Internet
È iniziata la guerra alle infrastrutture. Preparatevi a perdere internet

Mentre scrivo gran parte dell’Ucraina potrebbe essere al buio.
Il diluvio di missili Kalibr (e droni kamikaze iraniani, e chissà cos’altro) ha colpito centrali energetiche in tutta l’Ucraina, dall’Est all’Ovest, dal Nord al Sud, con una dose extra nella capitale Kiev e nella seconda maggiore città Kharkov – le città in cui, secondo noi, a breve vedremo i tank, ma questo è un altro discorso.
Dunque: la risposta di Mosca al bombardamento del ponte di Crimea (con relativi video di Marylin Monroe che canta «Happy Birthday Mr. President» nel giorno del compleanno di Putin) è una fase completamente nuova della guerra: quella in cui l’obiettivo dei russi si sposta dai militari e dalle bande neonaziste alle infrastrutture civili, che perfino il New York Times aveva notato settimane fa come bizzarramente non fossero state sinora toccate, cosa che aveva sconvolto «gli analisti» – i quali, come i loro amici giornalisti, o mentono o non ci arrivano.
Pazienza, ora la guerra è cambiata di fase, completamente. E c’è comunque da rallegrarsi: l’escalation, se mai si può dire, sta mostrando ancora segni di civiltà, perché non sta bombardando indiscriminatamente la popolazione; chi ricorda Baghdad o l’Afghanistan rammenta ben altro.
2003: Operation “Shock and Awe” over Iraq’s capital city, 31 countries from the “free world” took part.
Understand this, Putin is holding back in Kiev #Kyiv pic.twitter.com/mdPTqzaPg6
— Syrian Girl 🇸🇾🎗 (@Partisangirl) October 10, 2022
Tuttavia, è impossibile non rimanere basiti davanti a morfologia e magnitudine (peraltro non ancora completa) della guerra del XXI secolo.
Il generale Surovikin, appena nominato, ha dichiarato che «per i nemici della Russia la giornata non inizia con il caffè». Il colonnello Kilgore, quello di Apocalypse Now che dichiarava di amare l’odore del napalm al mattino, si deve nascondere. E questo non è un film: le conseguenze delle azioni di Kiev – e di quelle dei nostri governi occidentali – ora cominciano a doversi pagare davvero.
Una piccola parentesi sul detonatore di questa catastrofe missilistica: siccome gli ucraini, per quanto ricchi di nazi-fanatici, non dispongono ancora di terroristi suicidi, e siccome nessun amicone della Silicon Valley ha fornito un camion a guida automatica che attraversasse il ponte per poi esplodere, era chiaro fin dal principio che gli ucraini hanno utilizzato un povero camionista inconsapevole, che hanno sacrificato senza alcuna pietà. In rete oramai si fa anche il suo nome, che sa di famiglia musulmana russa.
Un uomo ammazzato perché il governo di Kiev potesse fare sfottò a Putin nel giorno del suo compleanno: solo questo vi dà la proporzione di cosa è il regime Zelens’kyj. Ma tranquilli, nessuno vi farà caso, nessun servizio TV straziante sulla famiglia del disgraziato ingannato assassinato dagli agenti di Kiev. Del resto era già successo: quando ammazzarono un loro stesso negoziatore (e una lunga serie di sindaci di piccoli comuni) fummo gli unici a rimanere allibiti, perché a giornali e politici venduti non interessava nulla, perfino quando Kiev calava la maschera per far vedere il muso da belva sanguinaria. Stesso dicasi per i video di tortura e di crimini di guerra, per le telefonate alle mamme dei soldati russi morti per prenderle in giro… Nessuna barbarie, anche quando ci ha la svastica ben tatuata sopra, ha trovato eco nell’Occidente corrotto.
Tuttavia non è solo delle 20 città martellate dai missili russi che voglio parlarvi.
Ritengo che vi sia un altro evento fondamentale accaduto nelle ultime ore. E fuori dall’Ucraina.
