Geopolitica
Combo bigusto del premier polacco: Putin peggio di Hitler e Stalin. Ma non è che…
Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha vergato un editoriale per il quotidiano britannico Telegraph lo scorso 10 maggio di attacco totale al presidente della Federazione Russa che comincia ad avere l’odore del revisionismo storico.
Lo scorso 9 maggio, «Vladimir Putin ha presentato ancora una volta al mondo la mitologia della vittoria russa sul nazismo» ha scritto il Morawiecki.
«Ha ignorato il fatto che mentre l’Armata Rossa ha sconfitto la Germania nazista, ha portato la schiavitù a molte nazioni. L’Occidente ha scelto di scendere a compromessi con Stalin, sapendo che si trattava di un patto con il diavolo».
Morawiecki ha affermato che Putin è peggio di Hitler o Stalin. Si tratta di una combo bigusto nuova e potente, che alla reductio ad hitlerum aggiunge l’innovativa reductio ad stalinum ora finalmente testabile in contesti ufficiali.
Rispetto ai due diversamente baffuti dittatori, «non solo ha armi più letali a sua disposizione, ma ha anche i nuovi media a portata di mano per diffondere la sua propaganda», inveisce il Morawiecki.
«Non molto tempo fa, la Polonia si è impegnata in una guerra d’informazione con la Russia sulla genesi della seconda guerra mondiale» ha detto Morawiecki, che quindi ha possibilmente idee revisioniste. «Abbiamo vinto; ma Putin ha raggiunto i suoi obiettivi. Ha infettato Internet con milioni di casi di fake news».
«L’ideologia “Russkij Mir” di Putin è l’equivalente del comunismo del 20° secolo» scrive il premier di Varsavia. Russkij Mir è un’organizzazione di diffusione della cultura russa creata nel 2007. Tuttavia, per il Morawiecki, Russkij Mir, «è un’ideologia attraverso la quale la Russia giustifica diritti e privilegi inventati per il suo Paese. È anche il motivo della storia della “missione storica speciale” del popolo russo. In nome di questa ideologia Mariupol’ e dozzine di città ucraine sono state rase al suolo mentre inviava soldati russi in guerra, li convinceva della loro superiorità e li incoraggiava a commettere crimini di guerra disumani: l’omicidio, lo stupro e la tortura di civili innocenti».
Non è finita. Si va molto oltre.
«”Russkiy Mir” è un cancro che sta consumando non solo la maggior parte della società russa, ma rappresenta anche una minaccia mortale per l’intera Europa. Pertanto non basta sostenere l’Ucraina nella sua lotta militare con la Russia. Dobbiamo sradicare completamente questa nuova mostruosa ideologia», conclude diplomaticamente il premier Morawiecki.
«Proprio come una volta la Germania era soggetta alla denazificazione, oggi l’unica possibilità per la Russia e il mondo civile è la “deputinizzazione”».
Si tratta di un pericolo spirituale.
«Se non ci impegniamo immediatamente in questo compito, non solo perderemo l’Ucraina, perderemo anche la nostra anima, la nostra libertà e sovranità. Perché la Russia non si fermerà a Kiev. Ha intrapreso una lunga marcia verso l’Occidente e sta a noi decidere dove fermarla».
Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha reagito all’editoriale di Morawiecki considerandolo oltraggioso e inaccettabile: «È la quintessenza dell’odio verso i russi, che ha colpito come una metastasi la politica polacca, la leadership polacca e, di fatto, con nostro rammarico, gran parte della società polacca», ha detto Peskov.
Morawiecki aveva già fatto fatto esercizio di russofobia sulle pagine del Telegraph, ad esempio attaccando viaggio di Putin in Israele per il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa.
La Polonia, Paese che confina con l’Ucraina, ha avuto in questi mesi un atteggiamento bellicista nei confronti di Mosca che possiamo definire parossistico. Un militare di Varsavia si è spinto a parlare di una restituzione alla Polonia dell’enclave russo di Kaliningrad, che in pratica mai è stata città polacca – al massimo, era città tedesca, con il nome di Koenigsberg.
