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Gender

Il gender è entrato nella Costituzione Italiana. Forse è giusto così

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La parola gender è entrata materialmente nella Costituzione Italiana. La cosa induce a qualche riflessione.

 

A darne notizia uno scoop del quotidiano milanese La Verità. Il termine «gender», che connota tutta la nota «teoria» – ora dominante nelle istituzioni occidentali, per cui la sessualità psicologica non si basa su quella somatica – è stato inserito, forse addirittura in una revisione di anni fa, nella traduzione ufficiale della Carta costituzionale presente sul sito del Senato.

 

Il vocabolo, che sta alla base del pensiero maggioritario LGBT, compariva nella traduzione anglofona dell’art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». (Corsivo nostro).

 

La parola «sesso» era stata tradotta, nella versione precedente, con la parola equivalente inglese «sex». Sempre così è tradotta anche nella versione inglese della Costituzione sul sito della camera, mentre in quella francese è scritto «sexe».

 

Nel pdf caricato sul sito del Senato invece è possibile leggere, ancora nel momento in cui scriviamo, questa traduzione:

 

«All citizens shall have equal social dignity and shall be equal before the law, without distinction of gender, race, language, religion, political opinion, personal and social conditions». (Enfasi nostra)

 

Il giornalista de La Verità Alessandro Rico nota anche un significativo cambiamento nell’uso dei verbi. Nella traduzione precedente l’articolo 3, si scriveva: «All citizens have equal social dignity and are equal before the law». I verbi have («avere») e are (cioè to be, «essere») sono coniugati a quello che in inglese si chiama present simple, il presente semplice, che ha natura affermativa. Nella traduzione genderizzata, invece «siamo passati alla costruzione con la particella “shall“, che veicola più correttamente l’idea di una prescrizione, di un’esortazione rivolta al futuro, che è poi il modo nel quale noi intendiamo i verbi all’indicativo del dettato costituzionale».

 

Ad ogni modo, la modifica più significativa riguarda l’ingresso della parola gender nella Carta, «come se, ai lettori internazionali, chi ha riadattato il testo volesse comunicare che lo spirito dei Padri costituenti non solo richiede l’identica protezione di maschi e femmine e dei loro diversi orientamenti sessuali (…), bensì riconosce pure l’esistenza di molteplice, al limite infiniti, generi, in quanto distinti dal sesso naturale».

 

Le ramificazioni di una simile alterazione sono immani: quanti persone non italofone, quanti specialisti, studenti, comuni cittadini si erano fidati di leggere la Costituzione, sul sito di Palazzo Madama, che rappresenta una fonte di massima ufficialità?

 

«Con un tratto di penna – o meglio, di tastiera del PC – qualcuno ha emendato la Costituzione senza passare dal Parlamento. Non potendo agire su quella in lingua italiana, si è sbizzarrito con la versione inglese, trasmettendo a un pubblico potenzialmente globale un’impressione sbagliata: che la nostra legge fondamentale sposi l’ideologia gender».

 

L’articolo del quotidiano meneghino non lo ricorda ai lettori, ma l’idea per cui il gender fosse in qualche modo nella mente dei padri costituenti e quindi nella Carta è già stata spesa pubblicamente negli anni.

 

Nel 2014, il futuro ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli – allora senatrice e vicepresidente del Senato – a presentare un disegno di legge per l’«Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università». Ci chiediamo quanto l’espressione «prospettiva di genere» sia sovrapponibile a «teoria del gender».

 

La parola «genere», in inglese «gender», era già preferita al termine costituzionale «sesso» già nel testo del disegno di legge.

 

Il DDL , di cui la Fedeli era prima firmataria, aveva l’obiettivo di «piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana, che dice di non discriminare in base alla religione o all’orientamento sessuale». Badate alle parole: anche qui, il lemma costituzionale «sesso» è scartato a favore di «orientamento sessuale», espressione in uso da qualche lustro dopo varie Finestre di Overton LGBT.

