Connettiti con Renovato 21

Pensiero

Dichiarazione di Mons. Viganò sulla crisi russo-ucraina

Pubblicato

il

Renovatio 21 pubblica questa dichiarazione dell’arcivescovo Mons. Carlo Maria Viganò sulla crisi russo-ucraina. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

DICHIARAZIONE

di Mons. Carlo Maria Viganò, Arcivescovo, 

Ex Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America

sulla Crisi Russo-Ucraina

Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo. E si sentiranno grandi – della vera grandezza – se imponendo silenzio alle voci della passione, sia collettiva che privata, e lasciando alla ragione il suo impero, avranno risparmiato il sangue dei fratelli e alla patria rovine. 

 

Così Pio XII si rivolgeva, il 24 Agosto 1939, ai governanti e ai popoli nell’imminenza della guerra. Non erano parole di vuoto pacifismo, né di complice silenzio sulle molteplici violazioni della giustizia che da più parti andavano compiendosi. In quel Radiomessaggio, che ancora qualcuno ricorda aver ascoltato, l’appello del Romano Pontefice invocava il «rispetto dei reciproci diritti», quale premessa per una fruttuosa trattativa di pace. 

 

 

La narrazione mediatica

Se guardiamo a quanto accade in Ucraina, senza lasciarci trarre in errore dalle macroscopiche falsificazioni dei media mainstream, ci rendiamo conto che il «rispetto dei reciproci diritti» è stato completamente ignorato; si ha anzi l’impressione che l’Amministrazione Biden, la NATO e l’Unione Europea vogliano deliberatamente mantenere una situazione di palese squilibrio, proprio per rendere impossibile ogni tentativo di composizione pacifica della crisi ucraina, provocando la Federazione Russa per scatenare un conflitto.

Questa la trappola tesa tanto alla Russia quanto all’Ucraina, usando entrambe per consentire all’élite globalista di portare a compimento il suo piano criminale

 

Qui sta la gravità del problema. Questa la trappola tesa tanto alla Russia quanto all’Ucraina, usando entrambe per consentire all’élite globalista di portare a compimento il suo piano criminale. 

 

Non ci si stupisca se il pluralismo e la libertà di parola, tanto decantati nei Paesi che si dichiarano democratici, vengano quotidianamente sconfessati dalla censura e dall’intolleranza nei confronti delle opinioni non allineate alla narrazione ufficiale: manipolazioni di questo genere sono diventate la norma, durante la cosiddetta pandemia, ai danni di medici, scienziati e giornalisti dissenzienti, che sono stati screditati e ostracizzati per il solo fatto di aver osato mettere in dubbio l’efficacia dei sieri sperimentali.

 

A distanza di due anni, la verità sugli effetti avversi e sulla sciagurata gestione dell’emergenza sanitaria dà loro ragione, ma viene ignorata ostinatamente perché non corrisponde a ciò che il sistema ha voluto e vuole ancora oggi.

 

Se i media mondiali hanno potuto finora mentire spudoratamente su una questione di stretta pertinenza scientifica, divulgando menzogne e nascondendo la realtà, dovremmo chiederci per quale motivo, nella situazione presente, dovrebbero improvvisamente ritrovare quell’onestà intellettuale e quel rispetto del codice deontologico ampiamente rinnegati con la COVID.

 

Ma se questa colossale frode è stata assecondata e divulgata dai media, va riconosciuto che le istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, i governi, i magistrati, le forze dell’ordine e la stessa Gerarchia cattolica si sono resi responsabili – ciascuno nel proprio ambito con azioni di sostegno o con l’omissione di interventi di contrasto – del disastro che ha colpito miliardi di persone nella loro salute, nei loro beni, nell’esercizio dei loro diritti e addirittura nella loro stessa vita.

Se i media mondiali hanno potuto finora mentire spudoratamente su una questione di stretta pertinenza scientifica, divulgando menzogne e nascondendo la realtà, dovremmo chiederci per quale motivo, nella situazione presente, dovrebbero improvvisamente ritrovare quell’onestà intellettuale e quel rispetto del codice deontologico ampiamente rinnegati con la COVID

 

Anche in questo caso, risulta difficile immaginare che chi si è macchiato di tali crimini per una pandemia voluta e amplificata dolosamente possa oggi avere un sussulto di dignità e mostrare sollecitudine verso i propri cittadini e la propria Patria quando una guerra minaccia la loro sicurezza e la loro economia. 

 

Queste, ovviamente, possono essere le prudenti riflessioni di chi vuole mantenersi neutrale e guarda con distacco e quasi disinteresse a quanto gli accade intorno. Ma se solo si approfondisce la conoscenza dei fatti e ci si documenta con fonti autorevoli e oggettive, si scopre che dubbi e perplessità diventano presto inquietanti certezze. 

 

Anche a voler solo limitare la propria indagine all’aspetto economico, si comprende che l’informazione, la politica e le stesse istituzioni pubbliche dipendono da un ristretto numero di gruppi finanziari facenti capo ad un’oligarchia che, significativamente, è unita non solo dal denaro e dal potere, ma dall’appartenenza ideologica che ne orienta l’azione e le interferenze nella politica delle Nazioni e del mondo intero.

 

Questa oligarchia mostra i propri tentacoli nell’ONU, nella NATO, nel World Economic Forum, nell’Unione Europea e in istituzioni “filantropiche” quali la Open Society di George Soros e la Bill & Melinda Gates Foundation

 

Tutti questi soggetti sono privati e non rispondono a nessuno se non a se stessi, e al tempo stesso hanno il potere di influenzare i governi nazionali, anche tramite i propri esponenti fatti eleggere o nominare in posti chiave.

 

Lo ammettono loro stessi, ricevuti con tutti gli onori dai Capi di governo e dai leader mondiali, ad iniziare dal Presidente del Consiglio Mario Draghi (qui) e da questi ossequiati e temuti come i veri padroni delle sorti del mondo.

Chi detiene il potere in nome del popolo sovrano, si trova a calpestarne la volontà e limitarne i diritti, per obbedire come un cortigiano a personaggi che nessuno ha eletto, e che pure dettano l’agenda politica ed economica alle Nazioni

 

Così, chi detiene il potere in nome del popolo sovrano, si trova a calpestarne la volontà e limitarne i diritti, per obbedire come un cortigiano a personaggi che nessuno ha eletto, e che pure dettano l’agenda politica ed economica alle Nazioni. 

 

Veniamo dunque alla crisi ucraina, che ci viene presentata come conseguenza dell’arroganza espansionista di Vladimir Putin nei confronti di uno Stato indipendente e democratico sul quale egli rivendicherebbe assurdi diritti.

 

Il «guerrafondaio Putin» starebbe massacrando la popolazione inerme, insorta coraggiosamente per difendere il patrio suolo, i sacri confini della Nazione e le libertà conculcate dei cittadini.

 

L’Unione Europea e gli Stati Uniti, «difensori della democrazia», non potrebbero dunque non intervenire, tramite la NATO, per ripristinare l’autonomia dell’Ucraina, scacciare «l’invasore» e garantire la pace.

 

Dinanzi alla «prepotenza del tiranno», i popoli dovrebbero fare fronte comune, comminando sanzioni alla Federazione Russa e inviando soldati, armamenti e aiuti economici al «povero» presidente Zelenskyj, «eroe nazionale» e «difensore» del suo popolo.

Essendo in guerra, il dissenso diventa immediatamente diserzione, e chi dissente è colpevole di tradimento e meritevole di sanzioni più o meno gravi, ad iniziare dalla pubblica esecrazione e dall’ostracismo, ben sperimentate con la COVID nei riguardi dei «no-vax»

 

A comprova della «violenza» di Putin, i media diffondono le immagini di bombardamenti, rastrellamenti, distruzioni attribuendone alla Russia la responsabilità. Anzi: proprio a garantire una «pace duratura», l’Unione Europea e la NATO accolgono a braccia aperte l’Ucraina tra i loro membri. E per impedire la «propaganda sovietica», l’Europa oscura Russia Today e Sputnik, assicurando che l’informazione sia «libera e indipendente». 

 

Questa è la narrazione ufficiale, alla quale si conformano tutti; essendo in guerra, il dissenso diventa immediatamente diserzione, e chi dissente è colpevole di tradimento e meritevole di sanzioni più o meno gravi, ad iniziare dalla pubblica esecrazione e dall’ostracismo, ben sperimentate con la COVID nei riguardi dei «no-vax».

 

Ma la verità, se la si vuole conoscere, permette di vedere le cose in modo diverso e di giudicare i fatti per quello che sono e non per come ci vengono presentati. Si tratta di un vero e proprio svelamento, come indica l’etimologia della parola greca ἀλήθεια. O forse, con uno sguardo escatologico, di una rivelazione, una ἀποκάλυψις.

 

 

L’espansione della NATO

Anzitutto occorre ricordare i fatti, che non mentono e non sono suscettibili di alterazione. E i fatti, per quanto fastidiosi da ricordare a chi cerca di censurarli, ci dicono che sin dalla caduta del Muro di Berlino gli Stati Uniti hanno esteso la propria sfera di influenza politica e militare a quasi tutti gli Stati satelliti dell’ex-Unione Sovietica: anche recentemente, annettendo nella NATO Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria (1999), Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania (2004), Albania e Croazia (2009), Montenegro (2017), Macedonia del Nord (2020).

 

L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord si appresta ad allargarsi a Ucraina, Georgia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia.

La NATO è venuta meno ai suoi impegni o ha quantomeno forzato la situazione in un momento delicatissimo per gli equilibri geopolitici

 

In pratica, la Federazione Russa si trova sotto la minaccia militare – armi e basi missilistiche – a pochi chilometri dal proprio confine, mentre non dispone di alcuna base militare altrettanto vicina agli Stati Uniti. 

 

Prendere in considerazione l’allargamento della NATO all’Ucraina, senza suscitare le legittime proteste della Russia, è a dir poco sconcertante, specialmente in considerazione del fatto che la NATO si era impegnata con il Cremlino, nel 1991, a non espandersi ulteriormente.

 

Non solo: alla fine 2021, Der Spiegel ha pubblicato le bozze di un trattato con gli Stati Uniti e un accordo con la NATO sulle garanzie di sicurezza (qui, qui e qui); Mosca chiedeva ai suoi partner occidentali garanzie legali che scongiurassero un’ulteriore espansione verso est della NATO, unendo al blocco l’Ucraina e stabilendo basi militari nei Paesi post-sovietici.

 

Le proposte contenevano anche una clausola sul non dispiegamento di armi d’attacco della NATO vicino ai confini della Russia e sul ritiro delle forze dell’alleanza nell’Europa orientale alle posizioni del 1997. 

 

Come si vede, la NATO è venuta meno ai suoi impegni o ha quantomeno forzato la situazione in un momento delicatissimo per gli equilibri geopolitici.

Dovremmo chiederci per quale motivo gli Stati Uniti – o meglio: il deep state americano, che ha ripreso il potere dopo i brogli elettorali che hanno portato Joe Biden alla Casa Bianca – vogliano creare tensioni con la Russia

 

Dovremmo chiederci per quale motivo gli Stati Uniti – o meglio: il deep state americano, che ha ripreso il potere dopo i brogli elettorali che hanno portato Joe Biden alla Casa Bianca – vogliano creare tensioni con la Russia e coinvolgere nel conflitto i propri partner europei, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. 

 

Come ha osservato lucidamente il generale Marco Bertolini, ex comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze:

 

«Gli Stati Uniti non si sono limitati a vincere la Guerra Fredda ma l’hanno anche voluta umiliare [la Russia] prendendole tutto quello che in un certo senso rientrava nella sua area di influenza. [Putin] ha sopportato con i Paesi Baltici, la Polonia, la Romania e la Bulgaria: di fronte all’Ucraina che gli avrebbe tolto ogni possibilità di accedere al Mar Nero, ha reagito» (qui).

 

E aggiunge:

 

«C’è un problema di tenuta del regime, si è creata una situazione con un primo ministro abbastanza improbabile [Zelenskyj], uno che viene dal mondo dello spettacolo». Il generale non manca di ricordare, nel caso di un attacco degli Stati Uniti alla Russia, che «i Global Hawk che volano sull’Ucraina partono da Sigonella, l’Italia è una base militare americana in larga parte. Il rischio c’è, è presente e reale» (qui).

 

 

Interessi derivanti dal blocco delle forniture di gas russo

Dovremmo parimenti domandarci se, dietro la destabilizzazione dei delicati equilibri tra Unione Europea e Russia, non vi siano anche interessi economici, derivanti dalla necessità dei Paesi UE di approvvigionarsi di gas liquido americano (per il quale occorrono peraltro i rigassificatori di cui molti Stati sono privi e che comunque dovremmo pagare molto più caro) al posto di quello russo (più ecologico). 

 

Anche la decisione dell’ENI di sospendere gli investimenti nel gasdotto Blue Stream di Gazprom (dalla Russia alla Turchia) comporta la privazione di un’ulteriore fonte di approvvigionamento, dal momento che esso alimenta la Trans Atlantic Pipeline (dalla Turchia all’Italia). 

 

Non suona quindi casuale se, nell’agosto 2021, Zelenskyj ha dichiarato di considerare il gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania come «un’arma pericolosa, non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa» (qui): aggirando l’Ucraina, priva Kiev di circa un miliardo di euro all’anno di introiti da tariffe di transito.

 

«Consideriamo questo progetto esclusivamente attraverso il prisma della sicurezza e lo consideriamo una pericolosa arma geopolitica del Cremlino», ha detto il Presidente ucraino, concordando con l’amministrazione Biden.

 

Il Sottosegretario di Stato, Victoria Nuland, ha affermato: «Se la Russia invaderà l’Ucraina, il Nord Stream 2 non andrà avanti». E così è stato, non senza gravi danni economici per gli investimenti tedeschi.

 

 

I laboratori virologici del Pentagono in Ucraina

Sempre a proposito di interessi americani in Ucraina, vanno menzionati i laboratori virologici dislocati nel Paese, sotto il controllo del Pentagono e dove sembra siano esclusivamente impiegati specialisti statunitensi con immunità diplomatica alle dirette dipendenze del Ministero della Difesa americano. 