C’è da calcolare quanto di questa russofobia parossistica possa essere ascritta alla mente di Jaroslaw Kaczynski,
Kaczynski è il dominus della destra polacca al potere, abbia una questione personale da risolvere: suo fratello gemello Lech, con cui da bambino recitava in film fantasy e con cui più tardi avrebbe istituito quella che l’opposizione chiamava «la dittatura omozigotica dei Kaczynski», morì in uno spaventoso incidente aereo nel 2010; i vertici della politica polacca andavano alla cerimonia per il 70º anniversario del massacro di Katyn, una strage perpetrata dai sovietici ai danni dei polacchi nell’ultimo conflitto mondiale. L’aereo precipitò nei dipressi di Smolensk, in territorio russo. Secondo certuni, Jaroslaw potrebbe ancora serbare rancore per la morte del gemello Lech.
Tuttavia, sta saltando fuori ogni giorno di più la strana voce per cui i polacchi potrebbero entrare in Ucraina e prendersi Leopoli – quella sì città di storia polacca – magari con la scusa del peacekeeping. Qualcuno potrebbe scommettere che se ciò accadesse, avverrebbe con estrema probabilità dopo un accordo di spartizione magari segreto, con Mosca. Lo smembramento dell’Ucraina, fantasticano alcuni, potrebbe interessare anche l’Ungheria, che potrebbe riannettersi un pezzo di territorio della Transcarpazia, dove vive una popolazione di etnia magiara.
Si tratta chiaramente dello scenario più crudele possibile per l’Ucraina, e al contempo del più vantaggioso per la Polonia, che con un’estensione territoriale de facto galvanizzerebbe l’elettorato nazionalista e non solo: unico Stato europeo che si allarga invece che contrarsi…
E quindi, uno potrebbe anche pensare: tutto questo abbaiare della Polonia, non è che serva a una mossa del genere?
Qualcosa per caso è stato già deciso, senza che politici e giornalisti occidentali siano nemmeno riusciti ad immaginarlo?
Non sarebbe la prima volta.
Immagine di Kancelaria Premiera via Wikimedia pubblicata su licenza Public Domain Mark 1.0
Geopolitica
L’UNICEF denuncia come Israele ignora il cessate il fuoco ONU e continua il massacro di Gaza
In una conferenza stampa tenuta il 26 marzo a Rafah James Elders, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), ha fornito un rapporto completo sulla devastazione a cui sta assistendo ora, dopo un’assenza di tre mesi. Lo riporta EIRN.
Elders ha riferito che i combattimenti notturni tra lunedì sera, 25 marzo e martedì 26 marzo avevano prodotto «un numero a due cifre di bambini uccisi», avvenuti «solo poche ore dopo l’approvazione della risoluzione» del Consiglio di Sicurezza.
Il funzionario UNICEF ha dichiarato che a Rafag ora si «discute infinitamente di un’operazione militare su larga scala». Questa è «una città di bambini. Ci sono 600.000 ragazze e ragazzi», ha detto, ma è «irriconoscibile a causa della congestione, delle tende agli angoli delle strade e dei terreni sabbiosi. La gente dorme per strada, negli edifici pubblici, in ogni altro spazio vuoto disponibile»
«A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. Per quanto riguarda le docce, il numero è quattro volte superiore: una doccia ogni 3.600 persone. Questo è un disprezzo infernale per i bisogni umani fondamentali e la dignità».
Sostieni Renovatio 21
«Un’offensiva militare a Rafah?» si è chiesto l’Elders. «Offensiva è la parola giusta. Rafah, sede di alcuni degli ultimi ospedali, rifugi, mercati e sistemi idrici rimasti a Gaza».
Il portavoce UNICEF ha anche visitato Khan Younis, a nord di Rafah, che secondo lui era irriconoscibile. «Esiste a malapena più. Nei miei 20 anni con le Nazioni Unite, non ho mai visto una tale devastazione. Solo caos e rovina, con macerie e detriti sparsi in ogni direzione. Annientamento totale».
