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Partito il Digital Service Act: l’Europa verso la censura totale. Renovatio 21 sparirà?

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Il 25 agosto è entrato ufficialmente in vigore in territorio dell’Unione Europea il Digital Service Act (DSA), l’eurolegge che di fatto dà alla alla Commissione Europea il potere di censurare i contenuti in rete in nome della lotta alla «disinformazione» e all’«incitamento all’odio» online.

 

A partire da venerdì scorso, le grandi piattaforme online che operano in Europa dovranno rispettare le regole stabilite nella DS, pena una multa immensa fino al 6% delle loro entrate globali annuali: una cifra da capogiro, considerando che i giganti informatici, pur con i magheggi fiscali che abbiamo visto negli anni, arrivano a fatturare in territorio UE miliardi.

 

Il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, ha addirittura minacciato di chiudere le piattaforme dei social media se non rispetteranno le regole in caso di disordini civili, come la recente volta etnica in Francia.

 

Ricorderete cosa era successo, in pieno spirito di anarco-tirannide, Macron, invece che lanciare una repressione che fermasse la devastazione di intere città, diede la colpa ai videogiochi prima e ai social media poi. Pare che, come soluzione al disastro, l’Eliseo pensasse che fosse si dovesse partire dall’impedire la diffusione delle immagini della barbarie della rivolta immigrata.

 

Questa è, a tutti gli effetti, una censura – o ancora meglio, una censura di guerra, dove, come avvenuto per gli americani in Iraq, si proibiscono certe immagini (i soldati morti, le loro bare, etc.). Quindi, a meno che non si sia in una guerra non dichiarata (contro una parte della popolazione, contro un’altra Nazione Europea…?), si tratta senza dubbio di un atto di totalitarismo vero e proprio, che ora è, in massima tranquillità, eurolegalizzato.

 

«Avremmo squadre che potrebbero intervenire immediatamente», ha detto Breton in un’intervista. «Se i responsabili non agissero immediatamente, potremmo non solo multarli ma anche vietare l’esercizio delle piattaforme nel nostro territorio». Breton già in passato aveva parlato della possibilità di vietare i social in caso di disordini civili. I lettori di Renovatio 21 ricorderanno che Breton aveva, dal primo giorno della nuova gestione di Twitter, attaccato Musk, dicendo che in Europa la piattaforma avrebbe dovuto sottoporsi ai voleri di Bruxelles.

 

Twitter è tra le realtà coinvolte in questa fase 1 del DSA, che si applica a siti con più di 45 milioni di utenti europei: Amazon, Facebook, Instagram, Google, YouTube, Wikipedia. Tutti gli altri saranno sottomessi al DSA dal 2024, e ciò vale pure per Paesi non-UE come Svizzera, Islanda e Norvegia.

 

Abbastanza significativamente, traducendo dall’inglese leggiamo che nel comma 36 del DSA si scrive che: «in un contesto transfrontaliero, gli effetti dell’ordinanza dovrebbero, in linea di principio, essere limitati al territorio dello Stato membro di emissione, a meno che l’illegittimità del contenuto derivi direttamente dal diritto dell’Unione o l’autorità di emissione ritenga che i diritti in gioco richiedano una portata territoriale più ampia, in conformità con il diritto dell’Unione e internazionale, tenendo conto degli interessi della cortesia internazionale».

 

Non bisogna sforzarsi troppo per capire in quale orizzonte attuale concreto tale incredibile elasticità d’azione – in pratica, censurare anche contenuti non-UE – salti fuori: la vicepresidente del dipartimento «Valori e trasparenza» della Commissione Europea, Vera Jourova, ha affermato che Bruxelles è particolarmente preoccupata per l’ingerenza russa nelle elezioni europee del 2024.

 

«Progressi rimangono troppo lenti su aspetti cruciali, soprattutto quando si tratta di gestire la propaganda di guerra pro-Cremlino o l’accesso indipendente ai dati. Il Codice dovrebbe anche iniziare ad affrontare nuove minacce come l’uso improprio dell’intelligenza artificiale generativa”.

