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Gli USA hanno istituito un vero «Ministero della Verità»

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L’amministrazione Biden ha annunciato ieri l’istituzione di un «Disinformation Governance Board», un «Consiglio di governo della disinformazione».

 

Il nuovo ente è stato creato in seno alla temuta Homeland Security, ossia Dipartimento per la sicurezza interna, che è noto anche per le sue riserve di armi e munizioni: in pratica, nell’America di Biden la lotta alle fake news verrà condotta da uomini armati fino ai denti.

 

Il direttore esecutivo del nuovo ente è Nina Jankowicz, personaggio afferente al think tank Wilson Center, dove lavora come «Disinformation Fellow», qualsiasi cosa voglia dire. La signora è stata reclamizzata ora al grande pubblico come un’esperta nel contrasto alla disinformazione.

 

La Jankowicz ha una valenza precisa nel momento storico in cui viviamo: è stata consulente del ministero degli Esteri ucraino sulla disinformazione nel 2016-2017 ed è stata responsabile dei programmi Russia-Bielorussia presso il National Democratic Institute.

 

La Jankowicz ha scritto un libro, How To Lose the Information War: Russia, Fake News, and the Future of Conflict, che è stato pubblicato nel 2020.

 

È nota altresì per grotteschi video in cui canta motivetti sul tema della disinformazione, subito caricati sui social.

 

Potete vedere voi stessi il suo immane talento in questo capolavoro sulle note di Mary Poppins.

 

 

Per quanto riguarda il suo ruolo nella diffusione della disinformazione, in un’intervista con ABC News nell’ottobre 2020 aveva dichiarato che la storia del laptop di Hunter Biden è «un prodotto della campagna Trump».

 

È stata quindi coinvolta nella diffusione della lettera firmata da più di 50 agenti dell’intelligence sostenendo che la storia era un esempio di «disinformazione russa». Nella lista vi erano almeno 5 ex direttori della CIA: un argomento utilizzato da Biden durante il confronto TV con Trump. Come noto, poche settimane fa il New York Times e il Washington Post hanno ammesso che la storia del «laptop venuto dall’inferno» è verificata.

 

La scorsa settimana, la Jankowicz è stata invitata dalla radio pubblica americana NPR a commentare l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk. La funzionaria governativa ha avvertito che la libertà di parola e la mancanza di censura promessa da Musk non potranno che peggiorare le cose.

 

Sono tempi decisamente orwelliani, e bisogna non stancarsi di dirlo

 

Il volto del Grande Fratello, oggi, è quello di questa donna con i suoi occhi spiritati, la sua voglia di tappare la bocca a chiunque, e il suo carico di menzogne.

 

 

 

Immagine di U.S. Embassy Vienna via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0)

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Londra ha pagato segretamente influencer YouTube per propaganda elettorale

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Il ministero degli Esteri britannico ha elargito milioni di sterline a un’agenzia di stampa per influenzare segretamente l’opinione pubblica all’estero. Lo riporta Declassified UK.

 

Si ritiene che l’agenzia, Zinc Network, abbia ricevuto quasi 10 milioni di sterline (11,5 milioni di euro) per reclutare influencer in tutta Europa. Zinc è un’azienda con sede a Londra che paga YouTuber e personalità di internet dell’Europa centrale e orientale e dei Paesi Baltici per produrre contenuti politici. Sebbene l’azienda dichiari di impegnarsi per la trasparenza, i creatori che impiega sono vincolati da rigorosi accordi di non divulgazione a non rivelare i propri legami con il governo britannico.

 

Ex dipendenti hanno descritto l’operazione come «propaganda di Stato». Uno di loro ha dichiarato a Declassified che il rapporto tra Zinc e gli influencer era «di estremo sfruttamento».

 

Un altro ha sostenuto che Zinc avesse interferito nelle elezioni slovacche del 2023, prendendo di mira i giovani elettori con contenuti di influencer pensati per aumentare l’affluenza alle urne per Slovacchia Progressista, un partito filoeuropeo. Il voto alla fine è stato vinto dal partito SMER di Robert Fico, che ha sostenuto il mantenimento di relazioni amichevoli con la Russia e gode del sostegno degli elettori più anziani.

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Zinc era già stata coinvolta in una storia di gestione piattaforme islamiche di informazione segrete. Nel 2021, pare che stesse anche cercando di reclutare comici e YouTuber per condurre campagne psicologiche nei Paesi Baltici, al fine di influenzare l’opinione delle comunità russofone.