L’ospedale Nasser, «un luogo così critico per i bambini feriti dalla guerra», non è più operativo. Infatti, solo un terzo degli ospedali di Gaza sono «parzialmente funzionanti». Cinque ospedali sono sotto assedio da parte delle forze israeliane.
Visitando la città di Jabalia, nel nord di Gaza, Elders ha riferito che tra l’1 e il 22 marzo, a un quarto delle 40 missioni di aiuto umanitario nel Nord di Gaza è stato negato l’ingresso nella Striscia. Ha assistito a centinaia di camion delle Nazioni Unite e di ONG internazionali, che trasportavano aiuti umanitari salvavita, rimasti indietro sul lato israeliano del confine, in attesa di entrare a Gaza.
Se il vecchio valico di Erez, a 10 minuti di distanza, fosse aperto, «potremmo risolvere questa crisi umanitaria nel nord nel giro di pochi giorni», ha detto Elders. Il portavoce dell’UNICEF ha concluso: «la privazione, la disperazione forzata, significa che la disperazione pervade la popolazione. E i nervi delle persone sono scossi da attacchi incessanti».
«L’indicibile viene regolarmente detto a Gaza. Dalle adolescenti che sperano di essere uccise; sentirsi dire che un bambino è l’ultimo sopravvissuto dell’intera famiglia. Tale orrore non è più unico qui (…) In tutto questo, tanti palestinesi coraggiosi, generosi e instancabili continuano a sostenersi a vicenda, e le agenzie sorelle delle Nazioni Unite e l’UNICEF continuano a farlo».
«Come abbiamo sentito ieri: il cessate il fuoco deve essere sostanziale, non simbolico. Gli ostaggi devono tornare a casa. Alla gente di Gaza deve essere permesso di vivere» ha dichiarato il funzionario onusiano.
«Nei tre mesi tra le mie visite, ogni numero orribile è aumentato drammaticamente. Gaza ha infranto i record dell’umanità nei suoi capitoli più oscuri. L’umanità deve ora scrivere urgentemente un capitolo diverso».
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di RafahKid Kid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine tagliata
Geopolitica
Putin: non ci sono «nazioni ostili» per la Russia, solo «élite ostili»
Sostieni Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Geopolitica
Il presidente serbo lancia l’allarme: minacce dirette alla Serbia e ai serbi bosniaci
La Serbia sta attraversando giorni estremamente difficili, ha dichiarato il presidente Aleksandar Vucic, aggiungendo che sono in gioco gli interessi nazionali del Paese. Lo riporta RT.
La Nazione balcanica si è costantemente opposta ai tentativi della sua provincia separatista del Kosovo di aderire agli organismi internazionali, ma la regione ha recentemente fatto progressi in questo senso.
Mercoledì il leader serbo ha pubblicato un messaggio criptico su Instagram, avvertendo che «si prospettano giorni difficili per la Serbia» e che «in questo momento non è facile dire che tipo di notizie abbiamo ricevuto nelle ultime 48 ore».
Visualizza questo post su Instagram
Sostieni Renovatio 21
Gli sviluppi «minacciano direttamente gli interessi nazionali vitali sia della Serbia che della [Republika] Srpska», ha osservato Vucic, senza fornire ulteriori dettagli, dicendo solo che presenterà ai suoi concittadini le sfide future nei prossimi giorni.
La Republika Srpska è una regione parzialmente autonoma dominata dai serbi all’interno della Bosnia ed Erzegovina.
«Sarà dura… Combatteremo, la Serbia vincerà», ha aggiunto Vucic.
Anche se non è chiaro a cosa si riferisse Vucic, è pronto a incontrare mercoledì alti diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, secondo il sito web Pink.rs. Si prevede che l’ordine del giorno dell’incontro verterà sulla richiesta del Kosovo di aderire al Consiglio d’Europa, organismo internazionale di vigilanza sui diritti umani.
Secondo Pink, Vucic «non perderà l’occasione di ripetere (…) che si è trattato di una mossa perfida che ha anche un peso simbolico poiché è stata compiuta proprio il giorno che è stato scritto a lettere nere nella memoria collettiva dei serbi».