 

«Mentre ci prepariamo per le elezioni europee del 2024, invito le piattaforme a intensificare gli sforzi nella lotta alla disinformazione e alla manipolazione dell’informazione russa, e questo in tutti gli Stati membri e in tutte le lingue, grandi o piccole che siano» continua la Jurova.

 

Ora, al lettore è chiaro cosa sta succedendo: se ora ti danno del filorusso per un discorso non allineato con la narrativa NATO-UE, ora potranno anche cancellare le tue parole online, procedere contro di te legalmente.

 

Al di fuori dell’atto repressivo, che si manifesterà probabilmente sulle vostre vite, da notare c’è il fatto che la volontà di controllare le prossime elezioni, attaccando i contenuti sgraditi, è praticamente dichiarato. Questa sarebbe, quindi, la democrazia che combatte contro la dittatura moscovita.

 

La questione russa tuttavia non è l’unica preoccupazione che dobbiamo avere: perché tutto l’impianto del DSA è un grande cavallo di Troia per distruggere, negli unici ambiti che contano (politica, geopolitica, sanità, forsanche religione) la libertà di parola per mezzo milioni di europei, una grande mossa di orwelizzazione del continente, e non solo quello.

 

È istituita, quindi, una verità di Stato, o meglio di Superstato: l’Europa avrà un «Comitato Europeo per i servizi digitali» che fungerà da Ministero della Verità stile 1984.

 

Il perno dell’azione censoria si basa, guarda chi si rivede, sul concetto di emergenza: secondo il DSA la capacità di intervenire da parte dell’europotere dovrà essere «rapida» in caso di «crisi». E cosa sia una «crisi», il documento non lo spiega: la vaghezza, insomma, aiuterà a colpire chiunque, in qualsiasi momento, in qualsiasi contesto.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» del COVID? A leggere i titoli dei giornali sulle nuove varianti, no.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» energetica? Calcolando che il gas russo non è ancora stato sostituito – perché è tecnicamente, al momento, insostituibile, no.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» economica? No, quella è perfino cantata dai bardi di Bruxelles.

 

Possiamo dire di essere fuori dalla «crisi» climatica? Giammai, quella, lo sappiamo bene, è eterna, alimentata ogni giorno da studi, proteste, misteriosi incendi.

 

Il contesto in cui viviamo, quindi, è stato definito «crisi permanente». E in una «perma-crisi» (come disse il caporione OMS europeo Hans Kluge) la censura europea, come da regolamento, può abbattersi dove e quando vuole, «rapidamente», come dice il testo.

 

L’aleatorietà più sfrenata, e programmatica, traspira anche dal resto del documento: non è detto quale sia l’informazione «affidabile», né quale sia il criterio per considerarla tale, così come non è chiaro quali competenze e doveri debba avere il censore che stabilisce se quello che dico è vero o falso.

 

Lo hanno chiamato eurobavaglio, ma è peggio – perché oltre ad impedirvi di parlare, vi impediranno di ascoltare cose considerate sbagliate, uccidendo la circolazione delle idee e creando una stagnazione cognitiva abitata, tecnicamente, proprio da schiavi. La democrazia occidentale si toglie la maschera, e si rivela per quello che è: un’oligarchia psicopoliziesca, una cleptocrazia schiavista, una dittatura dei corpi e delle anime.

 

Gli europarlamentari italiani del PD hanno, ovviamente, votato in massa. Forza Italia, compreso Antonio Tajani, pure. Ma potrebbe sorprendere che voti sono arrivati anche dai Cinque Stelle (il televisivo Giarrusso incluso) e, in bella quantità, da Fratelli d’Italia: secondo La Verità dello scorso 25 agosto, il pugliese Fitto, il «milanese» Fidanza e pure Vincenzo Sofo (noto anche come consorte di Marion Le Pen, eletto in Lega ma passato per qualche ragione in FDI) hanno votato il DSA. Solo la Lega Nord si è opposta.

