Internet
ONG finanziate da Soros contro Elon Musk: boicottate Twitter
Circa 26 ONG, comprese quelle finanziate dai governi europei e dal finanziere miliardario George Soros, hanno invitato i principali inserzionisti di Twitter a boicottare la piattaforma se Musk ripristinerà gli account bannati e revocherà le restrizioni di parola.
Secondo la campagna di pressione, l’impegno dichiarato di Musk per la libertà di parola, hanno affermato, porterà a «disinformazione, odio e molestie».
«L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk intossica ulteriormente il nostro ecosistema informativo e rappresenta una minaccia diretta per la sicurezza pubblica, specialmente tra quelle già più vulnerabili ed emarginate», hanno scritto i gruppi in una lettera martedì.
Lodando le politiche di moderazione dei contenuti di Twitter – cioè, in termini non orwelliani, la censura – le ONG hanno avvertito che «Musk intende potenziare queste garanzie e fornire un megafono agli estremisti che trafficano in disinformazione, odio e molestie».
«Sotto il pretesto della “libertà di parola”, la sua visione metterà a tacere e metterà in pericolo le comunità emarginate, e strapperà il tessuto sfilacciato della democrazia», hanno continuato.
Tra i gruppi che si oppongono alla visione di Musk ci sono Black Lives Matter Global Network, Media Matters for America, Women’s March, Center for Countering Digital Hate e Access Now.
Dietro questi gruppi ci sono potenti donatori. Access Now, che afferma di combattere la censura di Internet ma supporta la «moderazione dei contenuti», ha prelevato più di un milione di dollari dalle Open Society Foundations di Soros dallo scorso marzo, oltre a finanziamenti dai governi di Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, e Svezia.
Il Center for Countering Digital Hate (CCDH) è una ONG pro-censura con sede nel Regno Unito, il cui lavoro negli ultimi tempi si è concentrato sulla lobby dei governi e delle aziende tecnologiche per limitare i contenuti scettici sui vaccini online. La Casa Bianca si è appoggiata alla ricerca del CCDH per aiutare a reprimere la cosiddetta «disinformazione» sul COVID-19.
Lo stesso Musk ha invitato i suoi follower su Twitter a indagare su queste «organizzazioni che vogliono controllare il tuo accesso alle informazioni», dichiarando che “la luce solare è il miglior disinfettante”.
Tuttavia, questi non sono gli unici potentati contro il Twitter di Musk. Bill Gates ha chiesto mercoledì a Musk di continuare le politiche di moderazione della piattaforma, menzionando in particolare i post che dicono «i vaccini uccidono le persone».
Come riportato da Renovatio 21, tra Musk e Gates vi è stato di recente qualche attrito, con il sudafricano a sfottere pesantemente l’uomo Microsofto.
È rilevante notare che pochi giorni dopo l’acquisto di Musk, la Casa Bianca ha annunciato la creazione di un «Comitato per la governance della disinformazione», un vero e proprio Ministero della Verità orwelliano però basato sul Dipartimento Homeland Security, cioè su un ramo delle forze dell’ordine pesantemente armato.
Il capo designato del Ministero della Verità bideniano è un personaggio noto per aver diffuso disinformazione vera, unendosi al coro di coloro che poco prima delle elezioni 2020 dissero che la storia del laptop di Hunter Biden era falsa e forse pure costituiva una campagna di disinformazione russa.
Nina Jankowicz, la nuova czar della disinformazione, ha agghiacciato il pubblico con un grottesco video in cui canta come Mary Poppins riguardo la sua materia.
In molti lo hanno definito cringe.
La realtà è che tutta la libertà di parola, in rete e non solo, è oramai un argomento che hanno reso inguardabile, hanno tabuizzato.
Come la vita dopo due anni di pandemia, cioè di riallineamento totale del potere nelle mani di tiranni che vogliono imprigionarci o spazzarci via.
Immagine di Tesla Owners Club Belgium via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Alimentazione
Lo scrittore Camillo Langone espulso da Instagram. È stato il gelato al finocchio?
Lo scrittore Camillo Langone è stato bannato da Instagram, la piattaforma social di condivisione di fotografia, dove non avrebbe più accesso al suo profilo con oltre 8.000 follower.
