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Geopolitica

Chi vuole rovesciare il presidente Lukashenko?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire con traduzione di Rachele Marmetti. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

La stampa occidentale esalta Svetlana Tikhanovskaya, consacrandola vincitrice delle elezioni presidenziali di Bielorussia, e distrugge il presidente uscente, Alexandre Lukashenko, accusandolo di violenze, nepotismo e brogli elettorali. Un’analisi del Paese attesta invece che la politica del presidente soddisfa le aspettative dei cittadini. Dietro questa querelle costruita, si cela lo spettro dell’Euromaidan ucraino, nonché d’una rottura con la Russia

Dietro questa querelle costruita, si cela lo spettro dell’Euromaidan ucraino, nonché d’una rottura con la Russia

 

Uno degli obiettivi del colpo di Stato dell’Euromaidan (Ucraina 2013-14) era sbarrare la via della seta in Europa. La Cina reagì modificandone il tracciato e facendola passare dalla Bielorussia. Da allora Minsk ha cercato di proteggersi dal rischio d’una destabilizzazione simile a quella dell’Ucraina, conducendo una politica più equilibrata verso l’Occidente, sia partecipando a manovre militari con Mosca sia accettando di fornire armi a Daesh, l’organizzazione che la Russia combatte in Siria.

 

Nonostante le cautele di Minsk, la CIA è intervenuta nelle elezioni presidenziali del 2020. Svetlana Tikhanovskaya, sfidante di Alexandre Lukashenko – in lizza per il sesto mandato – ha ottenuto il 10% dei voti; ha però denunciato l’illegittimità del risultato elettorale e si è rifugiata in Lituania, dove Bernard-Henry Lévy si è precipitato ad accoglierla.

 

Uno degli obiettivi del colpo di Stato dell’Euromaidan (Ucraina 2013-14) era sbarrare la via della seta in Europa. La Cina reagì modificandone il tracciato e facendola passare dalla Bielorussia

La stampa occidentale ha unanimemente denunciato il «dittatore», facendo credere che Tikhanovskaya fosse la vincitrice delle elezioni.

 

La realtà è molto più complessa.

 

Innanzitutto, pur essendo possibile che le elezioni siano state truccate a favore del presidente uscente, è davvero poco probabile che, data l’estraneità della maggioranza dei bielorussi ai valori che Svetlana Tikhanovskaya rappresenta, quest’ultima si sia anche solo avvicinata alla maggioranza dei consensi.

 

Da trent’anni il Paese è attraversato da un dibattito sulla propria identità. È culturalmente vicino all’Europa occidentale filostatunitense oppure è affine all’Europa slava filorussa? Senza dubbio la risposta è che i bielorussi sono culturalmente russi, benché alcuni di loro non parlino la stessa lingua.

Da allora Minsk ha cercato di proteggersi dal rischio d’una destabilizzazione simile a quella dell’Ucraina, conducendo una politica più equilibrata verso l’Occidente, sia partecipando a manovre militari con Mosca sia accettando di fornire armi a Daesh, l’organizzazione che la Russia combatte in Siria

 

Certamente in Bielorussia esistono due esigue minoranze che esprimono opinioni divergenti: la prima si proclama «nazionalista», riferendosi all’effimera Repubblica Popolare Bielorussa (1918-1919), i cui rappresentanti in esilio durante la seconda guerra mondiale collaborarono con i nazisti e poi con la rete NATO Stay-behind; la seconda si professa favorevole al modello liberale e all’Unione Europea.

 

A differenza dell’Ucraina, divisa in due parti culturalmente distinte (l’Occidente filotedesco e l’Oriente filorusso), la Bielorussia si percepisce fondamentalmente russa, benché politicamente indipendente da Mosca.

 

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In secondo luogo, se sussistessero dubbi sul ruolo dei servizi segreti USA nella vicenda delle elezioni bielorusse, l’apparizione di Bernard-Henry Lévy sulla scena basterebbe a fugarli.

