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Partito il Digital Service Act: l’Europa verso la censura totale. Renovatio 21 sparirà?

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Il 25 agosto è entrato ufficialmente in vigore in territorio dell’Unione Europea il Digital Service Act (DSA), l’eurolegge che di fatto dà alla alla Commissione Europea il potere di censurare i contenuti in rete in nome della lotta alla «disinformazione» e all’«incitamento all’odio» online.

 

A partire da venerdì scorso, le grandi piattaforme online che operano in Europa dovranno rispettare le regole stabilite nella DS, pena una multa immensa fino al 6% delle loro entrate globali annuali: una cifra da capogiro, considerando che i giganti informatici, pur con i magheggi fiscali che abbiamo visto negli anni, arrivano a fatturare in territorio UE miliardi.

 

Il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, ha addirittura minacciato di chiudere le piattaforme dei social media se non rispetteranno le regole in caso di disordini civili, come la recente volta etnica in Francia.

 

Ricorderete cosa era successo, in pieno spirito di anarco-tirannide, Macron, invece che lanciare una repressione che fermasse la devastazione di intere città, diede la colpa ai videogiochi prima e ai social media poi. Pare che, come soluzione al disastro, l’Eliseo pensasse che fosse si dovesse partire dall’impedire la diffusione delle immagini della barbarie della rivolta immigrata.

 

Questa è, a tutti gli effetti, una censura – o ancora meglio, una censura di guerra, dove, come avvenuto per gli americani in Iraq, si proibiscono certe immagini (i soldati morti, le loro bare, etc.). Quindi, a meno che non si sia in una guerra non dichiarata (contro una parte della popolazione, contro un’altra Nazione Europea…?), si tratta senza dubbio di un atto di totalitarismo vero e proprio, che ora è, in massima tranquillità, eurolegalizzato.

 

«Avremmo squadre che potrebbero intervenire immediatamente», ha detto Breton in un’intervista. «Se i responsabili non agissero immediatamente, potremmo non solo multarli ma anche vietare l’esercizio delle piattaforme nel nostro territorio». Breton già in passato aveva parlato della possibilità di vietare i social in caso di disordini civili. I lettori di Renovatio 21 ricorderanno che Breton aveva, dal primo giorno della nuova gestione di Twitter, attaccato Musk, dicendo che in Europa la piattaforma avrebbe dovuto sottoporsi ai voleri di Bruxelles.

 

Twitter è tra le realtà coinvolte in questa fase 1 del DSA, che si applica a siti con più di 45 milioni di utenti europei: Amazon, Facebook, Instagram, Google, YouTube, Wikipedia. Tutti gli altri saranno sottomessi al DSA dal 2024, e ciò vale pure per Paesi non-UE come Svizzera, Islanda e Norvegia.

 

Abbastanza significativamente, traducendo dall’inglese leggiamo che nel comma 36 del DSA si scrive che: «in un contesto transfrontaliero, gli effetti dell’ordinanza dovrebbero, in linea di principio, essere limitati al territorio dello Stato membro di emissione, a meno che l’illegittimità del contenuto derivi direttamente dal diritto dell’Unione o l’autorità di emissione ritenga che i diritti in gioco richiedano una portata territoriale più ampia, in conformità con il diritto dell’Unione e internazionale, tenendo conto degli interessi della cortesia internazionale».

 

Non bisogna sforzarsi troppo per capire in quale orizzonte attuale concreto tale incredibile elasticità d’azione – in pratica, censurare anche contenuti non-UE – salti fuori: la vicepresidente del dipartimento «Valori e trasparenza» della Commissione Europea, Vera Jourova, ha affermato che Bruxelles è particolarmente preoccupata per l’ingerenza russa nelle elezioni europee del 2024.

 

«Progressi rimangono troppo lenti su aspetti cruciali, soprattutto quando si tratta di gestire la propaganda di guerra pro-Cremlino o l’accesso indipendente ai dati. Il Codice dovrebbe anche iniziare ad affrontare nuove minacce come l’uso improprio dell’intelligenza artificiale generativa”.

