Connettiti con Renovato 21

Cina

Pechino: contro il crollo demografico fecondazione assistita nel sistema sanitario

Pubblicato

il

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Nella capitale le coppie potranno beneficiare di 16 tecniche, dalla FIVET alla conservazione dello sperma. Il nodo delle donne non sposate che vogliono avere figli; gli esperti temono il collasso del sistema a fronte di troppe richieste. Lo scorso anno il numero di neonati è sceso al minimo storico di 6,77 per mille abitanti. Previsto un ulteriore calo per il 2023.

 

 

Il governo cinese rilancia la sfida per sostenere la natalità e contrastare il crollo demografico, con le sue inevitabili ripercussioni sulla sfera economica e lo sviluppo che sembrano segnare sempre più il passo nell’ultimo periodo. Dalla decisione, ufficializzata ieri, da parte della municipalità di Pechino di inserire all’interno del sistema sanitario della capitale almeno 16 tecniche diverse di fecondazione assistita alle coppie, ultima (e in una certa misura disperata) mossa delle autorità per stimolare le nascite.

 

Per certi versi si tratta di una vera e propria rivoluzione, che comprende anche materie sensibili e tematiche che sono al centro di confronti di natura etica, oltre ad un marcato intervento medico in un’ottica di procreazione assistita.

 

Secondo quanto riferisce Du Xin, vice-direttore del Municipal Medical Insurance Bureau di Pechino, saranno inclusi nell’assicurazione di base la fecondazione I, il trapianto di embrioni, il congelamento e la conservazione dello sperma. Una misura che giunge in una fase in cui la Cina cerca di contrastare il crollo della natalità, con il primo calo demografico in 60 anni frutto di decenni di politica del figlio unico. Lo scorso anno il numero di neonati è sceso al minimo storico di 6,77 per mille abitanti e si prevede un ulteriore calo nel 2023.

 

Lo scorso agosto la Commissione nazionale cinese per la Salute ha dato indicazioni alle province per riformare le politiche a sostegno dei tassi di fertilità. Il Liaoning, nel Nord-Est, ha dichiarato a maggio che avrebbe incluso le tecnologie di riproduzione assistita a partire dal primo luglio.

 

L’annuncio di Pechino precede anche il verdetto del tribunale per quanto concerne la vicenda di Teresa Xu, una donna cinese di 35 anni non sposata che ha fatto causa a un ospedale pubblico della capitale per violazione dei diritti, perché si è rifiutato di congelarle gli ovuli perché non sposata. Preoccupati dal rapido invecchiamento, a marzo i consiglieri politici del governo hanno proposto che le donne nubili e celibi abbiano accesso, tra gli altri servizi, al congelamento degli ovuli e ai trattamenti di fecondazione in vitro (FIVET).

 

Per le donne non sposate in tutto il Paese è difficile accedere a trattamenti di fertilità e tecnologie di congelamento degli ovuli, a causa della regola nazionale che impone il matrimonio.

 

Ciononostante, alcune cliniche private in determinate province, quella sud-occidentale del Sichuan, hanno già iniziato ad autorizzare e praticare la FIVET a nubili per contrastare il calo delle nascite.

 

Inoltre, la liberalizzazione dei trattamenti per la fertilità a livello nazionale potrebbe scatenare una maggiore domanda in quello che è già il più grande mercato del mondo, mettendo – è il timore dei medici e degli esperti del settore – a dura prova i servizi pro-fertilità già ora assai limitati.

 

Da tempo demografi e economisti spingevano il governo cinese ha togliere ogni limite nella generazione di figli. Dagli anni ’80 la Cina aveva reso obbligatoria la legge sul figlio unico, spesso attuata in modo radicale e violento.

 

Nel 2016 il governo ha lanciato la politica dei «due figli». Ma a quanto pare, tale politica non sta dando buoni risultati: molte coppie non vogliono avere figli per nulla, o ne vogliono solo uno perché giudicano tale scelta troppo dispendiosa.

 

Nel 2020 alcuni membri dell’Accademia delle scienze sociali, per facilitare nuove nascite, hanno lanciato un appello allo Stato per la promozione delle gravidanze, la fecondazione artificiale e l’aiuto parentale, soprattutto nelle aree dove la popolazione è più anziana.

 

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

 

 

 

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

Continua a leggere

Cina

Xi Jinping in Vietnam: firmati quasi 40 accordi contro i dazi USA

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

È il secondo viaggio in Vietnam in meno di un anno e mezzo per il presidente cinese, che punta a rilanciare la cooperazione strategica con il Paese comunista per fronteggiare le tariffe statunitensi. La visita rientra in un più ampio tour regionale che comprenderà anche la Malaysia e la Cambogia. Intanto oggi Phnom Penh ha inviato in Cina cittadini di Taiwan accusati di lavorare nei centri per le truffe online.