Un grande cavo sottomarino da 600 megawatt che porta energia svedese in Polonia è andato in blackout. Era in riparazione da un mese, ma ora si parla di un «problema tecnico» che ha causato un altra interruzione di corrente.
La linea elettrica attraversa i gasdotti Nord Stream danneggiati sotto il Mar Baltico ed era stata controllata la scorsa settimana da operatori di rete polacchi e svedesi, risultando intatta.
Ora, i messaggi che vengono dalle aziende energetiche sono rassicuranti: «l’interruzione non sarebbe dovuta a un guasto al cavo stesso, ma perché erano stati scoperti bassi livelli di olio in una sottostazione in Svezia» ha detto un portavoce dell’operatore svedese della rete elettrica Svenska Kraftnat riportato da Reuters.
Niente sabotaggio, qui. Nulla da vedere. Circolare.
La realtà è che, in caso, sapremmo bene di cosa si potrebbe trattare, e perfino ipotizzare chi potrebbe essere stato.
Ripetiamo: l’Ucraina è al buio, con la sua industria energetica colpita da centinaia di missili in tutto il territorio nazionale. Quindi, la notizia che ha cominciato a girare a mezzogiorno, secondo cui la Polonia non passava più energia elettrica all’Ucraina, assume un certo significato.
Tra le 17 e le 18, ecco l’altra notizia rilevante, data dallo stesso ministro ucraino dell’Energia: l’Ucraina cessa di esportare elettricità verso l’Unione Europea a partire da domani 11 ottobre.
Avete capito: la dimensione della guerra ora è l’energia, è l’infrastruttura. È un cambio radicale. Anche perché la guerra non riguarda, lo sappiamo, solo l’Ucraina. Riguarda tutti noi: l’attacco al Nord Stream lo dimostra.
È una guerra di infrastrutture, che supera i confini. Preme dunque cominciare a pensare come potrà evolvere, prima che passare ulteriormente di fase e focalizzarsi sulla distruzione degli esseri umani, divenendo un massacro «ceceno» o poco più avanti un olocausto termonucleare.
La guerra alle infrastrutture è la guerra a ciò su cui è basata la civiltà moderna: l’elettricità. Il blackout del nemico, e della sua popolazione, è ideale per piegarne la volontà.
Secondariamente, altra sostanza che rende possibile il mondo moderno: il combustibile. Senza trasporti, e senza riscaldamento, e senza la quota di produzione elettrica derivata dagli idrocarburi, la società non può che implodere, in una regressione di secoli che non è in alcun modo sostenibile.
Notate come entrambe queste cose siano attualmente sul piatto, e non solo in Ucraina.
Ci è chiaro dunque che dobbiamo aspettarci ulteriori attacchi per generare blackout o stalli del sistema: è in questo ambito che finalmente sarà possibile vedere all’opera le armi cibernetiche di Stato, delle cui portata distruttiva abbiamo avuto solo assaggi come l’operazione Olympic Games – Stuxnet: Israele e USA contro il programma dell’arrichimento dell’uranio iraniano, con conseguente fuga del virus e pandemia informatica globale, stile Wuhano insomma – e poco altro arrivato sui giornali.
Cosa possono fari le armi cibernetiche? Tutto: possono mandare via la luce, aprire le dighe, sabotare le condutture, perfino (è capitato in Turchia) muovere torrette e cannoncini e chissà cos’altro.
Sappiamo che la NATO riguardo alla guerra cibernetica sta esercitandosi e includendo nuovi partner come la Corea del Sud. Sappiamo altresì che qualcuno spinge per un’estensione dell’articolo 5 che considererebbe anche un attacco hacker un motivo per un contrattacco di tutte le forze NATO.
Tuttavia, nella guerra di infrastruttura, forse prima dell’attacco elettronico potrebbero procede con qualcosa di più fisico, e al contempo, devastante per l’intero sistema.
