Politica
Le reazioni isteriche alla verità su Ventotene continuano

Un piccolo scandalo è scoppiato intorno a Romani Prodi a tema Manifesto di Ventotene. A latere della presentazione di un libro scritto con Massimo Giannini (il direttore de La Stampa, il giornale dove certi articoli sugli ucronazisti sparivano carsicamente) Prodi si è fermato qualche secondo con dei giornalisti.
Alla domanda dell’inviata della trasmissione TV di Nicola Porro Quarta Repubblica Lavinia Orefici, che chiedeva all’ex premier e presidente della Commissione UE di commentare le parole del Manifesto di Ventotene sull’abolizione della proprietà privata, Prodi sembra perdere l’aplomb, schernisce l’intervistatrice, e – dice l’interessata – le afferra i capelli.
«Il presidente Prodi oltre a rispondere alla mia domanda con tono aggressivo ed intimidatorio, ha preso una ciocca dei miei capelli e l’ha tirata. Ho sentito la sua mano fra i miei capelli, per me è stato scioccante. Lavoro per Mediaset da dieci anni, inviata all’estero su vari fronti e non ho mai vissuto una situazione del genere. Mi sono sentita offesa come giornalista e come donna» ha commentato la Orefici.
Romano #Prodi reagisce con stizza alla domanda sul Manifesto di #Ventotene e compie un gesto controverso verso la giornalista Lavinia Orefici.
È stato toccato un nervo scoperto? pic.twitter.com/2houNd5FYO
— Il Politico Web (@ilpolitico_web) March 23, 2025
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La stampa filogovernativa si sta sgolando per la scena offerta dal padre (o sarebbe meglio dire «patriarca», scherza qualcuno) dell’Ulivo, ipotizzando cosa sarebbe accaduto se le parti fossero state invertite, e un politico di destra avesse sfiorato una giornalista di sinistra.
Prodi non risulta ad ora che si sia scusato, e difende dicendo di averle messo «una mano sulla spalla» – un contatto comunque non consensuale che in vari frangenti (pensiamo agli uffici) oggi può, immaginiamo, essere visto come grave e passibile di conseguenze.
#Prodi #QuartaRepubblica mentre molesta @laviniaorefici#24marzo #24marzo2025
Il bugiardo che negava di aver tirato i capelli a Lavinia pic.twitter.com/bgH6y66S4n— Fabio Dragoni (@fdragoni) March 24, 2025
Ciò che dice Prodi, dopo aver perso la calma, è già stato ripetuto dalla sinistra isterica incapace di rispondere all’evidenza: cioè che il Manifesto di Ventotene contiene un programma dittatoriale, dove le élite rivoluzionarie non badano alle masse e al «metodo democratico» per giungere al potere e istituire l’Europa super-Stato.
Delle origini storiche e umane del Manifesto, con tutte le sue radici e ramificazioni tra il «laicismo» (cioè, la massoneria?) e certe influenze ebraiche Renovatio 21 ha scritto negli scorsi giorni.
Ci si chiede come sia stato possibile, ad ogni modo, che la sinistra, sepolto il PCI (che voleva rovesciare lo Stato e istituire la dittatura del proletariato, peraltro, non quella delle élite) e introdotto il dogma democratico (PDS, DS, PD: la parola «democrazia» c’è sempre) elevasse Ventotene a testo sacro, indiscutibile e non criticabile, pena la jihad democratica contro gli infedeli blasfemi.
Alla domanda risponde un denso articolo su La Verità di oggi. Secondo quanto riportato, la santificazione di Ventotene ha origini recenti, ed aveva già inquietato tanti intellettuali e politici lontani dalla destra meloniana. È il caso di Giuliano Amato ed Ernesto Galli della Loggia, che scrissero nel libro del 2014 Europa Perduta? (pubblicato dall’editore «prodiano» Il Mulino) un capitolo dal titolo «Un manifesto inattuale».
«È abbastanza sorprendente che schiere di esponenti politici, presidenti del Consiglio, vertici della Banca d’Italia e giornalisti di grido ostentino una devozione encomiastico-celebrativa di maniera verso i propositi giabobini di Spinelli, Rossi e Colorni, elevati a Magna Charta del federalismo continentale. Non c’era proprio un testo più confacente – ci si può chiedere – qualcosa di più presentabile?» accusano l’ex premier detto «Dottor Sottile» e l’editorialista del Corriere compagno di Lucetta Scaraffia.