 

Andrebbe ricordata anche la denuncia fatta da Putin relativa alla raccolta dei dati genomici della popolazione, utilizzabile per le armi batteriologiche a selezione genetica (qui, qui e qui). Le informazioni sull’attività dei laboratori in Ucraina sono ovviamente difficilmente confermabili, ma è comprensibile che la Federazione Russa abbia ritenuto, non senza motivo, che potessero costituire un’ulteriore minaccia batteriologica alla sicurezza della popolazione. L’Ambasciata statunitense ha provveduto a rimuovere dal proprio sito tutti i file relativi al Biological Threat Reduction Program (qui). 

 

Scrive Maurizio Blondet: «All’Event 201, che simulò l’esplosione pandemica un anno prima che avvenisse, partecipava (coi soliti Bill e Melinda) l’apparentemente inoffensiva John Hopkins University con un suo benedicente Center for Health Security. La umanitaria istituzione ha avuto per lungo tempo un nome meno innocente: si chiamava Center for Civilian Biodefence Strategies e non s’occupava della sanità degli Americani, ma del suo contrario; la risposta ad attacchi bellici di bio-terrorismo. Era praticamente un’organizzazione civile-militare, che quando fa il suo primo convegno nel febbraio 1999 a Crystal City di Arlington, dove sorge il Pentagono, riunisce per una esercitazione-simulazione 950 medici, militari, funzionari federali e quadri della sanità. Scopo della simulazione, contrastare un fantomatico attacco di vaiolo “militarizzato”. È solo la prima delle esercitazioni che sboccheranno in Event 201 e nella Impostura Pandemica» (qui). 

 

Emergono anche esperimenti sui militari ucraini (qui) e interventi dell’Ambasciata americana presso il Procuratore ucraino Lutsenko nel 2016 perché non indagasse su «un giro miliardario di fondi tra G. Soros e B. Obama» (qui).

 

 

Una minaccia indiretta per le mire espansioniste cinesi su Taiwan

L’attuale crisi ucraina comporta conseguenze secondarie, ma non per questo meno gravi, sugli equilibri geopolitici tra Cina e Taiwan. La Russia e l’Ucraina sono gli unici produttori di palladio e neon, indispensabili per la produzione di microchip.

 

«La possibile ritorsione di Mosca ha attirato maggiore attenzione negli ultimi giorni dopo che il gruppo di ricerche di mercato Techcet, ha pubblicato un rapporto che evidenzia la dipendenza di molti produttori di semiconduttori da materiali di origine russa e ucraina come neon, palladio e altri. Secondo le stime di Techcet, oltre il 90% delle forniture statunitensi di neon per semiconduttori proviene dall’Ucraina, mentre il 35% del palladio statunitense proviene dalla Russia. […] Secondo la US International Trade Commission, i prezzi del neon sono aumentati del 600% prima dell’annessione della penisola di Crimea […] da parte della Russia nel 2014, poiché le aziende di chip facevano affidamento su alcune società ucraine» (qui). 

 

«Se è vero che un’invasione cinese di Formosa metterebbe a rischio la filiera tecnologica globale, è vero anche che un’improvvisa carenza di materie prime dalla Russia potrebbe fermare la produzione, di modo da far perdere all’isola lo “scudo del microchip” e indurre Pechino a tentare l’annessione di Taipei». 

 

 

Il conflitto di interessi dei Biden in Ucraina

Un altro tema che si tende a non analizzare approfonditamente è quello relativo alla Burisma, un’azienda produttrice di petrolio e gas, operante sul mercato ucraino dal 2002.

 

Ricordiamo che «durante la presidenza americana di Barack Obama (dal 2009 al 2017) il braccio destro con una “delega” sulla politica internazionale era proprio Joe Biden ed è da allora che data la “protezione” offerta dal leader democratico USA ai nazionalisti ucraini, una linea che ha creato il dissidio insanabile tra Kiev e Mosca. […] È stato Joe Biden in quegli anni a portare avanti la politica di avvicinamento dell’Ucraina alla NATO. Voleva togliere potere politico ed economico alla Russia. […] Negli ultimi anni inoltre il nome di Joe Biden è stato associato anche a uno scandalo sull’Ucraina che aveva fatto vacillare anche la sua candidatura. […] Siamo ad aprile 2014 quando la Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell’Ucraina (attiva sia su gas che petrolio), assume per una consulenza proprio Hunter Biden, […] con uno stipendio di 50mila dollari al mese. Tutto trasparente, se non fosse che durante quei mesi Joe Biden ha proseguito la politica americana volta a far riprendere il possesso da parte dell’Ucraina di quelle zone del Donbass ora divenute Repubbliche riconosciute dalla Russia. La zona di Donetsk è ritenuta ricca di giacimenti di gas non ancora esplorati finiti nel mirino della Burisma Holdings. Una politica internazionale intrecciata a quella economica che ha fatto storcere il naso anche ai media americani in quegli anni» (qui). 

 

I Democratici sostennero che Trump aveva creato uno scandalo mediatico per nuocere alla campagna elettorale di Biden, ma le sue accuse si sono poi rivelate vere.

 

Lo stesso Joe Biden, durante un incontro al Council for Foreign Relations dei Rockefeller, ha ammesso di essere intervenuto sull’allora Presidente Petro Poroshenko e sul Primo Ministro Arsenij Yatseniuk per impedire indagini sul figlio Hunter da parte del Procuratore Generale Viktor Shokin.

 

Biden aveva minacciato «di trattenere una garanzia di prestito di un miliardo di dollari negli Stati Uniti durante un viaggio di dicembre 2015 a Kiev», riferisce il New York Post (qui).

 

«Se il magistrato non verrà licenziato, non avrete i soldi» (qui e qui). E il Procuratore fu effettivamente licenziato, salvando Hunter da un ulteriore scandalo, dopo quelli che lo avevano coinvolto. 

 

L’interferenza di Biden nella politica di Kiev, in cambio di favori alla Burisma e agli oligarchi corrotti, conferma tutto l’interesse dell’attuale Presidente degli Stati Uniti di proteggere la propria famiglia e la propria immagine, alimentando il disordine in Ucraina e addirittura una guerra.

 

Come può governare con onestà e senza essere soggetto al ricatto una persona che si avvale del proprio ruolo per curare i propri affari e insabbiare i reati dei suoi famigliari? 

 

 

La questione nucleare ucraina

Infine, c’è la questione delle armi nucleari ucraine.

 

Il 19 febbraio 2022, in una conferenza a Monaco, Zelenskyj ha annunciato la sua intenzione di porre fine al Memorandum di Budapest (1994), che proibisce all’Ucraina lo sviluppo, la proliferazione e l’uso di armi atomiche.

 

Tra le altre clausole del Memorandum, vi è anche quella che obbliga la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito ad astenersi dall’utilizzare la pressione economica sull’Ucraina per influenzare la sua politica: le pressioni del FMI e degli USA per la concessione di aiuti economici in cambio di riforme coerenti con il Great Reset rappresentano un’ulteriore violazione dell’accordo.

 

L’Ambasciatore ucraino a Berlino, Andriy Melnyk, ha sostenuto alla radio Deutschlandfunk nel 2021 che l’Ucraina aveva bisogno di riacquistare lo status nucleare, se il paese non fosse riuscito ad entrare nella NATO. Le centrali nucleari dell’Ucraina sono gestite, ricostruite e mantenute dall’impresa statale NAEK Energoatom, che ha chiuso completamente il suo rapporto con le compagnie russe tra il 2018 e il 2021; i suoi principali partner sono aziende riconducibili al governo degli Stati Uniti. Si comprende facilmente come la Federazione Russa consideri una minaccia la possibilità che l’Ucraina si doti di armi nucleari e pretenda l’adesione di Kiev al patto di non proliferazione. 

 

 

La rivoluzione colorata in Ucraina e l’indipendenza di Crimea, Donetsk e Lugansk

Un altro fatto. Nel 2013, dopo che il governo del Presidente Viktor Janukovyč aveva deciso di sospendere l’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione Europea e di stringere più strette relazioni economiche con la Russia, iniziarono una serie di manifestazioni di protesta note come Euromaidan, che durarono diversi mesi e che culminarono nella rivoluzione che rovesciò Janukovyč e portò all’insediamento di un nuovo governo.

 

Un’operazione sponsorizzata da George Soros, come ha candidamente dichiarato egli stesso alla CNN: «Ho una fondazione in Ucraina da prima che diventasse indipendente dalla Russia; questa fondazione è sempre stata in attività e ha giocato un ruolo determinante negli eventi di oggi» (qui, qui e qui).

 

Questo cambio di governo provocò la reazione dei sostenitori di Janukovyč e di una parte della popolazione ucraina contraria alla svolta filo-occidentale, che non era stata voluta dalla popolazione ma ottenuta con una rivoluzione colorata, di cui si erano avute le prove generali negli anni precedenti in Georgia, in Moldavia e in Bielorussia. 

 

In seguito agli scontri del 2 Maggio 2014, in cui erano intervenute anche frange paramilitari nazionaliste (tra cui quelle del Pravyj Sektor), si ebbe anche la strage di Odessa.

 

Di questi eventi terribili parlò, con scandalo, anche la stampa occidentale; Amnesty International (qui) e l’ONU denunciarono questi crimini documentandone l’efferatezza. Ma nessun tribunale internazionale avviò alcun procedimento contro i responsabili, come invece si vorrebbe fare oggi contro i presunti crimini dell’esercito russo. 

 

Tra i tanti accordi non rispettati è da segnalare anche il Protocollo di Minsk, firmato il 5 settembre 2014 dal Gruppo di Contatto Trilaterale sull’Ucraina, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Donetsk e Repubblica Popolare di Lugansk.

Contrariamente a quanto pattuito, i gruppi paramilitari neonazisti non sono solo riconosciuti ufficialmente dal governo, ma ai loro membri vengono addirittura affidati incarichi ufficiali

 

Tra i punti dell’accordo vi era anche la rimozione dei gruppi illegali armati, delle attrezzature militari, così come dei combattenti e mercenari dal territorio dell’Ucraina sotto la supervisione dell’OSCE e disarmo di tutti i gruppi illegali. Contrariamente a quanto pattuito, i gruppi paramilitari neonazisti non sono solo riconosciuti ufficialmente dal governo, ma ai loro membri vengono addirittura affidati incarichi ufficiali. 

 

Sempre nel 2014 la Crimea, il Donetsk e il Lugansk dichiararono la propria indipendenza dall’Ucraina – in nome dell’autodeterminazione dei popoli riconosciuta dalla comunità internazionale – e si dichiararono annessi alla Federazione Russa.

 

Il governo ucraino si rifiuta tuttora di riconoscere l’indipendenza di queste regioni, sancita con referendum popolare, e lascia libere le milizie neonaziste e le stesse forze militari regolari di infierire sulla popolazione, dal momento che considera queste entità come organizzazioni terroristiche.

 

È pur vero che i due referendum del 2 novembre rappresentano una forzatura del Protocollo di Minsk, che prevedeva solo una decentralizzazione del potere e una forma di statuto speciale per le regioni del Donetsk e del Lugansk.

 

Come ha recentemente evidenziato il prof. Franco Cardini, «il 15 febbraio 2022 la Russia ha consegnato agli USA un progetto di trattato per cessare questa situazione e difendere le popolazioni russofone. Carta straccia. Questa guerra è iniziata nel 2014» (qui e qui).

 

E fu una guerra nelle intenzioni di chi volle combattere la minoranza russa del Donbass: «Noi avremo un lavoro, le pensioni e loro no. Avremo i bonus per i bambini, e loro no. I nostri figli avranno scuole ed asili, i loro figli staranno negli scantinati. Così vinceremo questa guerra», disse il Presidente Petro Poroshenko nel 2015 (qui).

«Noi avremo un lavoro, le pensioni e loro no. Avremo i bonus per i bambini, e loro no. I nostri figli avranno scuole ed asili, i loro figli staranno negli scantinati. Così vinceremo questa guerra». Non sfuggirà l’assonanza con le discriminazioni nei confronti dei cosiddetti «no-vax»

 

Non sfuggirà l’assonanza con le discriminazioni nei confronti dei cosiddetti «no-vax», privati del lavoro, della retribuzione, della scuola. Otto anni di bombardamenti in Donetsk e Lugansk, con centinaia di migliaia di vittime, 150 bambini morti, gravissimi casi di torture, stupri, sequestri e discriminazioni (qui). 

 

Il 18 febbraio 2022 i Presidenti di Donetsk, Denis Pušilin, e Lugansk, Leonid Pasechnik, ordinavano l’evacuazione della popolazione civile verso la Federazione Russa a causa degli scontri in corso tra la Milizia Popolare del Donbass e le Forze Armate Ucraine. Il 21 febbraio la Duma di Stato (Camera bassa del Parlamento russo) ha ratificato all’unanimità i trattati di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca introdotti dal Presidente Putin con le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.

 

Contestualmente, il Presidente russo ordinava l’invio di truppe della Federazione Russa per riportare la pace nella regione del Donbass. 

 

Ci si può chiedere per quale motivo, in una situazione di palese violazione dei diritti umani da parte di forze militari e apparati paramilitari neonazisti (che inalberano bandiere con la svastica e mostrano l’effigie di Aldolf Hitler) nei confronti della popolazione di lingua russa di repubbliche indipendenti, la comunità internazionale debba considerare condannabile l’intervento della Federazione Russa, ed anzi far ricadere su Putin la colpa delle violenze.

 

Dov’è il tanto decantato diritto all’autodeterminazione dei popoli, che era valso il 24 agosto del 1991 per la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina, riconosciuta dalla comunità internazionale?

 

E per quale motivo ci si scandalizza oggi di un intervento russo in Ucraina, quando la NATO ne ha condotti in Jugoslavia (1991), in Kosovo (1999), in Afganistan (2001), in Iraq (2003), in Libia e in Siria (2011), senza che nessuno abbia sollevato alcuna obiezione?

 

Senza dimenticare che negli ultimi dieci anni Israele ha più volte colpito obiettivi militari in Siria, Iran e Libano per scongiurare la creazione di un fronte armato ostile sul suo confine settentrionale e nessuna Nazione ha proposto di comminare sanzioni a Tel Aviv. 

 

Suscita sgomento vedere con quale ipocrisia l’Unione Europea e gli Stati Uniti – Bruxelles e Washington – diano il proprio incondizionato appoggio al Presidente Zelenskyj, il cui governo da ormai otto anni continua impunemente a perseguitare gli Ucraini di lingua russa (qui), per i quali è addirittura vietato parlare nel loro idioma, in una nazione che conta numerose etnie, di cui quella russa rappresenta il 17,2%.