 

La Cina e il Vietnam hanno firmato oggi quasi 40 accordi di cooperazione i cui dettagli non sono ancora stati resi noti, ma che probabilmente riguarderanno il commercio tra i due Paesi comunisti. Il presidente cinese Xi Jinping era atterrato oggi ad Hanoi per rilanciare la cooperazione economica e superare l’imposizione dei dazi da parte dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump.

 

Si tratta del secondo viaggio in Vietnam in meno di 18 mesi e la prima missione diplomatica dell’anno per Xi, che visiterà poi anche la Malaysia e la Cambogia.

 

Phnom Penh si sta già preparando all’arrivo del presidente cinese: il ministero degli Esteri di Taiwan oggi ha annunciato che la Cambogia ha arrestato 180 cittadini sospettati di essere coinvolti nei centri per le truffe online del Sud-Est asiatico: «la Cambogia, sotto le pressioni della Cina, non ha fornito l’elenco dei cittadini del nostro Paese né il numero totale dei deportati; il ministero non solo continua a sollecitare la Cambogia a fornire l’elenco al più presto, ma esprime anche la sua seria preoccupazione e protesta», ha riferito Taiwan.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Né Phnom Penh né Pechino hanno rilasciato dichiarazioni a riguardo.

 

«Le guerre commerciali e tariffarie non hanno vincitori e il protezionismo non ha via d’uscita», ha invece scritto il presidente cinese in un editoriale pubblicato su Nhan Dan, il quotidiano ufficiale del Partito comunista vietnamita. «Dobbiamo difendere con fermezza il sistema commerciale multilaterale, mantenere la stabilità della produzione globale e delle catene di approvvigionamento, e preservare un ambiente internazionale aperto e cooperativo».

 

Allo stesso modo, in un articolo pubblicato sul Quotidiano del Popolo, organo di informazione del Partito Comunista Cinese, il segretario generale del Partito Comunista del Vietnam, To Lam – la carica più importante all’interno dell’esecutivo vietnamita – ha attribuito alla fiducia, alla sincerità e alla comprensione reciproca il merito delle relazioni globali tra i due Paesi e le due parti.

 

All’aeroporto di Hanoi Xi Jinping è stato accolto dal presidente del Vietnam, Luong Cuong, un gesto solitamente riservato alle personalità di rilievo. Successivamente, durante un incontro con To Lam, Xi ha ricordato i legami storici tra le due nazioni.

 

La Cina è il principale partner commerciale del Vietnam, a sua volta la nazione che nel Sud-Est asiatico dipende più di tutte da Pechino a livello di importazioni. Per eludere i dazi imposti alla Cina durante il primo mandato Trump, diverse aziende cinesi (ma non solo) avevano spostato in Vietnam la produzione dei beni destinati all’esportazione. Pechino è rimasto quindi il principale fornitore di materie prime, mentre Hanoi era finora riuscita a sfruttare le tensioni con Washington per trasformarsi in un hub manifatturiero regionale.

 

Nel 2024, nonostante alcuni punti d’attrito – prevalentemente legati alle dispute nel Mar Cinese meridionale – il commercio bilaterale tra i due Paesi comunisti aveva raggiunto i 260 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2025, la Cina è risultata il secondo maggiore investitore diretto in Vietnam con 1,2 miliardi di dollari.

 

Durante l’incontro con To Lam, Xi ha espresso la volontà di espandere la cooperazione in materia di 5G e intelligenza artificiale, e ha poi annunciato la possibilità di una collaborazione su tre progetti ferroviari nel nord del Paese, vicino al confine.

Iscriviti al canale Telegram

In parallelo, il primo ministro vietnamita, Pham Minh Chinh, ha incontrato il presidente della azienda aerospaziale COMAC (Commercial Aircraft Corporation of China), He Dongfeng, a cui ha proposto un aumento degli investimenti nel Paese e una collaborazione sull’acquisto di nuovi aeromobili.

 

Dal canto suo, il Vietnam – il cui principale mercato di esportazione restano gli Stati Uniti – ha cercato di rafforzare le spedizioni agricole verso la Cina per diversificare i rischi economici derivanti dalle caotiche politiche statunitensi.

 

L’amministrazione Trump ha infatti imposto una tariffa del 46% sulle esportazioni vietnamite, che Hanoi sta cercando di negoziare al ribasso, facendo ulteriori concessioni a Washington, mentre la Cina deve affrontare dazi del 145%, verso cui ha risposto con tariffe reciproche.