 

«Mentre ci prepariamo per le elezioni europee del 2024, invito le piattaforme a intensificare gli sforzi nella lotta alla disinformazione e alla manipolazione dell’informazione russa, e questo in tutti gli Stati membri e in tutte le lingue, grandi o piccole che siano» continua la Jurova.

 

Ora, al lettore è chiaro cosa sta succedendo: se ora ti danno del filorusso per un discorso non allineato con la narrativa NATO-UE, ora potranno anche cancellare le tue parole online, procedere contro di te legalmente.

 

Al di fuori dell’atto repressivo, che si manifesterà probabilmente sulle vostre vite, da notare c’è il fatto che la volontà di controllare le prossime elezioni, attaccando i contenuti sgraditi, è praticamente dichiarato. Questa sarebbe, quindi, la democrazia che combatte contro la dittatura moscovita.

 

La questione russa tuttavia non è l’unica preoccupazione che dobbiamo avere: perché tutto l’impianto del DSA è un grande cavallo di Troia per distruggere, negli unici ambiti che contano (politica, geopolitica, sanità, forsanche religione) la libertà di parola per mezzo milioni di europei, una grande mossa di orwelizzazione del continente, e non solo quello.

 

È istituita, quindi, una verità di Stato, o meglio di Superstato: l’Europa avrà un «Comitato Europeo per i servizi digitali» che fungerà da Ministero della Verità stile 1984.

 

Il perno dell’azione censoria si basa, guarda chi si rivede, sul concetto di emergenza: secondo il DSA la capacità di intervenire da parte dell’europotere dovrà essere «rapida» in caso di «crisi». E cosa sia una «crisi», il documento non lo spiega: la vaghezza, insomma, aiuterà a colpire chiunque, in qualsiasi momento, in qualsiasi contesto.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» del COVID? A leggere i titoli dei giornali sulle nuove varianti, no.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» energetica? Calcolando che il gas russo non è ancora stato sostituito – perché è tecnicamente, al momento, insostituibile, no.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» economica? No, quella è perfino cantata dai bardi di Bruxelles.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» climatica? Giammai, quella, lo sappiamo bene, è eterna, alimentata ogni giorno da studi, proteste, misteriosi incendi.

 

Il contesto in cui viviamo, quindi, è stato definito «crisi permanente». E in una «perma-crisi» (come disse il caporione OMS europeo Hans Kluge) la censura europea, come da regolamento, può abbattersi dove e quando vuole, «rapidamente», come dice il testo.

 

L’aleatorietà più sfrenata, e programmatica, traspira anche dal resto del documento: non è detto quale sia l’informazione «affidabile», né quale sia il criterio per considerarla tale, così come non è chiaro quali competenze e doveri debba avere il censore che stabilisce se quello che dico è vero o falso.

 

Lo hanno chiamato eurobavaglio, ma è peggio – perché oltre ad impedirvi di parlare, vi impediranno di ascoltare cose considerate sbagliate, uccidendo la circolazione delle idee e creando una stagnazione cognitiva abitata, tecnicamente, proprio da schiavi. La democrazia occidentale si toglie la maschera, e si rivela per quello che è: un’oligarchia psicopoliziesca, una cleptocrazia schiavista, una dittatura dei corpi e delle anime.

 

Gli europarlamentari italiani del PD hanno, ovviamente, votato in massa. Forza Italia, compreso Antonio Tajani, pure. Ma potrebbe sorprendere che voti sono arrivati anche dai Cinque Stelle (il televisivo Giarrusso incluso) e, in bella quantità, da Fratelli d’Italia: secondo La Verità dello scorso 25 agosto, il pugliese Fitto, il «milanese» Fidanza e pure Vincenzo Sofo (noto anche come consorte di Marion Le Pen, eletto in Lega ma passato per qualche ragione in FDI) hanno votato il DSA. Solo la Lega Nord si è opposta.

 

Ora, quello che potrebbe succedere non solo lo abbiamo presente, ma lo abbiamo vissuto.