A differenza dell’Ucraina, divisa in due parti culturalmente distinte (l’Occidente filotedesco e l’Oriente filorusso), la Bielorussia si percepisce fondamentalmente russa, benché politicamente indipendente da Mosca

 

Il ricco erede d’una società d’importazione di legname pregiato ha fatto carriera scrivendo saggi antisovietici. Spacciato dal suo editore come «Nuovo filosofo», ancor oggi passa per «filosofo». Eppure sostenne i «combattenti per la libertà», ossia i mercenari arabi della Confraternita dei Fratelli Mussulmani che in Afghanistan, capeggiati da Osama Bin Laden, si battevano contro i sovietici.

 

In Nicaragua si schierò con i Contras, ossia con i mercenari sudamericani di John Negroponte, armati dall’Iran di Hashemi Rafsandjani.

 

Si vanta di essere stato l’addetto stampa del presidente bosniaco Alija Izetbegovic, l’ex filonazista il cui consigliere politico era il neoconservatore statunitense Richard Perle e il cui consigliere militare era il già citato Osama Bin Laden.

 

Ricordo come fui colpito dall’affermazione di Lévy che bisognava bombardare Belgrado per far cadere il «dittatore» Slobodan Milosevic. Non capivo perché il filonazista Izetbegovic fosse giudicato «democratico», mentre il comunista Milosevic «dittatore».

Se sussistessero dubbi sul ruolo dei servizi segreti USA nella vicenda delle elezioni bielorusse, l’apparizione di Bernard-Henry Lévy sulla scena basterebbe a fugarli

 

Non ha importanza, facciamo un passo indietro: Bernard-Henry Lévy, chiamato BHL, sostenne fragorosamente i Fratelli Mussulmani ceceni, che in territorio russo avevano fondato l’Emirato Islamico di Ichkeria.

 

Secondo un rapporto dei servizi esteri della Jamahiriya, BHL partecipò alla riunione – organizzata al Cairo a febbraio 2011 dal senatore repubblicano John McCaine – per definire i dettagli del rovesciamento del «regime di Gheddafi», all’epoca portato come esempio dagli Stati Uniti.

 

I francesi furono sorpresi udendo BHL annunciare nel cortile dell’Eliseo, in vece del ministro degli Esteri, l’impegno del Paese contro il «dittatore» (tutti gli uomini da abbattere – e soltanto loro – sono «dittatori»). Ovviamente BHL era anche in piazza Maidan a Kiev, durante la «rivoluzione colorata» capeggiata da autentici nazisti.

 

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Nato senza padre in una fattoria collettiva, Alexandre Lukashenko è diventato il più abile capo di Stato d’Europa.

Tutto ciò premesso, i bielorussi possono essere risentiti verso il presidente Lukashenko, ma non nei confronti della sua politica.

 

Chiunque – oppositore o sostenitore – conosca il Paese non può non ammettere che la sua politica è in sintonia con le preoccupazioni dei bielorussi.

 

Tutti sono stati sorpresi dalle capacità eccezionali di Lukashenko, che gli consentirono di tenere in rispetto il presidente Boris Yeltsin con la proposta di unione con la Russia

Chiunque abbia avuto contatti con Lukashenko ne è rimasto colpito dall’intelligenza, dal carisma e dall’incorruttibilità.

 

Chi lo accusa di auspicare che la Bielorussia si metta al traino della Russia per calcolo politico – non per convincimento – ha dovuto ammettere di essersi sbagliato quando il presidente ha mantenuto la propria posizione, nonostante le sgarberie di Mosca e l’assurda guerra del gas che contrappose di due Paesi. Tutti sono stati sorpresi dalle capacità eccezionali di Lukashenko, che gli consentirono di tenere in rispetto il presidente Boris Yeltsin con la proposta di unione con la Russia.

 

Il principale rimprovero che si possa muovere al presidente Lukashenko è aver fatto sparire diversi leader dell’opposizione; accusa che lui smentisce vigorosamente, imputando a queste persone legami con organizzazioni criminali, tramutatisi poi a loro danno.