 

Ed è scandaloso che si taccia sull’uso dei civili come scudi umani da parte dell’esercito ucraino, che colloca le postazioni antiaeree all’interno dei centri abitati, degli ospedali, delle scuole e degli asili proprio perché dalla loro distruzione si possano causare morti tra la popolazione. 

 

I media mainstream si guardano bene dal mostrare le immagini dei soldati russi che aiutano i civili a raggiungere postazioni sicure (qui e qui) o che organizzano corridoi umanitari, sui quali sparano le milizie ucraine (qui e qui).

Vengono taciuti i regolamenti di conti, gli eccidi, le violenze e i furti da parte di frange della popolazione civile, alla quale Zelenskyj ha fornito armi

 

Così come vengono taciuti i regolamenti di conti, gli eccidi, le violenze e i furti da parte di frange della popolazione civile, alla quale Zelenskyj ha fornito armi: i video che si possono vedere in rete danno un’idea del clima di guerra civile alimentato ad arte dal Governo ucraino.

 

A ciò si aggiungano i galeotti fatti liberare per essere arruolati nell’Esercito e i volontari della legione straniera: una massa di esaltati senza regole e senza formazione che contribuirà a peggiorare la situazione rendendola ingestibile. 

 

 

Il presidente Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyj

Come è stato fatto rilevare da più parti, la candidatura e l’elezione del Presidente ucraino Zelenskyj risponde a quel cliché recente, inaugurato negli ultimi anni, di attore comico o personaggio dello spettacolo prestato alla politica.

 

Non si creda che l’essere sprovvisto di un idoneo cursus honorum sia ritenuto d’ostacolo all’ascesa ai vertici delle istituzioni, al contrario: quanto più una persona è apparentemente estranea al mondo dei partiti, tanto più c’è da presumere che il suo successo venga determinato da chi detiene il potere.

 

Le performance en travesti di Zelenskyj sono perfettamente coerenti con l’ideologia LGBTQ che viene considerata dai suoi sponsor europei come indispensabile requisito dell’agenda di «riforme» che ogni Paese deve far proprio, assieme alla parità di genere, all’aborto e alla green economy.

 

Non stupisce che Zelenskyj, membro del WEF (qui), abbia potuto beneficiare dell’appoggio di Schwab e dei suoi alleati per arrivare al potere e realizzare il Great Reset anche in Ucraina. 

 

La serie televisiva in 57 puntate che Zelenskyj ha prodotto e di cui è stato protagonista, dimostra una pianificazione mediatica della sua candidatura a Presidente dell’Ucraina e della sua campagna elettorale.

 

Nella fiction Il servitore del popolo egli recitava la parte di un professore di liceo che diventa inaspettatamente Presidente della Repubblica e si batteva contro la corruzione della politica. Non è un caso se la serie, assolutamente mediocre, ha comunque vinto il WorldFest Remi Award (USA, 2016), sia arrivata tra i primi quattro finalisti nella categoria dei film comici al Seoul International Drama Awards (Corea del Sud) e sia stata insignita del premio Intermedia Globe Silver nella categoria Serie TV di intrattenimento al World Media Film Festival di Amburgo. 

 

L’eco mediatica ottenuta da Zelenskyj con la serie televisiva gli ha portato oltre 10 milioni di followers su Instagram e ha creato la premessa per la costituzione dell’omonimo partito Servitore del popolo di cui è membro anche Ivan Bakanov, Direttore Generale e azionista (assieme allo stesso Zelenskyj e all’oligarca Kolomoisky) della Kvartal 95 Studio, proprietaria della rete televisiva TV 1+1.

L’immagine di Zelenskyj è un prodotto artificiale, una finzione mediatica, un’operazione di manipolazione del consenso che però è riuscita a creare il personaggio politico nell’immaginario collettivo ucraino che nella realtà, e non nella fiction, ha conquistato il potere

 

L’immagine di Zelenskyj è un prodotto artificiale, una finzione mediatica, un’operazione di manipolazione del consenso che però è riuscita a creare il personaggio politico nell’immaginario collettivo ucraino che nella realtà, e non nella fiction, ha conquistato il potere. 

 

«Proprio a un mese dalle elezioni del 2019 che lo videro vincitore, Zelenskyj avrebbe ceduto la società [Kvartal 95 Studio] a un amico, trovando comunque il modo di far arrivare alla sua famiglia i proventi degli affari ai cui ufficialmente aveva rinunciato. Quell’amico era Serhiy Shefir, che è stato poi nominato Consigliere alla Presidenza. […] La cessione delle quote è avvenuta a beneficio della Maltex Multicapital Corp., società detenuta da Shefir e registrata alle Isole Vergini Britanniche» (qui).

 

La lotta alla corruzione sbandierata dal Presidente ucraino nei panni di «servitore del popolo» non corrisponde tuttavia al quadro che emerge di lui dai cosiddetti Pandora papers, in cui compaiono 40 milioni di dollari versatigli alla vigilia delle elezioni dal miliardario ebreo Kolomoisky su conti offshore (qui, qui e qui).

 

In patria molti lo accusano di aver tolto potere agli oligarchi filo-russi non per darlo al popolo ucraino, ma per rinforzare il proprio gruppo di interesse e contemporaneamente togliendo di mezzo i suoi avversari politici:

 

«Ha liquidato i ministri della vecchia guardia, primo fra tutti il potente Ministro degli Interni Avakov. Ha pensionato di brutto il presidente della Corte Costituzionale che frenava le sue leggi. Ha chiuso sette canali televisivi di opposizione. Ha messo agli arresti, accusandolo di tradimento, Viktor Medvedcuk, filorusso ma soprattutto leader di Piattaforma di opposizione-Per la vita, il secondo partito del Parlamento ucraino dopo il suo Servo del Popolo. Sta processando, sempre per tradimento, l’ex Presidente Poroshenko, che di tutto era sospettabile tranne che di intendersela con i Russi o con i loro amici. l sindaco di Kiev, il popolare ex campione del mondo di pugilato Vitaly Klitchko, è già finito nel mirino di alcune perquisizioni. Insomma, Zelensky sembra voler fare piazza pulita di chiunque non sia allineato alla sua politica» (qui).

Zelenskyj ha ammesso di avere come proprio ispiratore il Primo Ministro del Canada Justin Trudeau

 

Il 21 aprile 2019 è eletto Presidente dell’Ucraina con il 73,22% dei voti e il 20 maggio presta giuramento; il 22 maggio 2019 nomina Ivan Bakanov, Direttore Generale della Kvartal 95, primo vicecapo dei Servizi di Sicurezza dell’Ucraina e Capo della Direzione principale per la lotta contro la corruzione e il crimine organizzato della Direzione centrale del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina.

 

Assieme a Bakanov, è da menzionare Mykhailo Fedorov, Vicepresidente e Ministro della Trasformazione Digitale, membro del World Economic Forum (qui).

 

Lo stesso Zelenskyj ha ammesso di avere come proprio ispiratore il Primo Ministro del Canada Justin Trudeau (qui e qui). 

 

 

I rapporti di Zelenskyj con il FMI e il WEF

Come ha dimostrato il tragico precedente della Grecia, le sovranità nazionali e la volontà popolare espressa dai Parlamenti sono de facto cancellate dalle decisioni dell’alta finanza internazionale, la quale interferisce nelle politiche dei governi con ricatti e vere e proprie estorsioni di natura economica. Il caso dell’Ucraina, che è uno dei Paesi più poveri dell’Europa, non fa eccezione. 

 

Poco dopo l’elezione di Zelenskyj, il Fondo Monetario Internazionale minacciò di non concedere il prestito di 5 miliardi se non si fosse adeguato alle sue richieste. Nel corso di una conversazione telefonica con l’Amministratore Delegato del FMI Kristalina Georgieva, il Presidente ucraino venne redarguito per aver sostituito Yakiv Smolii con un uomo di sua fiducia, Kyrylo Shevchenko, meno incline ad assecondare i diktat del Fondo Monetario.

È evidente che gli interventi del FMI sono finalizzati ad ottenere dal governo ucraino l’impegno ad allinearsi alle politiche economiche, fiscali e sociali dettate dall’agenda globalista

 

Scrive Anders Åslund su Atlantic Council: «I problemi che circondano il governo Zelenskyj stanno crescendo in modo allarmante. Innanzitutto, dal marzo 2020, il Presidente ha condotto un’inversione non solo delle riforme perseguite sotto di lui, ma anche quelle iniziate dal suo predecessore Petro Poroshenko. In secondo luogo, il suo governo non ha presentato proposte plausibili per risolvere le preoccupazioni del FMI sugli impegni inadempiuti dell’Ucraina. In terzo luogo, il Presidente sembra non avere più una maggioranza parlamentare al potere e sembra disinteressato a formare una maggioranza riformista» (qui). 

 

È evidente che gli interventi del FMI sono finalizzati ad ottenere dal governo ucraino l’impegno ad allinearsi alle politiche economiche, fiscali e sociali dettate dall’agenda globalista, ad iniziare dalla «indipendenza» della Banca Centrale Ucraina dal governo: un eufemismo con il quale il FMI chiede al governo di Kiev di rinunciare al legittimo controllo sulla propria Banca Centrale, che costituisce una delle modalità in cui si esercita la sovranità nazionale, assieme all’emissione della moneta e alla gestione del debito pubblico.

 

D’altra parte, solo quattro mesi prima Kristalina Georgieva aveva lanciato il Great Reset assieme a Klaus Schwab, al principe Carlo e al segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. 

 

Quel che non era stato possibile realizzare con i governi precedenti, è stato portato a compimento sotto la Presidenza di Zelenskyj, entrato nelle grazie del WEF (qui) assieme al nuovo Governatore della BCU Kyrylo Shevchenko.

 

Il quale, per dar prova di sudditanza, meno di un anno dopo ha scritto un articolo per il WEF intitolato Le banche centrali sono la chiave per gli obiettivi climatici dei paesi e l’Ucraina sta mostrando la strada (qui). Ecco quindi realizzata, sotto ricatto, l’Agenda 2030

 

Vi sono anche altre compagnie ucraine che hanno legami con il WEF: la State Savings Bank of Ukraine (una delle più grandi istituzioni finanziarie in Ucraina), il DTEK Group (un importante investitore privato nel settore energetico ucraino) e la Ukr Land Farming (leader agricolo nella coltivazione).

Banche, energia e cibo sono settori perfettamente in linea con il Great Reset e la Quarta Rivoluzione Industriale teorizzata da Klaus Schwab

 

Banche, energia e cibo sono settori perfettamente in linea con il Great Reset e la Quarta Rivoluzione Industriale teorizzata da Klaus Schwab. 

 

Il 4 febbraio dell’anno scorso, il Presidente ucraino ha fatto chiudere sette emittenti televisive, tra cui ZIK, Newsone e 112 Ukraine, colpevoli di non appoggiare il suo governo.

 

Così scrive Anna Del Freo:

 

«Una dura condanna a questo atto liberticida è arrivata, tra gli altri, anche dalla Federazione europea dei giornalisti e dalla Federazione internazionale dei giornalisti, che hanno chiesto l’immediata revoca del veto. Le tre emittenti non potranno più trasmettere per cinque anni: impiegano circa 1500 persone, il cui posto di lavoro è oggi a rischio. Non esiste alcun vero motivo perché le tre reti debbano essere chiuse, salvo l’arbitrio del vertice politico Ucraino, che le accusa di minacciare la sicurezza dell’informazione e di essere sotto “la maligna influenza russa”. Una forte reazione giunge anche dalla NUJU, il sindacato dei giornalisti ucraini, che parla di pesantissimo attacco alla libertà di parola, visto che si vengono a privare centinaia di giornalisti della possibilità di esprimersi e centinaia di migliaia di cittadini del diritto ad essere informati». Come si vede, ciò di cui si accusa Putin è compiuto da Zelenskyj e, più recentemente, dall’Unione Europea con la complicità delle piattaforme social. E prosegue: «“Oscurare le emittenti televisive è una delle forme più estreme di restrizione della libertà di Stampa”, ha detto il segretario generale della EFJ, Ricardo Gutierrez. “Gli Stati hanno l’obbligo di garantire un effettivo pluralismo dell’informazione. È chiaro che il veto presidenziale non è per nulla in linea con gli standard internazionali sulla libertà di espressione”» (qui). 

 

Sarebbe interessante sapere quali siano state le dichiarazioni della Federazione europea dei giornalisti e dalla Federazione internazionale dei giornalisti dopo l’oscuramento di Russia Today e Sputnik in Europa. 

 

 

I movimenti neonazisti ed estremisti in Ucraina

Un Paese che invoca dalla comunità internazionale aiuti umanitari per difendere la popolazione dall’aggressione russa dovrebbe, nell’immaginario collettivo, distinguersi per rispetto dei principi democratici e per una legislazione che proibisca attività e propaganda a ideologie estremiste. 

 

In Ucraina agiscono indisturbati, e spesso con l’appoggio ufficiale delle istituzioni pubbliche, movimenti di matrice neonazista impegnati in azioni militari e paramilitari.

 

Tra questi vi sono: l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) di Stepan Bandera, di matrice nazista, antisemita e razzista già attiva in Cecenia e che fa parte del Right Sector, un’associazione di movimenti di estrema destra costituitasi in occasione del colpo di stato dell’Euromaidan del 2013/2014; l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA); l’UNA/UNSO, ala paramilitare del partito ucraino di estrema destra Ukraine National Assemble; la Fratellanza di Korchinsky, che ha offerto protezione a Kiev ai membri dell’ISIS (qui); Visione Misantropica (MD), una rete neonazista diffusa in 19 Paesi, che incita pubblicamente al terrorismo, all’estremismo e all’odio contro cristiani, musulmani, ebrei, comunisti, omosessuali, americani e persone di colore (qui). 

 

Va ricordato che il governo ha dato appoggio esplicito a queste organizzazioni estremiste sia inviando la guardia presidenziale ai funerali di loro esponenti, sia sostenendo il Battaglione Azov, un’organizzazione paramilitare che è ufficialmente parte dell’Esercito Ucraino con il nuovo nome di Reggimento di Operazioni Speciali Azov e inquadrato nella Guardia Nazionale.

 

Il Reggimento Azov è finanziato dall’oligarca ucraino ebreo Igor Kolomoisky, già governatore di Dnepropetrovsk e ritenuto anche il finanziatore delle milizie nazionalistiche di Pravyj Sektor, considerate le responsabili della strage di Odessa. Parliamo dello stesso Kolomoisky citato nei Pandora Papers come sponsor del Presidente Zelenskyj. Il battaglione ha rapporti con diverse organizzazioni di estrema destra in Europa e negli Stati Uniti. 

