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Persecuzioni

India, arrestate sei donne accusate di conversioni forzate

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Stavano festeggiando il compleanno di uno dei loro figli, quando i vicini hanno chiamato la polizia. Gli agenti hanno fermato le cristiane dopo aver notato che possedevano testi religiosi. Padre Vineet Pereira: il problema «è la situazione di polarizzzazione comunitaria». Negata la prima richiesta di libertà su cauzione.

 

 

La polizia dell’Uttar Pradesh ha arrestato sei donne per un presunto tentativo di conversione religiosa durante una festa di compleanno. La vicenda si è svolta a Maharajganj, nel distretto di Azamgarh. Durante la perquisizione gli agenti hanno recuperato alcuni testi religiosi delle donne, che al momento si trovano nel carcere distrettuale di Azamgarh.

 

In base a una prima ricostruzione, una delle donne, Indrakala, del villaggio di Pipri nel Kaptanganj, aveva organizzato il 31 luglio una festa di compleanno per il figlio alla quale erano state invitate le famiglie della zona.

 

Alcuni residenti hanno però denunciato il ricevimento alla polizia dicendo si trattasse di un evento di conversioni forzate. Gli agenti che hanno fatto irruzione hanno notato alcuni libri e documenti cristiani, arrestando poi le sei donne: Indrakala, Subhagi Devi, Sadhana, Samata, Anita e Sunita.

 

«Una delle donne è disabile, una è vedova con tre figli piccoli e una è una ragazza nubile non sposata», ha spiegato ad AsiaNews padre Vineet Pereira, sacerdote cattolico della diocesi di Varanasi: «È tutta una questione di politiche di voto; la situazione in Uttar Pradesh è tale che nessun fedele cristiano può condurre servizi di preghiera in casa, anche se stessimo celebrando l’anniversario dell’indipendenza dell’India», ha proseguito il religioso.

 

«Ma non solo non siamo liberi di adorare Gesù, ci viene impedito di celebrare un evento sociale come il compleanno».

 

Colpevole di questa situazione, secondo padre Pereira è «la situazione di polarizzazione comunitaria nell’Uttar Pradesh» che «ha gettato semi di sospetti nelle menti della gente, anche se prima tutti vivevano in pace e in armonia celebrando le proprie ricorrenze».

 

«Avere materiale religioso in casa non è un atto criminale o illegale», ha sottolineato il sacerdote. «Come può questo essere usato come pretesto per muovere accuse di conversione?»

 

L’assistente sovrintendente della polizia di Azamgarth ha spiegato che le donne sono state incriminate in base alle sezioni 504 (insulto intenzionale con l’intento di provocare una violazione della pace) e 506 (intimidazione criminale) del codice penale, e ai sensi dell’ordinanza sul divieto di conversione illegale dell’Uttar Pradesh.

 

Il sovrintendente di polizia Siddharth Kumar ha dichiarato che «il sotto ispettore Kamlesh Yadav della stazione di polizia di Maharajganj si trovava nelle vicinanze con altri membri del personale quando ha appreso che alcune donne stavano costringendo con minacce gli abitanti dei villaggi impoveriti a convertirsi. La polizia ha avviato un’indagine dettagliata sul caso».

 

Una prima richiesta di cauzione è stata respinta. Una seconda verrà presentata il 16 agosto: le sei donne al momento vivono nella speranza di ottenere la libertà per ricongiungersi alle loro famiglie.

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di pixel_monkey via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

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Persecuzioni

Diminuzione del numero di missionari uccisi nel 2024

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L’Agenzia Fides ha pubblicato l’elenco dei missionari uccisi nel mondo durante l’anno 2024. Fides precisa che tale elenco utilizza la definizione di «missionario» per uomini e donne coinvolti in un modo o nell’altro nelle opere pastorali, e che muoiono violentemente, anche se non è specificamente in odio alla fede.