 

Non potendo tacciarlo di corruzione, la propaganda occidentale ha cominciato ad accusarlo preventivamente di nepotismo a favore del giovane figlio Nikolai, detto Kolia

Per anni i suoi oppositori l’hanno accusato di arricchirsi alle spalle della nazione, senza però portare nemmeno un indizio. Tuttavia tutti gli operatori internazionali sanno che, quando la Bielorussia firma un contratto, le retrocommissioni non sono mai superiori al 5%, contro il 10% degli USA, il 50% della Russia di Yeltsin (percentuale ridotta al 10% con l’amministrazione Putin) e il 60% dell’Iran. Bisogna perciò ammettere che il suo movente non è il denaro. Non potendo tacciarlo di corruzione, la propaganda occidentale ha cominciato ad accusarlo preventivamente di nepotismo a favore del giovane figlio Nikolai, detto Kolia.

 

L’unico rimprovero che gli si possa fare è manifestare regolarmente propositi antisemiti e omofobi – mai però ha sostenuto atti antisemiti o omofobi. Su questi temi Lukashenko è purtroppo in sintonia con i dirigenti politici del Paese.

 

Dall’inizio della crisi, il presidente Lukashenko sostiene che l’opposizione di Svetlana Tikhanovskaia e alleati è un problema geopolitico Occidente-Oriente, non una querelle politica nazionale. L’opposizione afferma invece di non essere al servizio di alcuna potenza straniera.

 

A differenza dell’Euromaidan ucraino, non c’è però traccia d’implicazione dell’Unione Europea. L’ipotesi più probabile è che Washington voglia dotare i protagonisti della regione (Polonia, Ucraina, Lituania) di strumenti contro il resto del mondo slavo

Oltre all’ingresso in scena di Bernard-Henry Lévy, altri elementi inducono a ritenere che Alexandre Lukashenko dica il vero. – Il Gruppo di Azioni Psicologiche delle Forze Speciali polacche sembra essere, sin dall’inizio della crisi, estremamente attivo al servizio di Tikhanovskaia; – sono implicate anche milizie neonaziste ucraine; – nonché il governo lituano che ospita Svetlana Tikhanovskaia.

 

A differenza dell’Euromaidan ucraino, non c’è però traccia d’implicazione dell’Unione Europea. L’ipotesi più probabile è che Washington voglia dotare i protagonisti della regione (Polonia, Ucraina, Lituania) di strumenti contro il resto del mondo slavo.

 

Comunque sia, il presidente russo, Vladimir Putin, ha costituito una forza di riserva, in grado d’intervenire in Bielorussia a sostegno delle istituzioni e del presidente Lukashenko. Questo, nonostante le relazioni tra i due uomini siano state talvolta molto conflittuali.

 

Vladimir Putin, ha costituito una forza di riserva, in grado d’intervenire in Bielorussia a sostegno delle istituzioni e del presidente Lukashenko. Questo, nonostante le relazioni tra i due uomini siano state talvolta molto conflittuali

 

Thierry Meyssan

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Chi vuole rovesciare il presidente Lukashenko?», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 settembre 2020

 

 

 

Immagine dal sito President of Russia

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Geopolitica

La Casa Bianca si oppone allo Stato palestinese: documenti trapelati

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Il governo degli Stati Uniti sta esercitando pressioni sui paesi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affinché respingano la richiesta di adesione a pieno titolo dell’Autorità Palestinese. Lo riporta il sito di giornalismo investigativo The Intercept, citando dispacci diplomatici trapelati.

 

La testata statunitense ha riferito mercoledì di aver ottenuto copie di cablogrammi non classificati del Dipartimento di Stato americano che contraddicono l’impegno dell’amministrazione Biden di sostenere pienamente una soluzione a due Stati.