 

Ora, quello che potrebbe succedere non solo lo abbiamo presente, ma lo abbiamo vissuto.

 

Come sa chi ci segue da un po’, nel 2021 Facebook cancellò la nostra pagina e disintegrò, cioè proprio eliminò, l’account personale collegato, e pure, en passant, innocue pagine associazionistiche collegate. Il traffico su Renovatio21.com crollò – perché è sui social che le persone stanno tutto il giorno, con centinaia di famelici scroll al giorno – com’era, con evidenza, l’intenzione ultima di chi poteva aver ordinato la censura.

 

Solo ora capiamo quanto pervasivi fossero gli ordini dell’amministrazione Biden e delle agenzie di Intelligence (e pure delle grandi farmaceutiche) che «ripulivano» la rete da messaggi indesiderati e dai loro autori; grazie a documenti delle Commissioni del Congresso USA abbiamo una qualche idea di come funzionasse la censura, con liste mandate direttamente ai social, se non post specifici da cancellare.

 

Non abbiamo ancora idea, perché nessun rappresentante eletto si vuole chiaramente intestare una battaglia del genere, di come funzionasse il sistema di censura in Italia: anche sul nostro territorio qualcuno faceva le liste? Chi le spingeva alle aziende? Domande a cui, a causa di una classe politica vigliacca che non protegge i suoi cittadini, non abbiamo risposta.

 

Con fatica, dopo nei mesi dopo il ban abbiamo fatto riemergere i numeri, praticamente unico caso di sito di spessore che fa totalmente a meno dei social, ma con una difficoltà incredibile. Portammo Facebook/Meta in tribunale, e il giudice emise l’ordinanza di ridarci pagine e account. Tuttavia, potete vedere voi stessi, se una volta un post sulla pagina Facebook di Renovatio 21 poteva fare centinaia di like e condivisioni (in alcuni casi migliaia e decine di migliaia), oggi riceviamo, se va bene, due like. Lo chiamano shadow ban, la «censura ombra»: non c’è modo di dimostrarla, né di far intervenire le autorità (in altri Paesi ci hanno provato, parrebbe).

 

Anche YouTube, come sapete, ha lanciato avvertimenti. Pubblichiamo poco, quindi difficile che arrivino strike censori, tuttavia eccoli qui: c’è stata la cancellazione dell’omelia di Pasqua di Monsignor Viganò (per qualche ragione, lasciata in altri noti canali di sedicente «controinformazione») e poi vari casi di strike retroattivi. Che vuol dire, ti cancellano video di anni fa, filmati che per anni andavano benissimo alla piattaforma, e che ora invece divengono occasione per minacciarti: fanne un altro così e ti buttiamo fuori.

 

Ancora oggi, la difficoltà che ha Renovatio 21 a raggiungere i suoi lettori è grande, è una corsa viziata da enormi ostacoli, che altri non hanno, e a un certo punto ci chiediamo anche perché. Tuttavia, siamo ancora qui, più forti e determinati che mai.

 

Esistere al di fuori dei social è, oggigiorno, difficile, al limite del possibile. Eppure noi è quello che stiamo tentando di fare.

 

Perché tutto lo spazio dei social è già manipolato, e lo sarà ancora di più – il DSA sta a significare esattamente questo. Nessuna credibilità potrà essere data ai social, non tanto per quello che la gente vi scriverà, ma per quello che non vi faranno leggere.

 

Stare sui social network oggi, quindi, è una scelta esiziale per la vostra libertà – è una scelta di schiavitù, in primis nei confronti della dopamanina (il neurotrasmettitore coinvolto nella dipendenza da internet) ma soprattutto riguardo al potere costituito, che vi sta dicendo in faccia che manipolerà quel che sentite nel programma di controllare il vostro pensiero.