«Non posso entrare nel mio profilo da lunedì e ho la spiacevole sensazione di aver perso 8.000 seguaci per un solo post» aveva scritto ieri Langone a Renovatio 21. «Ho fatto reclamo, ho fatto anche i videini che mi hanno richiesto, nessuna risposta».
Allo stato attuale sembra tuttavia che il profilo dello letterato parmigiano sia tornato visibile.
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Non si è nemmeno trattato della prima volta: «certo, altre volte» è accaduto in passato, racconta Camillo, «ma sempre per quadri giudicati erotici e per meno tempo». Langone con la sua attività di promozione dei pittori figurativi contemporanei – iniziativa oramai consolidata in ambito nazionale chiamata «Eccellenti pittori» – può essere incappato nella pubblicazione di qualche nudo, o seminudo, artistico; tuttavia ricordiamo anche che anche quadri della Madonna col bambino, o la Venere di Botticelli, sono passati sotto la scure della censura dei social network.
Ma cosa è accaduto questa volta? Quale immagine ha fatto scattare la mannaia censoria?
«Era un post con 4 foto e 4 piatti relativi a una cena asiaghese, loro non dicono mai il vero motivo, sono io che suppongo sia per il gelato al finocchio, non potrà mica essere per le lumache alla brace» sospira Langone, trovandosi nella situazione, di fatto letteralmente kafkiana, in cui si sono trovati in tantissimi, da anonimi utenti a personaggi con milioni di follower: non sai mai cosa hai fatto veramente, non sai nemmeno perché ti processano, anzi, perché ti hanno già condannato.
«Il mio errore è stato non togliere subito tutto dopo il loro avvertimento, e l’aver fatto ricorso. Da quel momento, fine dell’account» racconta Camillo, ma noi gli diciamo che non c’è certezza nemmeno di questo.
Ad ogni modo, la foto incriminata è quella che vedete sul post, mentre sopra questo articolo potete rimirare la riproduzione fornita dall’autore proprio di quel fatale gelato al finocchio.
La didascalia diceva «Gioielli di gastronomia artistica. Riso al porro bruciato (latticello, barbusto) + Lumache alla brace (erbe, latte, ribes) + Pecora + Gelato al finocchio, Ristorante Lemelae, Gallio. #consolazionidellagastronomia #risoalporro #latticello #lumache #lumacheallabrace #pecora #carnedipecora #gelatoalfinocchio #lemelae #gallio #altopianodiasiago #altopianodeisettecomuni #ciboestremo #misticadellacarne».
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Il post, come il profilo, sembra tornato online. E non deve stupire nemmeno che Instagram sia tornato sui suoi passi: come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa Facebook (che è della medesima società di Instagram, Meta) ha censurato una foto pubblicata da un negozio canadese di semi e forniture da giardini perché giudicata, per qualche ragione «troppo sexy».
Possibile dunque che l’algoritmo, o la ciurma di indiani sottopagati che ci stanno dietro, abbia capito che il gelato al finocchio non è una pietanza cannibale omofoba?
Abbiamo contattato Camillo per chiedergli del profilo tornato online. «Mi hanno ridato l’account? Io non vedo» ha risposto lo scrittore. Lo abbiamo invitato quindi a verificare. «Niente, non riesco a entrare. Anche io vedo la mia pagina, ma non posso accedervi. Infatti ho fatto un altro profilo, camillolangonefoto. Ma ricominciare da zero è allucinante».
Come ricorda il lettore di Renovatio 21, una strana censura si era abbattuta su Langone anche l’anno scorso. Langone, vate del tabarro, nonché iniziatore delle prime Tabarrate a Parma (2016) e Casalmaggiore (2017) a favore dei suoi tanti follower aveva pubblicato su Facebook la locandina della Tabarrata Nazionale 2023, raduno tabarrista organizzato dalla Civiltà del Tabarro.
La piattaforma dello Zuckerberg la censurò. «Il tuo post viola i nostri Standard della community, pertanto è visibile solo a te».
