerà un volume di transazioni giornaliere di 2.000 miliardi di dollari entro il 2028.

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È stato riportato che BlackRock intende investire 16.000 miliardi di dollari in stablecoini entro il 2030.   Gli autori del documento non respingono l’idea degli stablecoini, ma invitano i decisori politici a introdurre una regolamentazione tale da amplificare i benefici reciproci e ridurre i rischi.   «Fondamentalmente, collegando così strettamente il mercato dei titoli del Tesoro a un nuovo sistema di pagamento internazionale, la politica monetaria non può permettersi di trattare ciascun sistema come distinto» scrive il paper. «Piuttosto, entrambi stanno diventando sempre più interconnessi, tanto che i futuri effetti collaterali del mercato dei titoli del Tesoro avranno un impatto diretto sui meccanismi di pagamento in dollari digitali, mentre il rischio di insolvenza degli emittenti di stablecoin crea un potenziale dirompente per l’apparente invincibilità del mercato dei titoli del Tesoro statunitense».

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Economia

L’oro supera l’euro nelle riserve globali

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L’oro ha superato l’euro, diventando la seconda riserva mondiale per valore di mercato. Lo sostiene la Banca Centrale Europea.

 

La BCE attribuisce questo cambiamento agli acquisti record da parte delle banche centrali e alle crescenti tensioni geopolitiche.

 

Le banche centrali hanno aumentato le loro riserve auree di oltre 1.000 tonnellate nel 2024, il doppio della quantità media annua registrata nel decennio precedente, portando il totale delle riserve ufficiali a 36.000 tonnellate, vicino al picco del 1965 durante l’era di Bretton Woods, secondo la BCE.

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«Questa riserva, insieme ai prezzi elevati, ha reso l’oro la seconda riserva globale per valore di mercato nel 2024, dopo il dollaro USA», ha dichiarato mercoledì la BCE nella sua analisi annuale del ruolo internazionale dell’euro.

 

In termini di valore di mercato, l’oro rappresentava il 20% delle riserve ufficiali globali alla fine del 2024, superando l’euro al 16%. Il prezzo dell’oro è aumentato di quasi il 30% nel 2024, raggiungendo massimi storici superiori a 3.500 dollari l’oncia troy, aumentando significativamente la sua quota nei portafogli di riserva.

 

La BCE ha rilevato che «due terzi delle banche centrali hanno investito in oro a fini di diversificazione, mentre due quinti lo hanno fatto per proteggersi dal rischio geopolitico». Molti dei maggiori acquirenti sono stati le economie emergenti, in particolare quelle geopoliticamente meno allineate con l’Occidente.

 

 

Sebbene la quota dell’euro nelle riserve globali, misurata a tassi di cambio costanti, si sia mantenuta stabile intorno al 20%, è stata superata in termini di valore di mercato a causa dell’impennata del prezzo dell’oro. «Il ruolo internazionale dell’euro è rimasto sostanzialmente stabile nel 2024», ha osservato la BCE, sottolineando che l’euro è rimasto la seconda valuta più utilizzata in assoluto.

 

La BCE ha inoltre osservato che «alcuni Paesi hanno attivamente esplorato alternative ai tradizionali sistemi di pagamento transfrontalieri».

 

Questi Paesi sono principalmente «fortemente influenzati da fattori geopolitici» come il conflitto in Ucraina e le conseguenti sanzioni, le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina, l’instabilità in Medio Oriente e una più ampia spinta dei paesi BRICS a ridurre la dipendenza dai sistemi finanziari occidentali.

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La BCE ha inoltre avvertito che l’euro si trova ad affrontare nuove sfide derivanti da sviluppi come il crescente ruolo delle criptovalute nei pagamenti transfrontalieri e il crescente utilizzo di stablecoin garantite dai titoli del Tesoro statunitensi. Secondo il rapporto, la quota del dollaro USA nelle riserve valutarie è leggermente diminuita al 57,8%.

 

Come riportato da Renovatio 21, un anno fa, quando si parlava di massimo storico, l’ora aveva raggiunto «appena» i 2.400 dollari l’oncia.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio 2024 la Russia aveva parlato di un ritorno all’economia basata sul valore dell’oro. Gli economisti russi Sergej Glazev e Dmitrij Mitjaev avevano sostenuto l’uso dell’oro per proteggere il sistema finanziario russo mentre «salta giù» dal sistema basato sul dollaro in bancarotta e aiuta a stabilire una nuova architettura finanziaria internazionale. La proposta era quella di una sorta di «rublo d’oro 3.0».

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