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«L’ordine globale del dopoguerra» è «un’arma usata contro di noi»: le parole antiglobaliste del nuovo segretario di Stato USA Rubio

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Durante la sua audizione di conferma al Senato, il candidato alla carica di Segretario di Stato di Donald Trump, il senatore repubblicano Marco Antonio Rubio, ha messo in guardia contro l’adozione da parte degli Stati Uniti di un ordine globale al di sopra dei propri interessi nazionali fondamentali e ha affermato che il Paese è sulla buona strada per diventare totalmente dipendente dal Partito Comunista Cinese per soddisfare i propri bisogni quotidiani.

 

Nel corso di oltre 4 ore e mezza dinanzi alla Commissione per gli affari esteri del Senato, il repubblicano della Florida ha parlato con coraggio dei pericoli derivanti dalla sottomissione al nuovo ordine globale e dalla continua obbedienza degli Stati Uniti al Partito comunista cinese.

 

L’idea bipartisan post-Guerra Fredda secondo cui «l’interesse nazionale poteva ora essere sostituito da uno che servisse l’ordine mondiale liberale» e «che tutta l’umanità era ora destinata ad abbandonare la sovranità nazionale e l’identità nazionale e sarebbe invece diventata un’unica famiglia umana e cittadini del mondo» era una «pericolosa illusione», ha affermato il Rubio.

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«Qui in America e in molte delle economie avanzate del mondo, un impegno quasi religioso per un commercio libero e senza restrizioni a spese della nostra economia nazionale ha ridotto la classe media, lasciato la classe operaia in crisi, fatto crollare la nostra capacità industriale e ha spinto catene di approvvigionamento critiche nelle mani di avversari e rivali», ha sottolineato.

 

«Uno zelo irrazionale per la massima libertà di movimento delle persone ha portato a una crisi migratoria di massa storica. Qui in America, ma anche in tutto il mondo, è una crisi che minaccia la stabilità delle società e dei governi», ha ammonito.

 

«In tutto l’Occidente, i governi ora censurano e persino perseguono gli oppositori politici interni», ha detto Rubio. «Nel frattempo, i jihadisti radicali marciano apertamente per le strade e, purtroppo, guidano veicoli contro la nostra gente», riferendosi ai recenti attacchi durante le festività a New Orleans e a Magdeburgo.

 

«Mentre l’America ha continuato fin troppo spesso a dare priorità all’ordine globale rispetto ai nostri interessi nazionali fondamentali, altre nazioni continuano ad agire nel modo in cui i paesi hanno sempre agito e sempre agiranno in quello che percepiscono come il loro miglior interesse. E invece di piegarsi all’ordine globale post-Guerra fredda, lo hanno manipolato per servire i loro interessi a spese dei nostri».

 

«L’ordine globale del dopoguerra non è solo obsoleto; è ora un’arma usata contro di noi. E tutto questo ha portato a un momento in cui dobbiamo affrontare il più grande rischio di instabilità geopolitica e di crisi globale generazionale nella vita di chiunque sia vivo e presente in questa sala oggi».

 

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Come sottolinea LifeSite, durante l’udienza il Rubio ha anche richiamato l’attenzione sulla crescente vulnerabilità degli Stati Uniti alle capricciose politiche commerciali del Partito Comunista Cinese.

 

«Se continuiamo sulla strada che stiamo percorrendo ora, in meno di 10 anni praticamente tutto ciò che conta per noi nella vita dipenderà dal fatto che la Cina ci permetterà di averlo o meno», ha detto Rubio. «Tutto, dai farmaci per la pressione sanguigna che prendiamo ai film che vediamo e tutto il resto, dipenderà dalla Cina per questo».

 

«Sono arrivati ​​a dominare le forniture essenziali dell’industria mineraria in tutto il mondo, ovunque nel mondo hanno ormai stabilito diritti minerari criminali», ha affermato prima di divenire segretario di Stato. «Anche coloro che vogliono vedere più auto elettriche, non importa dove le produci, quelle batterie dipendono quasi interamente dalla capacità dei cinesi e dalla volontà del Partito comunista cinese di produrle ed esportarle».

 

«Se non cambiamo rotta, vivremo in un mondo in cui molto di ciò che conta per noi quotidianamente, dalla nostra sicurezza alla nostra salute, dipenderà dal fatto che i cinesi ce lo permettano o meno», ha dichiarato Rubio.