 

Secondo quanto riferito, il Consiglio di Sicurezza formato da 15 membri dovrebbe votare venerdì su un progetto di risoluzione che raccomanda all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, composta da 193 membri, che «lo Stato di Palestina sia ammesso come membro delle Nazioni Unite», il che equivarrebbe al riconoscimento della statualità palestinese, a cui il potere israeliano si oppone da sempre.

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Gli Stati Uniti insistono sul fatto che la creazione di uno stato palestinese indipendente dovrebbe avvenire attraverso negoziati diretti tra Israele e Palestina, e non alle Nazioni Unite. Il presidente Joe Biden ha precedentemente affermato categoricamente che Washington sostiene una soluzione a due Stati e sta lavorando per metterla in atto il prima possibile.

 

Secondo quanto riferito da Intercept, i dispacci descrivono dettagliatamente le pressioni esercitate sui membri del Consiglio di Sicurezza. Secondo il rapporto, in particolare all’Ecuador viene chiesto di fare pressione su Malta, presidente di turno del Consiglio questo mese, e su altre nazioni, tra cui la Francia, affinché si oppongano al riconoscimento dell’Autorità Palestinese da parte delle Nazioni Unite.

 

Secondo quanto riportato, il Dipartimento di Stato USA avrebbe sottolineato che la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi è il modo più rapido ed efficace per raggiungere uno stato duraturo e produttivo.

 

Un dispaccio diplomatico, datato 12 aprile, spiegava l’opposizione degli Stati Uniti al voto, citando il rischio di infiammare le tensioni, reazioni politiche e un potenziale taglio dei finanziamenti delle Nazioni Unite da parte del Congresso americano.

 

«Vi esortiamo pertanto a non sostenere alcuna potenziale risoluzione del Consiglio di Sicurezza che raccomandi l’ammissione della “Palestina” come Stato membro delle Nazioni Unite, qualora tale risoluzione fosse presentata al Consiglio di Sicurezza per una decisione nei prossimi giorni e settimane», si legge nel dispaccio trapelato.

 

L’Autorità Palestinese ha presentato domanda di adesione nel 2011, ma la richiesta non è mai stata presentata al Consiglio di Sicurezza. All’epoca, gli Stati Uniti – essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio – dissero che avrebbero esercitato il loro potere di veto in caso di voto positivo.

 

L’anno successivo, l’ONU ha elevato lo status dello Stato di Palestina da «entità osservatore non membro» a «Stato osservatore non membro», uno status detenuto solo dallo Stato di Palestina e dalla Città Stato del Vaticano.

 

Gli sforzi di lobbying da parte degli Stati Uniti indicano che la Casa Bianca spera di evitare un palese «veto» sulla richiesta di adesione dei palestinesi, ha suggerito The Intercept.

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Come riportato da Renovatio 21, secondo quanto emerso nelle scorse settimane la Casa Bianca ritiene che Netanyahu stia deliberatamente «provocando» gli Stati Uniti, tuttavia questo non ferma il favore di Washington nei confronti dell’esecutivo dello Stato Ebraico, il più di destra e religiosamente estremista della storia. A inizio anno il presidente Biden aveva dichiarato solennemente «sono un sionista».

 

Il Washington Post il mese scorso aveva rivelato che Biden sapeva che Israele stava bombardando indiscriminatamente.

 

La questione non riguarda solo l’attuale amministrazione Democratica USA: ad un incontro pubblico il genero ed ex consigliere senior per la politica estera di Donald Trump Jared Kushner ha dichiarato che è «un peccato» che l’Europa non accolga più rifugiati palestinesi, suggerendo che la «ripulitura» dei palestinesi dalla Striscia di Gaza dovrebbe essere accelerata.