 

Secondo dati verificati dall’Agenzia Fides, nel mondo sono stati uccisi 14 missionari cattolici, tra cui 9 sacerdoti e 5 laici. Anche quest’anno sono Africa e America a registrare il maggior numero di decessi: 5 in entrambi i continenti.

 

Africa

In Camerun, padre Christophe Komla Badjougou, sacerdote togolese Fidei Donum, è stato ucciso il 7 ottobre a Yaoundé, ucciso a colpi di arma da fuoco davanti al portale dei Missionari del Cuore Immacolato di Maria a Mvolyé, un quartiere della capitale, precisa Fides.

 

Il 27 settembre, nella Repubblica Democratica del Congo, Edmond Bahati Monja, coordinatore della sede locale di Radio Maria a Goma, capitale del Nord Kivu, è stato assassinato. Nel Nord Kivu si è registrata un’impennata dell’attività del gruppo armato M23. Questo giornalista radiofonico cattolico aveva indagato sulla violenza dei gruppi armati nella regione.

 

In Sud Africa, padre William Banda, missionario zambiano della Società di San Patrizio per le Missioni Estere, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco il 13 marzo. Padre Paul Tatu, religioso stigmatizzato della Provincia del Santissimo Redentore, è stato assassinato nella sua auto a Pretoria il 27 aprile.

 

In Nigeria, padre Tibias Chukwujekwu Okonkwo, farmacista, che gestiva diverse strutture sanitarie locali, è stato assassinato il 26 dicembre a Ihiala (sud-est della Nigeria), con diversi colpi di pistola, mentre viaggiava su un’autostrada.

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America Latina

Nel subcontinente americano due sacerdoti sono stati assassinati in contesti legati all’insicurezza. In Colombia, don Ramón Arturo Montejo Peinado, parroco di San José a Buenavista, è stato ucciso durante un furto con scasso da parte di due venezuelani. In Ecuador , padre Fabián Enrique Arcos Sevilla, sacerdote diocesano di 53 anni, è stato trovato morto quattro giorni dopo la sua scomparsa.

 

A settembre, in Honduras, Juan Antonio López, 46 anni, sposato e padre di due figlie, coordinatore della pastorale sociale per la diocesi di Truijllo, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella sua auto. Fu anche consigliere comunale di questa città.

 

In Messico, il sacerdote del quartiere Cuxtitali, a San Cristobal de las Casas, padre Marcelo Pérez Pérez, è stato assassinato da due sicari in motocicletta, dopo aver celebrato la messa. Infine, in Brasile, Steve Maguerith Chaves do Nascimento, laico di 43 anni, sposato e padre di una figlia di 6 anni, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco due minuti prima dell’inizio della messa nella sua parrocchia.

 

Europa

Nel mese di novembre, la regione di Valencia, in Spagna, è stata sconvolta dall’omicidio di Juan Antonio Llorente, frate francescano dell’Immacolata Concezione, assassinato nel suo monastero di Gilet. Il 9 novembre un uomo armato di bastone e bottiglia è entrato nel monastero e ha picchiato tutti i fratelli che incontrava. Molti sono rimasti feriti. Due giorni dopo, padre Llorente, all’età di 76 anni, morì a causa delle ferite riportate.

 

Sempre a novembre, in Polonia padre Lech Lachowicz, parroco, 72 anni, è stato aggredito domenica 3 novembre da un uomo entrato nel presbiterio armato di un’ascia per un furto con scasso. Il sacerdote è morto in ospedale dopo sei giorni di agonia sabato 9 novembre.

 

Dal 2000 al 2024 sono stati uccisi 608 missionari e operatori pastorali, una media di 24,32 all’anno in 25 anni. L’anno scorso l’Agenzia Fides ha registrato la morte di 20 missionari. Quest’anno si è quindi assistito ad una gradita regressione.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine tratta da pag. 20 del libro San Juan Capistrano Mission di Zephyrin Engelhardt (1922).

