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Intelligence

Israele ha convinto gli USA ad assassinare il generale Soleimani: parla l’ex capo dell’Intelligence israeliana

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Israele ha convinto l’America ad assassinare il generale iraniano Qasem Soleimani fornendo informazioni di Intelligence che lo dipingevano come una «minaccia immediata». La rivelazione viene dall’ex capo dell’Intelligence militare israeliana Tamir Hayman, che ne ha parlato in un’intervista a Jewish News questa settimana.

 

Tre anni fa, attacchi aerei americani uccisero il leader della Guardia Repubblicana iraniana Qasem Soleimani in Iraq, provocando una tensione totale tra Teheran e Washington. L’Iran continua a minacciare di vendicare l’assassinio, definendolo un attacco «terroristico» contro un funzionario iraniano.

 

L’israeliano Hayman aveva precedentemente ammesso che Israele forniva informazioni agli Stati Uniti su Soleimani, ma ora dà conto del fatto che la sua formulazione sulla «minaccia immediata» è la stessa che ha usato il presidente degli Stati Uniti Trump quando si è assunto la responsabilità dell’attacco, suggerendo che è stato proprio quel pezzo di Intelligence israeliano che ha portato a la decisione di assassinare il leader dei Pasdaran Soleimani.

 

«Soleimani stava pianificando attacchi imminenti e sinistri contro diplomatici e personale militare americani, ma l’abbiamo colto sul fatto e lo abbiamo terminato», aveva detto Trump ai giornalisti all’epoca.

 

Secondo l’Hayman, dopo che le milizie di Soleimani avevano aiutato a sconfiggere lo Stato islamico, gli Stati Uniti «lo stavano ostacolando perché volevano controllare il Medio Oriente. Quindi la sua attenzione si è spostata dallo Stato Islamico alla presenza degli Stati Uniti nella regione».

 

«Israele ha convinto gli Stati Uniti delle attività maligne di Soleimani contro gli americani. Gli Stati Uniti si sono concentrati principalmente sulla lotta al terrorismo, non sull’Iran. Abbiamo fornito l’Intelligence e l’analisi condivisa e per un lungo periodo di tempo alla fine si sono convinti che Soleimani fosse una minaccia immediata per le vite americane e la sua posizione strategica in Medio Oriente», ha affermato Hayman.

 

L’affermazione per cui Soleimani stesse «tramando attacchi imminenti e sinistri contro diplomatici e personale militare americani» non è mai stata confermata e, secondo l’allora primo ministro iracheno Adil Abdul-Mahdi, Soleimani era a Baghdad come parte di una mediazione irachena tra Arabia Saudita e Iran.

 

«Avrei dovuto incontrarlo la mattina del giorno in cui è stato ucciso, è venuto a consegnare un messaggio dall’Iran in risposta al messaggio che avevamo consegnato dai sauditi all’Iran», ha dichiarato l’ex premier Abdul-Mahdi dopo l’assassinio. In una nota legalmente obbligatoria al Congresso USA emessa nel febbraio 2020, l’amministrazione ha abbandonato del tutto l’affermazione di «attacchi imminenti».

 

Trump in seguito ha affermato che «non importa» se Soleimani stesse pianificando un attacco «imminente» o meno «a causa del suo orribile passato».

 

Come riportato da Renovatio 21, Israele due anni fa ha ucciso uno scienziato atomico israeliano tramite robot teleguidato. È stato anche ipotizzato che, a livello politico, l’assassinio potesse essere una trappola per lo stesso presidente Trump.

 

Nel 2019 caccia USA stavano per far scattare una rappresaglia contro l’Iran che aveva distrutto un drone della Marina americana. L’attacco fu richiamato all’ultimo minuto dallo stesso presidente Trump, che aveva parlato al telefono con il popolare giornalista TV Tucker Carlson, il quale era stato in grado di persuadere Trump di evitare un atto di guerra con l’Iran.

 

Da quel momento in avanti si impennò la lotta dei neocon contro Trump, una vera guerra interna all’amministrazione materializzatasi con il licenziamento del baffuto falco guerrafondaio neocon John Bolton.