 

Secondo documenti pubblici, oltre al governo del Regno Unito, l’azienda ha ricevuto milioni di finanziamenti anche dagli Stati Uniti e dal governo belga. La reale portata delle attività di Zinc non è chiara, in quanto il Ministero degli Esteri ha divulgato solo parzialmente i contratti con l’azienda, nonostante gli sia stato ripetutamente intimato di farlo dal Commissario per l’informazione del Regno Unito.

 

Il governo britannico ha difeso l’operazione come un modo per «contrastare la disinformazione» e «promuovere la verità e i valori democratici». Nel frattempo, i servizi di sicurezza russi hanno recentemente accusato diverse istituzioni britanniche, tra cui il British Council e l’Oxford Russia Fund, di condurre campagne segrete per destabilizzare la società russa e promuovere i programmi occidentali.

 

Campagne di influencer pagati dal potere si sono già visti, in modo pure dichiarato negli USA.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Casa Bianca di Joe Biden negli anni pandemici ha pagato influencer giovanili, tra cui anche vari personaggi LGBT, per promuovere la vaccinazione mRNA tra le fasce della popolazione che stanno sui social.

 

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La Francia apre un procedimento penale contro X di Musk. Durov: da Parigi una «crociata» contro la libertà di parola e il progresso tecnologico

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La Francia ha aperto un’indagine penale per verificare se gli algoritmi della piattaforma X di Elon Musk siano stati utilizzati per interferire nella politica interna.   L’indagine trae origine da due denunce presentate a gennaio, ha dichiarato venerdì la procuratrice di Parigi Laure Beccuau. Senza fare il nome diretto di Musk, ha dichiarato che gli investigatori esamineranno l’azienda e i suoi dirigenti per presunta manipolazione di algoritmi «a fini di interferenza straniera».   La prima denuncia è arrivata da Eric Bothorel, un parlamentare del partito centrista Ensemble del presidente Emmanuel Macron. Il Bothorel ha affermato che una «riduzione della diversità di voci e opzioni» su X ha creato un ambiente pericoloso. Bothorel ha anche criticato il modello di moderazione della piattaforma, definendolo poco chiaro, e ha accusato Musk di essere intervenuto personalmente nella sua gestione, secondo France 24. La denuncia descriveva le attività di X come un «pericolo reale e una minaccia per le nostre democrazie».

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La seconda denuncia sarebbe partita da un funzionario governativo addetto alla sicurezza informatica, il quale ha affermato che le modifiche all’algoritmo promuovono contenuti razzisti e omofobi, con l’obiettivo di «alterare il dibattito democratico in Francia».   Giovedì, i politici del Partito Socialista Thierry Sother e Pierre Jouvet hanno presentato una denuncia separata contro il chatbot Grok di Musk, che di recente avrebbe generato commenti offensivi e politicamente scorretti su X, dicendo ad esempio, in una bizzarra auto-reductio ad Hitlerum macchinale, di essere «MechaHitler».   Mercoledì, il team di Grok ha dichiarato di aver aggiornato il modello per rimuovere i discorsi d’odio. Musk ha affermato che il chatbot era «troppo arrendevole alle richieste degli utenti» e «troppo desideroso di compiacere ed essere manipolato» per produrre retorica d’odio.   I politici europei hanno chiesto sempre più una maggiore supervisione di X e piattaforme simili, mettendo in guardia da potenziali abusi da parte di attori malintenzionati. Musk ha suscitato polemiche a Berlino quando ha apertamente appoggiato il partito anti-immigrazione Alternativa per la Germania (AfD) durante le elezioni parlamentari di febbraio. L’AfD ha aumentato significativamente la sua quota di voti, diventando la seconda fazione più numerosa nel Bundestag.   La Francia ha intrapreso una «crociata» contro la libertà di parola e il progresso stesso, ha dichiarato venerdì il fondatore di Telegram, Pavel Durov, dopo che Parigi ha avviato l’indagine su X. Le autorità francesi dovrebbero dialogare con le aziende tecnologiche invece di processarle, ritiene l’imprenditore.   Le azioni dei «burocrati francesi» non faranno altro che «spaventare gli investimenti e danneggiare la crescita economica del Paese per decenni», ha scritto il miliardario di origine russa su X.   «Alcuni procuratori, spinti da ambizioni di carriera o da motivi politici, stanno mettendo a repentaglio il futuro del Paese, avviando indagini penali su questioni che potrebbero (e dovrebbero) essere risolte attraverso una regolamentazione chiara e la cooperazione con i leader della tecnologia», ha scritto il Durov, commentando gli sviluppi.