I social mi hanno censurato molti quadri ma coi tabarri si sono sempre mostrati tolleranti. Fino a oggi. Ah, le liberaldemocrazie… pic.twitter.com/PXvG69G5AJ
— Camillo Langone (@CamilloLangone) January 30, 2023
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È stato ipotizzato che il motivo di questa incredibile censura potesse essere di questo tipo: la locandina della Tabarrata Nazionale gli era arrivata via Whatsapp (altra società di Meta/Facebook) dal direttore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco, che è pure il presidente della Civiltà del Tabarro, il quale, come sapete, riuscì a riavere il suo profilo Facebook e la pagina sul social di Renovatio 21 solo dopo aver portato Meta/Facebook in tribunale…
È così? Macchè, non abbiamo modo di saperlo, perché, ripetiamo, con i social – almeno coloro che hanno davvero qualcosa da dire – siamo entrati in una dimensione funzionalmente kafkiana, dove siamo sottomessi a capricci di autorità crudeli ed irrazionali, inintellegibili e implacabili – un incubo gnostico che è, chiaramente, il rovesciamento dello stato di Diritto e quindi un’anticipazione della società del futuro, dove, come abbiamo detto tante volte – come è stato teorizzato apertis verbis da tanti volonterosi carnefici dell’umanità nel mondo moderno – il cittadino diventa utente e lo Stato piattaforma.
Cioè, il diritto diviene «accesso», e il cittadino giocoforza non può che essere uno schiavo.
Intanto, tuttavia, godiamoci il gelato al finocchio, leccornia di cui Renovatio 21 promette, in un tempo indeterminato, di mostrarvi la produzione tramite azoto liquido. I lettori interessati possono scrivere per insistere nella richiesta di pubblicazione di tale articolo crio-gastronomico.
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Immagine di Camillo Langone
Internet
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Essere genitori
L’Australia potrebbe vietare ai bambini di usare i social media
Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha annunciato che il suo Paese sta valutando la possibilità di vietare ai bambini di utilizzare i social media e altre piattaforme digitali pertinenti, adducendo preoccupazioni sulla loro salute fisica e mentale.
La legge, che verrà introdotta entro la fine dell’anno, viene pubblicizzata come un mezzo per proteggere i bambini australiani dai pericoli online, oltre a fornire supporto ai genitori e a chi se ne prende cura.
«La sicurezza e la salute mentale e fisica dei nostri giovani sono fondamentali», ha affermato il primo ministro australiano, aggiungendo che l’età minima per accedere alle piattaforme online sarà probabilmente compresa tra i 14 e i 16 anni.
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«Voglio vedere i ragazzi staccarsi dai loro dispositivi e andare sui campi da calcio, nelle piscine e nei campi da tennis», ha detto Albanese in una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio. «Vogliamo che abbiano esperienze reali con persone reali perché sappiamo che i social media stanno causando danni sociali».
Secondo il primo ministro, la legislazione sarà sviluppata in collaborazione con gli stati e i territori e «sarà informata da una revisione intrapresa dal governo del Sud Australia come parte delle sue bozze di legge».
La scorsa settimana, il governo della regione del South Australia ha annunciato piani per vietare ai bambini di età inferiore ai 14 anni di usare i social media. Si prevede inoltre che il quadro normativo preveda che i bambini di età compresa tra 14 e 15 anni debbano avere il consenso dei genitori prima di registrarsi sulle piattaforme.
L’Australia, che è classificata tra le prime dieci nazioni al mondo in termini di tassi di adozione di Internet, potrebbe diventare uno dei primi paesi a imporre una restrizione di età sui social media. I precedenti tentativi, anche da parte dell’UE, sono falliti a seguito di lamentele sulla riduzione dei diritti online dei minori.
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A giugno, l’ente australiano per la sicurezza online, l’eSafety Commission, ha avvertito che «gli approcci basati sulle restrizioni potrebbero limitare l’accesso dei giovani al supporto essenziale» e spingerli a cercare «servizi non tradizionali meno regolamentati».
Come riportato da Renovatio 21, un anno fa l’autorità sanitaria americana aveva decretato che i social media rappresentano un «rischio profondo» per la salute mentale dei bambini.
Secondo quanto riportato, i social favorirebbero anche la comparsa di tic nei più piccoli.
Inchieste giornalistiche hanno inoltre scoperto caramelle alla cannabis «fatte per attrarre i bambini» vendute sui social.
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