 

 

 

 

 

Immagine di khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

 

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Intelligence

Disney crea un sistema di intelligenza artificiale per cambiare automaticamente l’età degli attori

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La Disney per la tecnologia anti-invecchiamento sta sviluppando uno strumento di intelligenza artificiale che può alterare automaticamente l’età degli attori, stando a quanto riferito dal sito americano Gizmodo.

 

«Re-aging», lo chiama Disney. Lo strumento, soprannominato Face Re-aging Network, o semplicemente nominato FRAN, è in grado di far sembrare gli attori più giovani o più vecchi, a seconda delle esigenze, e promette di accelerare drasticamente i processi di effetti visivi che richiederebbero altrimenti settimane per essere completati se fatti manualmente.

 

Alcuni di questi processi, se eseguiti manualmente richiedono la pittura scrupolosa di ogni fotogramma 2D del volto di un attore o la sostituzione di un attore con un «pupazzo digitale».

 

Ma usando FRAN «completa le tradizionali tecniche di re-invecchiamento che già funzionano bene nella produzione cinematografica», hanno scritto i ricercatori Disney in un documento di accompagnamento.

 

 

FRAN sembra decisamente più convincente dei precedenti modelli di Intelligenza Artificiale fin ad ora utilizzati per la grafica di questo tipo

 

Lo strumento AI progettato da Disney funziona sovrapponendo alterazioni – come ad esempio le rughe – a parti specifiche del viso che immagina dovrebbero essere più vecchie o più giovani, lasciando inalterate le parti rimanenti. Lo fa su livelli separati, consentendo agli artisti di modificare e aggiungere manualmente alcuni ulteriori dettagli. A tal fine, la Disney afferma che FRAN è «pronto per la produzione».

 

Ma affinché FRAN fosse così efficace, i ricercatori hanno dovuto prima creare il proprio database di migliaia di volti generati casualmente, che hanno poi modificato utilizzando gli strumenti di modifica dell’età esistenti. L’enorme volume di volti generati e poi modificati che ne è derivato ha fornito molto materiale per sviluppare questo nuovo prodotto di IA.

 

Per quanto possa apparire impressionante, FRAN non è impeccabile. Invecchiare, dopotutto, non è solo accumulare rughe, e FRAN sembra faticare a catturare l’incredibile sfumatura del processo. Allo stesso modo, FRAN sembra avvicinarsi in gran parte all’invecchiamento semplicemente rendendo la pelle dei suoi soggetti più liscia, il che può facilmente apparire eccessivo e non naturale.

 

Ma FRAN non deve essere perfetto. Potrebbe dare agli artisti VFX un enorme vantaggio, risparmiando settimane, se non mesi, di lavoro e milioni di dollari. 

 

Questa nuova e controversa tecnologia viene applicata non solo agli attori viventi, ma anche a quelli passati a miglior vita. Un artista «generativo», che risponde al nome di Alper Yesiltas, ha creato, grazie al supporto dell’AI, fotografie di personaggi famosi morti anzitempo immaginandosi come sarebbero ora se fossero sopravvissute.

 

In pratica, l’artista-informatico turco ha fatto invecchiare i famosi morti.

 

Ma c’è chi i morti li fa anche parlare, come nel caso di Marina Smith, una donna di 87 anni morta lo scorso anno, che ha potuto parlare alle persone in lutto al suo funerale proprio grazie al potere dell’Intelligenza Artificiale. Gli ospiti del funerale sono stati sorpresi dall’«esperienza video conversazionale olografica», creata da una startup chiamata StoryFile.

 

Oramai il mondo dell’AI sembra non avere più confini, tanto da creare immagini inquietanti a partire da una canzone rock anni ’70. L’Intelligenza Artificiale crea una sequenza di immagini inquietanti a partire da input verbali, in questo caso il testo della canzone. 

 

Inoltre ci si può «sbizzarrire artificialmente» anche su selfie dal gusto apocalittico. Su richiesta di un utente, un’Intelligenza Artificiale ha generato immagini di selfie scattati durante la fine del mondo. La macchina ha prodotto una serie di «autoscatti» pieni di mostri umanoide e figure scheletriche dall’aspetto sempre più triste.