 

In altre occasioni, come in interviste radio finite sui social, la Fedeli sembrava alludere a tale «genere costituzionale», passando acutamente però da un’espressione di fase precedente, quella della «violenza di genere», alla quale, come noto, è attaccata un’altra parola in grado di disarmare ogni protesta, «femminicidio», altro termine orwelliano il cui uso è incrementato misteriosamente proprio in quegli anni.

 

Su 27esimaora, un blog del Corriere della Sera, nel 2015 la Fedeli difendeva «l’emendamento che prevede l’insegnamento della parità di genere, già approvato dalla Camera, e ora all’esame del Senato (…) Lo deve fare con coraggio, con umiltà, con la coerenza di promuovere, veramente, l’articolo 3 della nostra Costituzione, visto che la discriminazione, la violenza di genere, gli stereotipi, di fatto, limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana».

 

«Vogliamo continuare soltanto ad indignarci davanti ai femminicidi, ai dati sulla violenza di genere, ai fatti di cronaca che vedono i nostri ragazzi e le nostre ragazze vittime e protagonisti di bullismo, omofobia, misoginia?» si legge nel pezzo.

 

Nello stesso articolo, vecchio di quasi una decade, fa quasi tenerezza vedere la negazione dell’esistenza della teoria del gender, che allora fu una trovata che la sinistra italiana si inventò contro le proteste di chi voleva evitare ai figli una scuola dove si parla di omotransessualità.

 

«Come detto e ripetuto da tante e tanti scienziati e intellettuali di diverse discipline e di diversi orientamenti culturali, compresi eminenti teologi, non esiste una “Teoria Gender”: esistono invece gli studi di genere che si prefiggono di cancellare le discriminazioni riprodotte, a tutti i livelli della società, in base alle differenze» dice la Fedeli, che anni dopo, ricordiamo en passant, sarebbe entrata nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Agnelli.

 

Per chi non rammenta: il gender-negazionismo, il mantra secondo cui «la teoria del gender non esiste» veniva ripetuto ad ogni piè sospinto. Ora che la parola è entrata in qualche modo nella Costituzione, ci chiediamo se abbia iniziato ad esistere, o se siamo nel dramma parmenideo in cui la Carta d’improvviso si mette a parlare di qualcosa che non esiste, del non-essere.

 

È passata un po’ acqua sotto il ponte. Il gender è penetrato nelle istituzioni al punto di non essere solo una questione scolastica e civile, ma perfino chirurgica, con conseguenze sanitarie piuttosto sensibili.

 

Dieci anni fa la figura che ti presentavano, per modificare le leggi, era la coppia omosessuale, che si vuole bene, e quindi vuole «unirsi» in una specie di matrimonio, così da avere «i diritti di tutti». L’ulteriore figura che veniva descritta da giornali e politici, era quella del povero ragazzino che veniva «spinto» al suicidio perché vittima dell’omofobia dei compagni, che quindi andavano rieducati con i programmi di cui parlava il DDL Fedeli che si faceva scudo proprio del famoso articolo 3 della Costituzione.

 

Guardate come le cose sono cambiate: a venire sovrarappresentati dai media, ad essere invocati dai politici come classe da proteggere, non sono più le coppiette omosessuali, sono i transessuali – che, come visibile in Nord America, offrono episodi si picchiano manifestanti, occupano Campidogli, bruciano libri, organizzano «giorni della vendetta», pretendono di gareggiare negli sport femminili (e, ovviamente, stravincere).

 

E la figura pietosa del bambino vittima dell’omofobia passa in secondo piano, davanti alla giovane transessuale che ammazza bambini e adulti in una scuola cristiana, assicurandosi nel processo di sparare anche alla vetrata della chiesa adiacente che raffigura Adamo. Il manifesto della stragista transgender di Nashville, ci crediate o no, non è ancora stato pubblicato, nonostante sia nelle mani delle autorità da mesi e mesi, e pare pure che chi ha intenzione di renderlo pubblico sia stato minacciato.