Non ci giriamo intorno: se ora si possono attaccare gasdotti e fors’anche cavi elettrici sottomarini, ci chiediamo quanta vita potranno avere ancora i cavi oceanici che fanno da dorsale globale di internet. Non è difficile tagliarli: di sommergibili tranciacavi in giro ce ne sono un po’.
La rete mondiale collasserebbe: potrebbe non sparire, grazie a qualche ridondanza possibile, come le triangolazioni con altri cavi, e qualcosa del traffico che passa attraverso i vecchi satelliti, ma l’intero sistema telematico globale andrebbe KO, e con esso, l’economia di milioni di aziende, di banche, di amministrazioni, ospedali… in pratica interi Paesi sarebbero messi in ginocchio.
Qualcuno dice che ci sono gli Starlink di Elon Musk, satelliti di ultima generazione che forniscono alla superficie terrestre una banda internet eccezionale, ben lontana dal lag dei satelliti internet tradizionali, che mai potrebbero tenere in piedi il traffico di un mondo senza cavi sottomarini. Ebbene, chi legge Renovatio 21 sa come cinesi e russi in realtà già abbiamo fatto capire di volerli tirare giù. Il Musk, poi, ci ha messo del suo: prima li ha forniti gratis agli ucraini, che li hanno usati ovunque (si narra che i miliziani Azov rintanati ad Azovstal si guardassero YouTube…) e soprattutto al fronte. Poi, la settimana scorsa, ha fatto la mossa di dichiarare che sarebbe meglio la pace, attirandosi dietro l’odio di Zelens’kyj, dei suoi pupari e delle masse social con profilo gialloblù.
Non è finita: parrebbe ora che Starlink abbia in Ucraina un problema di interruzioni di segnale che sta mettendo in difficoltà l’esercito di Kiev, e il deputato repubblicano RINO (cioè, di quelli che odiano Trump perché prosperano tra i mostri della palude di Washington) sta già accusando velatamente Musk, che andrà investigato, dice, perché questa è questione di sicurezza nazionale (ucraina o americana?)
Evidently the Starlink system is down over the front lines of Ukraine. @elonmusk should make a statement about this, or, this should be investigated. This is a national security issue
— Adam Kinzinger #fella (@AdamKinzinger) October 7, 2022
La questione è: anche il capolavoro spaziale di Musk può essere colpito: e da tutti. E non solo con armi ASAT (antisatellite), ma anche con inchieste e manette.
No. Non ci sarebbe modo di sopravvivere ad un attacco all’infrastruttura del web. Anche qui: regressione di decenni alla vita pre-www, che nessuno però ha presente oggi come si potrebbe vivere,
E quindi?
Quindi preparatevi a perdere internet. Questo sito compreso.
Niente: siamo costretti, finalmente, a riconoscere la fragilità della Civiltà, che è un frutto complesso e meraviglioso, che per generazioni abbiamo dato per scontato, quando invece basta davvero poco perché ci sia tolta per sempre.
L’elettricità può sparire. Internet può sparire. La società può crollare. Così, in un batter d’occhi.
Noi ve lo ripetiamo sempre. Per noi è certo che l’obiettivo sia proprio quello.
I processi deindustrializzazione, infantilizzazione e demascolizzazione inflitti da anni alle nazioni terrestri servivano a questo: a preparare una società incapace di sopravvivere alla luce che non si accende. A preparare un’umanità pronta ad essere sottomessa e sterminata.
Ora, potete evitare di crederci. Non sappiamo però quanto a lungo potrete continuare a farlo.
Roberto Dal Bosco
Immagine screenshot da YouTube
Cina
App per la fertilità condivide i dati sensibili delle utenti con aziende cinesi

Una popolare app per il monitoraggio della fertilità chiamata «Premom» (di proprietà di Easy Healthcare) è sotto accusa per aver condiviso le informazioni sulla salute degli utenti con inserzionisti di terze parti, secondo una nuova denuncia della Federal Trade Commission, l’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti atta a promuovere la tutela dei consumatori e l’eliminazione e la prevenzione di pratiche commerciali anticoncorrenziali.