 

Rimanendo circoscritti al mondo cinematografico, un imprenditore tecnologico tedesco, di nome Fabian Stelzer, sta producendo un film interamente generato dall’Intelligenza Artificiale. Il film, di genere fantascientifico e con uno stile piuttosto anni Settanta, si chiama Salt. La pellicola avrà solo voci artificiali tranne la sua. Software di autogenerazione di immagini creeranno pure le riprese e gli effetti sonori del film.

 

L’era della generazione automatica dei contenuti è qui. Alcuni si domandano, con inquietudine, cosa accadrà quando l’Intelligenza Artificiale generativa sarà usata per la produzione della pornografia.

 

Una domanda a cui ora abbiamo paura di rispondere.

 

 

 

 

 

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Economia

Due banche israeliane hanno trasferito 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank prima del suo collasso

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Un articolo del giornale israeliano Times of Israel riporta che le due maggiori banche del paese sono state in grado di trasferire 1 miliardo di dollari dalla Silicon Valley Bank a conti in Israele prima che il banco californiano fosse sequestrata dai federali.

 

La Silicon Valley Bank (SVB) al momento del suo fallimento alla fine della scorsa settimana costituita la sedicesima banca più grande degli Stati Uniti, prima di crollare in quello che il secondo maggiore schianto di una banca nella storia d’America. Aziende che avevano il conto alla SVB, considerata talmente solida da essere entrata di recente nella classifica di Forbes delle banche più affidabili, sono ora bloccate; è stato riportato che una filiale di Nuova York, dove si erano precipitati dei risparmiatori per ritirare il proprio danaro, ha chiamato la polizia.

 

La banca serviva principalmente il giro locale delle startup tecnologiche e dei loro principali finanziatori, i Venture Capital, ossia i fondi di capitale di rischio. Il business durante la pandemia era andato a gonfie vele: se nel 2019 la banca aveva asset per 40 miliardi, nel 2022 era arrivata a circa 220 miliardi di dollari: negli anni con le popolazioni chiuse in casa a consolarsi con internet ogni pezzo della filiera Big Tech californiana ha fatto affari d’oro.

 

La SVB è crollata dopo una corsa ai depositi, che ha portato all’amministrazione controllata da parte dell’ente statale di sicurezza bancaria Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), che pare dovrebbe garantire il 100% dei depositi dei clienti assicurati e non assicurati. Negli USA, solitamente i conti correnti

 

Mentre il crollo di SVB ha colto molti di sorpresa, le autorità finanziarie israeliane apparentemente si sono mosse con incredibile tempismo.

 

«Le due maggiori banche israeliane, Bank Leumi e Bank Hapoalim, hanno istituito una stanza operativa che ha operato 24 ore su 24 per aiutare le aziende a trasferire i loro soldi da SVB – prima che venissero sequestrati – a conti in Israele», riporta il Times of Israel.

 

«Negli ultimi giorni, i team di LeumiTech, il ramo bancario high-tech di Bank Leumi, sono stati in grado di aiutare i loro clienti israeliani a trasferire circa 1 miliardo di dollari in Israele, ha affermato la banca».

 

Della questione ha parlato anche un articolo di un altro importante quotidiano israeliano, Ha’aretz: «persone del settore hanno detto alla fine della settimana che molte aziende israeliane erano riuscite a far uscire i loro soldi in tempo, ma che chiaramente non era così per tutti» scrive il giornale di Tel Aviv. «Non è chiara, infatti, la reale situazione del settore high-tech del Paese, poiché le aziende i cui depositi sono ora bloccati cercheranno di nasconderlo, preoccupate che eventuali voci possano allontanare clienti, fornitori e dipendenti».

 

L’articolo del Times of Israel parte dalle domande se il crollo di SVB impatterà anche nel florido settore delle startup tecnologiche israeliane (la cosiddetta Silicon Wadi, dove wadi sta per valle in ebraico, e pure in arabo) che ha numerose interconnessioni con l’ambiente finanziario e tecnologico californiano e americano in genere. Uno dei pochi accenti stranieri ammessi nei pitch (cioè le contrattazioni per gli investimenti), confidò in un tweet controverso una decina di anni fa un investitore di Venture Capital, è, oltre all’indiano, quello ebraico.