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Cina

Muore il sacerdote più anziano della Cina. Era stato per 25 anni in carcere

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Ordinato sacerdote nel 1947, verbita, è scomparso sulla soglia dei 105 anni dopo un lunghissimo ministero vissuto per 25 anni anche in carcere. Il vescovo di Yanzhou mons. Lu Peisen: “Ha dedicato tutta la sua vita a scrivere una meravigliosa storia di altruismo e di amore, usando la sua vita come penna e il tempo come inchiostro”.   La Chiesa in Cina ha dato l’ultimo saluto al suo sacerdote più anziano, il verbita pasre Giuseppe Guo Fude, scomparso a Jining nella provincia dello Shandong il 30 dicembre a poche settimane ormai dalla soglia dei 105 anni. Con lui se ne va uno dei pochissimi sacerdoti ancora in vita (il sito cattolico cinese Xinde ne contava con lui 25) ordinati prima della nascita della Repubblica popolare cinese nel 1949.   Padre Guo Fude era nato il 1° febbraio 1920 in una famiglia di ferventi cattolici del villaggio di Beiyi, nella prefettura di Zaozhuang. Entrato a 13 anni nel seminario minore di Yanzhou e lì aveva vissuto gli anni travagliati dell’invasione giapponese. Passato nel 1941 al seminario maggiore di Daizhuang, il 13 aprile 1947 era stato ordinato sacerdote insieme ad altri due compagni dall’allora vescovo di Yanzhou monsignor Theodore Schu, missionario verbita tedesco. Fu lui poi a inviarlo a perfezionare i suoi studi a Manila, presso il seminario dei verbiti. E da lì nel 1950 – proprio mentre la coltra del nuovo regime comunista si faceva più dura – padre Guo Fude sarebbe poi rientrato in Cina, per vivere tra la sua gente il suo ministero in quell’ora difficile.

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Non fu facile: «non accettai di partecipare ad attività di denuncia contro altri membri del clero e mi rifiutai di collaborare con le autorità» scriveva in un memoriale sulla sua vita, pubblicato qualche anno fa. «E nel 1959, durante il movimento di “riforma ideologica”, fui arrestato e trascorsi otto anni e mezzo in prigione, accusato di attività sovversiva contro lo Stato».   Venne poi arrestato una seconda volta nel 1967, durante la Rivoluzione culturale, quando gli venne affibiata l’accusa di «spia straniera». Rilasciato nel 1979 fu poi arrestato una terza volta ancora nel 1982 per aver continuato a diffondere la fede. Complessivamente, dunque, padre Guo Fude trascorse agli arresti 25 anni e solo alla fine degli anni Ottanta poté riprendere il suo ministero pastorale a Jining, insegnando per alcuni anni nel seminario e poi continuando fin dopo i novant’anni a servire alcune comunità cattoliche locali.   «Guardando indietro alla mia vita – scriveva in occasione del suo centesimo compleanno – la prigione è diventata un luogo dove ho potuto riflettere, pregare e crescere spiritualmente. La mia prigionia mi ha dato la forza per affrontare le difficoltà della vita e continuare a servire Dio, con la consapevolezza che ogni prova era parte del suo piano divino. La mia esperienza in prigione mi ha insegnato che le ricchezze terrene sono effimere, mentre la fede in Dio è l’unica vera ricchezza».   La sua fedeltà al Vangelo negli «alti e bassi» che la sua lunga e tortuosa vita gli ha posto di fronte è stata ricordata durante le esequie dall’attuale vescovo di Yanzhou, monsignor Giovanni Lu Peisen. «Padre Guo ha dedicato tutta la sua vita a scrivere una meravigliosa storia di altruismo e di amore, usando la sua vita come penna e il tempo come inchiostro» ha detto nell’omelia. «Oggi, molti ricordano quei suoi occhi profondi ma calorosi, e quella frase che ha ispirato innumerevoli giovani sacerdoti e fedeli: “Il sacerdozio non è una professione mondana, ma una grazia divina donata da Dio. Devi servire il popolo, ma senza essere contaminato dallo spirito mondano; devi amare tutti, ma senza cercare nulla per te stesso; devi prima imparare a chinarti e lavare i piedi degli altri, per essere degno di avvicinarti al Corpo e al Sangue di Cristo”».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Persecuzioni