 

Come sa chi ci segue da un po’, nel 2021 Facebook cancellò la nostra pagina e disintegrò, cioè proprio eliminò, l’account personale collegato, e pure, en passant, innocue pagine associazionistiche collegate. Il traffico su Renovatio21.com crollò – perché è sui social che le persone stanno tutto il giorno, con centinaia di famelici scroll al giorno – com’era, con evidenza, l’intenzione ultima di chi poteva aver ordinato la censura.

 

Solo ora capiamo quanto pervasivi fossero gli ordini dell’amministrazione Biden e delle agenzie di Intelligence (e pure delle grandi farmaceutiche) che «ripulivano» la rete da messaggi indesiderati e dai loro autori; grazie a documenti delle Commissioni del Congresso USA abbiamo una qualche idea di come funzionasse la censura, con liste mandate direttamente ai social, se non post specifici da cancellare.

 

Non abbiamo ancora idea, perché nessun rappresentante eletto si vuole chiaramente intestare una battaglia del genere, di come funzionasse il sistema di censura in Italia: anche sul nostro territorio qualcuno faceva le liste? Chi le spingeva alle aziende? Domande a cui, a causa di una classe politica vigliacca che non protegge i suoi cittadini, non abbiamo risposta.

 

Con fatica, dopo nei mesi dopo il ban abbiamo fatto riemergere i numeri, praticamente unico caso di sito di spessore che fa totalmente a meno dei social, ma con una difficoltà incredibile. Portammo Facebook/Meta in tribunale, e il giudice emise l’ordinanza di ridarci pagine e account. Tuttavia, potete vedere voi stessi, se una volta un post sulla pagina Facebook di Renovatio 21 poteva fare centinaia di like e condivisioni (in alcuni casi migliaia e decine di migliaia), oggi riceviamo, se va bene, due like. Lo chiamano shadow ban, la «censura ombra»: non c’è modo di dimostrarla, né di far intervenire le autorità (in altri Paesi ci hanno provato, parrebbe).

 

Anche YouTube, come sapete, ha lanciato avvertimenti. Pubblichiamo poco, quindi difficile che arrivino strike censori, tuttavia eccoli qui: c’è stata la cancellazione dell’omelia di Pasqua di Monsignor Viganò (per qualche ragione, lasciata in altri noti canali di sedicente «controinformazione») e poi vari casi di strike retroattivi. Che vuol dire, ti cancellano video di anni fa, filmati che per anni andavano benissimo alla piattaforma, e che ora invece divengono occasione per minacciarti: fanne un altro così e ti buttiamo fuori.

 

Ancora oggi, la difficoltà che ha Renovatio 21 a raggiungere i suoi lettori è grande, è una corsa viziata da enormi ostacoli, che altri non hanno, e a un certo punto ci chiediamo anche perché. Tuttavia, siamo ancora qui, più forti e determinati che mai.

 

Esistere al di fuori dei social è, oggigiorno, difficile, al limite del possibile. Eppure noi è quello che stiamo tentando di fare.

 

Perché tutto lo spazio dei social è già manipolato, e lo sarà ancora di più – il DSA sta a significare esattamente questo. Nessuna credibilità potrà essere data ai social, non tanto per quello che la gente vi scriverà, ma per quello che non vi faranno leggere.

 

Stare sui social network oggi, quindi, è una scelta esiziale per la vostra libertà – è una scelta di schiavitù, in primis nei confronti della dopamanina (il neurotrasmettitore coinvolto nella dipendenza da internet) ma soprattutto riguardo al potere costituito, che vi sta dicendo in faccia che manipolerà quel che sentite nel programma di controllare il vostro pensiero.

 

Uscite da Facebook. Uscite da Instagram. Uscite anche da Telegram: proposte politiche per chiuderlo vi sono già state in Germania (dove è pure arrestato un utente perché «filorusso»), e non è detto che passino, o che la piattaforma – strana combo russo-emiratina, fondatori di San Pietroburgo ma server a Dubai – non si pieghi. Ricordiamo che è già successo, quando ad inizio pandemia, nel primissimo grande lockdown, giudici italiani, spinti dalle denunce dei quotidiani nazionali, chiesero a Telegram di cancellare i canali dove si distribuivano illegalmente i pdf dei giornali gratis, e con sorpresa di molti, il social, che non aveva mai risposto, obbedì.