 

Amnesty International, dopo un incontro avvenuto l’8 settembre 2014 tra il Segretario Generale Salil Shetty e il Primo Ministro Arsenij Jacenjuk, ha chiesto al Governo ucraino di porre fine agli abusi e ai crimini di guerra commessi dai battaglioni di volontari che operano unitamente alle forze armate di Kiev. Il Governo ucraino ha aperto un’inchiesta ufficiale al riguardo, dichiarando che non risultano indagati ufficiali o soldati del Battaglione Azov. 

 

Nel marzo 2015, il Ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov ha annunciato che il battaglione Azov sarebbe stata una delle prime unità ad essere addestrata dalle truppe dell’Esercito americano, come parte della loro missione di addestramento Operation Fearless Guard.

 

L’addestramento degli Stati Uniti è stato interrotto il 12 giugno 2015, quando la Camera dei Rappresentanti ha approvato un emendamento che vieta tutti gli aiuti (comprese le armi e l’addestramento) al battaglione a causa del suo passato neonazista.

 

L’emendamento è stato poi revocato su pressione della CIA (qui e qui) e i militari di Azov sono stati addestrati negli Stati uniti (qui e qui): «Alleniamo questi ragazzi ormai da otto anni. Sono davvero dei bravi combattenti. Ecco dove il programma dell’Agenzia potrebbe avere un serio impatto». 

 

Nel 2016 un rapporto dell’OSCE ritiene il Battaglione Azov responsabile dell’uccisione in massa di prigionieri, di occultamento di cadaveri nelle fosse comuni e dell’uso sistematico di tecniche di tortura fisica e psicologica.

 

Questi sono gli «eroi» che combattono assieme all’Esercito Ucraino contro i soldati russi.

 

E questi eroi del Battaglione Azov, invece di proteggere i loro figli, osano fare di loro carne da macello, arruolando bambini e bambine (qui e qui), in violazione del Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (qui), concernente il coinvolgimento dei minori nei conflitti armati: uno strumento giuridico ad hoc che stabilisce che nessun minore di 18 anni possa essere reclutato forzatamente o utilizzato direttamente nelle ostilità, né dalle forze armate di uno Stato né da gruppi armati.

 

Anche a costoro, inevitabilmente, sono destinate le armi letali fornite dall’UE, compresa l’Italia di Draghi, con l’appoggio dei partiti politici «antifascisti».

 

 

La guerra ucraina nei piani del NWO

La censura contro le emittenti russe è chiaramente volta a impedire che la narrazione ufficiale sia smentita dai fatti. Ma mentre i media occidentali mostrano immagini del videogioco War Thunder (qui), fotogrammi di Star Wars (qui), esplosioni in Cina (qui), video di parate militari (qui), riprese dell’Afganistan (qui), della metropolitana di Roma (qui) o immagini di forni crematori mobili (qui) facendoli passare per scene reali e recenti della guerra in Ucraina, la realtà viene ignorata perché si è già deciso di provocare un conflitto come arma di distrazione di massa che legittimi nuove restrizioni delle libertà nelle Nazioni occidentali, secondo i piani del Great Reset del World Economic Forum e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. 

 

È evidente che il popolo ucraino, al di là delle questioni che la diplomazia potrà risolvere, è vittima dello stesso colpo di stato globale ad opera di poteri sovranazionali che hanno a cuore non la pace tra le Nazioni, ma l’instaurazione della tirannide del Nuovo Ordine Mondiale. Solo alcuni giorni fa, la parlamentare ucraina Kira Rudik ha dichiarato a Fox News, imbracciando un kalashnikov: «Sappiamo che non combattiamo solo per l’Ucraina, ma anche per il Nuovo Ordine Mondiale».

 

Le violazioni dei diritti umani in Ucraina e i crimini delle milizie neonaziste più volte denunciati da Putin non hanno potuto trovare una soluzione politica perché sono stati pianificati e fomentati dall’élite globalista, con la collaborazione dell’Unione Europea, della NATO e del deep state americano, in chiave anti-russa e per rendere inevitabile una guerra dalla quale ottenere, principalmente in Europa, l’adozione forzata di razionamenti energetici (qui), limitazioni agli spostamenti, sostituzione della cartamoneta con moneta elettronica (qui e qui) e adozione dell’ID digitale (qui e qui): non stiamo parlando di progetti teorici, ma di decisioni che stanno per essere prese concretamente a livello europeo e nei singoli Stati. 

 

 

Il rispetto della Legge e delle norme

L’intervento in Ucraina da parte della NATO, degli USA e dell’Unione Europea non pare trovare alcuna legittimazione. L’Ucraina non è membro della NATO, e come tale non dovrebbe beneficiare dell’aiuto di un ente che ha come scopo la difesa degli Stati che vi fanno parte. Lo stesso dicasi dell’Unione Europea, che ha ricevuto solo pochi giorni fa la richiesta di Zelenskyj di entrarne a far parte.

 

Nel frattempo l’Ucraina ha ricevuto dagli Stati Uniti 2,5 miliardi di dollari dal 2014 e altri 400 milioni nel solo 2021 (qui), più altri fondi per un totale di 4,6 miliardi di dollari (qui).

Dopo due anni di violazioni sistematiche dei diritti fondamentali e della Costituzione, risulta difficile credere che vorrà anteporre gli interessi della Nazione a quelli dei suoi mandanti

 

Dal canto suo Putin ha concesso 15 miliardi di dollari di prestiti all’Ucraina, per salvarla dalla bancarotta. L’Unione Europea ha invece inviato 17 miliardi finanziamenti, ai quali si aggiungono quelli dei singoli Stati. Di questi aiuti la popolazione ha beneficiato in minima parte. 

 

Inoltre, intervenendo a nome dell’Unione Europea sulla guerra in Ucraina, Ursula von der Leyen viola gli articoli 9, 11 e 12 del Trattato di Lisbona. La competenza dell’Unione in questo settore è quella del Consiglio europeo e dell’Alto Rappresentante, in nessun caso quella del Presidente della Commissione.

 

A che titolo la Presidente von der Leyen agisce come se fosse a capo dell’Unione Europea, usurpando un ruolo che non le compete? Per quale motivo nessuno interviene, specialmente dinanzi al pericolo al quale si espongono i cittadini europei dinanzi ad una possibile ritorsione russa? 

 

Inoltre, in molti casi le Costituzioni degli Stati che oggi inviano aiuti e armi all’Ucraina non prevedono la possibilità di entrare in un conflitto. Ad esempio, l’art. 11 della Costituzione Italiana sancisce: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». L’invio di armamenti e soldati ad una nazione che non fa parte né della NATO né dell’Unione Europea costituisce di fatto una dichiarazione di guerra alla nazione con essa belligerante (la Russia, in questo caso) e richiederebbe quindi la previa deliberazione dello stato di guerra, come previsto dall’art. 78 della Costituzione: «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari».

 

Non risulta che ad oggi le Camere siano state chiamate ad esprimersi in tal senso, né che il Presidente della Repubblica sia intervenuto per esigere il rispetto del dettato costituzionale. Il Premier Draghi, nominato dalla cabala globalista per la distruzione dell’Italia e il suo definitivo asservimento ai poteri sovranazionali, è uno dei tanti Capi di governo che considera la volontà dei cittadini come un fastidioso intralcio all’esecuzione dell’agenda del WEF.

Il colpo di stato perpetrato con l’emergenza psicopandemica prosegue oggi con nuove decisioni sciagurate, ratificate da un Parlamento senza nerbo

 

Dopo due anni di violazioni sistematiche dei diritti fondamentali e della Costituzione, risulta difficile credere che vorrà anteporre gli interessi della Nazione a quelli dei suoi mandanti: al contrario, quanto più disastrosi saranno gli effetti delle sanzioni assunte dal suo governo, tanto più costui potrà ritenersi apprezzato da loro.

 

Il colpo di stato perpetrato con l’emergenza psicopandemica prosegue oggi con nuove decisioni sciagurate, ratificate da un Parlamento senza nerbo. 

 

Costituisce peraltro una violazione dell’art. 288 del Codice Penale italiano il consentire che cittadini italiani – e addirittura esponenti della maggioranza di Governo e leader politici – rispondano all’appello dell’Ambasciata Ucraina per l’arruolamento nella legione straniera: «Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da 4 a 15 anni». Nessun magistrato, almeno per il momento, è intervenuto d’ufficio per punire i responsabili di questo reato. 

 

Un’altra violazione è rappresentata dall’attività di trasferimento dall’Ucraina all’Italia (e presumibilmente anche in altre Nazioni) dei bambini ottenuti da maternità surrogata, commissionati da coppie italiane in violazione della Legge 40/2004, senza alcuna sanzione per i colpevoli e i complici di questo reato. 

 

Va ricordato anche che le esternazioni di membri del Governo o di esponenti della politica nei confronti della Federazione Russa e del suo Presidente, assieme alle sanzioni adottate, ai ripetuti casi di arbitrarie discriminazioni di cittadini, aziende, artisti e squadre sportive per il solo fatto di essere russi non costituiscono solo una provocazione che andrebbe evitata per consentire una serena e pacifica composizione della crisi ucraina, ma mettono in gravissimo pericolo la sicurezza dei cittadini italiani (e di quelli delle altre Nazioni che adottano analoghi comportamenti). Non si comprende il motivo di tanta sconsiderata temerità, se non nell’ottica di una deliberata volontà di scatenare reazioni nella controparte. 

 

Il conflitto russo-ucraino rappresenta una pericolosissima trappola tesa ai danni dell’Ucraina, della Russia e degli Stati europei.

 

 

L’Ucraina è ultima vittima di consumati carnefici

La crisi russo-ucraina non è scoppiata improvvisamente un mese fa, ma è stata preparata e alimentata da lungo tempo, certamente ad iniziare dal golpe bianco del 2014 voluto dal deep state americano in chiave anti-russa.

 

Lo dimostra, tra gli altri fatti incontestabili, l’addestramento del Battaglione Azov da parte della CIA, «per uccidere i Russi» (qui), con la forzatura da parte dell’Agenzia della revoca dell’emendamento del Congresso del 2015. Anche gli interventi di Joe e Hunter Biden vanno nella medesima direzione.

 

Vi è quindi l’evidenza di una premeditazione a lungo termine, coerente con la inarrestabile espansione della NATO verso est.

 

La rivoluzione colorata di Euromaidan e l’instaurazione di un governo filo-atlantista composto da homines novi addestrati dall’élite del WEF e di Soros, doveva creare le premesse della subalternità dell’Ucraina al blocco atlantista, sottraendola all’influenza della Federazione Russa.

 

A tale scopo, l’azione eversiva delle ong del filantropo ungherese supportate dalla propaganda mediatica ha taciuto i crimini delle organizzazioni paramilitari neonaziste, finanziate dagli stessi sponsor di Zelenskyj. 

 

Ma se il lavaggio del cervello operato dal mainstream nei Paesi occidentali è riuscito a veicolare una narrazione completamente falsata della realtà, altrettanto non può dirsi in Ucraina, dove la popolazione conosce tanto la corruzione della classe politica al potere quanto la sua lontananza dai veri problemi della Nazione.

 

Noi crediamo che gli «oligarchi» siano solo in Russia, mentre essi sono presenti soprattutto nella galassia degli Stati dell’ex-Unione Sovietica, dove possono accumulare ricchezze e potere semplicemente mettendosi a disposizione di «filantropi» e multinazionali straniere.

 

Poco importa se i loro conti offshore sono la causa principale della povertà dei cittadini, dell’arretratezza del sistema sanitario, dello strapotere della burocrazia, della quasi totale assenza di servizi pubblici, del controllo straniero di aziende strategiche, della perdita progressiva della sovranità e dell’identità nazionale: l’importante è «fare soldi», essere immortalati con personaggi politici, banchieri, venditori di armi e affamatori del popolo. Per poi venire in Versilia o sulla Costiera Amalfitana ad ostentare yacht e platinum card al cameriere di Odessa o alla donna delle pulizie di Kiev che mandano ai parenti la paga guadagnata in nero.

 

Questi miliardari ucraini in kippah sono coloro che stanno svendendo l’Ucraina all’occidente corrotto e corruttore, barattando il proprio benessere con l’asservimento dei loro connazionali agli usurai che si stanno impadronendo del mondo, ovunque con gli stessi sistemi spietati e immorali.

 

Ieri tagliavano gli stipendi ai lavoratori di Atene e Tessalonica, oggi hanno semplicemente allargato i loro orizzonti all’Europa intera, in cui la popolazione guarda ancora incredula all’instaurarsi di una dittatura prima sanitaria e poi ambientale. 

 

D’altra parte, come avrebbero fatto costoro, senza il pretesto di una guerra, a giustificare il vertiginoso aumento del prezzo del gas e dei carburanti, forzando il processo di una transizione «ecologica» imposta dall’alto per l’impoverimento controllato delle masse?

 

Come avrebbero potuto far digerire ai popoli del mondo occidentale l’instaurazione della tirannide del Nuovo Ordine Mondiale, quando la farsa pandemica stava sfaldandosi portando alla luce il crimine contro l’umanità compiuto da BigPharma?

 

E mentre l’UE e i Capi di governo danno la colpa alla Russia del disastro incombente, le élites occidentali dimostrano di voler distruggere anche l’agricoltura, per applicare su scala globale gli orrori dell’Holodomor (qui).

 

D’altra parte, in molti stati (compresa l’Italia) si va teorizzando la privatizzazione dei corsi d’acqua – che è un bene pubblico inalienabile – a vantaggio delle multinazionali e con scopi di controllo e limitazione delle attività agricole. Non diversamente si era comportato il governo filoatlantista di Kiev: da otto anni la Crimea era stata privata dell’acqua del Dnepr, per impedire l’irrigazione dei campi e affamare la popolazione.

 

Si comprendono oggi, alla luce delle sanzioni comminate alla Russia e della fortissima riduzione degli approvvigionamenti di grano, gli enormi investimenti di Bill Gates nell’agricoltura (qui), seguendo le stesse spietate logiche di profitto già sperimentate con la campagna vaccinale. 

