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Geopolitica

La Polonia proclama che il Mar Baltico sarà un lago della NATO

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A Varsavia, il primo ministro Mateusz Morawiecki ha parlato dei risultati del vertice della NATO a Madrid, ha riferito l’agenzia di stampa polacca PAP.

 

«In primo luogo, c’è un aumento significativo della presenza di truppe statunitensi in Polonia con il posizionamento del comando principale del V Corpo dell’esercito americano», ha affermato.

 

Il Morawiecki ha aggiunto che, al momento, ci sarebbero circa 10.000 soldati statunitensi di stanza in Polonia. Come noto, le esercitazioni NATO nel Paese si sono ripetute anche ultimamente.

 

«E in secondo luogo, c’è l’invito a Finlandia e Svezia ad aderire all’Alleanza», ha detto il premier di Varsavia, elogiando lo sforzo diplomatico della Polonia per convincere la Turchia a porre fine alla sua opposizione.

 

«Questa è una decisione storica in quanto il Mar Baltico diventerà, di fatto, un mare interno della NATO», ha dichiarato il polacco, dichiarando che l’adesione finlandese e svedese alla NATO «aumenterà anche il potenziale militare dell’Alleanza in quanto paesi tecnologicamente avanzati per i quali la difesa è un fattore importante”».

 

«Trasformare il Mar Baltico in “un mare interno della NATO”, come la strategia geopolitica britannica di circondare la Germania con nemici alleatisi contro di essa prima del 1914, sembra più probabile che crei le condizioni per la guerra piuttosto che essere il “deterrente” che i partigiani della NATO immagina che sia» commenta EIRN.

 

Bizzarri polacchi: con ogni probabilità, otterranno da questa guerra territori anticamente ascrivibili alla Polonia: Leopoli, Ternopili, Rivne… Eppure, la russofobia dei vertici non cala nemmeno per un secondo.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputato ed ex ministro degli Esteri di Varsavia Radoslav Sikorski ha dichiarato recentemente «l’Occidente ha il diritto di dare all’Ucraina testate nucleari in modo che possa proteggere la sua indipendenza». Sikorski, ricordiamo, nel 2014 in teoria trattava per la UE a Kiev… Sì, siamo messi così, e lo siamo da anni e anni.

 

Ricordiamo inoltre la notevole combo bigusto di Morawiecki sul britannico Telegraph, quando ha scritto che il presidente russo Putin è peggio di Hitler e Stalin.

 

Un militare polacco ha fatto poi sapere di desiderare la conquista di Kaliningrad, l’énclave russa sul Baltico. Questo malgrado Kaliningrad non sia mai stata polacca, ma al massimo tedesca: è la Koenigsberg di Immanuel Kant, come noto lettura preferita del Battaglione Azov, che magari Varsavia vuol far villeggiare laggiù.

 

Come non rammentare, infine, la grande saggezza primitiva del governo polacco, che ha chiesto i suoi cittadini di andare a raccogliere i rami secchi nei boschi per scaldarsi questo inverno: tutto per far un dispetto a Putin, ovviamente.

 

Come era quella storia del tizio che si evira per fare un dispetto alla moglie?

 

 

 

 

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Geopolitica

Crosetto contro il summit per la guerra a Berlino: «un errore»

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Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha reagito all’incontro del 15 marzo a Berlino tra Francia, Germania e Polonia, in un’intervista a La Repubblica, in cui ha affermato che l’incontro è stato «un errore di metodo» e ha inviato «il segnale sbagliato».

 

Crosetto, pur essendo favorevole all’invio di quante più armi possibile a Kiev per evitare un’occupazione russa «dell’intero Paese», ha affermato che i membri della NATO dovrebbero smettere di chiedere l’invio di truppe in Ucraina.

 

«Intanto dovrebbe evitare dichiarazioni a effetto – come quella di mandare la Nato in Ucraina cercando di fare più bella figura. O evitare di dividersi in incontri a due o tre quando in Europa siamo in 27. Dovrebbero evitare affermazioni come quella di Macron due giorni fa o quella del ministro degli Esteri polacco». Secondo il ministro, «evitare dichiarazioni come quella fatta da Macron due giorni fa o quella del ministro degli Esteri polacco». Il capo del dicastero degli Esteri di Varsavia Radoslavo Sikorski il 10 marzo aveva detto che i militari della NATO sono già presenti in Ucraina.

 

«Ritengo che la contrapposizione con un monolite come quello russo, in cui c’è un uomo solo al comando, presupporrebbe da questa parte una strategia chiara, non contraddittoria, e magari costruita tutti insieme come coalizione» ha chiosato il Crosetto.