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Il giornale milanese nota che sì, qualcosa di meglio – decisamente più sobrio, istituzionale, condivisibile al punto da essere già stato condiviso dalle Nazioni del continente – c’era: i Trattati di Roma, cioè lo stesso fondamento della Comunità Economica Europea firmati nel 1957 dagli Stati fondatori, lanciati all’epoca dal ministro degli Esteri, il liberale Gaetano Martino (1900-1967). Il quale ha la sventura di essere padre di un ministro berlusconiano, il politologo (sempre liberale) Antonio Martino (1942-2022), ministro Esteri e Difesa nel Berlusconi I, II e III (nonché grande fautore del sonno polifasico alla romana, la cosiddetta «pennichella»).
Ciò, si suppone, può aver inficiato per la gauche italica la possibilità di fare degli stessi Trattati un testo fondativo irrinunziabile. Martino senior nel discorso per la firma dei Trattati parlò di «un’Europa patria spirituale», una prospettiva lontana anni miglia dalle invettive «sovietiche», antidemocratiche e, ovviamente, anticlericali di Ventotene.
Ecco quindi che appare all’orizzonte Altiero Spinelli, sopravvissuto al confino e anche al fascismo, che ancora in qualche foto barbuta recente lo si può vedere in tutta la sua simiglianza con Enrico Beruschi, pur senza la tenera simpatia del comico lombardo.
«L’operazione Spinelli (…) fu decisa a tavolino nei primi anni Duemila da un’Europa boccheggiante, che aveva affidato la comunicazione istituzionale a una piccola élite progressista specializzata in campagna di fuffa a uso e consumo mediatico» racconta La Verità. «Al Parlamento europeo di Bruxelles, dove si stavano costruendo i nuovi locali che avrebbero dovuto ospitare i deputati dei nuovi dieci Paesi dell’allargamento a Est della UE, si cercavano i nomi da dare ai nuovi building e si decisa di dare a quello più importante il nome di “Batiment Spinelli”. Scoppiò una polemica sul perché l’immobile principale non fosse dedicato a Martino anziché a lui ma si decise di accontentare la pattuglia socialista, proiettando d’emblée Spinelli nel parterre dei “padri fondatori” dell’Europa».
Una manovra, se è vera questa ricostruzione, lontana dai contenuti del Manifesto ventoteniano, che – forse giustamente – nessuno ha mai letto, nemmeno coloro che oggi lo propugnano o dicono di farlo. Renovatio 21 nota che gli anni della supposta «operazione Spinelli» a Bruxelles coincidono con quelli in cui Romano Prodi, quello che oggi si arrabbia parlando del Manifesto, era volato a presiedere la Commissione Europea (1999-2004).
La Verità riporta anche altre reazioni passate da parte di commentatori non ascrivibili all’area sovranista. «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria» scrive il Manifesto: «c’è molto Lenin in questo verdetto» ha scritto nel 2022 l’esperto di Geopolitica del gruppo GEDI Lucio Caracciolo nel libro La pace è finita. Così ricomincia la storia d’Europa (Feltrinelli).
«Leggetelo questo benedetto manifesto di cui tutti parlano» ha detto il politologo, ritenuto di sinistra, Luca Ricolfi. «Perché se non lo leggete non potete rendervi conto di quale spaventosa distopia antidemocratica avessero in mente i suoi autori. I quali avevano in mente un edificio grandioso, un unico super-Stato europeo, propedeutico a un futuro Stato unico mondiale. Ma pensavano di imporlo dall’alto, con una crisi rivoluzionarie e socialista, attraverso “la dittatura del partito rivoluzionario”, senza libere elezioni, contro le timidezze dei democratici, accusati tra le altre cose – di non ammettere un sufficiente ricorso alla violenza».
Apprendiamo che esiste un libro intitolato Contro Ventotene (2017), scritto dal costituzionalista Alessandro Somma, già collaboratore della pubblicazione filosofico-goscista Micromega e di altre pubblicazioni GEDI. «Tra i miti nei quali è impossibile non imbattersi occupandosi di Europa, quelli costruiti sul manifesto di Ventontene occupano un posto di tutto rispetto» scrive lo studioso, parlando di una «venerazione» che «definisce l’appartenenza alla schiera eterogenea ma pur sempre riconoscibile dei “buoni europeisti”».
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Secondo il Somma, scrive La Verità, lo Spinelli ha promosso l’unione della tecnocrazia europea e centri di potere economico, à la World Economic Forum di Davos, verrebbe da dire: un punto sul quale aveva insistito la compianta antropologa Ida Magli nel suo j’accuse La dittatura europea (2010), ricordando il rapporto stretto dello Spinelli (che nel Manifesto, oltre a distruggere la proprietà privata, parlava di redistribuzione delle ricchezze e delle industri dei grandi capitalisti) e Gianni Agnelli.
Va ricordata, sempre in tema di eurotecnocrazia, l’appartenenza dello Spinelli al club Bilderberg.