 

Gli Ucraini, a qualsiasi etnia essi appartengano, sono gli ultimi, inconsapevoli ostaggi dello stesso regime totalitario sovranazionale che ha messo in ginocchio l’economia delle Nazioni con l’impostura della COVID, dopo aver teorizzato pubblicamente la necessità di decimare la popolazione mondiale e di trasformare i superstiti in malati cronici compromettendo irreparabilmente il loro sistema immunitario. 

 

Ci pensino bene, gli Ucraini, ad invocare l’intervento della NATO o della UE, sempre ammesso che siano davvero loro a farlo e non piuttosto i loro corrotti governanti aiutati da mercenari razzisti e da gruppi di neonazisti al soldo dei gerarchi. Perché mentre viene loro promessa la libertà dall’invasore – con il quale condividono la comune eredità culturale e religiosa per esser stati parte della Grande Russia – in realtà si sta cinicamente preparando la loro definitiva cancellazione, il loro asservimento al Grande Reset che tutto prevede fuorché la tutela della loro identità, della loro sovranità, dei loro confini. 

 

Guardino gli Ucraini a quel che è avvenuto ai Paesi dell’Unione Europea: il miraggio di prosperità e sicurezza è demolito dalla contemplazione delle macerie lasciate dall’euro e dalle lobby di Bruxelles.

 

Nazioni invase da immigrati clandestini che alimentano la criminalità e la prostituzione; distrutte nel loro tessuto sociale dalle ideologie politically correct; portate scientemente al fallimento per sconsiderate politiche economiche e fiscali; condotte verso la miseria con la cancellazione delle tutele del lavoro e della previdenza sociale; private di un futuro con la distruzione della famiglia e la corruzione morale e intellettuale delle nuove generazioni. 

 

Quelle che erano state Nazioni prospere e indipendenti, diverse nelle loro specificità etniche, linguistiche, culturali e religiose sono state trasformate in una massa informe di persone senza ideali, senza speranze, senza fede, senza nemmeno la forza di reagire agli abusi e ai crimini di chi li governa.

 

Una massa di clienti delle multinazionali, di schiavi del sistema di controllo capillare imposto con la farsa pandemica, anche dinanzi all’evidenza della frode. Una massa di persone senza identità, marchiate con il QR-code come gli animali di un allevamento intensivo, come i prodotti di un enorme centro commerciale.

 

Se questo è stato il risultato della rinuncia alla propria sovranità per tutti – tutti, nessuno escluso! – gli Stati che si sono affidati alla colossale truffa dell’Unione Europea, perché l’Ucraina dovrebbe fare eccezione? 

 

È questo che volevano, che speravano, che desideravano i vostri padri, quando ricevettero con Vladimiro il Grande il Battesimo sulle rive del Dnepr? 

 

Se vi è un aspetto positivo che ciascuno di noi può riconoscere in questa crisi, è l’aver mostrato l’orrore della tirannide globalista, il suo cinismo spietato, la sua capacità di distruggere e annientare tutto ciò che tocca.

Non sono gli Ucraini che dovrebbero entrare nell’Unione Europea o nella NATO, ma gli altri Stati che dovrebbero finalmente avere un sussulto di orgoglio e di coraggio e uscirne

 

Non sono gli Ucraini che dovrebbero entrare nell’Unione Europea o nella NATO, ma gli altri Stati che dovrebbero finalmente avere un sussulto di orgoglio e di coraggio e uscirne, scrollando da sé questo giogo detestabile e ritrovando la propria indipendenza, la propria sovranità, la propria identità, la propria fede. La propria anima. 

 

Che sia chiaro: il Nuovo Ordine non è un destino ineluttabile, e può essere sovvertito e denunciato se solo i popoli si rendono conto di essere stati ingannati e truffati da un’oligarchia di criminali ben identificabili, per i quali un giorno varranno quelle sanzioni e quei blocchi dei fondi che oggi essi applicano impunemente a chiunque non pieghi il ginocchio dinanzi a loro. 

 

 

Un appello alla Terza Roma

Anche per la Russia questo conflitto è una trappola. Lo è perché esso realizzerebbe il sogno del deep state americano di estrometterla definitivamente dal contesto europeo nei suoi rapporti commerciali e culturali, spingendola tra le braccia della Cina, forse con la speranza che la dittatura di Pechino possa persuadere i Russi ad accettare il sistema di credito sociale e altri aspetti del Great Reset che finora ha saputo evitare almeno in parte.

 

È una trappola non perché la Russia abbia torto nel voler «denazificare» l’Ucraina dai suoi gruppi estremisti e garantire protezione e tutela agli Ucraini di lingua russa, ma perché sono proprio queste ragioni – teoricamente sostenibili – ad esser state create apposta per provocarla e indurla ad invadere l’Ucraina, in modo da suscitare la reazione della NATO preparata da tempo dal deep state e dall’élite globalista.

 

Il casus belli è stato pianificato deliberatamente dai veri responsabili del conflitto, sapendo che avrebbe ottenuto esattamente quella risposta da parte di Putin. E sta a Putin, indipendentemente dal fatto di avere ragione, non cadere nella trappola e anzi ribaltare il banco, offrendo all’Ucraina delle condizioni di pace onorevoli senza proseguire nel conflitto.

 

Anzi, quanto più Putin ritiene di essere nel giusto, tanto più egli dimostrerà la grandezza della sua Nazione e l’amore per il suo popolo col non cedere alle provocazioni. 

 

Mi sia permesso ripetere le parole del profeta Isaia: Dissolve colligationes impietatis, solve fasciculos deprimentes, dimitte eos qui confracti sunt liberos, et omne onus dirumpe; frange esurienti panem tuum, et egenos vagosque induc in domum tuam; cum videris nudum, operi eum, et carnem tuam ne despexeris. Tunc erumpet quasi mane lumen tuum; et sanitas tua citius orietur, et anteibit faciem tuam justitia tua, et gloria Domini colliget te. Sciogli le catene inique, togli i legami del giogo, rimanda liberi gli oppressi e spezza ogni giogo; dividi il pane con l’affamato, accogli in casa tua i miseri e i senza tetto; se vedi uno nudo, vestilo, e non nasconderti a colui che è carne della tua carne. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. (Is 58, 6-8). 

La crisi mondiale con cui si prepara la dissoluzione della società tradizionale ha coinvolto anche la Chiesa Cattolica, la cui Gerarchia è ostaggio di apostati cortigiani del potere

 

La crisi mondiale con cui si prepara la dissoluzione della società tradizionale ha coinvolto anche la Chiesa Cattolica, la cui Gerarchia è ostaggio di apostati cortigiani del potere. Vi fu un tempo in cui i Pontefici e i Prelati affrontavano i Re senza rispetti umani, perché sapevano di parlare con la voce di Gesù Cristo, Re dei re.

 

La Roma dei Cesari e dei Papi è deserta e muta, come è muta da secoli la Seconda Roma di Costantinopoli. Forse la Provvidenza ha stabilito che sia Mosca, la Terza Roma, ad assumersi oggi dinanzi al mondo il ruolo di κατέχον (2Tess 2, 6-7), di ostacolo escatologico all’Anticristo.

 

Se gli errori del Comunismo sono stati diffusi dall’Unione Sovietica, giungendo ad imporsi finanche dentro la Chiesa, la Russia e l’Ucraina possono avere oggi un ruolo epocale nella restaurazione della Civiltà Cristiana, contribuendo a portare al mondo un periodo di pace dal quale anche la Chiesa risorgerà purificata e rinnovata nei suoi Ministri. 

 

Gli Stati Uniti d’America e gli Stati europei non devono emarginare la Russia, ma anzi stringere con essa un’alleanza non solo per il ripristino degli scambi commerciali per la prosperità di tutti, ma in vista della ricostruzione di una Civiltà Cristiana, che sola potrà salvare il mondo dal mostro globalista tecnosanitario e transumano. 

 

 

Considerazioni finali

Suscita grande preoccupazione che i destini dei popoli siano nelle mani di un’élite che non risponde a nessuno delle proprie decisioni, che non riconosce alcuno sopra di sé e che per perseguire i propri interessi non esita a mettere a repentaglio la sicurezza, l’economia e la stessa vita di miliardi di persone, con la complicità dei politici al loro servizio e dei media mainstream.

 

Le falsificazioni dei fatti, le grottesche adulterazioni della realtà e la partigianeria con cui sono diffuse le notizie si affiancano alla censura delle voci dissenzienti e giungono a forme di persecuzione etnica nei confronti dei cittadini russi, discriminati proprio nei Paesi che si dicono democratici e rispettosi dei diritti fondamentali.

Gli Stati Uniti d’America e gli Stati europei non devono emarginare la Russia, ma anzi stringere con essa un’alleanza non solo per il ripristino degli scambi commerciali per la prosperità di tutti, ma in vista della ricostruzione di una Civiltà Cristiana, che sola potrà salvare il mondo dal mostro globalista tecnosanitario e transumano

 

Auspico che il mio appello alla costituzione di un’Alleanza Antiglobalista che unisca i popoli nell’opposizione alla tirannide del Nuovo Ordine Mondiale possa essere raccolto da quanti hanno a cuore il bene comune, la pace tra le Nazioni, la concordia tra i popoli, la libertà dei cittadini e il futuro delle nuove generazioni.

 

E prima ancora, che le mie parole – assieme a quelle di tante persone intellettualmente oneste – contribuiscano a portare alla luce le complicità e la corruzione di chi si avvale della menzogna e della frode per giustificare i propri crimini, anche in questi momenti di grande apprensione per la guerra in Ucraina. 

 

«Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e nel lavoro» (Pio XII, Radiomessaggio ai governanti e ai popoli nell’imminente pericolo della guerra, 24 Agosto 1939). 

 

Possa la Santa Quaresima indurre tutti i Cristiani ad invocare alla Maestà divina il perdono per i peccati di quanti calpestano la Sua santa Legge: la penitenza e il digiuno muovano a misericordia il Signore Iddio, mentre ripetiamo le parole del profeta Gioele: Parce, Domine: parce populo tuo; et ne des hæreditatem tuam in opprobrium, ut dominentur eis nationes. Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al vituperio, alla derisione delle genti (Gl 2, 17). 

 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo, ex Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America

 

6 Marzo 2022

Dominica I in Quadragesima

 

 

 

 

Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Continua a leggere

Pensiero

Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?

Pubblicato

il

Da

Al momento in cui scrivo la conta dei morti del massacro di Mosca è di 60 morti e 140 feriti.

 

Abbiamo raccolto e mostrato qualche immagine agghiacciante: sì, un commando è entrato in un centro commerciale (su qualche canale ebete di Telegram avete letto che era un municipio: il traduttore automatico dei geni ha tradotto «Crocus City Hall» in «Municipio di Crocus», come se Crocus fosse un quartiere della capitale russa; gli ignoranti che seguite sui social fanno anche questo) con fucili automatici e hanno iniziato a sparare all’impazzata. Sono stati colpiti anche dei bambini, e due dodicenni sarebbero gravi.

 

È interessante notare quanto siano restii i nostri media a pronunziare, davanti allo schema perfettamente ripetuto, la parola che aveva inondato il discorso pubblico sul terrorismo quasi dieci anni fa: Bataclan.

 

Il disegno tecnico è il medesimo: colpire la popolazione comune, falciandola con armi a ripetizione e magari qualche bomba suicida o meno, nel momento di massimo svago e massima vulnerabilità – quando va a vedere un concerto. Sparare sulla gente quando è concentrata in un unico punto ed indifesa. Massacrare in maniera massiva per compiere il lavoro del terrorismo, e portare il suo messaggio.

Sostieni Renovatio 21

Mosca è stata bataclanizzata. I grandi media non vogliono dirvelo – perché significherebbe elevare il popolo russo a vittima, dopo due anni di campagna martellante per convincerci che la Russia è carnefice. E poi, soprattutto, nessuno ha voglia davvero di guardarci dentro: se il disegno è lo stesso del Bataclan, gli autori sono gli stessi? I mandanti pure?

 

Alla rivendicazione dell’ISIS, buttata subito in stampa da tante testate internazionali, non possiamo credere. Curioso, tuttavia, che l’ISIS possa voler colpire la Russia proprio ora, quando l’intervento in Siria è finito da anni…

 

L’Ucraina, per bocca di un ciarliero e molto visibile tizio consigliere di Zelens’kyj, Mikhailo Podolyak (quello che aveva insultato il papa e il cristianesimo) ha detto non siamo stati noi, mentre altri ucraini hanno ovviamente tirato fuori l’hastatoputin. Chiaramente, ci vogliono far credere, è un false-flag del Cremlino per scatenarsi, anzi, guarda, è la festa personale di Putin per aver vinto l’elezione con quasi il 90% dei voti. Come no. (in rete circolano meme divertenti con il passaporto di un terrorista miracolosamente, come al solito, ritrovato sul luogo del delitto: la foto è quella di un Putin barbuto)

 

Si tratta della più grande strage terrorista dai primi anni 2000. Qualcuno ricorderà i 130 morti (più quaranta terroristi) e i 700 meriti della crisi del Teatro Dubrovka, quando vennero sequestrati 850 civili da un gruppo di islamisti separatisti ceceni.

 

Dobbiamo capire che la vittoria sulla questione cecena – e sul terrorismo correlato – è stata la scala d’ingresso di Putin verso il Cremlino. La Cecenia era un disastro che poteva trascinare giù tutta la Russia: un alveare terrorista nel cuore del Paese, e allo stesso tempo un fattore di demoralizzazione devastante per la popolazione. Erano i primissimi tempi di internet, ma già circolavano i video, poi perfezionati da ISIS e compagni, di sgozzamenti di soldati e civili russi.

 

Putin fu colui che mise fine al pericolo. Da primo ministro ha vinto la Seconda Guerra Cecena, di fatto sottomettendo una fazione in lotta, quella di Kadyrov, il cui figlio ora al potere a Grozny manda i suoi soldati a combattere in Ucraina con adunate oceaniche negli stadi dove si grida «Allahu Akbar» e subito dopo «viva il presidente Putin».

 

La strage di Dubrovka non è stata la sola. Poco dopo, ci fu il massacro di Beslan, ancora più intollerabile nella volontà terrorista di colpire gli indifesi: il 1 settembre 2004 un gruppo di 32 fondamentalisti separatisti ceceni entrò in una scuola elementare e sequestrò 1200 persone, per maggior parte bimbi. Ricordate quell’immagine: una bomba pronta ad esplodere piazzata dentro il canestro della palestra, e i bambini sotto. Il conto, dopo che gli Spetsnats (le forze speciali russe) liberarono la scuola, fu di oltre trecento morti, di cui 186 bambini, e 700 feriti. Quasi tutta la scuola è stata ferita dal terrorismo.

