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Amicus Plato: la FSSPX e i vaccini

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Anch’io, come altri, ho ascoltato con amarezza e sconcerto le parole pronunciate dal superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX) don Davide Pagliarani nel corso di un recente convegno.

 

L’intervento, pubblicato sul canale YouTube della Fraternità con il titolo «The Superior General of the SSPX Clarifies the Vaccine Debate», si prefiggeva di rispondere a una domanda che agita le coscienze – e sempre più anche le esistenze – di molti cattolici: «Is it morally wrong to take the COVID-19 vaccine?».

 

È ragionevole immaginare che la massima autorità della società fondata da Mons. Marcel Lefebvre abbia così voluto rispondere alle molte sollecitazioni, critiche e richieste d’aiuto provenienti dai fedeli su un tema che sinora ha suscitato nelle gerarchie lefebvriane una reazione ondivaga e reticente, quando non proprio appiattita sulle posizioni dell’antagonista vaticano e quindi del mondo.

 

Va infatti ricordato che la FSSPX si era già espressa in passato sulle questioni morali sollevate dalla vaccinazione anti-COVID e dalle modalità della sua imposizione, pubblicando sul suo sito le riflessioni del segretario generale della società, padre Arnaud Sélégny.

 

In uno di questi scritti («Considérations pratiques sur la vaccination contre la COVID-19», 24 settembre 2021) il sacerdote e medico francese concludeva che «ognuno può prendere liberamente la sua decisione» e giudicava «anormale voler dettare a qualcuno come comportarsi in questi casi», avendo peraltro concesso in premessa la fondatezza di alcune perplessità avanzate dagli scettici.

 

Nel capitolo delle «considerazioni aggiuntive» spuntava però un argomento morale che ha fatto saltare qualcuno, incluso chi scrive, sulla sedia.

 

«Data la necessità (?) di un pass sanitario», scriveva l’autore, «può accadere che l’obbligo di adempiere a un dovere di carità ci spinga ad accettare di farci vaccinare».

 

Proponeva quindi gli esempi del sacerdote che non potrebbe altrimenti entrare negli ospedali per dare gli ultimi conforti ai morenti, del medico che non potrebbe curare gli infermi, del soldato che non potrebbe difendere la patria.

 

Ecco una parafrasi più sottile (e quindi più pericolosa) dell’«atto d’amore» bergogliano: non pecca chi mette la condizione («necessaria»?) né in generale chi vi si sottrae, ma chi nel sottrarsi ad essa si preclude la possibilità di adempiere ai propri doveri di carità e giustizia.

Il succo dell’allocuzione è che la FSSPX non entra ufficialmente nel dibattito («steps aside») perché quel dibattito concernerebbe una «questione medica» estranea alla sua missione

 

Insomma non pecca il sequestratore che prende in ostaggio anziani, malati, adolescenti, bambini, famiglie e lavoratori indigenti… ma chi non paga il riscatto!

 

Qui il sacerdote non era minimamente sfiorato dal sospetto che questo conflitto non è lo spiacevole ed eventuale corollario di un teorema («necessario»?), ma la ratio portante delle restrizioni di volta in volta imposte dai governi, il frutto atteso di una volontà acclarata di mettere i renitenti sotto scacco morale, specialmente verso gli affetti più cari.

 

Nel finale, riprendeva le considerazioni già oggetto di altri interventi sulla liceità di usare prodotti il cui sviluppo ha implicato lo sfruttamento di feti abortiti, non facendo che ripetere con parole proprie la dottrina della «cooperazione remota al male» impostata dalla Pontificia accademia per la vita nel 2005.

 

I documenti del Sélégny e dei suoi collaboratori hanno suscitato aspre reazioni nel mondo del tradizionalismo cattolico e anche tra gli stessi fedeli della Fraternità (vedi ad es. la documentata risposta di un medico australiano), sicché da più parti si è auspicata una presa di posizione al vertice, chiara e definitiva.

 

Ora quel momento è arrivato, ma è onesto dire che l’intervento di don Pagliarani non è né chiaro né (speriamo) definitivo, né aggiunge nulla a quanto già detto se non un supplemento di approssimazione e disimpegno  Se il metodo è merito, già nella conduzione del discorso il reverendo relatore riesce nella non facile impresa di parlare ininterrottamente per venticinque minuti senza mai rispondere alla domanda sovraimpressa nell’anteprima del video. Ripete in continuazione che il tema è complesso («it’s complicated») e accumula spunti e prospettive di cui raramente tira le somme.

 

Il succo dell’allocuzione è che la FSSPX non entra ufficialmente nel dibattito («steps aside») perché quel dibattito concernerebbe una «questione medica» estranea alla sua missione. Una conclusione tanto disarmante quanto teoreticamente grave, da cui discendono tutte le altre incertezze.

L’unico motivo per cui tanti cristiani vivono con inquietudine spirituale la campagna di iniezione globale in corso è perché essa non riguarda più solo la medicina

 

In effetti è proprio vero l’opposto: l’unico motivo per cui tanti cristiani vivono con inquietudine spirituale la campagna di iniezione globale in corso è perché essa non riguarda più solo la medicina.

 

Del resto, se il più vasto esercizio di idolatria della storia umana a noi nota (ricordiamo che la pozione redentrice è adorata e somministrata anche nelle chiese, accompagnata da danze tribali, pubbliche abiure, professioni di fede), se un dispositivo di apartheid che impedisce ai figli di Dio di accedere dove sono ammessi anche i cani, se la menzogna, l’odio del prossimo istigato dalle istituzioni, la violazione generalizzata della legge naturale e morale, la sozzura della liturgia con riti e travisamenti mondani, l’imposizione di un marchio necessario per vendere e comprare (ricorda qualcosa?) e l’oppressione dei più ricattabili (terzo peccato che grida vendetta a Dio), ebbene se tutto ciò è solo una questione medica, allora anche le persecuzioni razziali sono solo una questione genetica, l’aborto una questione di salute riproduttiva, la fornicazione di benessere affettivo, l’interdizione delle sante messe di igiene e, per non farsi mancar nulla, le privazioni prossime venture in nome delle idee green di fisica dell’atmosfera.

Il mascheramento di ogni cosa, e specialmente delle cose spirituali e morali, sotto le etichette neutre della «razionalità scientifica» è la cifra inconfondibile della modernità, il cemento di cui è fatto il materialismo su cui poggia fin dalle origini

 

Il mascheramento di ogni cosa, e specialmente delle cose spirituali e morali, sotto le etichette neutre della «razionalità scientifica» è la cifra inconfondibile della modernità, il cemento di cui è fatto il materialismo su cui poggia fin dalle origini. Accettare i mascheramenti moderni è modernismo. Ridurre un cataclisma morale di queste proporzioni a un fatto tecnico è appunto riduzionismo cartesiano, tecnocrazia in purezza.

 

Non dovrebbe d’altronde sfuggire che da più di due secoli le offese peggiori a Dio si perpetrano avendo sempre cura di non nominarlo e che la scristianizzazione, come aveva già intuito Robespierre, è tanto più trionfante quanto più si nega allo scontro diretto con Cristo e lavora in disparte per spodestarlo coi surrogati del progresso sociale, del relativismo e, appunto, della scienza.