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube
 

 

Continua a leggere

Cina

Cina, altra Pasqua agli arresti per mons. Shao

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Anche quest’anno il presule che si rifiuta di aderire all’Associazione patriottica è stato portato via alla vigilia della Settimana Santa. Già a Natale aveva subito gravi ritorsioni per la celebrazione con cui aveva inaugurato il Giubileo nella diocesi dello Zhejiang che per le autorità di Pechino è guidata da un sacerdote «fedele» al Partito.   L’hanno arrestato anche quest’anno. Alla vigilia della Settimana Santa, nella provincia cinese dello Zhejiang, è arrivato l’arresto di mons. Pietro Shao Zhumin, 61 anni, vescovo sotterraneo di Wenzhou.   Il presule, insieme al suo più stretto collaboratore padre Jiang Xu Nian, sono stati nuovamente prelevati ieri pomeriggio dalle autorità dell’Ufficio per la Sicurezza nazionale e non si sa dove si trovino. Il fatto è avvenuto poco più di un mese dall’ultimo episodio analogo avvenuto il 7 marzo, quando il vescovo Shao fu trattenuto per una settimana.   L’intento è sempre lo stesso: impedire al presule di presiedere le imminenti celebrazioni liturgiche solenni della Settimana Santa a Wenzhou dove oltre a mons. Shao anche numerosi sacerdoti si rifiutano di registrarsi agli organismi «ufficiali» dei cattolici cinesi controllati dall’Associazione patriottica.   Anche a Natale le autorità locali avevano reagito duramente alla celebrazione con cui mons. Shao aveva aperto il Giubileo nella diocesi di Wenzhou, alla quale avevano partecipato 200 fedeli. Negli ultimi anni, agenti in borghese dell’Ufficio per gli Affari religiosi e dell’Ufficio per la Sicurezza nazionale, hanno spesso visitato le chiese di domenica e nei giorni feriali per indagare, proibire ai sacerdoti non registrati di celebrare la Messa e vietare a bambini e adolescenti di entrare nelle chiese.   Mons. Shao fu nominato nel 2007 da Benedetto XVI come vescovo coadiutore per succedere a mons. Vincenzo Zhu Wei-Fang, che è poi morto nel settembre 2016. Per il suo rifiuto di aderire all’Associazione patriottica le autorità considerano la sede «vacante» e sostengono come guida della locale comunità cattolica p. Ma Xianshi, un sacerdote «patriottico».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine da AsiaNews
 
Continua a leggere

Cina

Pechino: nuovi divieti sulle attività religiose degli stranieri

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Annunciate dalle autorità «regole dettagliate» che entreranno in vigore il 1 maggio. Anche a chi non è cinese chiesto il «rispetto dell’indipendenza e dell’auto-governo» delle comunità religiose locali obbedendo alle istruzioni del Partito. Non ammesse celebrazioni miste tra stranieri e cinesi, stabilito persino il numero di libri che si possono portare dall’estero «per uso personale». Il controllo rigidissimo è il vero volto della sinicizzazione.

 

Dal 1 maggio entrerà in vigore una nuova stretta sull’attività religiosa degli stranieri presenti nella Repubblica popolare cinese. Ad annunciarlo è una nuova serie di norme pubblicate ieri dalla NRAA (National Religious Affairs Administration), la longa manus del Fronte Unito del Partito comunista per le questioni religiose. «Regole dettagliate» le definisce lo stesso titolo del documento, rivolte specificamente agli stranieri di qualsiasi confessione e che attraverso un testo di ben 38 articoli mettono nero su bianco un’indicazione molto chiara: anche gli stranieri in Cina se vogliono vivere la propria religione devono chiedere il permesso alle autorità competenti e stare alle regole stabilite dal Partito, riconoscendo il principio dell’”indipendenza e dell’auto-governo” delle religioni in Cina.

 

Se ancora ce ne fosse stato bisogno, il nuovo regolamento emanato dalla NRAA è una traduzione molto chiara del senso della parola d’ordine «sinicizzazione» rivolta da tempo dal presidente Xi Jinping a tutte le religioni presenti in Cina. Al di là dell’auspicabile inculturazione nel contesto e nella cultura cinese, alle autorità di Pechino ciò che sta realmente a cuore è il controllo di ciò che accade all’interno dei gruppi religiosi.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

In templi, moschee e chiese nulla deve accadere fuori da ciò che stabilisce il Partito. E proprio nei giorni in cui Xi Jinping e il suo governo si prodiga ad accogliere a Pechino i vertici di grandi multinazionali, tornando a incoraggiare gli investimenti stranieri per rilanciare la crescita appannata dell’economia, il nuovo regolamento della NRAA arriva a precisare che la «sinicizzazione» di ogni forma di espressione religiosa vale anche per gli stranieri. Ed è emblematico che tra i primi a pubblicare le nuove regole ieri vi sia stato il sito internet della diocesi di Shanghai, il crocevia delle relazioni tra la Cina e il mondo.