 

Notata, inoltre, come sia cambiata la loro bandiera: non più il semplice arcobaleno rovesciato LGBT a cui siamo abituati, ora compare ovunque – anche sulle finestre delle ambasciate presso la Santa Sede – una bandiera iridata ma integrata da un triangolo con un altro fascio di colori, che sta a significare il transgenderismo. La bandiera omotransessualista nuova versione ha sventolato pure fuori dalla Casa Bianca, piazzata, incredibile, in posizione centrale, mentre le bandiere a stelle e strisce della Nazione, divenute secondarie, stavano ai lati.

 

 

Il mondo è davvero cambiato. E quindi, perché anche la Costituzione non dovrebbe cambiare? Prendiamo ad esempio la Germania: ha cambiato la Grundgesetz, la sua carta costituzionale, per aumentare il budget militare, che poi magari finisce a Kiev, dove il portavoce dell’Esercito è, di fatto, un trans.

 

Come dire, tutto è davvero in grande mutamento, ma politica e telefilm, leggi e guerre, paiono tutti convergere verso un unico nobile concetto: il transessualismo. O meglio, la liquefazione – psicologica, chirurgica – dell’identità sessuale, teoricamente più coriacea dell’identità religiosa (dissolta, in Occidente, dal Concilio Vaticano II) e di quella nazionale (grazie all’Europa e al cosmopolitismo visto come virtù).

 

Lo sradicamento, quindi, passa anche per la negazione del significato dei propri cromosomi sessuali, scritti in ogni cellula del proprio corpo (con l’eccezione di qualche cellula sessuale). Il genderismo è uno strumento tecnico a cui il Nuovo Ordine non può rinunziare, neanche se di mezzo vi si mettono le leggi fondamentali, un tempo considerate sacre dagli establishment goscisti e non solo da quelli.

 

Abbiamo visto tanti articoli della Costituzione, a partire dal 1°, venire devastati durante il biennio pandemico. Come è stato possibile? Semplicemente, quando c’è stato il bisogno, ci è stata data una diversa lettura degli stessi (vero: a volte neanche a fatto finta di farlo, sì), di modo di adattare la Carta all’ora presente, cioè spalmarla sul mondo col virus.

 

Quindi, ci vien da pensare, forse è giusto così. Perché scandalizzarci, quindi, se, nella Carta in via di liquefazione, ci aggiungono la parolina che piace loro tanto, e che aiuta?

 

L’azione in corso, abbiamo detto, riguarda le radici delle persone, le radici dell’essere. E quindi quando capiremo che la soluzione da trovare è, giocoforza, radicale?

 

Quando affronteremo, prima delle leggi e delle costituzioni, il mostruoso problema spirituale al centro del mondo moderno?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Arte

Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio

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Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.

 

Teatro della vicenda è per il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.

 

Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.

 

 

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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.

 

Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.

 

E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.

 

La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.

 

Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.

 

Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.

 

Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Gender

Celebrato in chiesa un «quasi matrimonio» omosessuale

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Il sito della Catholic News Agency, ripreso dal National Catholic Register e da altri media, riporta una cerimonia celebrata da un sacerdote dell’arcidiocesi di Chicago, padre Joseph Williams, responsabile della parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, amministrata dai sacerdoti della Congregazione della Missione (CM) o Lazzaristi.  

I fatti

Un video, disponibile su un account Instagram, mostra una cerimonia che sembra un matrimonio, ma le due persone coinvolte sono donne: K. B. e M. K., quest’ultima per 14 anni pastore delle comunità metodiste unite intorno a Chicago.   Contattato da OSV News, il sacerdote ha ammesso di essere il celebrante visibile nel video e che la benedizione, che ha detto di aver impartito su richiesta delle interessate, si è svolta nella parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli. La scena è stata girata utilizzando un cellulare. La chiesa sembra vuota, ma il sacerdote indossa camice e stola.   Il sacerdote si rivolge alle due donne e chiede loro: «vi impegnate di nuovo liberamente ad amarvi come santi sposi e a vivere insieme in pace e concordia per sempre?» – «Noi lo facciamo, io lo faccio», rispondono. Padre Williams continua: «Dio d’amore, aumenta e consacra l’amore che Kelli e Myah nutrono l’una per l’altra».   Anche se non c’è scambio di anelli, il sacerdote dice: «Possano gli anelli che si sono scambiati essere un segno della loro lealtà e del loro impegno. Possano continuare a prosperare nella tua grazia e benedizione. Questo te lo chiediamo per Cristo nostro Signore». Conclude facendo il segno della croce, dicendo: «Scenda su di voi la benedizione di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo».