L’applicazione per smartphone, che agisce come tracker dell’ovulazione, calendario mestruale e strumento per la fertilità avrebbe condiviso i dati sensibili dell’utente con terze parti tramite kit di sviluppo software integrati nell’app. Lo riporta il sito di tecnologica Tech Crunch.
Nell’agosto 2020, l’International Digital Accountability Council ha scoperto che Premom condivideva i dati sulla posizione dell’utente e gli identificatori del dispositivo con due società cinesi senza il consenso dell’utente.
«In definitiva, ciò potrebbe consentire a queste terze parti di associare questi eventi app personalizzati di fertilità e gravidanza a un individuo specifico», afferma la denuncia FTC.
«Easy Healthcare avrebbe anche condiviso i dati sensibili identificabili degli utenti con due società di analisi mobile con sede in Cina note per “pratiche sospette sulla privacy“, secondo una dichiarazione del procuratore generale del Connecticut William Tong» scrive Tech Crunch. «I dati, inclusi i numeri IMEI – stringhe di numeri legati ai singoli dispositivi – e precisi dati di geolocalizzazione sono stati trasferiti alle società di analisi Jiguang e Umeng tra il 2018 e il 2020, secondo la FTC».
«La FTC sostiene che la società lo abbia fatto sapendo che Jiguang e Umeng potrebbero utilizzare questi dati per i propri scopi commerciali o potrebbero trasferire i dati a terze parti aggiuntive, e afferma che Easy Healthcare ha smesso di condividere questi dati solo quando Google ha notificato al produttore dell’app nel 2020 che il trasferimento di dati a Umeng ha violato le norme del Google Play Store» continua il sito della Silicon Valley.
Samuel Levine, direttore del Bureau of Consumer Protection della FTC, ha affermato che l’app per la salute «ha infranto le sue promesse e ha compromesso la privacy dei consumatori».
Il Dipartimento di Giustizia USA si è accordato con Easy Healthcare per 100.000 dollari per aver violato la regola di notifica delle violazioni sanitarie della FTC. E la società di app si è accordata anche con il Connecticut, l’Oregon e il Distretto di Columbia per 100.000 dollari.
Il problema vero, nella questione delle app che condividono i dati con Pechino, rimane TikTok, la app-social media molto popolare tra i giovani. E non solo per le autorità americane: la Commissione Europea ha ordinato ai propri dipendenti di disinstallare l’app dai telefonini aziendali, nonostante la società si sia offerta di combattere la «disinformazione» nella UE.
TikTok era già stata messa al bando in India tre anni fa in seguito alle tensioni himalayane tra Pechino e Nuova Dehli.
«Pechino accede a tutti i dati» ha dichiarato un ex ingegnere delle società che possiede TikTok.
TikTok in USA è stata altresì accusata di perseguire una sorta di piano di ingegneria sociale sulla gioventù americana, con video volgari ed inutili distribuiti in America e, al contrario, video patriottici che promuovono la responsabilità e l’impegno diffusi nella Repubblica Popolare Cinese.
Un gruppo bipartisan di legislatori americani guidati dal senatore della Florida Marco Rubio sta introducendo una legislazione per colpire l’app di condivisione video cinese, definita come «fentanil digitale» per la popolazione statunitense.
Tuttavia, il progetto di legge colpirebbe in generale ogni realtà di internet, portando un controllo ulteriore del governo americano sui contenuti in rete.
È emerso che anche nel ramo americano di TikTok sono attivi tanti ex dipendenti delle agenzie di Stato, e di Intelligence, USA.
Internet
YouTube censura l’omelia di Pasqua di monsignor Viganò

YouTube ha rimosso il video dell’omelia pasquale di monsignor Carlo Maria Viganò e sanzionato con uno «strike» (un «avvertimento») il canale di Renovatio 21 per averlo pubblicato.