 

Se insomma per riconoscere la dimensione anche teologica del problema qualcuno si aspettasse che un Traiano verghi nero su bianco il collegato obbligo di apostasia, allora possiamo metterci comodi: nulla, neanche l’avvento della società «realizzata con mezzi scientifici… spaventosa che pretende di essere libera e che non avrà più alcuna libertà» profetizzata da mons. Lefebvre nel 1979 gli farà cambiare idea.

 

Resterebbe deluso anche chi cercasse in questi pronunciamenti ufficiali una parola di condanna della violenza tracotante, idolatrica e persecutoria che si sta abbattendo su miliardi di persone. Don Davide si limita brevemente a evidenziare come la dimensione globale dei provvedimenti in atto rendano patente un processo iniziato «trecento anni fa», di sostituzione della missione ecclesiale di unire il mondo in Cristo con il progetto babelico della fraternité universale.

Non dovrebbe d’altronde sfuggire che da più di due secoli le offese peggiori a Dio si perpetrano avendo sempre cura di non nominarlo

 

Il che è verissimo, ma non si capisce allora come si possa condannare l’albero assolvendone i frutti, come si possa credere e far credere che da una radice dissacrante nascano germogli privi di succo teologico, indegni di una prescrizione morale. Né, d’altronde, perché negli ultimi tre secoli i suoi e nostri riferimenti di santità abbiamo denunciato e avversato le emanazioni storiche di quel progetto mentre invece noi dobbiamo solo passare la pratica agli infettivologi.

 

In una delle sue riflessioni, padre Arnaud si era spinto un po’ più in là concedendo che «è vero, le condizioni attuali possono essere considerate abusive, come anche le pressioni esercitate per obbligare alla vaccinazione. Ma», aggiungeva subito dopo, «dobbiamo riconoscere che [per] il semplice fatto di utilizzare uno smartphone o una carta di credito, di navigare su internet o anche solo di guidare un’automobile, accettiamo di subire molte pressioni e costrizioni per ragioni di giustizia, carità, bene comune e spirituale». Tutto nella norma, insomma, riposiamo tranquilli.

 

Altrettanto deluso resterebbe chi sperasse di trovare nelle parole dei vertici lefebvriani non dico riconoscenza o solidarietà, ma almeno caritatevole vicinanza ai fedeli che stanno sopportando il bisogno, l’accanimento di Cesare e il disprezzo delle masse per trattenere con la propria testimonianza l’avanzamento di quel progetto trisecolare, farsi kathecon della profezia lefebvriana e rivendicare nella libertà a cui siamo chiamati il rifiuto di «idolatria… inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni», i frutti della carne (Gal 5,20) dispensati dai crociati della sanitas, la salus terrena.

Don Davide arriva a sostenere che nell’eterogenea «alleanza» dei renitenti si radunerebbero «in prevalenza persone di estrema sinistra» e partiti «green» animati dallo stesso spirito anarchico e libertario figlio del «nuovo ordine mondiale», lo stesso che aveva ispirato le lotte per la libertà di aborto. Ora, chiunque abbia seguito con un po’ di attenzione il dibattito sa che è invece vero il contrario

 

No, non c’è empatia in quei discorsi, e forse neanche simpatia, se don Davide arriva a sostenere che nell’eterogenea «alleanza» dei renitenti si radunerebbero «in prevalenza persone di estrema sinistra» e partiti «green» animati dallo stesso spirito anarchico e libertario figlio del «nuovo ordine mondiale», lo stesso che aveva ispirato le lotte per la libertà di aborto.

 

Ora, chiunque abbia seguito con un po’ di attenzione il dibattito sa che è invece vero il contrario, che la militarizzazione della profilassi ha trovato proprio nei contestatori d’antan e nelle sinistre in genere, con poche eccezioni, i suoi araldi più fanatici e pronti ad additare negli scettici i «nuovi kulaki», gli «individualisti piccolo-borghesi» nemici del bene collettivo e specialmente i negatori della salvezza scientifica: «complottisti», retrogradi, superstiziosi, malati.

 

E che tra questi ultimi i più colpiti sono stati precisamente i cattolici e i fedeli di altri culti più vicini alle dottrine tradizionali, perché meno propensi a farsi trascinare dai «trionfi» moderni. L’insinuazione del sacerdote è quindi gratuita, ingiustificata e soprattutto immeritata. Nell’offrire un quadro invertito della realtà mette insieme persecutori e perseguitati, con un terzismo che non avrebbe sfigurato nella chiesa di Laodicea degli ultimi tempi.

 

***

 

Resta sullo sfondo, come un convitato di pietra, la questione dei feti abortiti utilizzati per sviluppare i vaccini oggi obbligatori de facto o de iure, nel nostro e in altri Paesi.

 

La descrizione in calce al filmato si apre con l’avvertimento che «la FSSPX non ha la competenza (orig. competence) di lanciare un boicottaggio dei prodotti macchiati dall’aborto».

Resta sullo sfondo, come un convitato di pietra, la questione dei feti abortiti utilizzati per sviluppare i vaccini oggi obbligatori de facto o de iure, nel nostro e in altri Paesi

 

Ma, precisamente, di quale «competenza» si sta parlando qui?

 

In che cosa differirebbe questa «competenza» da quella dottrinale e morale di promuovere il boicottaggio dei siti pornografici, della stampa atea o delle messe in vernacolo?

 

Chi la dispensa, chi la certifica, chi ne stabilisce il perimetro? Non si sa.

 

Come si è scritto, sul tema la FSSPX segue la dottrina vaticana della «cooperazione materiale passiva» a un male – un aborto volontario, o meglio una serie – che sarebbe moralmente lecita se intesa a scongiurare «un pericolo grave» in mancanza di altri rimedi.

 

Alcuni esponenti del mondo cattolico hanno contestato la solidità di questo argomento. Anche accettandone l’impianto teologico, astrattamente valido, rimarrebbe aperto il problema logico delle sue condizioni nel punto concreto: la sussistenza del «pericolo grave» (che nel contesto in specie non è certo e decresce drasticamente in funzione inversa dell’età e delle patologie concorrenti); la mancanza di altri rimedi (mentre oggi si sono perfezionati protocolli di cura efficaci); l’efficacia e la sicurezza del rimedio proposto. A queste critiche del testo, nel cui merito non ho la competenza (questa volta davvero) di entrare, se ne possono aggiungere almeno un paio di contesto.

 

Storicamente, l’attuale dottrina è stata impostata nel 2005 dalla Pontificia accademia per la vita nelle «Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti».

 

Lì, restando ferma la condanna dei prodotti in qualsiasi modo preparati con materiale abortivo umano, si forniva una doppia prescrizione morale «per quanto riguarda i vaccini senza alternative», di «ribadire sia il dovere di lottare perché ne vengano approntati altri, sia la liceità di usare i primi nel frattempo nella misura in cui ciò è necessario per evitare un pericolo grave».

 

La posizione fu integrata alcuni anni dopo anche nell’istruzione Dignitas personae (par. 34) della Congregazione per la dottrina della fede, in deroga al principio generale sancito dall’enciclica Evangelium vitae (1995), che «l’uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona» (par. 62).