 

Si tratta di traumi che i russi pensavano passati. Sono seguiti gli anni putiniani dove stipendi e pensioni sono saliti di 7, 15 volte. Dove il popolo russo, che dopo il 1991 aveva cominciato a perdere un milione di persone l’anno (alcol, disperazione) ha ritrovato la dignità, e, parola chiave per capire Putin e la Russia odierno, rispetto.

 

Il terrorismo, essenzialmente, è un linguaggio. Ogni atto terroristico ha un messaggio da portare al mondo – questo è quello che ci dicono, almeno. Sappiamo che il messaggio è, in genere, più di uno. C’è un messaggio di superficie, quello dei perpetratori: vogliamo l’indipendenza, vogliamo vendetta, vogliamo la shar’ia, vogliamo la fine dell’occupazione, cose così.

 

Poi c’è il messaggio profondo, quello dei veri mandanti, di cui non si può discutere, perché non si può saperne nulla.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Le stragi dei primi 2000 avevano, come messaggio di superficie, la Cecenia: la terra dove Putin aveva riportato l’ordine, promettendo di inseguire i terroristi anche al cesso ed ucciderli lì, disse in una famosa dichiarazione.

 

Il messaggio profondo possiamo immaginare fosse un altro: lasciaci continuare a depredare la Russia. Il desiderio, profondo ed irrevocabile, dei veri mandanti, che non necessariamente stavano in russo.

 

I terroristi takfiri ceceni, si è detto, potevano aver legami con oligarchi nemici di Putin riparati all’estero. Era chiaro cosa volevano gli oligarchi ribelli: proseguire, anche per conto dei loro soci occidentali, la razzia resasi possibile con il crollo dell’Unione Sovietica nel decennio di Eltsin, come visibile, ad esempio, nel caso magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, quello che Pierferdi Casini difendeva al Parlamento italiano, prima di essere imprigionato da Putin si diceva avesse trasferito le sue quote a Lord Nathaniel Jacob Rothschild, quello dei quadri satanici con Marina Abramovic spirato pochi giorni fa. Liberato dalla clemenza di Putin prima delle Olimpiadi 2014 (l’Occidente ringraziò organizzando poco dopo i Giochi di Sochi Piazza Maidan a Kiev), il Khodorkhovskijj ora è tornato a galla per la questione ucraine, i giornali lo definiscono «oppositore di Putin».

 

Vi sono tuttavia casi più evidenti. Rapporti tra terroristi ed oligarchi furono discussi per uno dei nemici più acerrimi di Putin, l’oligarca riparato a Londra Boris Berezovskij. Una trascrizione di una conversazione telefonica tra Berezovsky e il fondamentalista Movladi Udugov – attualmente uno degli ideologi e il principale propagandista del cosiddetto Emirato del Caucaso, un movimento militante panislamico che rifiuta l’idea di uno stato ceceno meramente indipendente a favore di uno stato islamico che comprenda la maggior parte del Caucaso settentrionale russo e si basi su principi islamici e sulla legge della shar’ia – fu trapelata su uno dei tabloid di Mosca il 10 settembre 1999. Udugov propose di iniziare la guerra del Daghestan per provocare la risposta russa, rovesciare il presidente ceceno Aslan Maskhadov e fondare la nuova repubblica islamica di che sarebbe stata amica della Russia pre-putiniana.

 

Dopo la Seconda Guerra Cecena, Berezovskij aveva mantenuto i rapporti con i signori della guerra islamisti. Nel 1997, nell’ambito di supposte attività di ricostruzione della Cecenia, fece una donazione di 1 milione di dollari (alcune fonti menzionano 2 milioni di dollari) per una fabbrica di cemento a Grozny. Per tale pagamento fu negli anni accusato di finanziare i terroristi ceceni.

 

Il 23 marzo 2013 Berezovskij, che bazzicava il World Economic Forum di Davos e aveva avuto un ruolo attivo nella rielezione di Eltsin nel 1996, fu trovato morto nel bagno nella sua villa nel Berkshire, vicino ad Ascot, luogo caro alla nobiltà britannica. Dissero dapprima che era depresso, perché aveva perso una causa con Roman Abramovic (ex patron del Chelsea, anche lui oligarca ebreo ultramiliardario che però si era sottomesso a Putin) e quindi aveva debiti; la polizia inglese invece disse che era una morte senza spiegazioni e volle lanciare un’inchiesta, ma non arrivò a nulla. Si dice prendesse farmaci antidepressivi, e un giorno prima di morire avrebbe detto ad un giornalista londinese che non aveva più niente per cui vivere.

 

Parlo della morte di Berezovskij perché all’epoca notai come potesse essere correlata ad una strage terrorista dall’altra parte del mondo: il 15 aprile dello stesso anno due bombe esplodono alla Maratona di Boston ammazzando tre persone e ferendone 250. Vengono accusati due fratelli ceceni, Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev. Emerse che loro zio, che i giornali dissero subito si era dissociato dalla deriva islamista dei nipoti, era stato sposato con la figlia di un agente CIA, con cui avrebbe pure convissuto.

 

Difficile capirci qualcosa: tuttavia, la domanda che mi feci, all’epoca, era: il messaggio profondo della strage bostoniana è che, morto Berezovskij, qualcuno stava chiedendo il riequilibrio di questa rete antirussa occulta che attraversa il mondo.

 

La mia era solo una supposizione. Di certezze sulle connessioni tra gli americani e gli islamisti ceceni, invece, ne ha Vladimir Putin.

 

In una sequenza di tensione rivelatrice del documentario che Oliver Stone ha dedicato a Putin – un’intervista di ore e ore tra il 2015 e il 2016 – il presidente russo dà una notizia piuttosto gigantesca: racconta che gli USA, trovati ad aver contatti con i terroristi ceceni, hanno risposto alle rimostranze del Cremlino dicendo che essi erano autorizzati diplomaticamente a parlare con chi volevano.

 

Putin era visibilmente scosso: la Cecenia, per lui che l’aveva vinta come prima missione della sua carriera ai vertici, significava tanto: il dolore di tanti morti, il rischio di far finire la Russia, ancora una volta, in una spirale di razzia e violenza, in pratica di farla sparire dalla storia.

 

Discorsi simili sono stati fatti poche settimane fa nell’intervista che Putin ha concesso a Tucker Carlson. Il presidente russo lo aveva ripetuto ai giornalisti anche l’anno scorso: «nel Caucaso l’Occidente sosteneva Al-Qaeda». Washington appoggia il terrorismo antirusso, in sintesi. Per gli italiani che si ricordano quando – al tempo non c’era la parola «complottista» – si parlava della Strategia della Tensione, non è una storia tanto campata in aria.

Aiuta Renovatio 21

E quindi, qual è il messaggio della strage terrorista al Crocus di ieri sera?

 

È lo stesso, crediamo, di quello di quando l’anno scorso hanno bombardato a Mosca Darja Dugina o a San Pietroburgo il blogger Vladen Tatarskij: vogliono ri-cecenizzare la Russia.

 

Vogliono riportare le lancette indietro a quegli anni, quando Mosca era debole, il popolo incerto ed impaurito, e le risorse del bicontinente libere per i rapaci internazionali. Quando c’era il terrorismo islamico, usato come solvente da un potere superiore per distruggere definitivamente ogni potere indipendente per la Russia e piegare nella paura la psiche del popolo russo.

 

Tutto questo è durato fino a Putin. I mandanti non hanno mai accettato di aver perso. E quindi, nell’ora del trionfo politico e popolare di Putin, ripetono il messaggio. Puoi anche vincere le elezioni, puoi anche avere l’affetto del tuo popolo: noi te lo possiamo portar via a suon di mitragliate terrorista. Puoi vincere la guerra ucraina, noi massacreremo le famiglie ai concerti a Mosca. Lo faremo con i ceceni, con gli ucraini, con i daghestani, con i nazisti russi, con chiunque potremo manovrare.

 

Ora, da temere, più che il messaggio, che è chiaro, è la risposta che darà Putin.

 

Perché, come è evidente, potrebbe essere l’innesco della Terza Guerra, che di fatto l’élite occidentale, brama affannosamente.

 

Roberto Dal Bosco

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua a leggere

Pensiero

Il diritto e il suo fondamento. Dall’antica Roma al COVID, da Hegel a Gaza

Pubblicato

il

Da

Il senso logico e deontologico del diritto quale «regolamento normativo dei rapporti sociali» è stato spesso complicato dalla incomprensione della sua origine, ovvero dalla frequente dimenticanza della sua formazione che, al di là di tante variabili, non può non essere ritenuta sempre identica per ogni agglomerato umano costretto dalle contingenze a convivere e a darsi per questo delle regole.   Anche l’eterna diatriba, spesso sterile, sugli elementi distintivi del diritto rispetto ad altre manifestazioni della vita dello spirito, in primis alla morale, ha finito spesso per oscurare questa verità elementare, contribuendo ad alimentare i tanti ultimi paradossi cui è approdato il fenomeno giuridico, legislativo e giudiziario.   La necessità della convivenza implica la necessità di un ordine, quindi richiede che vi sia una autorità capace di porre le regole, e di garantirne il rispetto, condizione indispensabile perché esse rimangano effettive. Ma implica altresì che si sia formata una coscienza comune di come esista già un ordine naturale che va messo in forma secondo quella naturalis ratio ciceroniana che distingue e dovrebbe sempre distinguere l’umano.   Ora, se occorre un potere che imponga le regole, siamo già nel campo della politica come azione di governo della comunità, ovvero le regole sono un prodotto della politica. Ma il potere, e quindi la politica, sono esposti alla possibilità dell’arbitrio e il diritto, da strumento di garanzia della ordinata convivenza sociale, può diventare strumento a sua volta di dominio e di arbitrio, tradendo la propria funzione.   Insomma, si innesca il fatale circolo vizioso per cui il diritto è prodotto della politica, dalla quale deve però difendersi. Secondo l’ineccepibile schema aristotelico, è un prodotto della razionalità umana che si esprime nella politica, ma finisce per potere essere travolto dalla stessa irrazionalità da cui viene travolta l’azione politica quando essa devia da quella funzione di governo che è anch’essa indispensabile per una ordinata vita di relazione.   Insomma, si pone il problema della giustizia delle regole, della loro imposizione e applicazione, ovvero della loro rispondenza alla finalità, sorretta dalla ragione, di realizzare il bene oggettivo. L’episodio di Salomone e delle due donne che rivendicavano la propria maternità sul medesimo bambino riassume in modo esemplare questo schema ideale della retta ragione che riconosce e salva a vantaggio di tutti un valore superiore di verità, per metterla a guardia del bene comune.   E il criterio della giustizia secondo ragione deve guidare il diritto e il potere, altrimenti esposti alla minaccia della prepotenza e della irragionevolezza. Di qui anche la esigenza, sentita fin dai tempi più antichi, di ancorare la legge umana ad un parametro oggettivo che, stando al di sopra di ogni soggettivismo ed egotismo, garantisca la fedeltà della legge alla sua vocazione ordinatrice e pacificatrice, e dunque ad una volontà superiore incontrovertibile.   Di qui il senso del diritto va ricercato in una dimensione metafisica che rifletta esigenze umane superiori. Anche la legge mosaica è stata dettata perché il popolo era di dura cervice, ed è rimasta valida al di là e al di sopra della storia.