Proprio nelle ore in cui si stava risolvendo il problema tecnico che ha tenuto spento il sito di Renovatio 21 tra domenica e lunedì, ci arrivava una comunicazione dalla grande piattaforma di video di proprietà di Alphabet-Google: «YouTube ha rimosso i tuoi contenuti» scrive l’oggetto della missiva elettronica.
«Il nostro team ha esaminato i tuoi contenuti e, purtroppo, riteniamo che violino le nostre norme sulla disinformazione medica. Abbiamo rimosso i seguenti contenuti da YouTube: Omelia di Monsignor Viganò per la Pasqua 2023»
Il motivo, ci viene detto, è una violazione della policy di YouTube. «YouTube non ammette affermazioni sulle vaccinazioni contro il COVID-19 che contraddicono il consenso degli esperti delle autorità sanitarie locali o dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)».
Dobbiamo far notare che nella sua omelia, monsignor Viganò accennava appena alle vaccinazioni, per dedicarsi alla questione spirituale della Santa Pasqua.
Per questa infrazione, viene quindi non solo censurata la predica pasquale del prelato già nunzio apostolico negli USA, ma anche sanzionato il canale YouTube.
«Il tuo canale ha ora 1 strike [avvertimento, ndr]. Non sarai in grado di eseguire operazioni come caricare, pubblicare o trasmettere in live streaming per 1 settimana. Un secondo strike ti impedirà di pubblicare contenuti per 2 settimane. Tre strike nello stesso periodo di 90 giorni comporteranno la rimozione definitiva del tuo canale da YouTube».
Colpisce, anche qui, la retroattività della sanzione: dal momento della pubblicazione, e cioè la scorsa Pasqua, è passato più di un mese. Del resto sappiamo che accade spesso: a Renovatio 21 è arrivato poche settimane fa un piccolo ban temporaneo da Facebook per un post dove si descriveva semplicemente la crisi internazionale che si poteva ingenerare con la morte del generale Suleimani, assassinato da un’operazione americana il 3 gennaio 2020. Come si possa infliggere a qualcuno una pena per qualcosa di scritto tre anni prima (qualcosa che non solo era perfettamente rispondente alla libertà di espressione prevista in Costituzione, ma che era reso giornalisticamente in linguaggio neutro, di sola preoccupazione per le tensioni internazionali) resta un mistero.
Il lettore calcoli pure che la piattaforma di Mark Zuckerberg aveva nel settembre 2021 cancellato l’intera pagina Facebook di Renovatio 21 e tutti gli account personali collegati, e pure altre pagine legate ai profili estromessi per sempre: pagine e account sono tornate solo dopo l’ordinanza del tribunale, ma ci pare proprio vi sia uno shadowban piuttosto consistente: i nostri post su Facebook, piattaforma che in pratica non usiamo più, raccolgono magari due-tre like (letteralmente due o tre), invece delle centinaia e migliaia di un tempo.
Ciò detto, è davvero rilevante che ora anche le omelie pasquali possano essere censurate. Non è più solo una questione di libertà di espressione – art. 21 della Costituzione: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria».
Né ci pare solo una questione di diritto commerciale – secondo alcuni esperti di giurisprudenza non è possibile cambiare i termini di un contratto senza l’assenso di ambo le parti.
Si potrebbe pensare che possa trattarsi di una questione di libertà religiosa, un diritto che in Italia ha pure copertura costituzionale.
Art. 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto».
Perché, di fatto, quella di Viganò era un’omelia religiosa, spirituale. E qui si consuma il tema su cui Renovatio 21 si è spesa da anni (molto prima della pandemia), praticamente dall’atto stesso della sua creazione: la vaccinazione come questione religiosa.
Renovatio 21 ha tentato, sin dal 2017, di organizzare i materiali per far entrare la questione vaccinale nell’ambito della sfera religiosa, per cui è prevista in Italia l’obiezione di coscienza. Il fatto che la produzione dei vaccini si serva di linee cellulari da feti abortiti aiuta a comprendere che, di fatto, per un cristiano e non solo, la vaccinazione può essere intesa come qualcosa che ferisce l’intimità spirituale del cittadino.