 

«Continuare in un momento così difficile a suddividere le coalizioni che hanno aiutato l’Ucraina in tanti pezzetti mi pare poco pratico (…) se vuoi costringere la Russia al tavolo del negoziato, non la pieghi sicuramente attraverso una disunità, in cui ognuno cerca di fare la sua accelerazione magari solo per motivi politici interni».

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Il ministro ha chiarito che ciò secondo lui andrebbe fatto «aiutando l’Ucraina a difendersi e avendo un blocco politico chiaro, fermo, netto, che si allarga magari ad altre nazioni che non fanno parte dell’Occidente. Che la obblighi a interrompere gli attacchi e a sedersi al tavolo. Bisogna che l’Ucraina non solo si possa difendere ma sia deterrente nei confronti della Russia. Perché, il giorno in cui smetterà di far paura, i russi cercheranno nuovamente di arrivare a Kiev».

 

«Siamo tutti preoccupati e molti sono spaventati. Siamo solo 60 milioni e di questi 60 milioni quelli che sarebbero pronti a combattere sono pochissimi, diciamocelo. Proprio per questo il nostro interesse è quello di ristabilire un ordine mondiale in cui il diritto internazionale viene rispettato e nessuno debba temere di essere attaccato e invaso brutalmente. In ogni caso posso assicurare che truppe italiane non andranno mai in Ucraina».

 

Il ministro ha toccato anche la questione della Transnistria, l’énclave russo in Moldavia dove le tensioni starebbero crescendo in queste ore.

 

«Il ministro della Difesa deve prevedere gli scenari peggiori. Io quando arrivo al ministero la mattina non posso sperare che tutto finirà bene. Devo tenere conto che possa finire domani la guerra e tutti siamo contenti, oppure che la guerra possa andare avanti e persino peggiorare. Oppure che Putin possa fare altri passi e creare problemi in altre nazioni. Noi questi scenari li analizziamo tutti i giorni e ci prepariamo».

 

Germania, Francia e Polonia sono determinate ad aumentare il loro sostegno all’Ucraina, ma ciò non significa che questi paesi siano in uno stato di guerra con la Russia, ha dichiarato il 15 marzo il cancelliere tedesco Olaf Scholz in una conferenza stampa congiunta con il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro polacco Donald Tusk, dopo l’incontro dei tre leader a Berlino.

 

«Sosteniamo l’Ucraina, ma non siamo in uno stato di guerra con la Russia (…) Abbiamo discusso di come possiamo aiutare maggiormente l’Ucraina», aveva detto lo Scholz. I tre capi europei hanno concordato di procurare armi all’Ucraina sui mercati internazionali e di aumentare le forniture di artiglieria, ha detto.

 

«Vogliamo anche trarre vantaggio dalle entrate derivanti dai beni russi congelati nell’UE, utilizzandole per acquistare armi per aiutare l’Ucraina», ha continuato lo Scholzo, mentre il Macron ha annunciato nella stessa conferenza stampa che le aziende francesi e tedesche lavoreranno con Kiev per accelerare la produzione di armi in Ucraina «ancora più velocemente».

 

«Vorrei ringraziare il Cancelliere, che ha assunto una responsabilità speciale per la produzione congiunta di armi sul territorio ucraino. Ora vogliamo metterci al lavoro».

 

L’8 marzo, il ministro delle Forze armate francesi Sébastien Lecornu aveva dichiarato che KNDS, il principale produttore franco-tedesco di carri armati, è tra le aziende che intendono produrre attrezzature militari in Ucraina, secondo Bloomberg.

 

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Immagine di U.S. Secretary of Defense via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Drone attacca base militare in Transnistria. L’Ossezia del Sud discute con la Russia sulla possibile annessione

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Un drone kamikaze ha attaccato una base militare a Tiraspol, la capitale della repubblica non riconosciuta della Transnistria, ha riferito all’agenzia russa RIA Novosti il ​​servizio stampa del ministero della sicurezza della regione. Secondo quanto riferito, l’incidente di domenica ha provocato un incendio ma non ha provocato vittime.   Tiraspol è la capitale della repubblica non riconosciuta della Transnistria, una repubblica non riconosciuta che si è separata dalla Moldavia all’inizio degli anni ’90.   Secondo la TASS, l’obiettivo dell’attacco era un aeroporto militare. Un elicottero di stanza nell’aerodromo è stato distrutto dal veicolo aereo senza pilota (UAV), ha aggiunto l’agenzia di stampa.