 

Consideriamo anche il fatto che Telegram sta distruggendo, al pari degli altri social, la possibilità del lettore di approfondire, di cristallizzare pensiero ed opinione: non sono articoli, ma post brevissimi, fatti da influencer senza volto, che rendono dipendenti dalle continue update, e che in quantità di casi contengono fake news imbarazzanti, ignoranti e disperanti.

 

Il DSA, al momento, colpisce i grandi siti, le grandi app: state lontani, quantomeno quando siete alla ricerca di informazioni su ciò che accade.

 

Frequentate siti come Renovatio 21, che al momento rischiano meno, e che, come sapete, mai vi ha preso per i fondelli, mai vi ha ingannato, mai vi ha sfruttato per vendere pubblicità, mai vi ha detto menzogne.

 

Nella seconda fase del DSA, la censura orwelliana potrebbe tornare a colpirci. Ma non è che ci fermeranno: in caso, sposteremo i server, continueremo fuori da internet, magari perfino con la carta stampata, come una bella pubblicazione cartacea che arriva periodicamente nella buca delle lettere.

 

Decimateci pure il traffico sul sito: noi andiamo avanti comunque, con quei lettori che sanno chi siamo, cosa facciamo, e perché – cioè hanno in noi fiducia, un sentimento che mai il Moloch europeo potrà ottenere dai cittadini, e di qui il suo odio per quelli come noi.

 

Avanzeremo, qualunque cosa succeda, perché questo non è un sito come gli altri. E le persone coinvolte, collaboratori e lettori, hanno motivazioni fortemente logiche – per cui, oggi, fuori dal comune.

 

Non abbiamo niente da perdere, se non la libertà.

 

Non abbiamo altra opzione, che non sia la Verità. Che, come dice il Signore, è la Via, è la Vita – è Dio stesso.

 

Provino pure a censurare la Vita, a censurare Dio. Credono, davvero, di vincerla?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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Lo scrittore Camillo Langone espulso da Instagram. È stato il gelato al finocchio?

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Lo scrittore Camillo Langone è stato bannato da Instagram, la piattaforma social di condivisione di fotografia, dove non avrebbe più accesso al suo profilo con oltre 8.000 follower.

 

«Non posso entrare nel mio profilo da lunedì e ho la spiacevole sensazione di aver perso 8.000 seguaci per un solo post» aveva scritto ieri Langone a Renovatio 21. «Ho fatto reclamo, ho fatto anche i videini che mi hanno richiesto, nessuna risposta».

 

Allo stato attuale sembra tuttavia che il profilo dello letterato parmigiano sia tornato visibile.

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Non si è nemmeno trattato della prima volta: «certo, altre volte» è accaduto in passato, racconta Camillo, «ma sempre per quadri giudicati erotici e per meno tempo». Langone con la sua attività di promozione dei pittori figurativi contemporanei – iniziativa oramai consolidata in ambito nazionale chiamata «Eccellenti pittori» – può essere incappato nella pubblicazione di qualche nudo, o seminudo, artistico; tuttavia ricordiamo anche che anche quadri della Madonna col bambino, o la Venere di Botticelli, sono passati sotto la scure della censura dei social network.

 

Ma cosa è accaduto questa volta? Quale immagine ha fatto scattare la mannaia censoria?

 

«Era un post con 4 foto e 4 piatti relativi a una cena asiaghese, loro non dicono mai il vero motivo, sono io che suppongo sia per il gelato al finocchio, non potrà mica essere per le lumache alla brace» sospira Langone, trovandosi nella situazione, di fatto letteralmente kafkiana, in cui si sono trovati in tantissimi, da anonimi utenti a personaggi con milioni di follower: non sai mai cosa hai fatto veramente, non sai nemmeno perché ti processano, anzi, perché ti hanno già condannato.