 

«Decenni di deindustrializzazione hanno reso l’America dipendente dal principale avversario della nazione, la Cina comunista, per tutto, dagli ingredienti delle nostre medicine agli input per i nostri sistemi d’arma», aveva scritto Rubio in un saggio su Compact Magazine lo scorso ottobre, aggiungendo:

 

«Nel frattempo, l’incessante esportazione di lavori manuali e l’importazione di manodopera a basso costo hanno lasciato innumerevoli uomini nati negli Stati Uniti senza un lavoro dignitoso, minando le loro opportunità e la loro forza. Nessuna società può prosperare a lungo senza uomini forti».

 

«Il tempo stringe per tracciare una nuova rotta. Dobbiamo abbandonare il consenso post-Guerra fredda, rompere il tabù tariffario delle multinazionali, reinvestire nella produzione nazionale e, cosa fondamentale, riprendere il controllo dei nostri confini. In breve, dobbiamo anteporre gli interessi della nostra nazione a quelli delle nostre élite. Più a lungo non lo faremo, più grave sarà il danno che faremo alla cittadinanza americana: le stesse persone che ci hanno votato e, così facendo, hanno affidato il loro benessere alle nostre mani».

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Le parole di Rubio riflettono un’inversione di tendenza epocale negli affari internazionali americani, in cui dal globalismo – che ha una radice evidente nel XX secolo proprio a Yalta, dove si stabilì l’Ordine mondiale postbellico – gli USA passano ad un nazionalismo concentrato sul popolo americano stesso, e semmai – in una rivampata della dottrina Monroe e di quella del «Destino Manifesto» – nel continente e nelle sue prossimità (Groenlandia, Panama, Canada, Messico…).

 

Secondo il pensiero anti-globalista emerso negli ultimi anni dai bassifondi – cioè, senza che fosse spendibile da politici e giornalisti mainstream – l’internazionalismo americano ha penalizzato il popolo deindustrializzando il Paese e creando così crisi sociali di portata gigantesca. In particolare, l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, o WTO) sotto Bill Clinton fu il colpo di grazia alla classe media americana e non solo quella, consentendo ai cinesi di divenire la «fabbrica del mondo» a discapito delle imprese, piccole e medie, delle famiglie occidentali.

 

È stato detto che Rubio fosse uno dei candidati della fazione neocon alle elezioni 2016, nella cui campagna elettorale fu canzonato senza alcuna pietà dal concorrente Donald Trump, che, in sketch formidabili, lo accusava di essere iperidrotico (cioè, di sudare assai copiosamente).

 

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Sull’ex senatore americano, di origine cubane e con una lunga serie di religioni esperite, circolavano voci oscure, come quella su un suo coinvolgimento nella scena dei «party saponati» dei gay in Florida. L’uomo è ora sposato con quattro figli.

 

Rubio ha poi giurato l’altro giorno come segretario di Stato – cioè come ministro degli esteri USA – in una cerimonia officiata dal neovicepresidente JD Vance – un ragazzo cresciuto tra i monti Appalachi, zona industriale di fatto distrutta dalla deindustrializzazione mondialista, come visibile nel suo libro di memorie Elegia americana.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, Rubio è altresì uno degli esponenti politici che ha chiesto a gran voce la fine della guerra ucraina e che prende sul serio il tema della minaccia UFO.

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Los Angeles impone il coprifuoco

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Le autorità hanno imposto il coprifuoco nel centro di Los Angeles in seguito a diversi giorni di rivolte e saccheggi innescati dai raid dell’immigrazione.   Le restrizioni saranno in vigore dalle 20:00 alle 6:00 ora locale, ha annunciato martedì il sindaco Karen Bass. La polizia arresterà chiunque violi il coprifuoco, che dovrebbe rimanere in vigore per diversi giorni.   La Bass ha affermato che la decisione è stata presa dopo che è stato raggiunto «un punto di svolta», aggiungendo che la notte precedente erano state saccheggiate 23 attività commerciali.  