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Le autorità de facto della Transnistria finora non si sono pronunciate sull’entità del danno. Il ministero per la Sicurezza dello Stato della repubblica separatista ha solo confermato che una delle basi militari di Tiraspol ha visto un incendio causato da una «esplosione», che, a sua volta, è stata il risultato di un attacco di droni.   Foto e video emersi sui social mostrano quello che sembra essere il relitto di un elicottero militare, con lo scafo quasi completamente distrutto.     Il ministero della Sicurezza dello Stato della Transnistria ha affermato che il drone è arrivato dalla cosiddetta area del «Ponte del Trifoglio», un importante snodo autostradale a più livelli situato a nord della città di Tiraspol e vicino al confine ucraino. Le autorità della repubblica non riconosciuta non hanno finora nominato alcun sospettato dietro l’incidente. Per l’attacco è stato aperto un procedimento penale.   L’incidente avviene nel mezzo delle crescenti tensioni tra Transnistria e Moldavia. Alla fine di febbraio, Tiraspol si è avvicinata a Mosca , cercando aiuto in quello che ha definito un «blocco economico» organizzato da Chisinau.   Un gruppo di legislatori della Transnistria ha sollevato la questione anche con il Segretario generale delle Nazioni Unite, l’OSCE, il Parlamento europeo e altri organismi e organizzazioni internazionali, esortandoli a fare pressione sulla Moldavia. La Russia si è impegnata a rivedere tempestivamente la richiesta.   Chisinau ha liquidato le affermazioni di Tiraspol come «propaganda» e ha negato qualsiasi pressione economica contro la repubblica separatista.   Video apparsi in rete mostrano code ai seggi elettorali della Transnistria per il voto russo.   Nel frattempo, sommovimenti geopolitici tornano a farsi sentire anche nel Caucaso.   Il tema del possibile ingresso dell’Ossezia del Sud nella Russia è stato discusso in stretto coordinamento con Mosca, ha detto al sito russo Sputnik il presidente del parlamento dell’Ossezia meridionale, Alan Alborov.   «Stiamo discutendo tutte queste questioni in stretto coordinamento con la Federazione Russa, tenendo conto delle nostre relazioni e accordi bilaterali», ha detto Alborov alla domanda sulla possibilità di indire un referendum su questo argomento.

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Le due parti perseguono una politica estera coordinata, ha detto Alborov, rilevando che l’Ossezia del Sud diventerà parte della Russia quando i governi dell’Ossezia del Sud e della Russia giungeranno a questa idea.   Il 26 agosto 2008, in seguito all’aggressione armata della Georgia contro l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, la Russia ha riconosciuto l’indipendenza delle due regioni separatiste. Le due repubbliche sono state successivamente riconosciute da Venezuela, Nicaragua, Nauru e Siria, mentre la Georgia e la stragrande maggioranza degli Stati membri dell’ONU non le hanno riconosciute.   L’intervento russo che pose fine all’ultima guerra tentata dai neocon dell’era Bush fu difeso pubblicamente in una conferenza stampa al fianco di Putin da Silvio Berlusconi, allora premier, irritando assai, come visibile da  WikiLeaks, il Dipartimento di Stato USA.

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Geopolitica

Israele valuta la possibilità di arruolare gli ebrei ultra-ortodossi

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Gli ebrei ultraortodossi in Israele sono da tempo esentati dal servizio militare. Questa politica potrebbe cambiare poiché la società israeliana è sempre più messa a dura prova da un’operazione durata mesi a Gaza. Lo riporta Sputnik.

 

«Ogni giorno che passa diventa sempre più chiaro che avremo bisogno di una nuova realtà in Israele», ha dichiarato l’Israel Democracy Institute in un recente rapporto. «È tempo per un nuovo contratto sociale, più giusto».

 

Commenta il sito russo: «il rimedio proposto dal think tank non era, naturalmente, quello di estendere i diritti ai cinque milioni di palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana, ma di richiedere il servizio militare alla popolazione ultra-ortodossa del paese».

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Gli ebrei ultraortodossi, conosciuti in Israele come haredim, sono orgogliosi di vivere quello che considerano uno stile di vita tradizionale. Isolati in comunità affiatate, seguono un’interpretazione rigorosa del giudaismo e si vestono in uno stile conservatore contemporaneo all’emergere del movimento nell’Europa del XIX secolo. I giovani haredim spesso si dedicano allo studio della Torah in scuole speciali conosciute come yeshiva, a volte rinunciando alla partecipazione alla forza lavoro mentre perseguono l’istruzione religiosa a tempo pieno.

 

Gli studenti della Yeshiva sono legalmente esentati dal servizio militare obbligatorio in Israele, una sistemazione che risale alla fondazione del Paese. A quel tempo la sentenza si applicava solo a poche centinaia di uomini in età militare. Ma il numero è salito a circa 66.000 a causa della rapida crescita della comunità religiosamente conservatrice.

 

L’esenzione militare è emersa come una delle principali fonti di tensione tra gli ebrei israeliani ultraortodossi e altri settori della società. «L’esercito cambia tutti», ha detto il rabbino ultraortodosso Nechemia Steinberger, spiegando la resistenza della comunità Haredi al servizio militare. «La triste verità è che gli haredim non saranno in grado di sacrificare il cambiamento dei loro figli perché la loro filosofia negli ultimi 150 anni è stata “non cambiamo”. Questa è la loro ragion d’essere. Vedono l’esercito come un luogo laico, come parte dello Stato ebraico sionista con cui non si identificano completamente», ha detto, secondo Sputnik.