Venne approntata, a questo fine, il più grande convegno internazionale mai realizzato sulle linee cellulari di feto abortito, al quale parteciparono ricercatori e attivisti americani e italiani nonché il cardinale Raymond Leo Burke. L’idea era quella di spingere il mondo cattolico verso la validità di un’obiezione di coscienza verso le vaccinazioni obbligatorie.
Come noto, il Vaticano nel 2017 e più tardi, in pandemia, avrebbe emesso noto in cui assicurava la liceità morale della vaccinazione con sieri derivati da cellule di aborto, di fatto promuovendo globalmente l’obbligo vaccinale – che peraltro, come documentato da Renovatio 21, fu imposto draconianamente alla popolazione della Santa Sede.
Ci è chiaro che se fossimo riusciti nel nostro intento, milioni di persone avrebbero potuto evitare la vaccinazione sventolando all’autorità la bontà della propria obiezione legale, visto che il vaccino alla fine riguardava anche aspetti di carattere religioso. Dall’altra parte, tuttavia, c’era il papa del Battesimo di Satana, che non avevamo ancora visto scatenarsi con il COVID.
Ecco perché anche questa nuova censura di YouTube non ci sorprende: vaccino e religione, siringa e spirito, sono stati tenuti separati dal discorso pubblico, con ettolitri di inchiostro della stampa versato con benedizione vaticana.
Dunque, si può censurare anche un’omelia di un successore degli Apostoli?
Chi scrive, ricorda, anni fa, di aver conferito telefonicamente con Claudio Messora, il titolare del sito video Byoblu, al momento della sua estromissione da YouTube. Giorgia Meloni, allora allora all’opposizione, lo aveva difeso in Parlamento contro il colosso dei video condivisi. Era un buon punto da cui iniziare, dicevo – bisognava creare una consapevolezza politica, con vera proiezione parlamentare, del tema della censura sui social.
È chiaro che non avrei il medesimo suggerimento oggi: non crediamo vi sia nessuno, nemmeno tra i politici sedicenti «cattolici», che abbia il coraggio (più che la voglia) protestare lo scandalo di un’autorità religiosa censurata, per soprammercato, da gruppi stranieri. Nessuno ha mosso un dito per le migliaia e migliaia di persone cancellate dai social per le loro opinioni durante la stretta pandemica, figurarsi se adesso, in questo Parlamento dimezzato e post-cristiano, qualcuno si muove per il diritto di un vescovo di fare un’omelia. Costituzione, decoro, pudore: abbiamo capito, infine, quanto valgano davvero.
E per quanto riguarda i «cattolici», specie quelli tiepidi che fingono di essere caldi per intortare il dissenso e carpirne le donazioni (più, magari, qualche mancia dall’8 per mille), ci torna in mente la prospettiva che sembrava stagliarsi all’orizzonte qualche anno fa con la storia della legge anti-omofobia.
I cattolici-attivisti, quelli controllati dall’episcopato traditore (lo stesso che ci ha venduto alla siringa del Male), all’epoca cercavano neanche tanto nascostamente, un compromesso – del resto, sono democristiani, e i compromessi suicidi sono l’unica cosa che sanno fare. C’era chi già diceva, all’epoca, che sì, la legge anti-omofobia si poteva in fondo fare, purché si facesse passare un emendamento-San Paolo, con cui cioè si potessero leggere nelle chiese quei passaggi della Bibbia che sarebbero stati illegalizzati.
I democristiani catto-familisti e catto-abortisti, che ancora continuano a far perdere tempo alla gente, volevano portarci al compromesso osceno di poter parlare di Cristo, cioè della Verità, solo nella riserva indiana degli edifici religiosi.
Come tutti i tiepidi, dice l’Apocalisse (3, 14-20), essi saranno vomitati: di fatto, i loro sciocchi paletti liberticidi sono già superati dalla realtà, dove si punta oramai a eliminare ogni discorso non allineato, religioso o no che sia. È disintegrata ogni pensiero, più la sua possibilità di locuzione, per una parola ritenuta sbagliata.