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Secondo la NBC Los Angeles, il coprifuoco copre circa un miglio quadrato, delimitato dalle autostrade 5 Freeway, 110 Freeway e 10 Freeway fino al punto in cui si unisce alla 110 e alla 5.   Saranno esentati i residenti della zona, il personale di emergenza e di sicurezza, i giornalisti e i senzatetto, ha affermato il capo della polizia di Los Angeles, Jim McDonnell.   «Il coprifuoco è una misura necessaria per proteggere vite umane e salvaguardare le proprietà dopo diversi giorni consecutivi di crescente inquietudine in tutta la città», ha affermato.   La Casa Bianca ha deprecato la rappresentazione della rivolta come «manifestazione pacifica» data dai media, dal Partito Democratico e dalle autorità locali californiane, tutte in mano allo stesso Partito Democratico.     Venerdì sera sono scoppiate rivolte dopo che gli agenti federali hanno arrestato diverse persone durante la repressione dell’immigrazione clandestina da parte del presidente Donald Trump. Finora sono state arrestate più di 350 persone, di cui 197 martedì. Le immagini riprese dagli elicotteri dei telegiornali hanno mostrato la folla che continuava a radunarsi per le strade.   Il governatore della California Gavin Newsom e i funzionari della città hanno condannato la decisione di Trump di schierare la Guardia Nazionale e i Marines in servizio attivo per sedare i disordini, definendola illegale e inaspritrice.   «È un passo verso l’autoritarismo», ha affermato giovedì Newsom, definendo Trump «un dittatore fallito».   Il presidente Trump ha difeso le sue azioni durante una visita a Fort Bragg, nella Carolina del Nord, martedì. «Libereremo Los Angeles e la renderemo di nuovo libera, pulita e sicura», ha affermato.   È opinione di Renovatio 21 che la rivolta losangelena altro non sia che l’esaurimento del manuale di regime-change (cioè la creazione delle famose «rivoluzioni colorate» viste in tutto il mondo), lanciato da un deep state che cerca disperatamente di invischiare Trump in una trappola di sangue che riesca a scalfirne al potere – potere che oggi sembra inattaccabile e privo di un’opposizione reale da parte del Partito Democratico USA.

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Musk si pente per gli attacchi a Trump, che dice di poterlo perdonare

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Elon Musk ha affermato di essere andato «troppo oltre» con alcuni dei suoi recenti post sui social media che prendevano di mira il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. I due si sono scambiati minacce e insulti online la scorsa settimana, in una lite che è stata ampiamente considerata la fine del loro «bromance», termine americano per definire una storia di intensa amicizia tra uomini.

 

«Mi pento di alcuni dei miei post sul presidente Donald Trump della scorsa settimana. Sono andati troppo oltre», ha detto Musk sul suo account X mercoledì mattina presto.

 

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Musk non ha chiarito a quale dei suoi post si riferisse. I media hanno suggerito che i suoi collaboratori e la Casa Bianca siano impegnati in comunicazioni riservate volte ad allentare le tensioni.

 

Musk afferma di aver sponsorizzato la corsa di Trump per un secondo mandato alla Casa Bianca con centinaia di milioni di dollari, cifra che, a suo dire, è stata cruciale per la vittoria del candidato repubblicano lo scorso novembre, accusando il presidente di «ingratitudine». Dopo l’insediamento, Trump ha nominato Musk a capo del neonato Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), con il compito di ridurre gli sprechi nella spesa pubblica.

 

Nelle ultime settimane, tuttavia, l’imprenditore tecnologico si è fatto notare come un acceso critico del cosiddetto Big Beautiful Bill («grande, bellissimo disegno di legge») di Trump , che richiede l’approvazione del Congresso per finanziare le priorità politiche del secondo mandato del presidente. Musk ha bollato la proposta come «piena di frode» e ha affermato che rinnega la promessa elettorale di ridurre il debito federale.

 

La scorsa settimana Trump ha affermato che Musk si opponeva al disegno di legge per interesse personale, scatenando una raffica di post sempre più ostili tra i due. Il presidente ha definito Musk «pazzo», mentre il miliardario della tecnologia ha accusato Trump di essere complice dei reati sessuali commessi dal defunto finanziere e pedofilo condannato Jeffrey Epstein. Musk ha poi cancellato il post.

 

 

Musk non ha specificato quale dei suoi post precedenti considerasse ora deplorevole. I media hanno suggerito che i suoi collaboratori e la Casa Bianca stessero collaborando a comunicazioni riservate nel tentativo di allentare le tensioni. Trump ha dichiarato pubblicamente di non essere interessato a contatti diretti con Musk, ma in seguito è sembrato attenuare la sua retorica nei confronti dell’imprenditore.