Il giornale si riferiva al 25° anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti della NATO contro l’ex Jugoslavia per quello che il blocco ha definito «uso sproporzionato della forza» contro un’insurrezione di etnia albanese in Kosovo.
Verrà discussa anche la decisione della commissione permanente dell’Assemblea parlamentare della NATO di elevare la regione separatista del Kosovo allo status di membro associato. La decisione finale sulla questione è attesa per la fine di maggio.
Nel frattempo Radio Sarajevo ha fatto intendere che il presidente serbo avrebbe reagito alla decisione dell’alto rappresentante della Bosnia ed Erzegovina Christian Schmidt di modificare la legge elettorale del paese. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante è un’organizzazione internazionale che sovrintende all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto fine a una sanguinosa guerra nella Nazione balcanica.
Schmidt ha dichiarato martedì che utilizzerà la sua autorità per introdurre riforme del voto digitale come parte di un progetto pilota nel paese.
La mossa è stata accolta con il rifiuto del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, che ha detto che Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale, aggiungendo che «appartiene alle persone che vivono in Bosnia ed Erzegovina».
In una intervista all’agenzia russa TASS dello scorso mese il Vucic aveva dichiarato che la comunità internazionale non è più interessata a porre fine ai conflitti e vede invece la pace come un ideale «indesiderato».
Come riportato da Renovatio 21, settimane fa il presidente serbo aveva rincarato la dose accusando l’Occidente di perseguire una politica di «militarizzazione totale» per sconfiggere la Russia, che mette la regione e il mondo sull’orlo del disastro e sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.
«Quello che sta succedendo adesso è una follia», aveva detto ai media regionali. «Tutti pensavano che Putin sarebbe stato sconfitto facilmente. Ora vedono che non è così».
Sei mesi fa il presidente serbo aveva detto che le forze di pace NATO hanno dato agli albanesi del Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi. «Il Kosovo vuole iniziare una guerra NATO-Serbia» aveva detto un anno fa il Vucic.
Come riportato da Renovatio 21, l’Italia pare essere già schierata nel teatro balcanico: il premier Giorgia Meloni aveva prima alzato la voce quando truppe italiane del contingente KFOR erano state ferite in un moto dei serbi kosovari, poi l’estate scorsa ha compiuto un bizzarro, enigmatico viaggio privato dal premier albanese Edi Rama, risaputo uomo proveniente dalle file dello speculatore internazionale Giorgio Soros.
In una intervista di mesi fa con Tucker Carlson il presidente ungherese Viktor Orban aveva rivelato che con il presidente serbo Vucic sarebbe d’accordo nel considerare un attacco al gasdotto South Stream, che porta il gas dalla Russia in Ungheria e Serbia, come un atto di guerra, al quale, dice, «reagiremo».
Tre mesi fa si era assistito ad un probabile tentativo di «maidanizzazione», a Belgrado a seguito delle elezioni. Alti funzionari serbi avevano descritto le proteste come un tentativo di «rivoluzione colorata» e hanno affermato di essere stati avvertiti dalla Russia: il presidente serbo Vucic aveva affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di European Union via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata
-
Scuola1 settimana fa
INVALSI e PNRR: a scuola nasce il mostro tecnocratico-predittivo che segnerà il futuro dei nostri figli
-
Gender2 settimane fa
Mons. Viganò reagisce alla notizia dell’ambulatorio per la disforia di genere al Policlinico Gemelli
-
Salute2 settimane fa
I malori della 11ª settimana 2024
-
Ambiente6 giorni fa
Il senato di uno Stato americano vieta la geoingegneria delle scie chimiche
-
Gender2 settimane fa
Transessualismo a scuola, l’ascesa della carriera alias non si ferma
-
Occulto1 settimana fa
Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?
-
Pensiero5 giorni fa
Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?
-
Reazioni avverse2 settimane fa
I vaccini COVID-19 collegati a lesioni renali a lungo termine