Sul tema la FSSPX segue la dottrina vaticana della «cooperazione materiale passiva» a un male – un aborto volontario, o meglio una serie – che sarebbe moralmente lecita se intesa a scongiurare «un pericolo grave» in mancanza di altri rimedi

 

Seguirono altri due documenti nel 2017 (Accademia per la vita, CEI, Associazione Medici Cattolici Italiani, «Nota circa l’uso dei vaccini») e nel 2020 (Congregazione per la dottrina della fede, «Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-COVID-19») in cui si ribadivano gli stessi concetti.

 

La lettura contestuale di questi pronunciamenti offre spunto a qualche riflessione critica. La prima riguarda il tempismo degli ultimi due documenti, il primo pubblicato nel mezzo delle polemiche che accompagnarono l’inasprimento degli obblighi vaccinali per l’infanzia (la nota dell’Accademia usciva il 30 luglio, due giorni dopo la conversione in legge del decreto Lorenzin, mentre norme simili entravano in vigore anche in Francia, Germania, Stati Uniti, Israele e altri Paesi), il secondo una settimana prima dell’inizio della campagna di vaccinazione globale contro il COVID-19.

 

Ora, siccome queste dichiarazioni non aggiungono proprio nulla ai documenti precedenti, è logico concludere che il loro scopo non sia stato altro che quello di rinforzare le agende politiche del momento e spingere i fedeli verso i desiderata del mondo in una fase critica di dubbio e di contestazione. Questo ruolo contingente e ausiliario della Chiesa cattolica può suscitare qualche legittima riserva sull’indipendenza delle sue iniziative e dei suoi giudizi.

 

In secondo luogo, non si può non rilevare in questi ragionamenti teologici la singolarità assoluta della deroga vaccinale, il suo riguardare cioè nei fatti l’unica pratica a cui sia data facoltà di ergersi sopra i principi posti in via generale e costituirsi così come una casistica morale sui propri generis.

 

Il che fa riflettere, da un lato, sulla solidità della pretesa di derubricarla a una questione minore e dottrinalmente neutra (appunto, «medica»), dall’altro sulla straordinaria forza sovversiva attribuitale nell’immaginario moderno, tale da farne la testa d’ariete di rinnovamenti e riforme legibus soluti.

 

Se nelle cose del governo civile i ribaltamenti dell’eccezione vaccinale si misurano contando le carcasse dei diritti e dei principi giuridici che le abbiamo sacrificato, persino la morale religiosa si ritrae al suo incedere spalancando brecce altrimenti inammissibili. La presa d’atto di questa anomalia consentirebbe di dissipare il fumus medicale per cogliere i sottostanti semi di disagio di una civiltà fatalmente tentata dalla liquidazione di sé e dal sogno di una qualche palingenesi sinora frenata dai compromessi della legge e del costume.

Va infine ricordato che, al contrario di ciò che scrivono i giornali, la Chiesa cattolica non ha mai «assolto» i vaccini collegati all’aborto, ma ne ha solo autorizzato l’uso in circostanze straordinarie

 

Va infine ricordato che, al contrario di ciò che scrivono i giornali, la Chiesa cattolica non ha mai «assolto» i vaccini collegati all’aborto, ma ne ha solo autorizzato l’uso in circostanze straordinarie.

 

In tutti i documenti citati si deplora in effetti l’utilizzo delle cellule di feti umani per sviluppare e produrre farmaci e si rivolgono appelli all’industria affinché li sostituisca al più presto con «vaccini etici», chiedendo in certi casi ai fedeli di pretendere che ciò avvenga. Pur riconoscendo il punto, non si può ciò nondimeno ignorare che negli oltre quindici anni trascorsi dalla diffusione del primo documento la produzione e il consumo di questi farmaci si sono moltiplicati a ritmi esponenziali, fino al boom dell’ultimo anno.

 

Dal 2005, quando si trattava quasi solo dei vaccini infantili contro la rosolia (allora neanche obbligatori), si sono nel frattempo aggiunte decine di miliardi (!) di dosi di vecchi e nuovi farmaci sviluppati con le stesse tecniche e, negli ultimi tempi, con l’ambizione di imporli ripetutamente e forzatamente a tutta popolazione mondiale.

 

Di fronte a un fallimento così spettacolare dei propri appelli, il fatto che ora la Chiesa non sappia fare di meglio che ripeterli a mo’ di ciclostilato e incoraggiare anche questa volta la nuova campagna «purché sia l’ultima volta» non è minimamente credibile. Non è credibile, né serio, né razionale.

 

Sarebbe stato piuttosto logico intensificarli e rinforzarli con altre iniziative: documenti di gerarchia superiore, campagne di stampa, pressioni diplomatiche, mobilitazioni di popolo e altro, fino al boicottaggio o almeno alla sua minaccia. Ma siccome nulla di tutto ciò è accaduto, e anzi dall’iniziale concessione a denti stretti si è passati alla promozione attiva in ogni sede possibile, non si può biasimare chi ha letto in questo ripetersi di autorizzazioni condizionate un’autorizzazione piena, perpetua e senza condizioni, un assegno in bianco su cui contare anche in futuro. Né, di conseguenza, chi ha smesso di credere che vi sia una qualche seria intenzione di risolvere il problema.

 

***

 

Tornando a don Davide, alla fine del suo intervento si rivolge a un ascoltatore preoccupato dai profili etici della profilassi globale proponendo alcuni exempla nel solco della dottrina vaticana, e quindi anche della sua problematicità.

 

Prendiamo il primo. Al caso di un uomo assassinato dal quale sarebbe moralmente lecito asportare e trapiantare una cornea manca semplicemente tutto ciò che possa renderlo applicabile al demonstrandum: 1) la sistematicità del nesso tra il malum (l’omicidio) e il bonum (il recupero della vista), trattandosi di un caso del tutto eccezionale; 2) la necessità di quel nesso (la causa di morte non rileva ai fini dell’intervento); 3) l’intenzionalità di quel nesso, ricordando che nel caso in esordio il malum non è costituito solo dagli aborti, ma anche dall’«uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione» (Evangelium Vitae, cit.) direttamente finalizzato allo sviluppo di farmaci, mentre invece l’omicidio in exemplo non è neanche indirettamente finalizzato al trapianto; e soprattutto 4) il conflitto tra codici e sensibilità morali diversi e il conseguente rischio di legittimare un mezzo accettandone il fine.

 

Contrariamente all’aborto e alla sperimentazione sui tessuti fetali, l’uccisione di un uomo è infatti un atto già condannato dalle leggi statuali, sicché non vige il rischio di «aumentare l’indifferenza, se non il favore con cui queste azioni sono viste in alcuni ambienti medici e politici» (Dignitas personae, par. 35). Si è già visto quanto invece questo rischio si sia rivelato reale nel caso in dibattito, oltre le più nere previsioni.

 

In un altro esempio il superiore della Fraternità richiama, sulla scorta di una riflessione già del Sélégny, la diatriba sorta tra i cristiani delle origini sulla liceità di cibarsi dei cosiddetti «idolotiti», le carni degli animali precedentemente sacrificati agli dei pagani. Anche in quel caso, argomentano i due sacerdoti, il consumo dei resti delle offerte non costituiva né un sacrilegio né un peccato di partecipazione al male, mancando l’intenzione e la cooperazione diretta all’idolatria.