 

Nelle scorse ore Trump ha dichiarato che potrebbe perdonare Elon Musk dopo la lite. In un’intervista pubblicata mercoledì dal New York Post, Trump ha dichiarato: «Non provo rancore. Ma sono rimasto davvero sorpreso che ciò sia accaduto».

 

Il presidente ha definito il disegno di legge «fenomenale» e si è detto deluso dalla risposta di Musk. «Quando lo ha fatto, non ero affatto contento». Alla domanda se potesse perdonare Musk, Trump ha risposto: «Credo di sì», aggiungendo che ora si sta concentrando su come «rimettere in sesto il Paese».

 

Mercoledì mattina, durante una chiamata di follow-up con il Post, Trump ha risposto alle domande sulle scuse: «Ho pensato che fosse molto carino che lui (Musk) l’avesse fatto».

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Violenza e guerriglia a Los Angeles. Finito il manuale delle rivoluzioni colorate: trappola di sangue per Trump?

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La città di Los Angeles è stata messa a ferro e fuoco, da giorni da torme mascherate che sventolano bandiere messicane, vestiario antifa e talvolta simboli di Hamas. Si tratta di una rivoluzione colorata: o meglio, di un capitolo ulteriore del manuale di regime-change che il deep state americano ha inflitto a popolazioni in tutto il mondo.   L’idea che ricaviamo è che disperazione di non riuscire a scalfire in alcun modo Trump – la cui unica opposizione nelle ultime ore sembra essere divenuta Elon Musk – sono giunti alla violenza pura e semplice, con la speranza che la reazione di Washington, che sta mandando truppe della Guardia Nazionale e dei Marines, possa sfociare in un bagno di sangue capace di erodere il potere del presidente.   I fatti: sabato proteste anti-ICE (l’ente di controllo dell’immigrazione USA) sono sfociate in violenti scontri a Paramount, dove la folla si è radunata vicino a un Home Depot, un punto vendita di una grande catena di distribuzione di mobili e arredo. L’ICE ha dichiarato che non è avvenuto alcun raid nel grande magazzino, ma il personale della Border Patrol e gli agenti dello sceriffo della contea di Los Angeles sono stati costretti a usare gas lacrimogeni e «proiettili non letali» dopo che la folla in protesta si è scontrata con gli agenti.

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Scontri simili si sono verificati venerdì, quando l’ICE ha condotto tre raid a Los Angeles, che hanno portato a 44 arresti amministrativi.   Il governatore della California Gavin Newsom ha dichiarato di aver schierato sabato gli agenti della California Highway Patrol (CHP) per «garantire la sicurezza sulle autostrade di Los Angeles e mantenere la pace», ma ha sottolineato: «con è compito della CHP assistere nell’applicazione delle leggi federali sull’immigrazione».   «Il governo federale sta seminando il caos per avere una scusa per intensificare la tensione. Non è questo il comportamento di nessun Paese civile», ha detto Newsom.          