 

Non che fino ad oggi nella Repubblica Popolare Cinese non esistessero controlli sulle attività religiose degli stranieri, ovviamente. E non serviva certo un regolamento ad hoc per stabilire che i religiosi stranieri non possono violare le leggi della Repubblica popolare cinese. Ma le nuove norme si spingono molto più in là. All’articolo 5 affermano programmaticamente che «gli stranieri che svolgono attività religiose in Cina devono attenersi alle leggi, ai regolamenti e alle norme cinesi, rispettare il principio dell’indipendenza e dell’autogestione religiosa della Cina e accettare la gestione legittima del governo cinese: la religione non deve essere usata per danneggiare gli interessi nazionali, gli interessi pubblici sociali o i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini e non deve violare l’ordine pubblico e i buoni costumi della Cina».

 

Questo principio viene poi specificato decretando che qualsiasi attività religiosa anche tra stranieri che si trovano in Cina deve avvenire solo all’interno dei luoghi di culto «ufficiali» o – se questo non è fisicamente possibile perché non presenti nella zona – solo dopo aver ottenuto il permesso degli appositi organismi controllati dal Partito, seguendo apposite procedure. Concretamente per i cattolici questo vuol dire vietare espressamente ogni contatto con le comunità cattoliche «sotterranee» o con quei sacerdoti che in coscienza non ritengono di dover aderire all’Associazione patriottica.

 

L’articolo 10, inoltre, specifica che anche nelle chiese e nei templi «ufficiali» le attività religiose per gli stranieri «dovranno essere presiedute da religiosi cinesi». Solo nel caso «in cui sia veramente necessario che gli stranieri presiedano le attività religiose» andrà comunque presentata una richiesta all’ufficio locale del dipartimento per gli affari religiosi. L’articolo 16 postula, comunque, una rigida separazione: «Ad eccezione dei religiosi cinesi che le organizzano, le attività religiose di gruppo tenute da stranieri in Cina sono limitate alla partecipazione di stranieri in Cina».

 

Il regolamento norma espressamente anche le attività dei religiosi stranieri che entrano in Cina attraverso scambi accademici e culturali. Oltre, ovviamente, a disporre che questi scambi dovranno essere autorizzati uno per uno dal Partito, all’articolo 21 si premura di precisare che coloro che saranno ammessi non dovranno «parlare o compiere azioni ostili alla Cina, avere tendenze ideologiche estremiste o interferire con le questioni religiose cinesi». Con burocratica precisione, arriva a decretare anche quante copie di libri e materiale audiovisivo ad argomento religioso possono portare con sé per uso personale quando questi ospiti stranieri entrano nella Repubblica Popolare Cinese (mai più di 10). Per fare entrare altro materiale o eventualmente anche diffonderlo, occorrerà ottenere il permesso delle autorità.

 

L’articolo 26 specifica inoltre che «le organizzazioni o gli individui stranieri non devono reclutare studenti che studiano all’estero allo scopo di coltivare nuovi religiosi all’interno del territorio cinese senza autorizzazione».

Iscriviti al canale Telegram

L’articolo 29, infine, elenca una serie di divieti in materia di religione che valgono per qualsiasi straniero che si trova in Cina. Tra gli altri figurano quelli di: interferire nelle attività dei gruppi religiosi, tenere conferenze o prediche non autorizzate, «reclutare seguaci tra i cittadini cinesi», produrre libri o altro materiale ad argomento religioso, accettare donazioni da singoli o organizzazioni cinesi, condurre attività religiose su internet.

 

La sintesi di tutto questo è evidente: in Cina anche per gli stranieri non è ammessa alcuna espressione religiosa fuori dal controllo del Partito, perché tutte le religioni in Cina – Chiesa cattolica compresa – devono accettare di essere autonome e auto-amministrate.

 

Appare evidente che, messa in questi termini, l’universalità della Chiesa cattolica può rimanere come un generico riferimento ideale; ma solo a condizione di una sottomissione totale alle direttive politiche nazionali, in un sempre più pericoloso schiacciamento sulla volontà del governo di Pechino.

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di InfernoXV via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

Continua a leggere

Più popolari