 

Come riportato da Renovatio 21, Kushner, che proviene da una famiglia di palazzinari ebrei sostenitori del Partito Democratico e pure tra i primi finanziatori di Netanyahu, avrebbe poi fatto un’agghiacciante dichiarazione sul futuro del mercato immobiliare a Gaza: «Le proprietà immobiliari sul lungomare di Gaza potrebbero essere molto preziose… se le persone si concentrassero sulla creazione di mezzi di sussistenza»

 

I lanci di aiuti USA nel frattempo, oltre ad aver danneggiato i pannelli solari di un complesso ospedaliero, hanno ucciso almeno cinque palestinesi a Gaza.

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Immagine di Stephen Melkisethian via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

 

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Israele attacca l’Iran

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Israele ha effettuato attacchi in Iran nelle prime ore di venerdì, hanno riferito diversi organi di stampa, citando alti funzionari statunitensi. La notizia arriva meno di una settimana dopo che la Repubblica Islamica ha lanciato una raffica di droni e missili contro Israele.   L’agenzia di stampa iraniana Mehr ha riferito che diverse esplosioni sono state udite intorno alle 4 del mattino, ora locale, nei cieli sopra la città centrale di Isfahan.   L’emittente IRNA ha affermato che le difese aeree sono state attivate in alcune parti dell’Iran. Ha aggiunto che Israele ha colpito obiettivi anche in Siria e Iraq, colpendo aeroporti militari e un sito radar.   Hossein Dalirian, portavoce del programma spaziale civile iraniano, ha scritto su X che diversi droni sono stati abbattuti. Ha aggiunto che non vi è alcuna conferma di un attacco missilistico su Isfahan.   Secondo Al Jazeera, l’Iran ha sospeso i voli in diversi aeroporti, compresi quelli che servono Teheran e Isfahan.   La CNN ha citato un anonimo funzionario americano che ha affermato che i siti nucleari non sono stati presi di mira.   Altre fonti in rete parlano di sette città colpite, comprese fabbriche di armamenti.   Video non verificati caricati su internet dai pasdaran mostrerebbero la contraerea iraniana intercettare i missili israeliani.   Un altro video circolante in rete mostrerebbe una base militare a Isfahan in situazione di calma e normalità.   L’esercito israeliano ha detto all’AFP che «non abbiamo commenti in questo momento» quando gli è stato chiesto delle notizie di esplosioni e attacchi in Iran e Siria. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha rifiutato di confermare al Times of Israel che Israele è responsabile delle esplosioni udite a Isfahan.   L’attacco è avvenuto, coincidenza, nel giorno dell’85° compleanno dell’ayatollah Khamenei.   Secondo il Jerusalem Post, vi sarebbero stati attacchi anche in Siria – dove sarebbero stati colpiti siti dell’esercito siriano nei governatorati di Suwayda e Daraa – ed in Iraq, dove sarebbero state colpite le aree di Baghdad ed il governatorato di Babil.   Il 1° aprile, Israele ha colpito un edificio del consolato iraniano a Damasco, in Siria, uccidendo sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). L’Iran ha risposto lanciando droni e missili kamikaze contro Israele il 13 aprile. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno affermato che la maggior parte dei colpi è stata intercettata con successo e ha riportato solo lievi danni a terra. Il costo della difesa per Israele ammonterebbe a circa un miliardo di dollari.   Come riportato da Renovatio 21, è emerso che alcuni droni iraniani sono stati intercettati dalla contraerea saudita.   Gli attacchi all’Iran, che mirano con evidenza ad un’escalation – visto che Teheran aveva specificato in varie sedi che dopo la sua rappresaglia considerava il caso chiuso – potrebbero avere per il gruppo al comando in Israele anche un preciso fine di politica interna.   Secondo il politologo John Mearsheimer «gli israeliani vorrebbero portarci in una guerra con l’Iran… con Hezbollah… Penso che il punto di vista israeliano, nel profondo, sia che quanto più grande è la guerra, tanto maggiore è la possibilità di una pulizia etnica».  

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Putin ha parlato con il presidente iraniano

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Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.

 

Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.

 

Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.

 

Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.

 

Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».

 

Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.

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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.

 

Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.

 

«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.

 

Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.

 

Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.

 

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