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Il Newsom (già belloccio sindaco democratico di San Francisco, uomo legato alla famiglia di petrolieri Getty, il cui padre aiutò nel pagamento del riscatto alla ‘Ndrangheta per il rampollo rapito a Roma) ha criticato la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di inviare truppe della Guardia Nazionale a Los Angeles, definendo l’azione «volutamente provocatoria» e avvertendo che avrebbe portato a un’escalation.   La Casa Bianca ha affermato che il dispiegamento è avvenuto dopo due giorni di proteste e aggressioni al personale dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) statunitense durante le operazioni di immigrazione nella California meridionale. Trump ha sostenuto che i funzionari californiani non erano riusciti a controllare i disordini e che il governo federale sarebbe intervenuto per ristabilire l’ordine.   In un post su X, Newsom ha incoraggiato i dimostranti a continuare a «parlare pacificamente» e ha messo in guardia dal «ricorrere alla violenza». «Il governo federale sta prendendo il controllo della Guardia Nazionale della California e sta schierando 2.000 soldati a Los Angeles, non perché ci sia carenza di forze dell’ordine, ma perché vogliono uno spettacolo», ha detto. «Non dategliene uno».   Nelle ultime ore, Trump, che ha definito la ridda di violenti come «insurrezionisti pagati», ha invitato il capo dell’ICE Tom Homan ad arrestare il governatore Newsom per favoreggiamento e complicità di bande insurrezionaliste che ora stanno bruciando Los Angeles. Newsom, a questo punto, ha sfidato la Casa Bianca.  
  I funzionari federali hanno criticato il dipartimento di polizia di Los Angeles per aver impiegato più di due ore per rispondere ai disordini avvenuti in un edificio federale venerdì sera. «La violenza con cui i rivoltosi senza legge prendono di mira le forze dell’ordine a Los Angeles è spregevole», ha affermato il vicesegretario del DHS Tricia McLaughlin.   Nel frattempo, lo sceriffo della contea di Los Angeles, Robert Luna, ha dichiarato che il suo dipartimento ha supportato i colleghi dopo che gli agenti federali sono stati attaccati sabato. «Alla fine, la folla è cresciuta fino a raggiungere tra le 350 e le 400 persone, e alcune hanno iniziato a lanciare oggetti contro gli agenti», ha detto Luna ai giornalisti in merito allo scontro a Paramount.   Domenica i rivoltosi hanno attaccato l’autostrada, bloccando il traffico losangeleno, noto per essere molto caotico e attaccando con violenza la polizia. Le riprese girate da giornalisti indipendenti locali mostrano una folla di agitatori radunarsi nel centro della città, sulla superstrada 101, dopo che la polizia locale era stata invasa. Le sassaiole e lanci incendiari contro i poliziotti mostrano intenti di violenza espliciti.      

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Un altro video girato circolante mostra un uomo che si piazza davanti a un’auto della polizia di Los Angeles prima di essere allontanato da agenti in tenuta antisommossa che utilizzavano munizioni non letali per disperdere la folla. Secondo il reporter Anthony Cabassa a questo punto i dimostranti sarebbero diventati «decine di migliaia»: «È il numero più alto di manifestanti che abbia mai visto da anni» ha dichiarato.       Incendiati anche i robotaxi della società Waymo operanti a Los Angeles. Un fenomeno, quello dei taxi autonomi dai alle fiamme, che avevamo già veduto nella non lontanissima a San Francisco.     «L’ordine verrà ripristinato, gli immigrati clandestini verranno espulsi», ha scritto Trump nel suo post di domenica sera su Truth Social. Sempre domenica, Trump si è schierato al fianco del Segretario di Stato Marco Rubio e ha dichiarato alla stampa che i funzionari della California saranno accusati se ostacoleranno le forze dell’ordine.   «Non permetteremo che questo accada al nostro Paese. Non lasceremo che il nostro Paese sia distrutto sotto Biden e la sua autopen» ha dichiarato Trump.  

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Nel frattempo, il governatore Newsom, il sindaco Bass e il dipartimento di polizia di Los Angeles stanno minimizzando le proteste, definendole un eccesso di potere da parte della federazione nel mezzo di proteste «pacifiche» tra l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) e i dimostranti, dopo che gli agenti dell’ICE hanno effettuato numerosi controlli sull’immigrazione in tutta la contea. Il procuratore generale della California, Rob Bonta, ha dichiarato: «non c’è alcuna emergenza e l’ordine del Presidente di convocare la Guardia Nazionale è inutile e controproducente».   In pratica, si prepara la narrativa per cui almeno una parte dell’America (pompata dai grandi media, dall’opposizione politica, e ad un certo punto da governi stranieri ed enti transnazionali) potrà gridare al massacro, alla persecuzione, al fascismo, all’Olocausto. L’ultima trappola per Trump, del quale sono totalmente incapaci di intaccare potere e popolarità.   Il manuale del regime-change, delle rivoluzioni colorate che abbiamo visto ovunque, dalla Serbia al Kirghizistan, dalla Georgia all’Egitto, ha finito le pagine: ne stanno iniziando un capitolo nuovo, fatto di guerra civile, innescata, come spesso accade, da un supposto massacro di innocenti.  
I media mainstream, facendo eco a tutti i politici democratici inclusa Hillary Clinton, stanno appositamente parlando di «proteste pacifiche»: «solo un gruppo di persone a cui piace guardare le auto che bruciano» ha detto un giornalista di ABC7, assicurando che solo l’intervento militare può far degenerare la situazione.     «Non è una vera rivolta» ha assicurato sempre sul canale sommamente antitrumpiano CNN Dana Bash.     Come per i mattoni che si materializzavano nei percorsi delle proteste di Black Lives Matter, anche qui saltano fuori forniture interessanti, come caschi antiurto nuovissimi elargiti alle masse in protesta. A dimostrazione che si tratta di violenza architettata, finanziata, e spinta dall’alto.     Pile di mattoni in strada pronti all’uso, tuttavia, sono comparsi anche a Los Angeles.     Sempre come ai tempi di BLM, ecco le razzie nei negozi, azioni che tanto aiutano la causa immigrata.  