Sostieni Renovatio 21

I greci non svilupparono per nulla un sistema giuridico organico quale quello partorito dalla razionalità pratica romana, ma la loro attitudine filosofica colse l’aspetto spirituale che ogni attività normativa poteva scoprire condizionando la direzione dell’operato umano.   Dunque, è sempre una divinità, Temi, madre di Dike a rappresentare lo spirito e la volontà di giustizia (Walter Otto, Gli dei della Grecia, pag. 157), ovvero a dare ordine alle cose attraverso la giustizia.   Infatti, attraverso le sue tre figlie, le Ore, Eunomia, Dike, e Irene – ovvero buon ordine, giustizia e pace – guida l’operato degli uomini. E Dike in particolare, che siede accanto a Zeus, ha il compito di indicare all’uomo il modo di condurre la propria esistenza secondo giustizia (dicaiusine), che vuol dire secondo la stessa armonia con cui si muove il mondo iscritto nel cosmo. Ed è costretta a vagare piangendo e strepitando quando qualcuno dei mortali contravviene a quelle indicazioni, guidato dalla propria insana hybris. In questo senso il concetto oggettivo e soggettivo di giustizia si saldano, e uomo giusto è chi pratica la giustizia secondo i criteri superiori preordinati.   Ulpiano tradurrà lo stesso concetto, con linguaggio pratico, nel suum cuique tribuere, da intendere in senso metaforico ampio, come regola di equilibrio oggettivo e non certo nel senso ristretto contabile della giustizia distributiva.   La giustizia suggerita da Dike è dunque equilibrio di rapporti e di azioni, quella misura che, se rotta dall’hybris, porta l’uomo alla perdizione, ovvero porta alla perdizione le genti governate dall’hybris.   Insomma, il mito richiamava felicemente ai criteri che debbono essere rispettati perché si abbia una vita buona e quindi anche un buon governo degli uomini. E quei criteri sono di origine divina, trascendono le volontà umane. Ma è anche evidente che l’esigenza di fissare questi criteri a priori non si sarebbe manifestata a sua volta, se l’esperienza non avesse mostrato che un ordine normativo implica il potere di attuarlo e il potere è sempre esposto al pericolo dell’arbitrio.   Ovvero al pericolo che le finalità pacificatrici e ordinatrici delle norme vengano tradite o stravolte da chi detiene il potere e lo impiega per scopi che nulla hanno a che fare con esse. Ogni forma di imposizione delle leggi per scopi che non sono quelli del bene della comunità, produce la degenerazione del diritto e la perdita della sua funzione sostanziale.   Di qui la necessità di predeterminare i criteri che debbono guidare un buon esercizio del potere e la sua valutazione in concreto. Di qui la necessità di ancorare la legge a una autorità superiore trascendente l’umano, non esposta ai capricci del tempo e delle passioni tristi, che non può e non deve essere messa in discussione e tanto meno disattesa.   Dunque, al di là della genesi che si può attribuire in generale al fenomeno giuridico e alle diverse disposizioni antropologiche, vi sono delle costanti evidenti, come è appunto il presupposto religioso quale fondamento che garantisce stabilità e coerenza al sistema normativo.   Tutti i concetti fondamentali afferenti al mondo del diritto possono poi essere ricercati nella eredità giuridica di Roma che è stata capace di creare il sistema più compiuto e geniale, generalmente accolto o riconosciuto nel tempo quale archetipo indiscusso ed esemplare.   Possiamo osservare anzitutto che, se dal medievale «directum» si è imposta una terminologia diventata corrente per definire ogni sistema normativo dell’Europa continentale, è lo jus romano originario a riportarci alla sua più profonda prospettiva concettuale.   La radice comune con jussum implica il comando e quindi il potere e l’autorità di imporre l’obbedienza alle regole e garantirne l’osservanza attraverso i necessari mezzi coercitivi, morali e all’occorrenza materiali. Ma ha anche la stessa radice di Juppiter ed è anzitutto una formula religiosa quella che all’inizio ha forza di legge, per lungo tempo appannaggio del Pontifex, il quale interpreta e trasmette al popolo la volontà divina.   Abbiamo visto come la regola porti con sé anche l’esigenza di un contenuto adeguato alla sua funzione, e in questo senso sia buona, cioè giusta. Dallo jus deriva anche la romana justitia arrivata anche nella terminologia fino a noi.   Dunque anche il diritto arcaico romano ebbe un fondamento squisitamente religioso e proprio da quello che sarebbe diventato il più grandioso sistema giuridico mai creato vediamo come il diritto abbia richiesto fin dall’origine un forte e rassicurante ancoraggio in una volontà superiore e trascendente, secondo una connessione che ha accompagnato tutta la storia umana sia pure in forme e misura variabile, e che sono state rimesse alla volontà degli dei le regole della vita sociale, alla quali si è voluta dare stabilità.   Insomma, nella visione in cui Dio vuole il bene degli uomini e la loro ordinata sopravvivenza, la legge divina quale legge naturale che precede la legge umana pone ad essa i criteri indefettibili sui quali deve essere modellata per presentarsi anche come giusta. Il criterio della giustizia ha bisogno di essere formulato al di là e al disopra delle particolarità e delle contingenze storiche e sociopolitiche, dei venti di dottrina, e modellato sulle leggi eterne del buon vivere comune.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Tuttavia, bisogna anche precisare che un conto è il piano del diritto interno, che regola la vita di una comunità omogenea e autonoma, e, prima ancora, quello della coscienza che guida il comportamento individuale, e un conto quello dei rapporti tra comunità estranee fra loro e tendenzialmente in conflitto.   Qui il campo dell’etica si articola secondo criteri che spesso hanno poco a che fare con quelli della morale individuale e dell’etica collettiva in cui va la prima a riflettersi. Di fatto qui prende corpo quella che impropriamente chiamiamo legge del più forte, perché non rappresenta un qualche principio normativo, quanto un fenomeno oggettivo della realtà effettuale e che, se proprio gli si volesse conferire un contenuto normativo, andrebbe avvicinata alle leggi da cui sono governate le specie animali, leggi che chiamiamo naturali in quanto rispecchiano una realtà empiricamente verificata.   A proposito di Roma, è stato osservato come, al pari del diritto privato, dominato dai principi della buona fede e dell’equità, la vita privata continuò a svolgersi secondo principi etici consolidati, mentre nella vita pubblica dominava già l’homo homini lupus. Segno che la logica e la coerenza interna al sistema, e allo stesso tempo la miracolosa capacità di armonizzare l’ancoraggio ai principi del mos maiorum con la necessità di modellare nuovi istituti alle sempre mutevoli contingenze socioeconomiche, attraverso la creatività delle proprie magistrature, assicurò la sopravvivenza secolare del sistema al di là delle fortissime turbolenze interne ed esterne.   «Religione, Politica e Diritto, configurano tre aspetti della Norma i quali risulteranno a Roma strettamente vincolati tra loro». E questa connessione rispondeva e risponde oggettivamente ad una esigenza profonda la cui dimenticanza può generare mostri, come ha dimostrato e continua a dimostrare la storia. Ma, come vedremo presto, può generare mostri anche quella torsione particolare tra religione e politica che si è verificata ab antiquo nell’ebraismo e in tempi più vicini con il protestantesimo specie calvinista.   D’altra parte, se Dio è anche il legislatore dichiarato, il problema del fondamento della legge è stato posto nei suoi termini teorici. Ma questo non esaurisce di per sé ancora quello dei contenuti, della bontà delle leggi, che si trasferisce sul dio legislatore. Dunque, si pone il problema della teodicea e della sua possibile contraddizione interna. Ed è evidente come si profili ancora l’ombra di un circolo vizioso quando la legge che si fa discendere da Dio contraddica proprio quella funzione ordinatrice e pacificatrice che le era stata attribuita.   Circolo vizioso dal quale è possibile uscire soltanto mettendo a fuoco quale sia la legge fondamentale che sostanzia la volontà divina. Più semplicemente, di fronte ad una molteplicità di teodicee, occorre affrontare la realtà di un diverso spirito che sostanzia l’una o l’altra. E soprattutto la diversità dei canoni ermeneutici a seconda dei campi di applicazione, ovvero delle regole che debbono guidare la vita interna di una società da un lato e quelle da applicare nei rapporti tra le diverse società e culture.   Non per nulla oggi si torna a parlare molto di teologia politica di fronte a fenomeni a volte contraddittori, a volte persino malignamente coerenti afferenti al rapporto tra religione, diritto e politica.   A questo proposito è particolarmente interessante rileggere quello Spirito del Cristianesimo e il suo destino che raccoglie alcuni scritti giovanili di Hegel, pubblicati postumi, e che offre non pochi spunti di riflessione sulle terribili vicende mediorientali.   Occorre subito precisare anzitutto che per «destino» vi si intendono le conseguenze che certi presupposti religiosi determinano nella realtà sociopolitica. Infatti, nella visione ideale offerta dal cristianesimo, letto ovviamente in chiave protestante come Chateubriand lo leggeva in chiave cattolica, poiché il presupposto su cui si fonda e da cui muove è l’amore, le conseguenze che ne derivano razionalmente sono la tendenza verso una pace universale che, se non è quella perpetua della utopia kantiana, guida la vita dei popoli nella direzione del bene comune interno e della convivenza pacifica all’esterno.   Ora, mettendo da parte questo assunto per il momento, è interessante fermare l’attenzione sul paragone che egli propone con l’ebraismo e con la cultura abramitica.   Se da un lato il cristianesimo ha come legge fondamentale quella dell’amore, pur declinato e di fatto interpretato in una grande varietà di accezioni, «il Dio di Abramo disprezza tutto il mondo tranne il popolo eletto unico favorito, con il corollario che questo sceglie con Abramo di vivere in assoluta separatezza ideale dagli altri, mentre la sua liberazione è espressione del favore di Dio e non frutto della propria volontà».   Dunque, secondo questa interpretazione, il destino del popolo ebraico è quello di una profonda scissione anche rispetto alla natura, mentre ogni sua liberazione sarà fonte di inimicizia aggressiva nei confronti degli altri popoli con cui verrà in contatto.   Inutile dire come questa analisi teologico politica si adatti alla tragica realtà che abbiamo ora sotto gli occhi, e possa spiegare scelte che appaiono insensate e incomprensibili anche da un punto di vista dell’utile meramente politico. Ma i fatti di Gaza e il fine di annientamento che guidano i comandi israeliani e non impensieriscono i loro concittadini sembrano inverare la analisi hegeliana della separatezza ancestrale anche dagli altri uomini e dal comune sentire, ma con in più la allucinata determinazione psicotica che fu propria, per ironia della sorte, dei famigerati persecutori degli ebrei nel cuore dell’Europa.   Segno che affermare il fondamento trascendente delle azioni umane è necessario e plausibile soltanto in quanto orienti al bene l’operato degli uomini che hanno il compito di attivare a questo scopo il dono della ragione. Questa è stata anche la lezione di Benedetto XVI a Regensburg, il cui monito era ad ampio spettro e si rivolgeva di certo a tutti quanti cerchino di agire con ingiustizia nel nome di Dio.

Aiuta Renovatio 21

Va anche osservato come le stesse ascendenze religiose di quel protestantesimo che condivide con l’ebraismo l’elezione divina sembrano produrre in molti casi i medesimi effetti insensati e altrettanto devastanti, ben al di là del campo della economia capitalistica in cui il fenomeno è stato rilevato da Weber.   Quella stessa elezione divina che dal calvinismo all’inizio è stata riservata all’individuo, alla fine ha potuto diventare genericamente, specie nella autostima angloamericana, elezione di popolo. Ma soprattutto ha potuto tradursi, in oligarchie dinastiche e di censo sostanzialmente atee, nella ipertrofia di un ego onnipotente e legibus solutus. E dunque capace di tutto.   Di qui la consonanza di sensi e visione del mondo che lega la oligarchia statunitense a Israele. Una oligarchia che cerca nel conflitto procurato e perpetuo la conferma del proprio destino di potere su uomini e cose. Salvo poi incappare negli imprevisti della storia e negli errori di calcolo che distruggono spesso i teoremi e le allucinazioni della volontà di potenza.   Del resto, come è stato osservato, Hegel nel riferirsi all’ebraismo proponeva semplicemente un modello negativo da non seguire, un paradigma dal quale bisognava staccarsi nella certezza che il bene individuale e collettivo può venire soltanto dalla conciliazione tra Dio, uomo e natura, che sola può contribuire ad una vita buona per tutti.   Il problema del rapporto tra Cristianesimo, diritto e politica, non è proponibile in uno spazio limitato. Esso è stato molto articolato anche in ragione di un pensiero teologico in perenne affanno filosofico e dei travagli politici della Chiesa fino alla sua secolarizzazione avviata col Concilio Vaticano II e quasi completata ormai da Bergoglio nel plauso degli ateisti che confondono la religione con la religiosità della ideologia.   Del resto, la connessione stessa tra religione, diritto e politica e i loro condizionamenti reciproci si articola sempre in modi molto diversi, nel tempo e nello spazio.   Basti pensare ad esempio alla capacità singolare dimostrata dal diritto romano di mantenere nel tempo la propria coerenza concettuale in una articolata rete di istituti consolidati e paradigmatici, al di là di ogni turbolenza politica e di ogni convulsione della storia. Forse è stata proprio questa solidità persistente della creazione giuridica romana a far sì che il concetto stesso di diritto sia rimasto definito e incontaminato nella sua sostanza concettuale e ideale e sia vissuto di luce propria almeno fino ai giorni nostri dove, svuotato di ogni contenuto di valore, ma caricato soltanto della funzione coercitiva utile al potere dominante, si riduce a mero e brutale instrumentum regni al quale regno assicura una suggestionata e cieca obbedienza.   Ora infatti abbiamo a che fare con fenomeni normativi contingenti quanto aberranti che del diritto tradiscono il senso e la funzione e condividono abusivamente con esso solo il nome. Norme positive, cioè poste, che traggono la propria cogenza soltanto dalla validità formale e ottengono quindi obbedienza indipendentemente dalla loro intima contraddizione con il senso e la funzione propria del diritto, e con il dettato costituzionale.   Perché la stessa Costituzione, da legge fondamentale scritta, è diventata manu militari, cioè in via politica, un vaporoso insieme di massime estemporanee liberamente interpretabili in senso favorevole al demagogo di turno, come l’oroscopo di un settimanale femminile.   In altri termini, del perverso, e sempre in agguato, circolo vizioso tra politica e diritto sottomesso al suo arbitrio, oggi viviamo ulteriori e spettacolari manifestazioni, in ragione anche di fenomeni inediti. Infatti, oggi, dopo secoli di elaborazione del pensiero giuridico e del pensiero politico, di impennate verso il superamento e l’uscita dal circolo vizioso attraverso l’utopia democratica, ci vediamo precipitati, all’interno come all’esterno, nel punto più basso della degenerazione del diritto pubblico e privato e, nei suoi limiti, internazionale, almeno in proporzione con quelli che ne erano stati ritenuti i progressi.   Per non dire della devastazione dei principi etici che dal diritto debbono essere messi in forma. Il diritto soggettivo, che dovrebbe rappresentare la tutela accordata ad un interesse meritevole per la collettività, diventa la coccarda appuntata sul petto di ogni fenomeno contro ragione e contro natura.   L’arbitrarietà con cui viene tradita la morale cristiana, la funzione sostanziale del diritto e della politica, riproducono le insensatezze, le imposture o le mostruosità etiche che corrispondono perfettamente a quelle estetiche. Queste spesso si presentano con l’etichetta di arte contemporanea, mentre distano dal concetto di arte che ha potuto formarsi su modelli storicamente riconosciuti dallo spirito, dall’intelletto e dalla sensibilità umana fino a quando questi non sono stati prima confusi e poi del tutto ottusi da corrive quanto plateali imposture.   Parimenti il concetto di diritto oggettivo, come quello di diritto soggettivo che dal primo nasce per filiazione quando una pretesa del soggetto, individuale o collettivo, viene riconosciuta meritevole di tutela, è ormai radicalmente contraffatto. Primo perché non ricava la propria validità da un base razionale, ma semplicemente dal potere che lo pone. Valga per tutti l’esempio delle restrizioni imposte con la cosiddetta pandemia non sulla base della conoscenza dei fatti, ma per la sudditanza di fronte a sistemi di potere incontrollati riconosciuti superiori una tantum. Tutto riassunto in un compendio, abbiamo trovato la abolizione della sovranità normativa, la confusione tra i poteri dello Stato. la degenerazione degli assetti istituzionali.