 

«Il mio errore è stato non togliere subito tutto dopo il loro avvertimento, e l’aver fatto ricorso. Da quel momento, fine dell’account» racconta Camillo, ma noi gli diciamo che non c’è certezza nemmeno di questo.

 

Ad ogni modo, la foto incriminata è quella che vedete sul post, mentre sopra questo articolo potete rimirare la riproduzione fornita dall’autore proprio di quel fatale gelato al finocchio.

 

La didascalia diceva «Gioielli di gastronomia artistica. Riso al porro bruciato (latticello, barbusto) + Lumache alla brace (erbe, latte, ribes) + Pecora + Gelato al finocchio, Ristorante Lemelae, Gallio. #consolazionidellagastronomia #risoalporro #latticello #lumache #lumacheallabrace #pecora #carnedipecora #gelatoalfinocchio #lemelae #gallio #altopianodiasiago #altopianodeisettecomuni #ciboestremo #misticadellacarne».

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Camillo Langone (@camillolangone)


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Il post, come il profilo, sembra tornato online. E non deve stupire nemmeno che Instagram sia tornato sui suoi passi: come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa Facebook (che è della medesima società di Instagram, Meta) ha censurato una foto pubblicata da un negozio canadese di semi e forniture da giardini perché giudicata, per qualche ragione «troppo sexy».

 

Possibile dunque che l’algoritmo, o la ciurma di indiani sottopagati che ci stanno dietro, abbia capito che il gelato al finocchio non è una pietanza cannibale omofoba?

 

Abbiamo contattato Camillo per chiedergli del profilo tornato online. «Mi hanno ridato l’account? Io non vedo» ha risposto lo scrittore. Lo abbiamo invitato quindi a verificare. «Niente, non riesco a entrare. Anche io vedo la mia pagina, ma non posso accedervi. Infatti ho fatto un altro profilo, camillolangonefoto. Ma ricominciare da zero è allucinante».

 

Come ricorda il lettore di Renovatio 21, una strana censura si era abbattuta su Langone anche l’anno scorso. Langone, vate del tabarro, nonché iniziatore delle prime Tabarrate a Parma (2016) e Casalmaggiore (2017) a favore dei suoi tanti follower aveva pubblicato su Facebook la locandina della Tabarrata Nazionale 2023, raduno tabarrista organizzato dalla Civiltà del Tabarro.

 

La piattaforma dello Zuckerberg la censurò. «Il tuo post viola i nostri Standard della community, pertanto è visibile solo a te».

 

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È stato ipotizzato che il motivo di questa incredibile censura potesse essere di questo tipo: la locandina della Tabarrata Nazionale gli era arrivata via Whatsapp (altra società di Meta/Facebook) dal direttore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco, che è pure il presidente della Civiltà del Tabarroil quale, come sapete, riuscì a riavere il suo profilo Facebook e la pagina sul social di Renovatio 21 solo dopo aver portato Meta/Facebook in tribunale…

 

È così? Macchè, non abbiamo modo di saperlo, perché, ripetiamo, con i social – almeno coloro che hanno davvero qualcosa da dire – siamo entrati in una dimensione funzionalmente kafkiana, dove siamo sottomessi a capricci di autorità crudeli ed irrazionali, inintellegibili e implacabili – un incubo gnostico che è, chiaramente, il rovesciamento dello stato di Diritto e quindi un’anticipazione della società del futuro, dove, come abbiamo detto tante volte – come è stato teorizzato apertis verbis da tanti volonterosi carnefici dell’umanità nel mondo moderno il cittadino diventa utente e lo Stato piattaforma.

 

Cioè, il diritto diviene «accesso», e il cittadino giocoforza non può che essere uno schiavo.

 

Intanto, tuttavia, godiamoci il gelato al finocchio, leccornia di cui Renovatio 21 promette, in un tempo indeterminato, di mostrarvi la produzione tramite azoto liquido. I lettori interessati possono scrivere per insistere nella richiesta di pubblicazione di tale articolo crio-gastronomico.