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Va valutata anche la posizione del governo messicano, visto il tripudio di bandiere tricolori nel disastro. Nel fine settimana, il presidente Claudia Sheinbaum ha minacciato che se Trump dovesse imporre una tassa sulle rimesse, come previsto dal suo Big Beautiful Bill, «ci mobiliteremo» contro.   «Se necessario, ci mobiliteremo. Non vogliamo tasse sulle rimesse dei nostri connazionali dagli Stati Uniti al Messico» ha detto Sheinbaum. Una minaccia vaga, ma che diviene chiara con la visione con tutto quello che sta succedendo a Los Angeles.   La Sheinbaum sembra dire che i cittadini messicani negli Stati Uniti, legalmente e illegalmente, sono agenti del governo messicano, una quinta colonna, se vogliamo, e possono essere attivati ​​contro il governo degli Stati Uniti, anche con la violenza, se fa cose che al governo messicano non piacciono?     Una giornalista è arrivata a dire sulla CNN che «La California faceva parte del Messico, tutto il Sud-Ovest è Messico».  

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Non è chiaro il messaggio dei rivoltosi con la bandiera messicana: se sostengono quel Paese, perché non vi sono rimasti? La realtà è che – lo avevamo visto già nelle prime proteste dopo la seconda elezione di Trump – il Messico è divenuto simbolo di un potere terzomondista che può abbattere la società americana (e occidentale, per estensione), bianca e «patriarcale». Lo stesso è possibile dire dei confusi simboli palestinesi e di Hamas visibili nei tumulti.   Il fatto che vengano fatte garrire tra il fumo e le fiamme bandiere di un Paese da cui proviene tanta immigrazione (legale ma soprattutto, negli anni di Biden, illegale) dimostra, in realtà, la necessità delle deportazioni di massa, il programma di remigrazione totale attuato immediatamente dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Trump.   Al contempo, l’uso di manovalanza messicana mostra che il deep state sobillatore ha fatto il lavoro frettolosamente, senza preoccuparsi di dare così munizioni all’avversario. Con evidenza, devono fare rapidamente.   Vari esponenti democratici in molte altre città americane stanno soffiando sul fuoco, ammiccando alla rivolta. Il nuovo capitolo del libro di istruzioni per le rivoluzioni colorate sembra tendere direttamente ad uno scenario drammatico: la guerra civile. Le scene di Los Angeles, del resto, proprio quello sembrano: una guerra civile americana, con una parte della popolazione pronta a ricorrere alla violenza contro le stesse autorità per far valere le loro ragioni (che sono quelle antinazionali dell’immigrazioni massiva).  
  Come riportato da Renovatio 21, della guerra civile, in ispecie nel dopo-2020, si è parlato tantissimo, con ammiccamenti significativi anche da parte dell’élite. Tuttavia il momento potrebbe essere arrivato: le rivolte BLM cinque anni fa servirono per far eleggere Biden, ora, senza più alcuna carta da giocare, l’establishment può optare per la creazione di uno scontro molto più cruento, sempre con il medesimo intento di detronizzare l’intruso alla Casa Bianca, Donald J. Trump.   Ora c’è da vedere come risponderà il biondo del Queens. Il quale, oltre a mandare l’esercito – e chissà, forse ad una certa pure le forze speciali, che aveva promesso avrebbe dispiegato contro i narcocartelli appunto messicani – ad inizio mandato aveva lasciato intendere, anche se con meno voce rispetto alla questione del Canada e della Groenlandia, una possibile annessione del Messico.   Sappiamo quanto l’uomo ami sorprendere. Sappiamo pure quanto il potere profondo non sappia in alcun modo leggerlo ed anticiparlo – di qui la titillazione della violenza in strada.   Stiamo a vedere: più che la Los Angeles messicana rivendicata da rivoltosi e media mainstream, The Donald potrebbe apparecchiare al mondo lo spettacolo di un Messico americano.

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