 

Come riportato da varie fonti, il settore delle aziende tecnologiche di Israele – la Startup Nation, come la chiama un famoso libro – è dominato da veterani dell’Unità 8200, un’unità del Corpo di Intelligence israeliano delle forze di difesa israeliane responsabile di operazioni clandestine, raccolta di informazioni sui segnali (SIGINT) e decrittazione di codici, controspionaggio, guerra informatica, Intelligence militare e sorveglianza.

 

Molti dei software di sorveglianza venduti da Israele nel mondo, talvolta con scandalo, provengono da questo tipo di competenze.

 

Come riportato da Renovatio 21, recenti indagini giornalistiche hanno portato a scoprire che centinaia di dipendenti delle società Big Tech come Google, Facebook, Amazon e Microsoft vengono da ambienti dello spionaggio israeliano.

 

 

 

 

 

 

Immagine di Minh Nguyen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

 

 

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I giornali tedeschi rivendicano l’ultima balla sul Nord Stream

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Alcuni media tedeschi sostengono di essere stati i primi a scoprire la nuova pista sul bombardamento del Nord Stream alternativa a quella indicata dal reportage di del decano del giornalismo Seymour Hersh, il quale con date, luoghi e molti nomi aveva ricostruito l’attacco come un’operazione segreta progettata ed eseguita dall’amministrazione Biden al di fuori dell’approvazione del Congresso USA.

 

Come riportato da Renovatio 21, in settimana è emersa un’incredibile (letteralmente, etimologicamente) versione alternativa, rivelata al New York Times da «fonti di Intelligence», le quali avrebbero informazioni per cui i colpevoli sono da ricercarsi in un gruppo «filo-ucraino» slegato dal potere di Kiev.

 

Ora l’emittente tedesca ARD, la radio SWR e il quotidiano Die Zeit affermano di aver «scoperto» loro per primi la presunta connessione ucraina, e non il New York Times.

 

La cosa è complicata, perché il New York Times ha lasciato intendere di aver avuto le informazioni da fonti dei servizi USA. I media tedeschi invece sono usciti con la stessa storia, ma la hanno attribuita ad una indagine giornalistica congiunta sulle attività delle autorità di polizia tedesche coinvolte nelle investigazioni sul Nord Stream.

 

«Le autorità investigative tedesche hanno apparentemente fatto un passo avanti nella risoluzione dell’attacco ai gasdotti Nord Stream 1 e 2. Secondo un’indagine congiunta di ARD-Hauptstadtstudio, del magazine politico ARD Kontraste, SWR e Die Zeit, è stato possibile ricostruire in larga misura come e quando è stato preparato l’attacco esplosivo», hanno riferito.

 

«In particolare, secondo le informazioni di ARD-Hauptstadtstudio, Kontraste, SWR e Die Zeit, gli investigatori sono riusciti a identificare la barca» utilizzata nel sabotaggio, ha scritto Die Zeit.

 

«Questa disputa di paternità su una narrativa di insabbiamento scelta è stata l’argomento della visita a sorpresa del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Washington per incontrare il presidente Biden il 3 marzo?» si chiede giustamente EIRN, ricordando la grottesca, ridicola, umiliante (non solo per i tedeschi: per ogni europeo) visita del cancelliere alla Casa Bianca di qualche giorno fa.

 

La tesi di Hersh sulla paternità interamente bideniani del disastroso attacco aveva trovato una qualche trazione anche presso i media tedeschi.

 

Nel frattempo, qualcosa si muove al Bundestag, con il partito AfD che chiede di discutere le accuse agli USA che a partire dall’articolo di Hersh ora vengono discusse in tutto il mondo.

 

La Russia, che ha reagito con reazioni al limite dell’ironia alla nuova pista «filo-ucraina» del NYT, sta chiedendo un’indagine ONU sull’accaduto.

 

 

 

 

 

Immagine di Burkhard Mücke via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

 

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