India, ancora scontri contro i Cristiani in Manipur

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Repressa con durezza una manifestazione di protesta dei Kuki-Zo contro i rinforzi di polizia inviati da Delhi accusati di imparzialità e di fomentare la tensione negli scontri con i Meitei. Denunciati attacchi con bastoni e gas lacrimogeni contro donne cristiane. Il segno controcorrente dell’arcidiocesi di Imphal che ha aperto il Giubileo della speranza anche tra le popolazioni tribali.

 

È di nuovo alta la tensione nello Stato indiano del Manipur dopo che una protesta portata avanti da migliaia di persone tra cui moltissime donne della comunità Kuki-Zo davanti alla sede del distretto di Kangpokpi è stata duramente repressa ieri sera dalle forze di sicurezza.

 

La manifestazione seguiva un blocco economico a tempo indeterminato e l’interruzione per 24 ore dell’autostrada numero 2, che porta i rifornimenti nel capoluogo Imphal; un’azione di protesta proprio contro la presenza di rinforzi della Polizia armata centrale (CAPF) nelle aree dominate dai Kuki-Zo.

 

Una mossa che il Committee on Tribal Unity – che rappresenta i gruppi locali – giudica come politicamente motivata per emarginare la comunità tribale e destabilizzare la regione al centro delle tensioni con i gruppi Meitei, a maggioranza indù, che dalla pianura sempre più spesso si spingono nelle aree delle colline abitate da Kuki-Zo, in gran parte cristiani.

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I manifestanti a Kangpokpi hanno denunciato l’uso eccessivo della forza da parte di questi agenti nelle aree abitate dai Kuki-Zo, sostenendo che oltre 50 donne sono state ferite durante le celebrazioni natalizie con proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Chiedono forze neutrali per monitorare le zone cuscinetto al confine tra i territori dei Kuki-Zo e dei Meitei, sottolineando che l’attuale dispiegamento di forze di polizia non fa altro che aumentare le tensioni.

 

La situazione è piombata nel caos a tarda sera, quando – di fronte al mancato rispetto della promessa di ritirare le forze giunte da fuori – i manifestanti hanno cercato di entrare nell’ufficio del sovrintendente di polizia. Le forze di sicurezza hanno risposto con spari e salve e gas lacrimogeni innescando scontri che hanno provocato almeno 15 feriti, alcuni dei quali sono stati ricoverati in sopedale. Anche il sovrintendente di polizia è diversi agenti hanno riportato ferite a causa del lancio di pietre da parte dei manifestanti infuriati.

 

Poiché la protesta non è riuscita a «suscitare una risposta positiva da parte del governo», il Committee on Tribal Unity ha espresso l’intenzione di continuare il blocco del distretto di Kangokpi, chiedendo l’immediato ritiro da Saibol delle forze di polizia inviate da Delhi, presenza definita «inutile e provocatoria».

 

Le violenze etniche tra Meitei e Kuki-Zo nello Stato del Manipur vanno avanti dal maggio 2023 e hanno già provocato almeno 250 morti e migliaia di sfollati. In questa difficile situazione l’arcidiocesi di Imphal domenica 29 dicembre ha aperto anche qui il Giubileo provando a portare una parola di speranza.

 

Una celebrazione è stata presieduta nella Cattedrale di Imphal, dall’arcivescovo Linus Neli, mentre un’altra nella Don Bosco Higher Secondary School di Lamka, in una delle aree abitate dai Kuki-Zo, è stata presieduta dall’arcivescovo emerito Dominic Lumon. «Accogliamo il dono della pace divina che il mondo non può dare – aveva scritto mons. Neli nel suo messaggio di Natale – e facciamoci portatori di questa pace, speranza e amore».

 

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