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Lo stesso CEO di Telegram sta affrontando accuse penali in Francia, che ha recentemente definito «senza precedenti». Durov, la cui azienda ha sede a Dubai, è stato arrestato in Francia nell’agosto 2024 con l’accusa di complicità in reati presumibilmente commessi dagli utenti di Telegram, tra cui estremismo e abusi su minori. È stato successivamente rilasciato su cauzione di 5 milioni di euro, ma rimane sotto sorveglianza limitata.   Dopo il suo arresto, il suo servizio di messaggistica crittografata ha aggiornato la propria politica sulla privacy per consentire la raccolta di metadati, come indirizzi IP, informazioni sui dispositivi e modifiche del nome utente, per un massimo di un anno e la loro potenziale trasmissione alle «autorità giudiziarie competenti».   Durov ha liquidato le accuse contro di lui come infondate, mentre il suo avvocato le ha definite «totalmente assurde». L’imprenditore ha anche ripetutamente criticato la situazione della libertà di parola nell’UE. L’anno scorso, ha affermato che l’Unione stava imponendo più censura e restrizioni ai media rispetto alla Russia, dopo che i canali delle principali testate giornalistiche russe su Telegram erano stati resi inaccessibili nell’UE.   A maggio, Durov ha annunciato una partnership con la startup xAI di Musk, che prevede l’integrazione del chatbot Grok in Telegram. Musk ha anche elogiato il suo collega imprenditore tecnologico per essersi rifiutato di accogliere la richiesta del governo francese di bloccare i contenuti politici conservatori sulla piattaforma di messaggistica.

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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Google chiude il sito Messa in Latino. Contro il totalitarismo web, sarebbe ora di finirla con i blog

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Il sito Messa in Latino è stato rimosso dalla piattaforma che lo ospitava, Blogger, che è di proprietà di Google.

 

Il sito, noto come MiL, era nato nel 2007 all’altezza del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, il motu proprio secondo cui, in teoria, veniva «liberata» la messa tradizionale nel mondo. Il blog era molto trafficato (si parla di un milione di visite solo lo scorso mese!)  da chi si interessava della Messa in rito antico e non di rado conteneva succose rivelazioni riguardo le meccaniche interne della gerarchia a Roma e nelle diocesi.

 

La notizia della chiusura del sito è rimbalzata sui giornali e anche al di là dell’Atlantico: a parlarne è anche LifeSiteNews. Secondo quanto riportato in una email inviata da blogger.com si informavano i redattori di Messa in Latino che il sito era stato chiuso con effetto immediato. MiL aveva qualcosa come 22.000 post, un vero tesoro di testimonianza degli ultimi 20 anni di post-concilio.

 

«Spiacenti, il blog all’indirizzo lamessainlatino.blogspot.com è stato rimosso» è la scritta che appare se si digita l’URL del sito.

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Il Giornale riporta che ora «proprietari del blog hanno reagito rivolgendosi ad uno studio legale ed inviando una diffida per lamentare quella che hanno definito “l’inopinata e soprattutto immotivata soppressione dello stesso” ed hanno richiamato il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione in merito al diritto alla libera manifestazione del pensiero».

 

I motivi della chiusura ad oggi restano, come quasi sempre accade, oscuri.

 

«Il team di Blogger non ha fornito dettagli su possibili violazioni della politica. Tuttavia, MIL ha suggerito che l’azienda di proprietà di Google avesse sollevato obiezioni ad alcuni post che promuovevano la dottrina cattolica e mettevano in guardia dai pericoli della Massoneria» scrive l’inviato di LifeSitea Roma Michale Haynes. In rete circolano varie altre speculazioni su quale contenuto possa aver fatto scattare la censura: questa o quell’intervista, questo o quell’articolo, quel commento, etc.

 

Tuttavia, nessuna di queste ipotesi è credibile: è quello che Renovatio 21, che di piattaforme e censure se ne intende, ha imparato in tanti anni di colpi ricevuti, anche in tribunale. L’amara realtà, valida per chiunque sui social, è che non sai mai davvero per cosa ti abbiano censurato.

 

Si tratta, invero, di una situazione del tutto simile a quella de Il Processo di Franz Kafka: si viene processati e condannati ma non si sa nemmeno per quale accusa. Appellarsi è impossibile, e non vi è – a meno di non passare per gli avvocati, anche lì con tanta fatica, nessun volto umano con cui parlare, talvolta nemmeno una email generica a cui rivolgersi.

 

Come abbiamo tante volte ripetuto su queste pagine, i social in questo modo altro non fanno che fungere da grande prefigurazione della società totalitaria del futuro prossimo, dove il cittadino diviene «utente» che non ha più diritti, ma gode di «accessi» revocabili a comando dall’alto, con lo Stato a divenire piattaforma in una società controllata e regolata in modo macchinale.