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Spiegazioni confuse e contraddittorie

Nella sua risposta a OSV News, padre Williams ha giustificato l’uso del camice e della stola: «Io lo faccio così. Quando vado a casa di qualcuno per benedire la sua casa, indosso il camice e la stola. (…) Questo è quello che faccio come prete. Fa parte del mio abbigliamento».   Quanto a Fiducia Supplicans, ha spiegato che il suo agire derivava dalla sua «comprensione del testo». Aggiunge che «il Santo Padre ha detto che le coppie dello stesso sesso possono essere benedette purché non rifletta una situazione matrimoniale (…) purché sia ​​chiaro che non si tratta di un matrimonio».   Si difende in ogni caso. Quando la signora K. aveva chiesto la benedizione, padre Williams le aveva detto: «Per favore, capisca che questo non è in alcun modo un matrimonio, un matrimonio vero e proprio, o qualcosa del genere. È semplicemente una benedizione delle persone».   Tuttavia, ha spiegato ulteriormente a OSV News che l’uso del termine «santi sposi» nella benedizione da lui scritta intendeva significare «coppia». – Deve essere uno scherzo… «santi sposi» per persone in situazione di peccato oggettivamente grave!   OSV News è stata piuttosto aggressiva nell’inviare un collegamento al video all’arcidiocesi di Chicago per un commento; nonché al cardinale Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) che ha prodotto Fiducia supplicans, per un parere su questo atto.  

Una deriva prevedibile e inevitabile

Non c’era bisogno di essere profeti per dire che questa situazione si sarebbe verificata prima o poi, una volta pubblicata Fiducia supplicans. E questa probabilmente è solo la punta dell’iceberg. La situazione continuerà a peggiorare e le cerimonie diventeranno esplicitamente «matrimoni».   Non esistono trentasei modi per fermare questa deriva mostruosa: eliminare la deriva iniziale, cioè la dichiarazione stessa. Intanto il responsabile in primis di questa cerimonia di Chicago è il prefetto del DDF. È lui che dovrà rispondere innanzitutto a Dio.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Richie D. via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Gender

Papa Francesco dice alla suora pro-LGBT che i transessuali «devono essere integrati nella società»

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Papa Francesco ha detto alla suor Jeannine Gramick, eterodossa e censurata dal Vaticano, che «le persone transgender devono essere accettate e integrate nella società». Lo riporta LifeSiteNews.

 

I commenti del romano pontefice sono arrivati ​​in risposta a una lettera inviata da suor Gramick, in cui la religiosa pro-LGBT esprimeva la sua «tristezza e il mio disappunto per l’uso del concetto di “ideologia di genere”» nel documento recentemente pubblicato Dignitas infinita.

 

Pubblicata l’8 aprile, la dichiarazione vaticana Dignitas infinita critica la «teoria del gender». Citando la controversa enciclica Amoris Laetitia, l’autore della dichiarazione, il cardinale argentino Victor Manuel Fernandez – noto alle cronache, oltre che per encicliche contestate come la omosessualista Fiducia Supplicans, anche per libri di carattere erotico-spirituale come quelli sul bacio e sull’orgasmo – ha scritto che l’ideologia di genere «prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia».

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«La teoria del gender è che essa vuole negare la più grande possibile tra le differenze esistenti tra gli esseri viventi: quella sessuale», scrive la dichiarazione, aggiungendo che sono «da respingere tutti quei tentativi che oscurano il riferimento all’ineliminabile differenza sessuale fra uomo e donna».

 

Significativamente, tuttavia, il documento non fa menzione dell’omosessualità.