 

Oltre a riproporsi qui il solito nesso difettoso tra delitto e beneficio (il sacrificio non era finalizzato a far sì che i non pagani mangiassero bistecche, sicché, nel farlo, i secondi non potevano giustificare il primo), andrebbe menzionato che in effetti il precetto di «astenervi dalle carni offerte agli idoli» (At 15,22) vige almeno formalmente dai tempi del concilio di Gerusalemme (49 d.C.).

 

Qui evidentemente si fa riferimento alla successiva e più articolata trattazione del problema offerta da Paolo di Tarso nella Prima lettera ai Corinzi, dove invece il consumo degli idolotiti è autorizzato in via generale perché «noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo» (1Co 8,4), perché, come si direbbe oggi in tribunale, «il fatto non sussiste».

«Se un cibo scandalizza mio fratello, non mangerò mai più carne, per non scandalizzare mio fratello» (1Co 8,13)

 

Fissato il principio, l’Apostolo solleva però un’eccezione nel caso in cui ciò suscitasse scandalo nei fratelli teologicamente meno edotti: «se un cibo scandalizza mio fratello, non mangerò mai più carne, per non scandalizzare mio fratello» (1Co 8,13).

 

Nel caso odierno è purtroppo innegabile che la profanazione sia sussistita nella materia pulsante degli esseri umani e non verso un’idea superstiziosa, ma è altresì evidente che chi accetta i suoi frutti intenzionali e diretti ne giustifica appunto l’intenzione e si collocherebbe semmai nel caso condannato ai versetti 20, 21 e 22 del capitolo 10, di chi siede proprio alla mensa del sacrificio.

 

In quanto allo scandalo, ai due sacerdoti basterebbe discutere coi propri fedeli per scoprire quanto sia esso profondo e diffuso nel popolo di Dio e quanto avrebbero perciò il dovere di attenersi al monito di carità dell’Apostolo, prima di tirarlo per la tunica sul proprio terreno.

 

Perché, in effetti, il vizio più grave di tutto il ragionamento è sotto gli occhi di tutti. Se è vero che una dimostrazione per exempla non può essere apodittica, non deve però mancare di proporzione e decenza. Mettere nello stesso sillogismo la carne delle bestie da macello e i corpi innocenti dei figli di Dio è un azzardo che offende l’umanità e il buon senso molto prima della dottrina.

 

Il presupposto dell’insegnamento paolino, quello che traccia il perimetro invalicabile della sua applicazione letterale e anche analogica, è che «gli animali furono da Dio messi a disposizione delle creature per loro nutrimento» (card. Parente, in Dizionario di teologia dommatica, 1945).

 

«Mangiate di tutto quello che si vende al mercato, senza fare inchieste per motivo di coscienza», scrive l’Apostolo ai corinzi, «perché al Signore appartiene la terra e tutto quello che essa contiene» (1Co 10,25-26). Il chiaro senso di citare qui l’incipit del salmo 24 è quello della benedizione data da Dio a Noè e ai suoi figli: «Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo, vi do tutto questo, come già le verdi erbe» (Gen 9,3), la stessa che alla riga successiva fissa invece la sacralità del corpo e della vita degli uomini:

 

«Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo» (Gen 9,5-6).

Bisognerebbe insomma spiegare in quale passo delle scritture il Creatore avrebbe (mi sento male solo a scriverlo) messo a disposizione dell’uomo anche le membra assassinate e immature dei suoi simili per cavarne pozioni

 

Bisognerebbe insomma spiegare in quale passo delle scritture il Creatore avrebbe (mi sento male solo a scriverlo) messo a disposizione dell’uomo anche le membra assassinate e immature dei suoi simili per cavarne pozioni.

 

L’orrore suscitato dalla metafora dimostra più di mille esegesi che nelle cose di fede non c’è rigore senza cuore, e viceversa.

 

***

 

Il cattolicesimo degli ultimi decenni deve molto alla Fraternità San Pio X, al suo fondatore e ai suoi sacerdoti.

 

Ciò è vero soprattutto oggi, mentre i fallimenti delle promesse moderne spingono molte persone a cercare – e trovare – altri riferimenti in una spiritualità che di quelle promesse rifiuta sia il contenuto sia gli annessi pratici e ideologici.

 

Il successo delle chiese «tradizionali» e la simmetrica caduta di quella ufficiale poggiano su questo bisogno di un’opposizione radicale e coraggiosa, come fu coraggiosa la resistenza che mons. Lefebvre pagò con la scomunica.

 

È perciò naturale che ogni inchino ai mitologemi moderni sia vissuto non come un errore, ma come un venir meno della ragion d’essere di queste istituzioni e perciò, date le circostanze attuali, una ferita che si apre sul vuoto. La guerra alla liturgia delle origini si sta facendo infatti troppo serrata e ossessiva per essere solo una questione di forma e i porti sicuri diventano sempre più rari. Domine, ad quem ibimus?

 

Nell’adesione delle alte gerarchie lefebvriane alla linea vaticana su un tema che oggi occupa in maniera così soffocante la dimensione intima e sociale di miliardi di persone, sembra intravedersi la volontà di non farsi trascinare su un campo di battaglia infuocato e irto di trappole.

 

Il che è forse (forse) comprensibile, ma innanzitutto dimostra quanto sia debole la pretesa di ridurre il fenomeno alla sua scorza tecnica, in secondo luogo rende incomprensibile la scelta di avventurarvisi comunque, e in modo così ambiguo e scalcagnato.

 

Tra le tante note negative di queste incursioni va però riconosciuto un merito, la volontà dichiarata dal superiore della Fraternità di rimettere ai sacerdoti le valutazioni di coscienza sul caso – come in effetti accade – distinguendosi almeno qui dall’esempio del soglio romano che invece ai suoi ministri distribuisce kit promozionali affinché si facciano piazzisti e apologeti del siero.

 

Ma se l’idea fosse davvero questa, di delegare la lotta alle retrovie, perché allora insistere con simili uscite? E per chi?

 

 

Il Pedante

 

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Voi che uccidete Dio. E noi che lo permettiamo

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Accuso voi che avete ucciso Dio quasi duemila anni fa, e che continuate a farlo ogni mese, ogni giorno, in ogni istante.

 

Voi uccidete Dio, nella costanza dell’Impero della morte di cui siete schiavi e soldati, e non volete smettere di farlo – perché molti di voi sanno esattamente quello che stanno facendo, e di questo, godono.

 

Voi che sterminate bambini, nati e non nati, su tutta la superficie della terra – e avete inventato leggi per farlo in tranquillità.

 

Voi che pervertite i bambini, li drogate, li mutilate.

 

Voi che i bambini li bombardate senza pietà – quando sono a casa, per strada, in ospedale.

 

Voi che distruggete le famiglie con tutti i mezzi sociali, politici, legali che avete a disposizione.

 

Voi che sfruttate i lavoratori, che fate loro pagare una tassazione che li strangola.

 

Voi che condannate i malati a veleni del corpo e della mente.

 

Voi che bestemmiate il Suo nome, con indifferenza, o rabbia infame.

 

Voi che bruciate le Sue chiese, o le demolite, o le trasformate in appartamenti e Bed and Breakfast.

 

Voi che perseguitate i cristiani praticamente in tutto il pianeta, trucidandoli nel silenzio delle istituzioni.

 

Voi che inquinate con droghe statali le menti delle persone, rendendole ancora più infelici, se non omicide.