 

Il fenomeno di rimuginare riguardo alla censura inflitta può arrivare a livelli di paranoia – tante volte lo abbiamo visto anche con grandi figure americane, sparite improvvisamente da YouTube (un’altra mega-piattaforma di Google) o perfino da Amazon, dove abbiamo visto sparire negli anni – cioè essere cancellati, come non fossero mai esistiti – i libri dello psicanalista della terapia riparativa per omosessuali Joseph Nicolosi, i testi di E. Michael Jones o, più di recente, i libri del pensatore russo Alessandro Dugin.

 

L’unica realtà possibile, è il consiglio spassionato di Renovatio 21 a MiL e a tutti, è quella di andare avanti comunque, tenendo a mente una serie di cose.

 

In primis, il modello hub and spoke: immaginate che la vostra operazione sia una ruota, ebbene non dovete concentrarvi sui raggi, ma sul mozzo, sul centro della ruota, e da lì procedere verso i raggi (i social, etc.). Il sito, quindi, non può appoggiarsi su una piattaforma straniera, soprattutto se del giro della Silicon Valley compromessa non solo con la cultura wokista, ma soprattutto con lo Stato Profondo USA. È necessario farsi un sito proprio, con un hosting provider fuori dal giro – nemmeno quello, sappiamo, è abbastanza, ma con i backup (in teoria, anche qui: sempre in teoria) in caso di chiusura si può riaprire rapidamente da un’altra parte. Basarsi sul sito, e non sui social o su piattaforme che rendono tutto più facile, non solo è arduo, ma garantisce meno traffico: eppure, la via più corta ti espone alla devastazione che conosciamo.

 

In secundis, cercare di solidificare la propria posizione, mettendo di mezzo corpi intermedi: come sapete, qui abbiamo penato non poco, e da poco ottenuto, lo status di testata registrata in tribunale – e guai a chi gli scappa di chiamare ancora «blog» Renovatio 21 (Sua Eccellenza, la perdoniamo). Chiaramente, nemmeno questo mette a riparo dalla censura – lo abbiamo visto in pandemia, dove venivano oscurate testate tradizionali antiche e pure dell’establishment, e lo vedremo ancora grazie all’Unione Europea – tuttavia mettere di mezzo corpi intermedi dello Stato e delle sue corporazioni potrebbe, in qualche modo, aiutare.

 

Farla finita con i blog, i profili Instagram, le pagine Facebook, i canali Telegram e Youtube. E aprire testate giornalistiche sic et simpliciter: sfruttiamo a possibile schermatura la pletora di Stato (leggi, sindacati, ordini, ministeri, tribunali) che esse comportano. No alla bloggheria; sì alla burocrazia.

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Sono solo le nostre indicazioni, basate sulla realtà vissuta nel travaglio di questi lustri. Non è escluso che la cosa si risolva al volo: è successo così anche a Chiesaepostconcilio, altra realtà molto conosciuta sparita dai radar qualche settimana fa, per poi ricomparire d’improvviso. Anche quello è un sito, anzi proprio un sedicente blog, che è rimasto appoggiato per decenni, senza evoluzione di sorta, ad una piattaforma aliena. Comodo, perfino gratuito: ma esiziale.

 

È facile che in questi casi, la censura sia scattata, più che per contenuti, per segnalazioni a ripetizione: tenete a mente che vi sono orde, specie di certuni orientamenti, fortemente organizzate, e pagate per esserlo, e per agire nella delazione online e pure IRL, cioè nella vita reale. A volte la segnalazione genera la censura, ma infine non attacca del tutto, perché l’argomento è considerato di importanza secondaria (la religione, per essi, lo è: «oppio dei popoli» diceva uno dei loro maestri di ingegneria sociale materialista) e non c’è volontà di rischiarsela in Paesi con leggi dove sopravvivono, malomodo, barlumi di libertà di parola con copertura costituzionale. Non è stato il nostro caso

 

Non abbiamo una ricetta magica per evitare il bavaglio, ma possiamo dire che ci siamo, purtroppo, passati. Ai ragazzi di MiL possiamo dire che capiamo il senso di sgomento abissale nel vedere tutto il proprio lavoro – che coincide, in alcuni pensieri, con la propria vita, e forse pure, visto il significato storico, sociale e morale di quel che si fa, qualcosa di più – disintegrato con un click da un’autorità invisibile ed oscura.

 

Lo ribadiamo: si tratta solo di un’antemprima della società futura, dove saremo valutati, premiati e puniti per i nostri pensieri, e nemmeno quelli scritti o detti, ma quelli del nostro foro interiore, come nei progetti di interfaccia cervello-macchina di Klaus Schwab e compagni.

 

Forza, avanti. Mica ci si può fermare quando ti distruggono tutto. No?

 

«Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm 8, 31)

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di Andrewgardner1 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Immagine modificata

 

 

 

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