 

Questa divisione a volte porta a scontri fisici tra gli ultra-ortodossi e gli israeliani più laici mentre gli haredim protestano contro il servizio militare, o anche contro pubblicità pubbliche che raffigurano donne e contro traffico di veicoli nei loro quartieri durante il sabato. Giovedì, migliaia di israeliani hanno protestato contro l’esenzione militare degli Haredi durante una grande manifestazione a Tel Aviv.

 

La questione è un enigma per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Negli ultimi anni i tribunali israeliani hanno stabilito che l’esenzione militare degli Haredi è discriminatoria, ordinando la coscrizione obbligatoria da parte della comunità. Netanyahu, che annovera molti ebrei conservatori e ultra-ortodossi nella sua coalizione politica, ha esitato ad adeguarsi.

 

«Se ci costringono ad arruolarci nell’esercito, ci trasferiremo all’estero», ha detto questa settimana il rabbino ultra-ortodosso Yitzhak Yosef, promettendo di resistere a qualsiasi tentativo di coscrizione. «Compreremo un biglietto. Andremo via».

 

I sondaggi mostrano che la maggior parte degli israeliani è contraria all’esenzione militare della comunità, e l’opposizione politica di Netanyahu lo ha martellato sulla questione. «Non ci sono abbastanza soldati», ha detto l’ex primo ministro Yair Lapid alla manifestazione di giovedì a Tel Aviv. «E allo stesso tempo ci sono 66.000 membri giovani e sani della comunità Haredi, in età di arruolamento, che non si uniscono».

 

L’economia israeliana è stata colpita negli ultimi mesi poiché una parte della forza lavoro è stata chiamata a combattere a Gaza. La prospettiva di una guerra contro Hezbollah in Libano minaccia di mettere a dura prova l’IDF. Inoltre, circa mezzo milione di israeliani sarebbero fuggiti dal paese dopo l’attacco di Hamas dello scorso ottobre.

 

«Netanyahu potrebbe presto non avere altra scelta se non quella di arruolare nuove truppe dalla comunità ultra-ortodossa. Ma così facendo rischia una grave esplosione sociale che potrebbe fratturare ulteriormente una società israeliana già intensamente divisa» scrive la testata russa.

 

Gli ebrei haredim – detti spesso dalla stampa «ultraortodossi», parola dismessa da agenzie stampa ebraiche già nel 1990 – credono che la loro dottrina sia un’estensione diretta di una tradizione continua che ha avuto origine con Mosè e la ricezione della Torah sul monte Sinai da parte di Dio. Di conseguenza, considerano le pratiche non ortodosse e, in certa misura, persino l’ebraismo ortodosso moderno, come deviazioni dall’essenza autentica dell’ebraismo.

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Gli haredim non costituiscono un gruppo omogeneo; piuttosto, rappresentano una varietà di orientamenti spirituali e culturali. Questi includono una vasta gamma di gruppi chassidici, correnti lituane ashkenazite e comunità sefardite orientali. Questi gruppi possono differire notevolmente tra loro per ideologia, stile di vita, pratica religiosa, e il grado di isolamento dalla cultura circostante.

 

Attualmente, la maggior parte degli haredi si trova in Israele, Nord America ed Europa. Il loro tasso di crescita demografica è significativo, alimentato dal numero elevato di nascite, e si stima che raddoppi ogni 12-20 anni. Tuttavia, stimare il numero totale degli haredim è difficile a causa delle sfide legate alla definizione precisa del termine, alla mancanza di dati accurati e ai rapidi cambiamenti nel tempo. Secondo stime del 2011 il numero degli haredi era intorno ai 1,3 milioni.

 

In Israele, gli ebrei non religiosi a volte si riferiscono agli haredim come «i neri» (in ebraico shechorim), un termine denigratorio che allude ai vestiti scuri comunemente indossati da questo gruppo. Inoltre, vengono chiamati con il termine gergale «dos» (al plurale «dosim» o «dossim»), un altro termine dispregiativo che imita la tradizionale pronuncia aschenazita della parola «datim», che significa «religiosi».

 

Secondo visioni etimologiche, il termine ebraico «haredi» deriverebbe da «harada», che significa timore e ansia, con il significato di una persona ansiosa o timorosa della parola di Dio. Gli haredim sarebbero quindi coloro che paventano o tremano, come appare in Isaia 66, 5: «ascoltate la parola del Signore, voi che tremate alla Sua parola».

 

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Immagine di Dodi Friedman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

 

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