 

Uscite da Facebook. Uscite da Instagram. Uscite anche da Telegram: proposte politiche per chiuderlo vi sono già state in Germania (dove è pure arrestato un utente perché «filorusso»), e non è detto che passino, o che la piattaforma – strana combo russo-emiratina, fondatori di San Pietroburgo ma server a Dubai – non si pieghi. Ricordiamo che è già successo, quando ad inizio pandemia, nel primissimo grande lockdown, giudici italiani, spinti dalle denunce dei quotidiani nazionali, chiesero a Telegram di cancellare i canali dove si distribuivano illegalmente i pdf dei giornali gratis, e con sorpresa di molti, il social, che non aveva mai risposto, obbedì.

 

Consideriamo anche il fatto che Telegram sta distruggendo, al pari degli altri social, la possibilità del lettore di approfondire, di cristallizzare pensiero ed opinione: non sono articoli, ma post brevissimi, fatti da influencer senza volto, che rendono dipendenti dalle continue update, e che in quantità di casi contengono fake news imbarazzanti, ignoranti e disperanti.

 

Il DSA, al momento, colpisce i grandi siti, le grandi app: state lontani, quantomeno quando siete alla ricerca di informazioni su ciò che accade.

 

Frequentate siti come Renovatio 21, che al momento rischiano meno, e che, come sapete, mai vi ha preso per i fondelli, mai vi ha ingannato, mai vi ha sfruttato per vendere pubblicità, mai vi ha detto menzogne.

 

Nella seconda fase del DSA, la censura orwelliana potrebbe tornare a colpirci. Ma non è che ci fermeranno: in caso, sposteremo i server, continueremo fuori da internet, magari perfino con la carta stampata, come una bella pubblicazione cartacea che arriva periodicamente nella buca delle lettere.

 

Decimateci pure il traffico sul sito: noi andiamo avanti comunque, con quei lettori che sanno chi siamo, cosa facciamo, e perché – cioè hanno in noi fiducia, un sentimento che mai il Moloch europeo potrà ottenere dai cittadini, e di qui il suo odio per quelli come noi.

 

Avanzeremo, qualunque cosa succeda, perché questo non è un sito come gli altri. E le persone coinvolte, collaboratori e lettori, hanno motivazioni fortemente logiche – per cui, oggi, fuori dal comune.

 

Non abbiamo niente da perdere, se non la libertà.

 

Non abbiamo altra opzione, che non sia la Verità. Che, come dice il Signore, è la Via, è la Vita – è Dio stesso.

 

Provino pure a censurare la Vita, a censurare Dio. Credono, davvero, di vincerla?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Immigrazione

Conor McGregor indagato per hate speech: aveva criticato la risposta del governo alla violenza migrante di Dublino

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Il campione di MMA Conor McGregor è ora sotto inchiesta per «incitamento all’odio online» per le sue critiche alle politiche migratorie di massa del governo irlandese e per l’incapacità di proteggere i suoi cittadini dalla violenza dei migranti.

 

Il McGregor si è espresso con veemenza contro l’inerzia del governo dopo che diversi bambini e una donna sono stati accoltellati da un migrante algerino in pieno giorno la scorsa settimana.

 

«Bambini innocenti accoltellati senza pietà da uno straniero mentalmente squilibrato a Dublino, in Irlanda, oggi», ha pubblicato su Twitter. «Il nostro capo della polizia ha detto questo sulle rivolte avvenute in seguito. Drew, non va bene. C’è un grave pericolo tra noi in Irlanda che non dovrebbe mai verificarsi qui in primo luogo».

 

 

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McGregor ha anche chiesto ai leader irlandesi un’azione per affrontare la politica migratoria di fondo che ha consentito all’aggressore algerino di entrare in Irlanda.

«Le vostre affermazioni di nulla sono assolutamente inutili per la soluzione di questo problema. Agite!! Risolvete IMMEDIATAMENTE questa situazione!»

 

 

In risposta, le forze di polizia irlandesi, note come Gardai, stanno ora indagando su McGregor per «incitamento all’odio online».