 

Rivelando i dettagli della comunicazione del Papa con lei, suor Gramick ha sottolineato di aver scritto al pontefice per la prima volta dopo la pubblicazione di Dignitas Infinita. Affermando di essere stata «molto triste» fin dalla sua pubblicazione, Gramick ha affermato che la «sezione del documento sulla teoria del genere, che condanna “l’ideologia di genere”, sta danneggiando» le persone con confusione di genere.

 

La suora filo-omotransessualista ha rivelato quindi di aver scritto a Francis «per raccontargli la mia tristezza e la mia delusione per l’uso del concetto di «ideologia di genere».

 

«Ho scritto di nuovo al nostro amato papa, dicendogli che, sfortunatamente negli Stati Uniti (e in altre parti del mondo), “ideologia di genere” ha un significato diverso» scrive la religiosa. «Non significa annullare o non rispettare le differenze. È vero il contrario: chi usa quel termine non considera né rispetta la storia e l’esperienza di genere di una persona. Credo che le persone che usano il termine “ideologia di genere” molto probabilmente non hanno mai accompagnato persone transgender».

 

Secondo suor Gramick, cofondatrice del gruppo catto-LGBT «New Ways Ministry», il papa avrebbe risposto che «l’ideologia di genere è qualcosa di diverso dalle persone omosessuali o transessuali. L’ideologia di genere rende tutti uguali senza rispetto per la storia personale. Capisco la preoccupazione per quel paragrafo di Dignitas Infinita, ma non si riferisce alle persone transgender ma all’ideologia di genere, che annulla le differenze. Le persone transgender devono essere accettate e integrate nella società».

 

Suor Gramick ha portato avanti la tesi, ritenuta da alcuni blasfema, secondo la quale Dio crea le persone con una differenza fondamentale nella loro identità fisica e in quella della loro anima, sostenendo che una persona confusa dal genere «si rende conto che il suo corpo non corrisponde alla sua anima».

 

«Le persone transgender non cancellano né negano le differenze sessuali o di genere. È proprio perché una persona transgender sa che esistono differenze di genere che si rende conto che il suo corpo non corrisponde alla sua anima».

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Suor Gramick, scrive LifeSite, «ha una lunga storia di dissenso dall’insegnamento cattolico sull’omosessualità e l’aborto ed è stato ufficialmente censurata da papa Giovanni Paolo II e dal cardinale Joseph Ratzinger nel 1999 ma ha ignorato l’ordine». Recentemente la suora «ha sostenuto che la Chiesa dovrebbe aiutare ad affermare gli individui che si identificano come transgender nella le loro identità sbagliate, suggerendo che Dio “intende” che tali persone abbraccino le loro tendenze disordinate e si presentino falsamente come il sesso opposto», secondo il sito prolife canadese.

 

«La Chiesa dovrebbe aiutare a rimuovere il dolore in modo che la persona possa diventare una cosa sola nella mente e nel corpo come Dio intende», ha detto la suora, accusando la Chiesa di imporre un «serio fardello» alle persone che hanno confusione riguardo al proprio sesso affermando la realtà della loro natura sessuata.

 

Nonostante la sua lunga storia di eterodossia e di sostegno a posizioni che contravvengono all’insegnamento cattolico, Gramick ha trovato negli ultimi anni il favore di Papa Francesco, ricevendo numerose lettere da lui a sostegno del suo gruppo pro-LGBT e del suo attivismo personale.

 

Durante l’incontro del Sinodo sulla sinodalità del 2023, è stata ricevuta dal Papa in un’udienza privata concessa a lei e ai suoi colleghi della New Ways Ministry, il gruppo che ha co-fondato nel 1977 con il sacerdote dissidente Robert Nugent. L’udienza papale è stata descritta come l’occasione per evidenziare una «nuova apertura» al lavoro della Gramick.

 

Nel 1999 il Prefetto della Congregazione della Fede cardinale Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, firmava la notifica sul caso di suor Gramick e di padre Nugent.

