Economia
La deindustrializzazione colpisce anche gli USA

Il fenomeno della deindustrializzazione non sta colpendo solo l’Europa, ma l’intero Occidente.
«La produzione sta scoppiettando nelle più grandi economie del mondo», dice un articolo della CNN di domenica scorsa, che raccoglie dati significativi da varie fonti.
«Le fabbriche negli Stati Uniti e in tutta l’Eurozona hanno registrato un calo dei nuovi ordini di beni manifatturieri a maggio», secondo la società di dati S&P Global. Il settore manifatturiero statunitense «è caduto in territorio di contrazione a maggio», nonostante l’escalation degli ordini per la difesa che si manifesta nella produzione di beni durevoli. «L’Institute for Supply Management ha mostrato che il settore si è contratto per il settimo mese consecutivo a maggio e ad un ritmo più veloce rispetto al mese precedente».
Per quanto riguarda gli ordini, il Dipartimento del Commercio USA ha riferito il 5 giugno che se gli ordini di produzione militare sono esentati, gli ordini di fabbrica statunitensi sono diminuiti in quattro dei sei mesi del 2022-2023, da novembre ad aprile.
I dati sui beni durevoli in aprile sono stati tipici della presa del sopravvento dell’economia di guerra. Aprile è uno dei soli due mesi degli ultimi sei in cui la produzione manifatturiera e gli ordini negli Stati Uniti non si sono contratti.
Gli ordini di beni durevoli ad aprile sono stati segnalati in aumento dell’1,1%, una grande «sorpresa» quando era previsto un altro calo. Ma si trattava interamente di ordini di difesa; senza di essi, gli ordini di beni durevoli sono scesi del -0,6% ad aprile.
La contrazione complessiva transatlantica della produzione e dell’industria è causata non solo dalla contrazione del credito; è parte integrante del disaccoppiamento forzato con la Cina, attraverso embarghi e restrizioni commerciali, che stanno tagliando il commercio cinese.
Le esportazioni cinesi a maggio del 7,5% sono state inferiori rispetto a maggio 2022. Ma la Cina, invece di tagliare credito e prestiti per cercare di consentire alle banche di salvarsi dall’insolvenza, sta adottando misure, attraverso la People’s Bank of China, per aumentare i prestiti da parte delle banche statali banche e sta nuovamente avviando progetti BRI e finanziamenti commerciali all’estero.
I tassi di interesse sono stati abbassati il 12 giugno dalle banche statali cinesi, subito dopo che la Banca popolare cinese aveva leggermente abbassato il coefficiente di riserva obbligatoria per incentivare i prestiti.
Come riportato da Renovatio 21, l’allarme per la deindustrializzazione dell’Europa è stato suonato la settimana scorsa dal filosofo del linguaggio e attivista politico americano Noam Chomsky.
Il Paese dove il fenomeno è più tristemente e pericolosamente evidente è la Germania, la locomotiva manifatturiera d’Europa.
Il tema della deindustrializzazione nazionale è oramai discusso apertamente sui giornali tedeschi, con tanto di domande retoriche delle grandi testate come il Financial Times che si chiede se per caso la crisi energetica (causata anche dal terrorismo di Stato contro i gasdotti) distruggerà l’industria europea, mentre la recessione tedesca è stata definita «inevitabile». Un recente studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) aveva calcolato che la carestia di gas distruggerà in Germania 330 mila posti di lavoro.
Anche le grandi industrie tedesche chiedono di rivedere la questione energetica; si moltiplicano nel frattempo le voci che suggeriscono di ritardare il phase-out dell’energia nucleare programmato dalla Merkel, infrantosi contro la triste realtà delle rinnovabili non affidabili.
Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate la BASF e il grande produttore di acciaio tedesco ThyssenKrupp avevano avvertito che senza una fornitura sufficiente di gas naturale, le loro fabbriche potrebbero essere costrette a rimanere inattive o chiudere completamente e potrebbero anche subire danni tecnici. A novembre 2021 la BASF aveva annunciato la chiusura della produzione di fertilizzanti con ammoniaca in Belgio e Germania, a tempo indeterminato. Ciò è andato ad influire anche sulla produzione di additivo per carburante diesel a base di ammoniaca, AdBlue. Lo scorso 26 luglio, la BASF dichiarava la riduzione della la produzione di prodotti a base di gas naturale come materia prima. Ciò includeva l’ammoniaca, che è importante per i fertilizzanti, nonché per la plastica e altri beni, in particolare il diesel detto DEF, un altro prodotto necessario alle Nazioni (il trasporto merci avviene per lo più con questo tipo di combustibile) colpito in modo totale dalle sanzioni antirusse. Questo febbraio BASF ha tagliato 2.600 posti di lavoro. Contro la deindustrializzazione si sono registrate nelle ultime settimane le posizioni dei sindacati tedeschi.
«Stiamo rischiando una massiccia deindustrializzazione del continente europeo e le conseguenze a lungo termine di ciò possono essere davvero molto, molto profonde», aveva affermato lo scorso ottobre il primo ministro belga Alexander De Croo al Financial Times, con il timore di disordini sociali, perché «la gente si arrabbierà».
Come riportato da Renovatio 21, la deindustrializzazione è ciò che con probabilità ha salvato l’Italia dai blackout che potevano scatenarsi con la presente crisi energetica.
Se qualcuno si chiede quale può essere il fine di questo processo di povertà e morte, abbiamo scritto la risposta in un articolo su Renovatio 21: deindustrializzare per deumanizzare.
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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