 

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Immagine di Camillo Langone

 

 

 

 

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Internet

Il Kazakistan vieta la pornografia via webcam

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Il Kazakistan ha modificato il suo codice penale, vietando le esibizioni sessuali tramite webcam, che ora sono legalmente equiparate ad attività legate alla prostituzione. I media regionali hanno recentemente lanciato l’allarme per l’ascesa dell’industria in Asia centrale.   La pratica dei live-stream di contenuti espliciti in cambio di denaro si è diffusa in molte parti del mondo negli ultimi decenni. Alcune piattaforme pubblicizzano anche servizi sessuali fisici.   In Kazakistan la prostituzione in sé è legale, ma gli atti che la facilitano, tra cui la coercizione e la gestione di bordelli, sono considerati reato.

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Secondo l’agenzia di stampa Tengrinews.kz, gli emendamenti sono stati introdotti ai sensi di una legge kazaka sulla «lotta al traffico di esseri umani» entrata in vigore a luglio. Un nuovo termine, «altri servizi di natura sessuale», è stato aggiunto al codice penale.   «Per altri servizi di natura sessuale si intende la commissione di atti volti a soddisfare i bisogni sessuali di un altro individuo, anche a distanza e in tempo reale con l’ausilio della tecnologia delle telecomunicazioni, tra cui Internet, allo scopo di ottenere un profitto», afferma l’emendamento, come citato dall’organo di stampa.   La nuova definizione è stata aggiunta a diversi articoli del codice penale che riguardano la prostituzione, la gestione di bordelli e il coinvolgimento di minori in tali attività illegali.   L’anno scorso, le autorità kazake hanno riferito di aver smantellato un gruppo criminale altamente organizzato specializzato in servizi webcam illegali. La rete avrebbe attirato giovani donne con la promessa di alti salari e le avrebbe trattenute tramite ricatto.   A fine giugno, il presidente kirghiso Sadyr Japarov ha firmato le modifiche al codice penale del Paese, che hanno messo al bando «la facilitazione e l’istigazione alla prostituzione e alla dissolutezza tramite Internet (studi di webcam)». Gli emendamenti prevedevano anche sanzioni per le lavoratrici del sesso coinvolte in tali attività.   Gli individui ritenuti colpevoli di aver organizzato live-stream espliciti potrebbero affrontare fino a sette anni dietro le sbarre, o fino a 15 se sono coinvolti minori. Gli individui sorpresi a fornire tali servizi potrebbero essere multati per la cifra di circa un centinaio di euro.   I cambiamenti sono stati avviati da diversi legislatori che sostenevano che il fenomeno aveva raggiunto proporzioni preoccupanti nella regione.   Commentando il divieto di pornografia tramite webcam in Kirghizistan a fine luglio, la parlamentare russa Nina Ostanina, che presiede la commissione per la famiglia nel parlamento russo, ha dichiarato all’agenzia di stampa RTVI che «non c’era bisogno di ulteriori misure regolamentari» che prendessero di mira tali servizi in Russia, riconoscendo che alcune giovani donne in Russia si dedicano a tali pratiche «a causa della mancanza di istruzione», ma ha affermato che non sono necessarie restrizioni speciali.   Come riportato da Renovatio 21, un’altra ex repubblica sovietica, l’Ucraina, sta invece muovendosi in direzione opposta, con proposte da parte di parlamentari della Verkhovna Rada (il Parlamento unicamerale di Kiev) di legalizzare la produzione di materiale pornografico, e l’attività delle ragazze con la webcam potrebbe ascriversi proprio in questa categoria.   L’anno passato lo sponsor principale del disegno di legge, Yaroslav Zheleznyak, ha sostenuto che le leggi attuali incoraggiano la corruzione e che la legalizzazione della pornografia potrebbe aiutare a raccogliere fondi per i militari.   La misura 9623 modificherebbe l’articolo 301 del codice penale ucraino, che Zheleznyak ha definito «niente meno che stupidità». Non cambia nulla che riguarda la pornografia infantile, il traffico di esseri umani o la prostituzione.   «Non stiamo nemmeno parlando di OnlyFans, ma del consumo di questi contenuti in generale», ha detto al Kiev Post, aggiungendo che mandare qualcuno in prigione fino a otto anni per aver inviato o ricevuto immagine di nudo è un’eredità sovietica.