 

«I post di McGregor sono al vaglio della Gardai, la polizia irlandese, nell’ambito di un’indagine sulla diffusione di discorsi di incitamento all’odio online. L’indagine è condotta da Justin Kelly, un vice commissario del Garda», ha riferito il britannico Sunday Times.

 

Il contesto dell’attacco a McGregor – peraltro un simbolo nazionale vivente, che ha espresso semplicemente la sua opinione pubblicamente – è da valutare bene, perché avviene proprio nei giorni in cui il primo ministro irlandese Leo Varadkar ha promesso di reprimere il cosiddetto hate speech, il «discorso di incitamento all’odio», in seguito alle rivolte scoppiate in seguito alla follia di accoltellamenti tra i migranti.

 

«Approveremo nuove leggi nelle prossime settimane per consentire al Gardai di utilizzare meglio le prove CCTV raccolte ieri», ha detto Varadkar. “Modernizzeremo le nostre leggi contro l’incitamento all’odio e all’odio in generale”.

 

«Abbiamo bisogno di leggi per poterli perseguire individualmente… La colpa è loro e noi le otterremo», ha aggiunto il Varadkar.

 

«Siamo un Paese di migranti. Siamo andati in tutto il mondo come popolo», ha insistito. «I nostri servizi pubblici non funzionerebbero senza la migrazione. Non ci sarebbe nessuno che si prenderebbe cura dei malati o degli anziani, sicuramente non abbastanza persone».

 

Le osservazioni di Varadkar che denigravano l’indignazione per l’accoltellamento più che per l’accoltellamento stesso erano così stonate che persino il CEO di Tesla Elon Musk ha concluso che il primo ministro irlandese «odia il popolo irlandese».

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Al momento dell’attacco, in cui è stata ferita una donna e dei bambini, i media mainstream – inclusa la britannica BBC – hanno negato che il sospetto fosse un immigrato, dicendo che quelle erano solo «voci» messe probabilmente in giro dall’estrema destra, mentre a loro risultava che il presunto accoltellatore fosse invece un «cittadino irlandese».

 

Il che tecnicamente è pure vero: il sospetto, 50 anni, ha infatti ottenuto la cittadinanza 20 anni fa, ma si tratterebbe di un algerino che non si è mai integrato in Irlanda; secondo quanto dicono alcune testate, sarebbe invece vissuto sempre alle spese dello Stato irlandese senza lavorare.

 

Leo Varadkar, figlio di padre indiano, è il primo premier irlandese dichiaratamente omosessuale. Il suo partito, il Fine Gael, è il più partito irlandese rappresentato a Bruxelles, ed è infatti considerato come decisamente europeista. Il Fine Gael, che si definisce liberal-conservatore e pure cristiano-democratico, nel 2014 lavorò alacremente per la campagna di modifica della Costituzione del 1937 affinché fosse inserito il comma secondo cui «il matrimonio può essere contratto per legge da due persone, senza distinzione di sesso».

 

Intervistato da Tucker Carlson, l’ex stratega di Donald Trump Steve Bannon, lui stesso di origini irlandesi, ha definito la situazione del Paese come «una polveriera», sottolineando come Varadkar e i politici siano totalmente divorziati dalla realtà e completamente venduti agli ordini della UE.

 

 

Gli oltre centomila immigrati presi a carico da Dubino in un anno, su una popolazione totale del Paese di poco più di 4 milioni di abitanti, danno l’idea della catastrofe demografica in corso, al punto che, come sottolinea Carlson, parlare di progetto di sostituzione etnica è l’unico modo per descrivere il fenomeno.

 

Secondo voci, il marzialista UFC McGregor, popolarissimo nella società dell’Eire, potrebbe scendere in campo e lanciare una sfida alla classe politica oramai lontana dalla realtà.

 

Nel frattempo, secondo il progetto di legge di Varadkar, non solo il campione potrebbe finire in galera, ma pure chiunque altro abbia sul proprio telefonino un meme considerato (da chi?) come hate speech.