 

Voi che squartate a cuor battente le persone – sempre per legge! – solo perché hanno fatto un incidente.

 

Voi che producete bambini con gli alambicchi, disintegrandone quantità immani nel processo.

 

Voi che agite per popolare la Terra con una generazione di mostri biologici.

 

Voi che state riprogrammando l’Europa in un luogo di caos e devastazione, paganesimo e massacro.

 

Voi che avete deviato la carità in una follia suicida e genocida.

 

Voi che godete dell’iniquità demoniaca inflitta a tutti noi.

 

Voi uccidete Nostro Signore anche nell’anno 2025, in ogni singolo momento di esso.

 

E noi. Noi che lo permettiamo. Noi che rifiutiamo di intervenire dinanzi a queste stragi senza fine.

 

Noi che parliamo, cianciamo, ma che in fondo nulla otteniamo per fermare questa macchina di Morte.

 

Noi che alziamo le mani dinanzi allo Stato della Necrocultura, anzi continuiamo ad obbedirgli, a versargli le nostre tasse – a breve automaticamente.

 

Noi che conosciamo l’ingiustizia sterminatrice, ma spesso facciamo finta di nulla.

 

Noi che piangiamo, ma non sappiamo impedire l’orrore.

 

Noi che riconosciamo che Cristo è il Sacrificio di Dio per l’uomo, mentre il mondo moderno è – esattamente come nei tempi degli dèi pagani, nei programmi dell’Inferno – il sacrificio dell’uomo per il Dio: l’inversione satanica della vita, della creazione, del cosmo, dell’amore divino.

 

Noi che sappiamo, noi che abbiamo visto, eppure scappiamo davanti alla Croce.

 

Dio muore per i nostri peccati. Oggi stesso. Sì.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine: Carl Bloch (1834-1890), Crocifissione (180), Museo Nazionale di Storia Naturale, Copenhagen.

Immagine di sdalry via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Pensiero

Il re della morte parla in Parlamento. La democrazia italiana applaude

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È una tremenda verità rivelata, quasi per isbaglio, da un kolossal non riuscitissimo di una ventina di anni di fa.   Ricordate? Il futuro imperatore, adepto del Lato Oscuro, si presentava a camere galattiche unite per proclamare la «riorganizzazione» della Repubblica e, implicitamente, l’avvento di un impero totalitario sotto il suo comando.   «Così muore la democrazia, tra scroscianti applausi» commentava la senatrice che aveva capito il piano diabolico.   La frase non è esattamente questa – forse il film di Giorgio Lucas diceva «libertà» invece che «democrazia», ma sappiamo come nel fondale di cartapesta dello Stato moderno queste parole sono intercambiabili. La verità contenuta in questa battuta, tuttavia, la riteniamo incontrovertibile.

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Specie dopo aver visto lo spettacolo allucinante del Re britannico che pontifica nel cuore della sedicente democrazia italiana, il Parlamento. Di certo, un’esperienza rivelatoria, su tanti, troppi livelli. Perché il discorso che ha fatto, con tutti i tasti politici, geopolitici, metapolitici toccati con decisione, ha un’importanza storica di conferma sia del rapporto di sudditanza occulta tra Roma e Londra sia del ruolo metafisico che Albione e gli Windsor hanno nella storia del mondo.   Notate come i giornali, e gli ebeti che si fanno riempire la testa delle loro menzogne, abbiano sottolineato, nel discorso di re Carlo, il fatto che abbia citato Dante e persino «parlato», per qualche secondo, in Italiano. Cioè: ha letto da un foglio. Applausi.   Come se il re parlasse davvero la nostra lingua, con la tranquillità di utilizzare il connettivo «peraltro», che i parlamentari di interi partiti italiani mai pronunciato in vita loro, ammesso che sappiano che esistano gli avverbi.   Certo, voleva fare il figurone, come, peraltro, lo aveva fatto a Parigi due anni fa: Renovatio 21 ne parlò, il repubblicano Macron gli organizzò un festone, con quantità di divi veri (da Mick Jagger in giù) a… Versailles, luogo che ovviamente oggi ha un suo significato preciso. Lì, nel più totale disprezzo della plebe che venivano da mesi in erano stati proibite perfino i pranzi di Pasqua in famiglia e da costi energetici insostenibili, tra banchetti e sfarzo assoluto, il Carlo aveva dimostrato di parlare un francese ottimo, come una volta usava nell’Inghilterra che studiava.  

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Carlo nel lusso di Versailles, ospite dei figli della Rivoluzione francese. Era come dire: i re rimangono re, se sono dalla nostra parte.   Ci viene in mente, tuttavia, che la poliglossia dei reali britannici ci aveva fornito, in passato, un’altra visione, secondo alcuni (quelli che non conoscono la storia dell’aristocrazia europea, e degli Windsor) inquietante: il principe Filippo, padre di Carlo, che parla un tedesco ultrafluente. Gli Windsor, dove Filippo ha appeso il cappello, sono in realtà una famiglia della nobiltà germanica, i Sassonia Coburgo-Gotha, e Windsor è un nome preso da un paesino di campagna a caso (un rebranding si direbbe nel marketing) per sembrare più inglesi.     È proprio lui, il principe di Edimburgo, consorte della regina Elisabetta: quello che aveva giurato di volersi reincarnare in un patogeno in grado per uccidere milioni di persone. Come sa il lettore di Renovatio 21, l’ambientalismo, cioè l’antiumanismo, è una costante degli Windsor, vera famiglia della morte, e viene trasmesso, a quanto sembra, geneticamente.   E l’antiumanismo ereditario è tornato anche nel discorso di Roma, con i nostri rappresentanti a spellarsi le mani: quando con il secondo avvento di Trump pare essere cominciato il tramonto dell’ambientalismo di Stato e dei suoi dogmi, ecco che il re proclama l’emergenza del Cambiamento Climatico (argomento da cui, abbiamo visto, pare guadagnarci…), con tutte le solite storielle ripetute a pappagallo: le tempeste che ora sono ogni anno invece che ogni generazione, etc. Piove, governo ladro, avrebbe detto i mazziniani – che del resto erano pagati e programmati proprio dagli inglesi.   Anche questo, incredibilmente, è stato detto dal re nel suo discorsone: l’importanza del supporto inglese a Garibaldi, che poi andava ospite dagli inglesi. Chi conosce la vera storia dell’Italia unita non può che sorridere, nell’amarezza più profonda: il re sbatte in faccia agli italiani il fatto che, con il Risorgimento (fiancheggiato e ideato dai britannici), la penisola è divenuta uno Stato vassallo di Londra.   Si tratta di un momento di sincerità storica che, infine, va apprezzato, anche se un pat-pat – di quelli che operano sui loro amati cagnolini – in testa a qualche rappresentante democratico italiano avrebbe completato il quadretto in modo consono.   Poi, l’Ucraina: il messaggio è lo stesso, sempre. Tre anni fa lo aveva detto agli italiani anche Boris Johnson prima di mollare Downing Street: fate il governo che volete, ma continuate ad armare e sostenere Kiev.   Il re britannico ordina all’Italia di immolarsi nella sua guerra, quella che Londra porta avanti da almeno duecento anni: il «Grande Gioco» dello scontro di Albione, potenza talassocratica, con la Russia, potenza tellurica, per il controllo del mondo. La teoria della Heartland del pioniere della geopolitica Alfred Mackinder – l’idea per cui chi controlla il centro dell’Eurasia controlla il mondo – è venuta dopo, quando già Londra combatteva una guerra occulta con i russi nell’India, Pakistan, Afghanistan di Kipling.   L’enormità storica e metastorica del discorso di Carlo si fa, per noi, intollerabile. Ma, che volete farci, da queste parti si ha una visione delle cose di un certo tipo. Non possiamo pensare che gli altri la pensino come noi… oppure sì?  
  Perché, effettivamente, l’immagine più significativa offerta da Carlo in Parlamento riguarda chi era al suo lato. Da una parte, il presidente della Camera Ignazio La Russa, un uomo cresciuto nel MSI e ora militante in FDI, partiti che definiscono post-fascisti, dove la fiamma contenuta nel loro simbolo, raffigurerebbe la fiaccola che arde sulla tomba di Benito Mussolini a Predappio.   Benito Mussolini, quello che la giovane Meloni definiva come «statista», e che aveva diffuso quell’espressione chiarissima: «la perfida Albione».   Come non farsi venire in mente l’impressionante manifesto di Gino Boccasile (1901-1952) che celebrava la distruzione di Londra da parte dei V2 tedeschi.  