Sostieni Renovatio 21

La riduzione del diritto a mero strumento di potere arbitrario sta soprattutto nella distruzione di ogni principio etico fondamentale per la tenuta e la sopravvivenza di qualunque società umana. La nostra si vota alla autodistruzione perché violenta la natura, normalizzando omosessualità e genderismo e imponendo questa violenza anche ai più indifesi. Eleva a diritto la soppressione dei nascituri e dei superflui ingombranti, o dei fornitori di pezzi di ricambio che servono soltanto se espiantati ai vivi. E altre amenità rese possibili dallo spaccio di parole truffaldine, falsi sentimenti e ragionamenti fasulli.   Le leggi non servono più a governare il caos, ma ad alimentarlo. Prodotto obbligato del deterioramento fatale di un pensiero religioso, giuridico e politico, una volta innescato, il caos sembra oggi divenuto proprio l’obiettivo costante che il potere utilizza per consolidarsi. Perché in mezzo ad esso, nella notte in cui tutte le vacche sono nere è difficile che gli individui riescano ad aggregarsi, a trovare la coerenza di una forza d’urto capace di squarciare il buio della ragione e mettere a nudo la mancanza di senso in cui è gettata la vita individuale e collettiva, sulla quale viene organizzato e amministrato proprio il caos.   In mezzo ad esso il potere infatti può sussistere e mantenersi in piedi, grazie alla cieca e irresponsabile accondiscendenza di alcuni, alla miope rassegnazione di molti, alla impermeabile e colpevole inconsapevolezza dei più.   Infatti, questo caos non turba troppo la ben oleata ignavia di una società in coma, o la turba quel tanto che le è concesso per ritenersi ancora padrona di sé, illudersi della propria esistenza, e non avere quindi motivo per rivendicare la propria autodeterminazione culturale e politica.   Viviamo nella società dei non pensanti, forse in restringimento quantitativo, ma pur sempre capace di dare al potere una certa fiducia in se stesso. Altrimenti l’Occidente avrebbe altre classi dirigenti. Un altro ministro degli esteri, e un altro ministro del merito, un altro apparato di governo in generale, altri soggetti istituzionali.   Saremmo un popolo memore di una storia, di un’etica comunitaria e di una morale individuale, di una eredità di pensiero religioso, giuridico e filosofico di prim’ordine, prima che venisse il tempo, non tanto degli sciacalli, e delle jene, quanto quello dei piccoli uomini insignificanti quanto pericolosi perché servi sciocchi e senza volto, ovvero senza responsabilità.   Patrizia Fermani     Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Occulto

Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?

Pubblicato

il

Da

Leesburg è storica cittadina di 40 mila abitanti nello Stato americano della Virginia. Si trova vicino al fiume Potomac, quello che passa per la capitale Washington.

 

Leesburg è il capoluogo di contea della contea di Loudoun – praticamente omonima della piccolo paesino francese che nel Seicento fu teatro della possessione di massa delle suore di un convento, da cui il romanzo I diavoli di Loudun di Aldous Huxley – il luogo finito nelle cronache negli scorsi mesi per il clamore seguito alle presunte molestie sessuali subite da una ragazzina adolescente in un «bagno transgender» ad opera di uno studente transessuale. Lo scandalo si moltiplicò quando la repressione si abbattè sui genitori che protestavano negli incontri con i dirigenti della scuola, con il padre della giovane vittima arrestato dalla polizia durante un meeting.

 

Lo scorso 12 marzo il dipartimento di polizia locale della piccola città americana ha emanato un comunicato stampa agghiacciante.

 

Vi si dichiara che l’11 marzo, «il dipartimento di polizia di Leesburg è stato allertato intorno alle 16:33 da un membro della comunità che ha scoperto il corpo di un feto a termine nello stagno dietro Park Gate Drive, a Leesburg». L’espressione inglese usata per il bambino, «late term», indica un bambino nato tra 41 settimane e 0 giorni e 41 settimane e 6 giorni.

 

Il feto è stato trasportato all’ufficio del capo medico legale della Virginia per l’autopsia.

Sostieni Renovatio 21

«Questa è una situazione profondamente tragica», ha detto il capo della polizia di Leesburg, Thea Pirnat. «Esortiamo chiunque abbia informazioni a farsi avanti, non solo per il bene delle indagini, ma anche per garantire che a chi ne ha bisogno ricevano cure e servizi medici adeguati».

 

La polizia ha anche ricordato alla gente del luogo le risorse disponibili per le donne incinte, inclusa l’opzione per la consegna sicura e anonima dei neonati secondo le leggi Safe Haven della Virginia, con le quali i genitori possono consegnare il proprio bambino se ha 30 giorni o meno, insomma come si faceva un tempo con la ruota degli esposti.

 

«La legge fornisce protezione dalla responsabilità penale e civile in alcuni procedimenti penali e procedimenti civili per i genitori che consegnano in sicurezza i loro bambini», dichiara il dipartimento. «La legge consente a un genitore di rivendicare una difesa affermativa davanti all’accusa se l’accusa si basa esclusivamente sul fatto che il genitore ha lasciato il bambino in un luogo sicuro designato».

 

«L’indagine viene trattata con la massima serietà e sensibilità» afferma il dipartimento nel comunicato. Per il resto, vista la mancanza di aggiornamenti sul caso, possiamo forse usare la famosa espressione giornalistica: la polizia brancola nel buio.

 

La verità è che, con grande probabilità, non si farà molto per risalire a chi ha abbandonato al bambino – anche se, a pensarci, la genetica di consumo in voga negli USA, con cui si stanno prendendo serial killer che l’avevano fatta franca per decenni, potrebbe aiutare ad avvicinarsi quantomeno ai genitori del piccolo.

 

Il vescovo della diocesi di Arlington Michael F. Burbidge ha espresso «grande dolore» per la scoperta. «Esorto i fedeli della diocesi e tutte le persone di buona volontà ad unirsi a me nella preghiera per la madre del bambino e per chiunque sia coinvolto in questo incidente».

 

Il problema è che chiunque in questo caso parte con un’idea che, per quanto non dimostrata, è persistente: si tratta di un caso di degrado, un segno orrendo di disagio sociale, un effetto del livello di bassezza cui è sprofondata la società… Cose così. Inevitabile, a questo punto, che salti fuori anche quello che dice che con l’aborto si risolveva tutto. È il tema dell’antica canzone di Elio e le Storie Tese: Cassonetto differenziato per il frutto del peccato.

 

Eccerto, se il bambino veniva fatto a pezzi nel grembo materno, gli sarebbe stato risparmiato di finire in uno stagno. La minuta voce utilitarista dentro ogni cittadino sincero-democratico dice: così non soffriva. In verità, in tanti, specie se interessati al mantenimento dell’establishment, vorrebbero dire che, uccidendolo semplicemente prima grazie alle leggi feticide, ci risparmiavamo l’orrore, lo scandalo, i quindici minuti di destabilizzazione sociale conseguenti all’orripilante scoperta.

 

Crediamo che ci sia la possibilità che si sbaglino tutti: polizia, abortisti, vescovi, pro-life pregatori vari. Potrebbe essere che si stiano ponendo la domanda sbagliata. Potrebbe essere che stiano guardando al dito invece che alla luna. Perché su Renovatio 21 stiamo, da tempo, sviluppando l’idea che tali ritrovamenti, che avvengono di continuo in tante parti del mondo, non siano casuali, e nemmeno siano tutti scaturigini del degrado sociale della società odierna.

 

Abbiamo sotto gli occhi tanti strani casi italiani, di cui da tempo stiamo tentando di iniziare un censimento.

 

Per esempio, nell’aprile 2006 a Terlizzi (provincia di Bari), in un cimitero, trovano sotterrato maldestramente un feto di sesso maschile di tre mesi: il bambino è inserito in un barattolo di vetro.

 

Nel 2017 in provincia di Benevento, i carabinieri del comando provinciale trovano «un barattolo in vetro, con all’interno un oggetto dalle presunte fattezze di un feto umano» che sarebbe stata messa, anche qui, nel verde, «in un’area prospiciente il fiume Calore, seminascosto dietro un terrapieno». Poco dopo, rientra tutto: si trattava di «due guanti in tessuto, avvolti tra loro con dello spago che erano stati riempiti con una sostanza spugnosa» scrivono i giornali. Insomma, uno «stupido scherzo», dissero. Caso chiuso.

 

A metà novembre 2019, in uno spazio verde di Piazza Benfica, a Torino, un signore che porta a passeggio un cane si accorge che qualcuno aveva messo lì un contenitore con all’interno, visibile nel liquido trasparente di conservazione, un feto embrionale. Dal primo esame svolto all’epoca dei sanitari fu detto che il feto aveva tra le 10 e le 15 settimane. Mesi dopo il Pubblico Ministero chiederà l’archiviazione. I giornali dicono che «il giallo è risolto» perché il feto risalirebbe ad almeno vent’anni prima. Ciò ovviamente non spiega nulla, ma basta trasmettere al lettore sincero-democratico che va tutto bene. Circolare, niente da vedere qui.

 

Giugno 2023, Bassano del Grappa, provincia di Vicenza: in una zona di campagna i carabinieri, secondo quanto riportato, stavano conducendo un’operazione antidroga, andando a cercare luoghi dove gli spacciatori potrebbero nascondere gli stupefacenti. Durante il setaccio, dietro un cespuglio, gli agenti scoprono un barattolo, con dentro un essere umano grande quanto il palmo di una mano. Un feto di sei mesi, conservato in un liquido che probabilmente è formalina. I giornali locali parlano di «ipotesi di riti satanici», ma come sempre, l’eterna «pista del satanismo» va a sparire dopo pochi giorni, come tutta la storia.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Poi giace da qualche parte, enorme e dimenticato, il caso di Granarolo. Febbraio 2022: un ragazzo che recupera ferro vecchio e altri materiali nelle industrie si reca presso un capannone per eseguire una raccolta. Gli viene detto di portare via anche dei bidoni gialli, sono una quarantina, tutti accatastati lungo un muro, tra altri rifiuti. Il suo compito sarebbe di «smaltirli da qualche parte». Lui ne apre uno: è pieno di un liquido di colore verde. Dentro vi galleggia un feto umano. Il ragazzo si spaventa. Filma la situazione, poi chiama la polizia. Sembra di capire, quindi, che di feti mica ce ne era solo uno: forse che tutti quei bidoni gialli contenevano feti? Da dove provenivano? Di chi erano figli? Cosa ci facevano lì… quanti erano?

 

Come avevamo predetto su queste colonne, anche questa storia di feti abbandonati sparisce immediatamente dai radar. Non ci è chiaro cosa abbiamo fatto le autorità, se una qualche ricostruzione è stata data: avevano detto che forse centravano musei e università, ma era davvero così? Qualche responsabilità è stata assegnata? Qualche indagine è stata conclusa? Stiamo cercando, ma sembra proprio che, come avevamo preconizzato, notizie sulla vicenda non sono state più date – nel disinteresse totale di curia, politici locali, ebetudine pro-life organizzata varia. Va così.

 

Ora, il pensiero che stiamo sviluppando è quello per cui tutti questi casi di feti «abbandonati» non siano effetti casuali del disagio sociale. Potrebbe essere, invece, parti di un disegno «religioso» con forme e dimensioni ancora sconosciute. I feti non sono lasciati lì per caso: sembrano, in molti di questi casi, disposti appositamente, secondo regole precise, forse geografiche, ambientali.

 

Ci aveva colpito, ad esempio, che in Italia i bambini imbarattolati venissero trovati per lo più nel verde, in mezzo al nulla: cespugli, aiuole, campagne, lungo argine. Un po’ come il feto di Leesburg, trovato non in una fogna, ma in un placido specchio d’acqua, tra i verdi giardini delle casette residenziali lì attorno.

 

Renovatio 21 aveva fatto delle ipotesi: la società post-cristiana è in realtà divenuta anche post-satanista, dove il satanismo non più legato a messe nere e formule magiche varie, ma innestata invece nel discorso dei «diritti umani», come il feticidio e i rapporti contronatura, ora divenuti legge dello Stato moderno. Il caso del Tempio di Satana, che vuole aprire cliniche abortiste in nome della libertà religiosa, costruisce altari satanici da piazzare a Natale nei Palazzi del potere e organizza festoni satanici con green pass e mascherina obbligatori, va in questa direzione.

 

Ma quindi, perché la disseminazione dei feti?

 

Abbiamo pensato che forse, la disposizione di questi feti potrebbe suggerire che li si voglia nascondere, come si fa con gli amuleti maledetti affinché persistano la loro funzione contro la vittima: sepolti nell’erba, occultati, ma presenti nella loro drammatica verità. Delle bandierine dell’universo post-satanista, delle «antenne» con la loro funzione: reliquie occulte, ripetitori del messaggio, dell’energia del Male.

 

Un feto a termine ucciso e impiantato nel territorio può volere dire: qui si fa l’aborto. E il fatto che nel caso della Virginia si trattasse di un bambino late term, potrebbe fare pensare qualcuno: nel grande paradosso del presente americano, la Corte Suprema elimina l’aborto come diritto federale mentre una parte della politica parla apertamente di late term abortion, cioè della possibilità di abortire fino al momento della nascita, o pure dopo.

Aiuta Renovatio 21

Se vuole essere un segnale politico per la situazione attuale, il bambino a termine ucciso nello stagno offre un messaggio chiarissimo. Continueremo, andremo avanti anche con l’età dei sacrificandi. Questa terra è nostra.

 

Non è sbagliato pensare che, in questo piano metafisico, vi sia chi all’aborto dedica riti occulti – perché esso è la porta ideale per il ritorno del sacrificio umano, l’inversione definitiva della religione divina, per cui non è più Dio che si sacrifica per l’uomo (come sulla Santa Croce, come nella Santa Messa), ma l’uomo che si sacrifica per gli dei dei pagani – i quali sono, come dice il Salmo, tutti demòni.

 

Il sacrificio umano è, per il momento, illegale, l’aborto no – ed ecco che quindi che essi devono proteggerlo ad ogni costo, attendendo che la fetta superiore del panino, l’eutanasia, scenda giù schiacciando noi in mezzo, fino a rendere l’intera popolazione sacrificabile in ogni momento. Fino a disintegrare una volta per tutte la dignità umana, e rendere la vita spendibile, sprecabile a piacimento. Fino al Regno Sociale di Satana.

 

Vorremmo andare oltre. Stiamo tentando di raccogliere materiale per farci un’idea sui continui casi dei feti nei cassonetti che funestavano in passato le cronache italiane. Forse non era esattamente come pensavamo. Forse anche lì si trattava di un messaggio, della disposizione di antenne oscure, della diffusione del segnale dell’Inferno.

 

Quando avremo tempo, ce ne occuperemo.

 

Nel frattempo, preghiamo il lettore: dai gruppi che vi parlano di difesa della vita, di lotta contro l’aborto – magari chiedendovi con automatica insistenza dei danari – state alla larga.

 

Con evidenza, non hanno capito nulla di quello che sta accadendo. La loro funzione, forse, è proprio quella di farci continuare a non comprendere forme e proporzioni di questa guerra occulta.

 

Roberto Dal Bosco

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine su licenza Envato, rielaborata

Continua a leggere

Più popolari