 

L’Irlanda, patria delle oscure trame fiscali dei colossi tecnologici americani per i loro affari europei, potrebbe rappresentare il futuro che tocca a tutti noi: la convergenza Stato-multinazionali che predica Davos, con effetti mostruosi sulla popolazione, come quello di punire chiunque sia in disaccordo con le politiche di immigrazione – cioè, di sostituzione etnica – implementata dal governo nazionale e supranazionale.

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Cina

Arresti per le frodi on line: la Birmania estrada in Cina 31 mila persone

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il bilancio provvisorio dall’inizio della collaborazione a settembre fra forze dell’ordine dei due Paesi contro le truffe nelle telecomunicazioni. Al centro dell’inchiesta 63 presunti «finanziatori» e capi criminali che avrebbero truffato cittadini cinesi per «somme ingenti» di denaro. La guerra fra militari golpisti e milizie ribelli nella ex-Birmania alimenta il fenomeno.   Le autorità del Myanmar hanno consegnato alla Cina 31mila sospetti arrestati per frode nel settore delle telecomunicazioni da quando, nel settembre scorso settembre, le forze dell’ordine di entrambi i Paesi hanno avviato un giro di vite sulle truffe online.   Secondo quanto riferisce in una nota il ministero della Pubblica sicurezza, che ha rilanciato oggi la notizia, fra le persone finite al centro dell’inchiesta vi sono 63 presunti «finanziatori» e capi di organizzazioni criminali che avrebbero truffato cittadini cinesi per «somme ingenti» di denaro.  «La repressione – ha proseguito la dichiarazione ministeriale – ha ottenuto risultati significativi nella lotta».   Secondo i media statali di Pechino ogni giorno più di 100mila persone sono coinvolte in frodi nel settore delle telecomunicazioni in almeno mille centri votati alla truffa in Myanmar, nell’area confinante con il sud-ovest della Cina, che ha alimentato il fenomeno degli «schiavi del web».   Un traffico di enorme portata già denunciato a più riprese in passato e che può contare anche sulla situazione di tensione che si è creata nella zona di frontiera fra i due Paesi, a causa del conflitto in atto fra esercito legato al regime golpista birmano e gruppi ribelli.   La polizia cinese ha iniziato a reprimere le frodi a settembre, lanciando quelli che ha definito «attacchi rapidi» alle bande criminali in Myanmar. La settimana scorsa il capo di una banda criminale in Myanmar si è suicidato mentre era in fuga dalle autorità del Paese e tre membri della sua banda sono stati consegnati in un secondo momento alle autorità.   A causa dell’aumento delle truffe nel settore delle telecomunicazioni in Myanmar ai danni di cittadini cinesi, il vice-ministro degli Esteri Nong Rong ha visitato il Paese a novembre, sottolineando l’asse fra Pechino e Naypyidaw nel combattere la criminalità transfrontaliera.   Nel mirino vi sono non solo le truffe, ma pure il gioco d’azzardo on-line. L’alto funzionario cinese ribadisce il sostegno al Myanmar nel tentativo di mantenere stabili i confini, a fronte di una escalation militare nella ex-Birmania vista con preoccupazione da diverse nazioni nell’area.   L’esercito al potere in Myanmar sta affrontando attacchi su più fronti nelle terre al confine, mentre un’alleanza di gruppi di insorti appartenenti a minoranze etniche si combina con i combattenti pro-democrazia per sfidare il governo emanazione della giunta miliare.   Al riguardo, il ministero cinese degli Esteri sottolinea il ruolo «costruttivo» di Pechino nel «promuovere i colloqui di pace e sollecitare le parti interessate a mettere al primo posto gli interessi del popolo, al cessate il fuoco e a porre fine alla guerra il prima possibile».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Internet

Mosca inserisce il portavoce di Meta-Facebook nella lista dei ricercati

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Andy Stone, portavoce del conglomerato Meta tech, che possiede Facebook, Instagram e WhatsApp, è stato inserito nella lista dei ricercati in Russia, secondo il database del Ministero degli Interni del Paese.