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Insomma: chi è cresciuto nella destra italiano aveva della Gran Bretagna una certa idea. Almeno fino a Fini, che, notate, prima di essere mandato a Gerusalemme con la kippah, aveva fatto i suoi giri di sdoganamento a Londra – dove peraltro, altro mistero, ad una certa hanno cominciato a rifugiarsi gli estremisti neri che avevano la Giustizia italiana alle calcagna…   La Russa sorride e batte le mani sul fianco destro del re della «perfida Albione». Sul fianco sinistro un’altra figura che, in teoria, proviene da una cultura non esattamente anglofila il tradizionalismo cattolico. Un giro che legge la storia britannica, e le sue ramificazioni mondiali, in modo un po’ diverso da come viene presentata: dal tradimento di Enrico VIII all’assassinio del cattolico Guido Fawkes, eroe fatto squartare dal re per aver cospirato per il ritorno del cattolicesimo in terra anglica, dalla follia della Chiesa anglicana alla decadenza dei costumi recenti proveniente dalla swinging london, dalla massoneria alle persecuzioni dei cattolici nei secoli.   E niente, anche da parte cattolica: sorrisi e applausi.   E sì che, anche senza essere integristi con il pallino della storia del mondo, da cattolici ci sarebbe tanto da dire al re, anzi, basterebbe fare qualche nome: Alfie Evans, Charlie Gard, Indi Gregory… e tanti altri bambini trucidati da Giudici della Corona e dal sistema sanitario del Regno votato all’utilitarismo più mostruoso e assassino del «best interest».   Rammentiamo: all’epoca i partiti pseudocattolici si mossero per dare ad Alfie la cittadinanza italiana, di fatto per togliere il bambino dalla condanna a morte del Regno sul cui trono ora siede il Carlo.  
  Come abbiamo scritto su Renovatio 21, il mancato intervento della famiglia reale in questi tragici casi – che smuovevano anche laggiù masse di persone, con miriadi di persone in lacrime che circondavano gli ospedali in preghiera, e gli ultras delle curve a cantare allo stadio a favore dei bambini in procinto di essere massacrati – non è un caso, non è una svista: è una feature precisa della famiglia, la cui consonanza con la Necrocultura è un dato storico, dalle proto-vaccinazioni dei reali con i relativi danni, all’uccisione del re per eutanasia di re Giorgio (bisnonno di Carlo), dai sospetti di fecondazione artificiale ante-litteram da cui sarebbe nata Elisabetta, all’ambientalismo stragista di Filippo (che, tenetelo sempre a mente, ha fondato il WWF, organizzazione ora proibita in Russia…), dai discorsi di Guglielmo figlio di Carlo sulla sovrappopolazione, agli attacchi contro gli USA che defederalizzano l’aborto fatti da principe Enrico dallo scranno ONU… la lista è pressoché infinita, e davanti a tutto questo cadono le illazioni su Jack lo Squartore o i milioni consegnati a Carlo in buste della spesa dai famigli di Bin Laden, il rapporto con il controverso miliardario russo-americano Armand Hammer, o i rapporti sporadici con i nazisti, il ritratto inquietante saltato fuori mesi fa…   La verità è che la materia inquietante non è in superficie, non è chiacchiera da rotocalco, né misfatto dietro le quinte: pare essere nella struttura stessa del casato.   Perché, ribadiamo, quella degli Windsor è una dinastia della morte, come ve ne sono, ai vertici mondiali, altre, anche non coronate, ad esempio i Rockefeller. Giornali e politicanti non solo non condividono questa prospettiva, ma la occultano con l’arma di distrazione di massa del gossip. Anni a parlarci delle vicende della Casa Reale, come se ciò avesse qualche importanza per noi. La famiglia media che mangia dinanzi al televisore magari non sa nulla di Alfie Evans e Guy Fawkes, ma sa tutto delle avventure amorose di Guglielmo ed Enrico, che per qualche ragione ora, a differenza di Carlo, vengono chiamati nelle loro lingua (i principi «William» ed «Henry»: sudditi, abituatevi all’inglese, è l’era CLIL).   Abbiamo visto l’arma di distrazione di massa sparata anche nel discorso romano del re. Carlo si è riferito alla «regina», e la cosa ha fatto un certo effetto: Camilla, i TG ci hanno insegnato a chiamarla così, ora in effetti è regina. Il re ha amorevolmente detto che era il ventesimo anniversario di matrimonio. Applausi.   Ma come? Camilla? Per anni i giornali ce l’avevano definita come la homewrecker reale, la spacca famiglia di Corte, con ogni storia a suo favore amplificata a più non posso: ecco i commenti animali sul suo aspetto fisico, ecco la questione del figlio birichino che potrebbe avere una cattiva influenza sull’erede al trono (e futuro fratellastro).  
  Nessuno pare avercela più con Camilla: i giornali del resto servono a questo, ti dicono cosa devi pensare, e poi ti fanno dimenticare, per farti pensare altro. Ecco che la love story di Carlo e Camilla da prurigine grottesca diventa evento da applaudire a Camere riunite.   Perché poi, scusate, avete scordato Diana? Avete scordato cosa il quivis de populo, britannico come italiano, dice della morte della principessa sotto il tunnel dell’Alma a Parigi? Tutti quei servizietti ammiccanti che talvolta potevano far capolino brevemente nella stampa mainstream… Tutto è perdonato.   Dimenticate tutto. Tanto a ricordarvi le vostre priorità ci pensa il capo di quel Regno che trucida i bambini malati e ti arresta per un tweet o una preghiera fatta nella tua mente. Carlo, con gli italiani, è stato chiaro, e sincero: vivete nello Stato creato dal nostro agente Garibaldi, ora sottomettevi del tutto al dogma climatico, e continuate a sostenere la guerra contro la Russia.   Scroscianti applausi.   Questa è la realtà della «democrazia» in Italia.   Roberto Dal Bosco

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Perché non stupirsi se Mattarella premia Burioni

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Proprio così: il virologo di social e programmi TV Roberto Burioni è stato premiato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

 

La cerimonia svoltasi al Quirinale – palazzo dei papi, poi usurpato dal re savoiardo, per finire ereditato dalla presidenza repubblicana – consisteva nella consegna di medaglie al «Merito della Sanità Pubblica» e ai «Benemeriti della Salute Pubblica». Al Burioni il presidente, accompagnato del ministro della Salute Orazio Schillaci (già nel famigerato CTS pandemico, poi passato tranquillamente a fare il ministro per la Meloni) ha consegnato una medaglia di bronzo.