Si registrano anche gli sbuffi del sindaco filosofo gnostico Massimo Cacciari, che tra il programma della Gruber e dichiarazioni alla testata Affari italiani ha ricordato che «Spinelli è stato deputato indipendente nelle liste del PCI ed è stato isolatissimo nella sinistra italiana. Questi della sinistra di oggi che protestano contro la Meloni andassero a fare un corso accelerato di storia politica e culturale, perché sono di una ignoranza impressionante».
Non siamo sicuri, tuttavia, che si tratti sempre di ignoranza. Gratta il piddino e trovi il comunista, verrebbe da dire: in tanti, specie tra la generazione boomer, sognano ancora la rivoluzione sovietica in casa – specie se cresciuti con stipendio e benessere garantito.
Sono gli stessi che, pur di veder realizzare il loro infantile ideale ottocentesco, sono disposti a favorire con ogni mezzo l’avvento della tecnocrazia in Europa. E lo abbiamo esattamente visto con il COVID – e a breve, con la piattaforma di controllo totale chiamata «Euro digitale», prossimamente nei vostri telefonini, cioè nelle vostre vite.
La maschera giacobina – ancora tenuta in piedi in tutta la sua violenza: lo abbiamo visto alle Olimpiadi parigine – dietro cela una prospettiva molto più oscura, quella del controllo totale, perfino a livello subcellulare. Cioè, la trasformazione definitiva dell’umanità in una società di schiavi.
Gratta Ventotene, e dietro trovi il biototalitarismo che abbiamo subìto e che, ricordiamo, non abbiamo ancora sconfitto…
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Immagine del Batiment Altiero Spinelli di Parolo Margari via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Trump: la morte e la resurrezione di Gesù sono gli «eventi più monumentali di tutta la storia»

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Politica
Sulla fiducia a Mosca è scontro tra i collaboratori di Trump

I principali consiglieri del presidente degli Stati Uniti Donald Trump non sono d’accordo sul fatto che Mosca voglia davvero una risoluzione pacifica del conflitto in Ucraina. Lo riporta il Wall Street Journal, citando fonti anonime.
Un gruppo guidato dal Segretario di Stato Marco Rubio e dall’inviato per l’Ucraina Keith Kellogg sollecita un maggiore scetticismo, si legge nel rapporto. Trump, tuttavia, si schiera con l’assistente diplomatico Steve Witkoff, che si dice nutra maggiore fiducia in Mosca. La scorsa settimana, Witkoff ha incontrato il Presidente Vladimir Putin, dopo che i due avevano già avuto colloqui a marzo.
Mosca sostiene di essere sempre stata disposta a raggiungere i suoi obiettivi principali nel conflitto attraverso mezzi diplomatici, mentre Kiev e i suoi sostenitori occidentali hanno sostenuto l’escalation. Il governo russo, tuttavia, ha affermato che non accetterà un congelamento del conflitto, che porterebbe solo a una ripresa delle ostilità in futuro, citando le violazioni da parte dell’Ucraina di una moratoria proposta dagli Stati Uniti sugli attacchi alle infrastrutture energetiche come prova dell’inaffidabilità di Kiev.
Come esempio della presa di posizione di Trump dalla parte di Witkoff, il WSJ ha citato l’attacco missilistico sulla città di Sumy di domenica, in cui Kiev ha affermato che Mosca ha deliberatamente preso di mira i civili, uccidendone 34. Trump, tuttavia, ha definito l’incidente un «errore», mentre il Dipartimento di Stato di Rubio lo ha definito «orribile» e Kellogg ha affermato che ha oltrepassato «ogni limite di decenza».
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha affermato che i missili sono stati lanciati durante «un altro incontro tra leader militari ucraini e colleghi occidentali», spacciandosi per mercenari. Il ministero della Difesa ha stimato che l’attacco abbia ucciso circa 60 militari, sostenendo che Kiev abbia usato i civili come scudi umani per l’incontro.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha dichiarato domenica alla CBS News che le critiche di Trump alla sua leadership indicano che «le narrazioni russe stanno vincendo negli Stati Uniti».
Il principale negoziatore russo, Kirill Dmitrev, ha espresso preoccupazione per la vulnerabilità americana alle pressioni straniere dopo un incontro con alti funzionari statunitensi all’inizio di questo mese, accusando i media occidentali di aver condotto una campagna coordinata per minare la normalizzazione delle relazioni.
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«Assistiamo a tentativi di interpretare male i messaggi russi, di travisare la Russia e i suoi leader. Questo accade ogni giorno», ha affermato, aggiungendo che «il dialogo diretto è il modo migliore per sconfiggere questa disinformazione».
In un’intervista rilasciata lunedì alla Fox News, lo Witkoff ha dichiarato che il suo incontro di quasi cinque ore con Putin è stato “avvincente” e ha messo il processo di pace in Ucraina «sull’orlo» di una svolta.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Le elezioni in Gabon vinte da un generale

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