Questo è il mondo cui siamo capitati: la censura impera, il vero discorso religioso è perseguitato, come lo è la Verità – cioè, come lo è stato Dio.
Che possiamo dire: ricaricheremo l’omelia di Monsignor Viganò su Rumble, senza tuttavia avere aspettative di essere al sicuro.
Tuttavia, di una cosa siamo certi: questo momento osceno prima o poi, in un modo o nell’altro, dovrà finire.
Roberto Dal Bosco
Internet
Apple indagata per l’obsolescenza programmata

La Procura di Parigi ha aperto un’inchiesta sui presunti tentativi di Apple di rendere obsoleti i propri dispositivi per costringere gli utenti all’aggiornamento. La denuncia segue sentenze di successo contro il colosso tecnologico della California in Francia e in Italia.
«A seguito di un reclamo, nel dicembre 2022 è stata aperta un’indagine sulle pratiche di marketing ingannevoli e sull’obsolescenza programmata», ha affermato lunedì l’ufficio in una dichiarazione, aggiungendo che la denuncia è stata presentata da un gruppo di attivisti chiamato «Halte a L’Obsolescence Programmee» (HOP).
La denuncia del gruppo è incentrata sulla pratica della «serializzazione», in base alla quale pezzi di ricambio come microchip o altoparlanti vengono abbinati con numeri di serie a una specifica generazione di iPhone. Ciò impedisce ai riparatori di terze parti di utilizzare parti generiche e, poiché i modelli vengono gradualmente eliminati da Apple, lo sono anche i ricambi associati, costringendo i clienti a sborsare per un modello più recente.
Apple, afferma HOP, è in grado di rilevare quando un telefono è stato riparato con parti non autorizzate e può «degradare» da remoto le sue prestazioni.
Un precedente reclamo di HOP ha portato Apple a essere multata di 27 milioni di dollari da un ente di protezione dei consumatori francese nel 2020 per aver rallentato le prestazioni dei vecchi iPhone tramite aggiornamenti obbligatori del sistema operativo.
Una decisione simile era stata presa in Italia un anno prima, con l’autorità antitrust del paese che aveva imposto una multa di 10,8 milioni di dollari alla società californiana.
Un tentativo simile di citare in giudizio Apple per obsolescenza programmata è stato sconfitto in Corea del Sud a febbraio, con un tribunale di Seoul che ha archiviato la causa senza spiegazioni e costringendo i querelanti a pagare le spese legali di Apple.
Come riportato da Renovatio 21, Apple due settimane fa ha costretto milioni di utenti ad un «aggiornamento rapido» di sicurezza, le cui cause non sono state ben spiegate.
Apple è stata accusata di aver ristretto il sistema di comunicazione tra telefoni durante le proteste antilockdown che hanno investito massivamente la Cina sei mesi fa. Mesi prima, la fabbrica di Apple a Shanghai aveva subito una rivolta.
Si tratta della società più capitalizzata della storia, la prima a raggiungere l’anno scorso un valore di mercato di 3 trilioni di dollari, superiore persino alla società petrolifera saudita ARAMCO.
L’azienda di Cupertino si è distinta per particolari prese di posizioni, come l’implementazione di emoji della donna barbuta e dell’uomo incinto.
Durante la pandemia Apple si era distinta, con Google, per l’integrazione di tecnologie di tracciamento COVID direttamente nei telefoni degli utenti.
Aveva suscitato polemiche l’annuncio di Apple di una scansione delle foto private degli utenti alla ricerca di materiale definito «pedofilo». L’azienda parrebbe avervi infine rinunciato, tuttavia altre società che gestiscono i dati di miliardi di persone lo stanno già facendo, con errori agghiaccianti che travolgono le vite di genitori e pediatri.
Rilevante la decisione di Apple di rimuovere la app di appuntamenti tra persone non vaccinate, il cosiddetto «Tinder no-vax».
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