 

Siamo informati che per l’occasione era presente anche il Capo di Stato Maggiore della Difesa Luciano Portolano: presenza militare non solo simbolica, visto che la vaccinazione genica sperimentale è stata portata sul territorio con grande sforzo dalle Forze Armate della Repubblica Italiana.

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I giornali riportano la motivazione del prestigioso premio al medico conosciuto sui social: «Per essersi distinto per il suo impegno costante a difesa della scienza e nella promozione delle vaccinazioni come indispensabili e fondamentali strumenti di prevenzione della Salute Pubblica».

 

 

«È stata una grandissima emozione» ha commentato il Burioni secondo Il Resto del Carlino. «Il presidente mi ha fatto i complimenti. Ed è stato anche un bel momento per incontrare il generale Francesco Paolo Figliuolo, un amico dai tempi della pandemia, così come il professor Franco Locatelli (presidente del Consiglio superiore di sanità)».

 

Già: Figliuolo, pensavamo di averlo dimenticato. Locatelli, pure. Anzi forse lui e l’Ospedale Bambin Gesù no.

 

 

È stato notato che siamo dinanzi ad un bel paradosso – specie per il ministro Schillaci, espressione del governo della destra che tenta di mettere in piedi una Commissione parlamentare sull’era COVID, ma poi premia uno dei suoi attori più discussi.

 

Perché Burioni non è stato spettatore dello spettacolo pandemico, così come non lo è stato durante tutto il teatro vaccinale iniziato anni prima del coronavirus. La polvere sollevata dal professore del San Raffaele è stata tantissima, provocando reazioni che non venivano unicamente da antivaccinisti e compari.

 

Rammenterete: nel febbraio 2020 va da Fazio a dire che non c’è nessun pericolo («in Italia il rischio di contrarre questo virus è 0, perché il virus non circola»), la mascherina non proteggono dal virus, poi cambia tutto con il mutare degli ordini internazionali. Assicura che chi sostiene che il virus sia fuggito dal laboratorio non ha capito nulla e va deriso («L’ultima scemenza è la derivazione del coronavirus da un esperimento di laboratorio. Tranquilli, è naturale al 100%, purtroppo»), poi, sempre con il cambiamento estero, fa retromarcia anche lì. Si fa plurime dosi di siero genico sperimenale, poi prende lo stesso il COVID («Mi sono vaccinato poco prima della ripresa delle lezioni universitarie ma non è servito»). Capita.

 

Nel mezzo, la quantità di uscite spietate, come quella sui no-vax «agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci», frecce a tutti, persino a coloro che gli avevano giustamente fatto notare che valigie si scriva con la i (aveva scritto in un post «valige», rivendicandone erroneamente la correttezza ortografica). Addosso a tutti, alla ragazza disabile leghista, all’endocrinologa della Statale, all’influencer, a Susanna Tamaro, a Heather Parisi, a Novak Djokovic, a chiunque osi contraddirlo.

 

Anthony Fauci, quello che ha ottenuto la grazia preventiva nelle ultime ore di Biden (anche lì: virologi protetti da presidenti…), ad un certo punto della sbornia di potere pandemico arrivò a suggerire di essere lui stesso la scienza. Burioni non ha mai avuto bisogno di arrivare a tanto.

 

C’è da chiedersi come il presidente Mattarella, il nutrito team che lo assiste, non si renda conto che premiare chi attaccava e canzonava mezza Italia manda un messaggio preciso, e tremendo, a tutta quella parte della popolazione italiana, che non è poca, ed è pure – grazie ai danni da vaccino – in netto aumento.

 

Del resto, abbiamo visto ancora ai tempi della legge Lorenzin – la grande prova prodromica della biopolitica pandemica e del totalismo vaccinale – il ruolo che le istituzioni avevano ritagliato per questo dottore diventato famoso improvvisamente.

 

Aveva iniziato con post su Facebook che terrorizzavano assai: ecco la foto di quello che, avendo avuto il morbillo perché non vaccinato, è cresciuto rovinato. Ecco i commenti contro chiunque osasse contraddirlo. Ecco la gioia per i primi medici che venivano radiati causa vaccini (è il caso del dottor Roberto Gava, la cui radiazione fu salutata dal nostro come «un atto di civiltà») – sì, avevano iniziato prima dell’mRNA.

 

Ci stupiva la velocità con cui la figura di questo ricercatore mai sentito prima veniva ingigantita. Colpiva il dato bibliografica: prima della legge che obbliga i nostri figli ad essere sierati per andare a scuola, Burioni aveva pubblicato con altri un libro scientifico per un editore minore di Urbino.

 

Come entra in gioco la Lorenzin le maggiori case editrici nazionali lo pubblicano a ripetizione, con frequenza mai vista. Libri con titoli non troppo sibillini: Il vaccino non è un’opinione. Le vaccinazioni spiegate a chi proprio non le vuole capire (Mondadori, 2016); La congiura dei somari. Perché la scienza non può essere democratica (Rizzoli, 2017); Balle mortali. Meglio vivere con la scienza che morire coi ciarlatani (Rizzoli, 2018). Tutto chiarissimo. L’insuperato sito satirico italiano Lercio ci fece un titolo: «Uscito nuovo libro di Burioni, si intitola ‘”Cazzo lo compri a fare ché sei un analfabeta di merda”».

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Il dottore marchigiano, la cui carriera fino ad allora, non era stata quella di star della scienza, pareva ben appoggiato. Venne presentato a Milano nel 2019 il «patto trasversale per la scienza» in cui Burioni si univa con Enrico Mentana (la cui testata Open fu poi assunta da Facebook nella lotta alle fake news anche su virus e vaccini: Renovatio 21 lo sa bene) e pure Beppe Grillo, oltre che Matteo Renzi e radicali eutanatici vari.

 

Gli va riconosciuto che anche se le istituzioni gli sono andate incontro – apice l’ospitata fissa in RAI da Fabio Fazio, lui mica si è istituzionalizzato. È rimasto quello di sempre: sparate sui social come non mai.

 

Insomma: il potere vaccinista – su cosa intendiamo speriamo di dare qualche ragguaglio nelle prossime righe – se lo teneva stretto, forse perché non aveva altro (pensate a Lopalco: ronzava da quelle parti, per poi essere ficcato dal PD alla Regione Puglia), forse perché, come usiamo dire su Renovatio 21, le sceneggiature di cui dispongono sono poche, sono sempre le stesse, e lo stiamo vedendo in questi giorni con Kennedy: voilà, epidemie di morbillo, e poi Gardaland, pardon, Disneyland

 

Il tema tuttavia non nemmeno è Burioni: è la decisione della presidenza della Repubblica di premiarlo, nonostante sia in polemica, oltre che con una larga fetta della popolazione, anche con vari politici (il ministro Salvini, per esempio) e pure qualche giornale dell’establishment (Travaglio non lo ama certo). Perché?