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Migliaia di ucraini sarebbero attivamente impiegati nella produzione di materiale pornografico. Secondo Zheleznyak, lo Stato ha ricevuto oltre 34 milioni di grivna (circa 840.000 euro) di tasse nella prima metà del 2023 da siti come OnlyFans, il cui proprietario di maggioranza è l’uomo d’affari ucraino-americano Leonid Radvinsky.   Anche un ente di beneficenza che utilizza i nudi per raccogliere fondi per l’esercito ucraino ha contribuito all’iniziativa. Chiamato «Teronlyfans», il gruppo premia coloro che fanno donazioni alle forze armate o ai rifugiati con foto per adulti.   Il deputato Zheleznyak ha anche sostenuto che la polizia ucraina ha cose migliori da fare che dare la caccia alle ragazze delle webcam, citando statistiche che mostrano che 85.500 ore-uomo sono state dedicate a casi di pornografia nel 2021, che secondo lui equivaleva a un anno di lavoro quotidiano, senza ferie, per 41 investigatori.   Come riportato da Renovatio 21, in Ucraina sono state organizzate eventi con pornostar che posano in servizi fotografici di beneficenza con veterani del fronte mutilati di guerra.

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Essere genitori

L’Australia potrebbe vietare ai bambini di usare i social media

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Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha annunciato che il suo Paese sta valutando la possibilità di vietare ai bambini di utilizzare i social media e altre piattaforme digitali pertinenti, adducendo preoccupazioni sulla loro salute fisica e mentale.

 

La legge, che verrà introdotta entro la fine dell’anno, viene pubblicizzata come un mezzo per proteggere i bambini australiani dai pericoli online, oltre a fornire supporto ai genitori e a chi se ne prende cura.

 

«La sicurezza e la salute mentale e fisica dei nostri giovani sono fondamentali», ha affermato il primo ministro australiano, aggiungendo che l’età minima per accedere alle piattaforme online sarà probabilmente compresa tra i 14 e i 16 anni.

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«Voglio vedere i ragazzi staccarsi dai loro dispositivi e andare sui campi da calcio, nelle piscine e nei campi da tennis», ha detto Albanese in una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio. «Vogliamo che abbiano esperienze reali con persone reali perché sappiamo che i social media stanno causando danni sociali».

 

Secondo il primo ministro, la legislazione sarà sviluppata in collaborazione con gli stati e i territori e «sarà informata da una revisione intrapresa dal governo del Sud Australia come parte delle sue bozze di legge».

 

La scorsa settimana, il governo della regione del South Australia ha annunciato piani per vietare ai bambini di età inferiore ai 14 anni di usare i social media. Si prevede inoltre che il quadro normativo preveda che i bambini di età compresa tra 14 e 15 anni debbano avere il consenso dei genitori prima di registrarsi sulle piattaforme.

 

L’Australia, che è classificata tra le prime dieci nazioni al mondo in termini di tassi di adozione di Internet, potrebbe diventare uno dei primi paesi a imporre una restrizione di età sui social media. I precedenti tentativi, anche da parte dell’UE, sono falliti a seguito di lamentele sulla riduzione dei diritti online dei minori.

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A giugno, l’ente australiano per la sicurezza online, l’eSafety Commission, ha avvertito che «gli approcci basati sulle restrizioni potrebbero limitare l’accesso dei giovani al supporto essenziale» e spingerli a cercare «servizi non tradizionali meno regolamentati».

 

Come riportato da Renovatio 21, un anno fa l’autorità sanitaria americana aveva decretato che i social media rappresentano un «rischio profondo» per la salute mentale dei bambini.

 

Secondo quanto riportato, i social favorirebbero anche la comparsa di tic nei più piccoli.

 

Inchieste giornalistiche hanno inoltre scoperto caramelle alla cannabis «fatte per attrarre i bambini» vendute sui social.

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