 

Le agenzie Izvestia, RIA Novosti e altri media russi hanno riferito domenica che il nome di Stone ora può essere trovato nel database. Nel suo fascicolo si legge che il cittadino statunitense è ricercato per un procedimento penale, ma non rivela ulteriori dettagli.

 

Meta è stata etichettata come un’organizzazione estremista in Russia poco dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina nel febbraio 2022. Le sue app, Facebook e Instagram, sono state bloccate nel paese per aver consentito incitamenti all’odio contro cittadini russi e per aver distribuito contenuti ritenuti falsi riguardo l’esercito di Mosca. WhatsApp ha evitato le restrizioni perché classificato esclusivamente come strumento di comunicazione.

 

Nel marzo 2022, Reuters ha riferito, dopo aver esaminato le e-mail interne di Meta, che la società aveva deciso di allentare temporaneamente le sue regole in alcuni paesi per consentire agli utenti di Facebook e Instagram di incitare alla violenza contro i russi e i soldati russi nel contesto dell’operazione militare del Paese in Ucraina.

 

Si prevedeva inoltre che le richieste di morte del presidente russo Vladimir Putin e del suo omologo bielorusso Alexander Lukashenko venissero legittimate, secondo l’agenzia.

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Su Twitter, Stone ha risposto alla notizia, definendola «sensazionale» e spiegando la posizione di Meta sulla questione.

 

«Come risultato dell’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo temporaneamente concesso spazio a forme di espressione politica che normalmente violerebbero le nostre regole, come discorsi violenti, come “Morte agli invasori russi”», ha scritto il portavoce. «Non permetteremo ancora inviti credibili alla violenza contro i civili russi», ha aggiunto.

 

Il gigante informatico ha anche cercato di smorzare i toni, con il presidente degli affari globali di Meta, Nick Clegg (ex ministro degli Esteri britannico), che ha affermato che la misura mirava esclusivamente a dare agli ucraini la possibilità di sfogare la loro rabbia nei confronti delle azioni della Russia.

 

Come scrive RT, la politica dell’azienda statunitense è stata criticata anche dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, che ha affermato che tale linguaggio è «inaccettabile» in qualsiasi contesto.

 

Il giorno successivo al rapporto della Reuters, il comitato investigativo russo ha annunciato di aver avviato un procedimento penale «in relazione alle richieste illegali di omicidio e violenza contro cittadini russi da parte dei dipendenti di Meta». L’agenzia ha affermato che fornirà una valutazione giuridica delle azioni di Stone e di altri dipendenti del colosso tecnologico statunitense.

 

Secondo gli investigatori, la loro condotta avrebbe potuto violare gli articoli 280 e 205.1 del codice penale russo, che comprendono gli appelli pubblici ad attività estremiste e l’assistenza in attività terroristiche.

 

Come riportato da Renovatio 21, a Mark Zuckerberg e alla sua azienda ad un certo punto era arrivata gratitudine direttamente dal presidente Zelens’kyj, che ringraziò per l’aiuto nello «spazio informativo» della guerra: un riconoscimento neanche tanto implicito dell’uso fondamentale dei social come arma bellica.

 

(Consigliamo al lettore che non l’abbia già fatto di leggersi l’articolo pubblicato da Renovatio 21 «Le origini militari di Facebook»).

 

In questi mesi Kiev ha dato al suo governo i poteri di limitare i media, bloccare siti web e perfino di «dare ordini» alle società Big Tech.

 

A inizio anno Meta, aveva invertito la sua precedente politica di etichettare il famigerato battaglione neonazista Azov come «organizzazione pericolosa». L’impegno a cambiare la politica, si scrisse, era stato presumibilmente fatto ai funzionari ucraini da Nick Clegg e Monika Bickert, capo della gestione delle politiche globali di Facebook, durante il World Economic Forum di Davos.

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