 

Bene, riveliamo che il rapporto tra il Quirinale e i vaccini è più serio di quanto si pensi. E non solo per il capolavoro visto in tribunale a Milano, quando in una sentenza sulla vaccinazione di una minore (il papà separato voleva sierare la figlia, la mamma proprio no) Mattarella venne citato a mo’ di fonte giuridica: si tratta di un discorso dato nell’estate 2021 alla tradizionale cerimonia del Ventaglio organizzata dall’associazione stampa parlamentare al Quirinale: si «trascura tra l’altro il monito del Presidente della Repubblica che il 28 luglio ha detto che la vaccinazione è un dovere morale e civico» avevano scritto i giudici.

 

 

C’è qualche segno più interessante che è stato dato in passato.

 

Ottobre 2016, a Roma arriva il dottor Andrew Wakefield per presentare il film sui danni da vaccino Vaxxed. Wakefield è gastroenterologo di successo che, avendo pubblicato nel 1998 uno studio (con altri dieci ricercatori!) in cui chiedeva più ricerche riguardo alla possibile correlazione tra vaccino trivalente e autismo. Una figura primaria per gli antivaccinisti e per il sistema (fatto di tutto il consenso di medici e politici che i soldi di Big Pharma possono comprare) che li combatte.

 

Ebbene, nelle stesse ore in cui Wakefield mostrava il suo film in Italia, incredibilmente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella attacca pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini: «Le affermazioni di chi li critica sono sconsiderate e prive di fondamento».

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Mattarella non fece alcun nome, ma in tanti pensarono che il riferimento al dottore no-vax par excellence fosse incontrovertibile.

 

Di qui la domanda: perché il capo dello Stato di un Paese G7 da 60 milioni di abitanti deve muoversi per un’inezia simile? Wakefield è un medico radiato (se leggete il suo nome in un articolo di Repubblica o del Corriere difficile che non sia preceduto dalle parole «screditato» o «ciarlatano»), vive con discrezione in Texas dopo una persecuzione professionale assoluta nel suo Paese, la Gran Bretagna.

 

La proiezione di Vaxxed era una cosetta che riguardava pochi scappati di casa antivaccinisti adirati per la legge Lorenzin, con le sale cinematografiche affittate alle bisogna, col problema che talvolta i gestori si potevano pure tirare indietro all’ultima.

 

Un presidente che si muove contro un (ex) dottorino della frangia più impresentabile e vituperata…? Perché?

 

La risposta che ci siamo dati, allora come oggi, è semplice-semplice: con ogni evidenza, i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.

 

Vogliamo far risuonare nella testa del lettore qualche altra eco. Renovatio 21 è tra le poche voci al mondo che ricorda i legami arcaici tra vaccinismo e massoneria. Abbiamo scritto dello strano caso dei medici massoni italiani che si palesarono da Jenner prima ancora che questi finisse i suoi esperimenti omicidi. Abbiamo scritto dei programmi di «vaccinazione universale», portati avanti con fake news e coercizione, realizzati dalle élite massoniche che avevano fatto l’Italia unita – provocando, in casi indicibili, rivolte tra la popolazione che vedeva i danni.

 

È quell’Italia unita che celebriamo a forza anche oggidì quando ci parlano di «Risorgimento». L’Italia progettata e realizzata da forze massoniche, che hanno continuato a lavorare salvo (forse) una pausa sanguinaria del ventennio e della Seconda Guerra.

 

Ora, facciamo uno sforzo per capire che certe cose, anche a distanza di secoli, non si possono dimenticare. Lo abbiamo visto, in tutto il suo orrore, alle Olimpiadi di Parigi, quando è divenuto chiaro che a distanza di due secoli e mezzo al potere in Francia c’è ancora chi è ossessionato dal sangue della regina decapitata, dallo scherno ad ogni costo del cristianesimo, dall’umiliazione dell’essere umano da sottomettere alla meccanica della Rivoluzione.

 

I vaccini, riteniamo, non sono un tema dissimile da questi. Un’eredità di un passato che solo apparentemente è rimosso, ma i cui attori ancora tramano, e strepitano, nell’ombra. Sempre meno, nell’ombra…

 

Da qui alle premiazioni ritualizzate dello Stato moderno, figlio delle devastazioni degli ultimi tre secoli, il passo è breve.

 

 

Abbiamo voglia di notare come il figlio di Bernardo Mattarella altre volte ha lanciato strali – sempre senza fare nomi… – contro figure che non sembrano congeniali all’ordine internazionale così come lo conosciamo: rammentiamo i ripetuti attacchi a Elon Musk.

 

Elone aveva da poco comperato Twitter. Il presidente dichiarò che «il modello culturale dell’Occidente è sotto sfida (…) bisogna evitare che pochi gruppi possano condizionare la democrazia».

 

Parole che non sentimmo nel maggio 2022 quando Marco Zuckerberg calò in Italia venendo ricevuto a Palazzo Chigi dal premier Mario Draghi (che era presente all’ultimo discorso di Mattarella) e dal ministro della Transizione Digitale Vittorio Colao.

 

È lo stesso Mattarella che nel 2016, abbiamo preso nota anche di questo, parlava alla plenaria Commissione Trilaterale riunitasi a Roma ringraziando David Rockfeller, il quale «ebbe l’intuizione di dar vita alla Commissione, si mosse nell’intento di capitalizzare le risorse e le energie degli ambienti imprenditoriali, culturali e sociali in America, Europa e Giappone, per superare le rigidità che sovente accompagnano le relazioni ufficiali tra Governi, così da fornire interpretazioni non formali ma originali di fenomeni complessi e dalle ampie ramificazioni».

 

Insomma: attenti agli oligarchi, a parte certi. E se parliamo della pianta dei Rockefeller, come per massoneria e vaccinismo, e ancora più in là sulla loro idea per la popolazione terrestre, il discorso si fa davvero abissale

 

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Il gioco, quindi, è un po’ più grande e profondo di quello di Burioni.

 

Il quale Burioni epperò, a differenza di noi sudditi che durante il COVID abbiamo perso il lavoro e abbiamo preso sputi dai volenterosi carnefici dell’apartheid biotica, ha ricevuto dalla massima carica dello Stato italiano una medaglia di bronzo.

 

Di bronzo. A questo punto scatta inaspettatamente una memoria musicale: è la voce di Rocco Tanica, al secolo Sergio Conforti (1964-), che, con potente poesia, canta: «Fra le maschere che un uomo può indossare ricordiamo l’argilla / Fra le maschere che un uomo può indossare come non citare il bronzo».

 

Si tratta della canzone di Elio e le Storie Tese intitolata «Shpalman» (2005), che narra di un improbabile supereroe del Naviglio piccolo che vendica coloro che sono stati derubati da «tamarri dietro l’angolo» spalmando materia in faccia agli aggressori.

 

E così, eccoci qui, anche noi, ridotti nella nostra mente ad invocare un vendicatore, che viaggi nei secoli e riporti quella Giustizia di cui andiamo fantasticando nel nostro cuor.

 

Le maschere, anche quelle di bronzo, siamo sicuri, ad una certa cadranno tutte. Quel che si farà dopo, non lo sappiamo bene.

 

Roberto Dal Bosco

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