 

«La diffusione di errori ed ambiguità non è coerente con un atteggiamento cristiano di vero rispetto e compassione: le persone che stanno combattendo con l’omosessualità hanno, non meno di altre, il diritto di ricevere l’autentico insegnamento della Chiesa da coloro che li seguono pastoralmente», scriveva il documento co-firmato dall’allore Segretario della CDF Tarcisio Bertone.

 

«Le ambiguità e gli errori della posizione di padre Nugent e di suor Gramick hanno causato confusione fra i Cattolici ed hanno danneggiato la comunità della Chiesa. Per questi motivi a Suor Jeannine Gramick, SSND, ed a Padre Robert Nugent, SDS, è permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo indeterminato, ad alcun ufficio nei loro rispettivi Istituti religiosi.

 

«Penso che nel lungo termine… Papa Francesco stia gettando le basi per un cambiamento nella sessualità», aveva detto Gramick lo scorso autunno, in risposta a una domanda sulla possibilità di «un cambiamento sostanziale nell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità».

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I segni del favore di Bergoglio nei confronti dei transessuali si sono moltiplicati negli anni del suo enigmatico papato.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2015 il Dicastero aveva risposto negativamente alla stessa richiesta.

 

I segni di avvicinamento al transgenderismo, in effetti, si sono moltiplicati lungo tutto il papato bergogliano.

 

A fine gennaio 2015, un «uomo transgender» – nato in Ispagna come donna – dichiarò di aver avuto un’udienza privata con il papa, dove, secondo alcuni articoli di giornale, Bergoglio avrebbe «abbracciato» il 48enne transessuale.

 

A Napoli, sempre nel 2015, il romano pontefice, fu riportato dai media globali mangiò con «carcerati gay e transessuali».

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso il pontefice ha incontrato dei trans in «pellegrinaggio» in Vaticano. «Gli ho baciato la mano, lui ha baciato la mia» avrebbe detto il trans paraguagio Laura. Nel 2020 invece aveva devoluto un obolo una tantum a dei trans sudamericani del litorale romano che a causa del lockdown si erano dovuto rivolgere in parrocchia. Arrivò l’elemosiniere, il polacco cardinale Krajewski, già noto per aver ridato la corrente ad un centro sociale, per saldare bollette e affitti e procurare generi di prima necessità. Nel 2015 papa Francesco aveva invece ricevuto in Vaticano un transessuale spagnuolo.

 

Come riportato da Renovatio 21l’ambasciata USA presso la Santa Sede sei mesi fa ha celebrato il «Transgender Day of Remembrance», il «giorno del ricordo transgender che offre un omaggio «a quelli della comunità transgender che sono stati assassinati a causa dell’odio». Durante il mese di giugno, l’ambasciata statunitense issò una grande bandiera omotransessualista – e immaginiamo abbiano fatto lo stesso anche all’ambasciata di Riyadh o di Islamabad. Ad ogni modo, non è noto se la Santa Sede abbia protestato.

 

Lo scorso novembre, in un segno ulteriore e sempre più definitivo, papa Francesco ha presieduto un pasto in Aula Paolo VI dove erano presenti anche «quarantaquattro individui transgender e quattro volontari» provenienti dalla parrocchia di Torvajanica (Roma), che da alcuni anni si dedica all’accoglienza e all’instaurazione di amicizia con queste persone.

 

 

L’agenzia Associated Press ha pubblicato un video dell’evento che seguiva i trans sin da quando sono saliti in pulmino. Il filmato si chiude con un’immagine della Basilica di San Pietro vista da via della Conciliazione e la scritta «Papa Francesco ha fatto dell’apertura alla comunità LGBTQ+ uno dei segni principali del suo papato».

 

Come riportato da Renovatio 21, il cardinale Fernandez aveva fatto un’ulteriore «apertura» magisteriale nei confronti dell’omotransessualismo firmando per Dicastero della Dottrina della Fede, assieme al pontefice un documento in cui apriva per i transgender la possibilità di fare da padrini (madrine, o quello che è) ai battesimi.

 

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