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Guerra e pace secondo Tolkien

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Il Signore degli Anelli è il libro con cui John Ronald Tolkien ha riportato l’epica nella narrativa in pieno XX secolo. Un libro che non rappresentava però uno sguardo nostalgico a un passato idealizzato, ma che dava una rappresentazione di grande respiro della condizione umana, con tutte le sue miserie e tutte le sue nobiltà.

 

Il capolavoro di Tolkien è stato indagato sotto molteplici aspetti, ne sono state analizzate le fonti, è stata evidenziata la filosofia che è sottesa alla sua narrazione. Ma ci sono anche elementi della biografia dell’autore che aiutano a comprendere tutti i valori rappresentati nel racconto della Guerra dell’Anello. Ed è proprio nella partecipazione del giovane neolaureato ad Oxford alla Prima Guerra Mondiale che troviamo degli importanti spunti di riflessione.

 

Nell’agosto del 1914, mentre Tolkien si avviva a completare i suoi studi universitari e già coltivava la sua passione per le lingue, l’Europa si avviò verso l’orrore. Era iniziata la lunga, crudele guerra civile europea, l’inutile strage voluta dai vecchi nazionalismi e dai nuovi imperialismi che avrebbe sconvolto il Vecchio Continente per trent’anni, seminando morte e distruzione di uomini e di valori.

 

La Gran Bretagna non prevedeva la coscrizione obbligatoria, e così Tolkien poté continuare nei suoi studi, mantenendosi tiepido nei confronti degli ardori patriottici che spingevano migliaia di giovani inglesi a lasciare il lavoro e lo studio per indossare la divisa kaki e a farsi inviare verso i massacri delle trincee e dei campi di battaglia in territorio francese.

 

Ben pochi degli entusiasti che si preparavano cantando ad andare in guerra presagivano quella catastrofe che ne sarebbe seguita: la morte atroce di milioni di giovani vite, e la fine di un’epoca, forse di un mondo. Le forze dell’Intesa – Gran Bretagna, Francia, e poi Italia e Stati Uniti nel 1917 – si accingevano a distruggere la Mitteleuropea gentile e cristiana, a far scomparire quell’Impero che da Vienna amministrava pacificamente etnie e religioni diverse. Ma gli stessi vincitori non avrebbero tratto particolari benefici dal loro successo, vedendo nascere in breve tempo regimi totalitari o, come nel caso della Gran Bretagna, assistendo all’inesorabile declino dell’Impero e all’esplodere di gravi crisi economiche e sociali.

 

La mente e il cuore di Tolkien, in quei fatidici mesi, furono occupati da ben altro: nel giugno del 1915 finalmente concluse gli studi conseguendo il massimo della votazione. Era certo che a guerra finita avrebbe potuto rimanere a Oxford con un incarico accademico, e finalmente avrebbe portato all’altare la sua fidanzata Edith.

 

Tuttavia nell’estate del 1915 venne inquadrato come sottotenente nei Fucilieri del Lancashire, e iniziò l’addestramento. La vita militare gli risultò subito odiosa: «tra i superiori non esistono gentiluomini, e persino gli esseri umani sono rari», scriveva alla fidanzata. Il mito dell’ufficiale britannico evidentemente non fece alcuna presa su un giovane nutrito di sentimenti cavallereschi, ma anche improntato a un sano realismo cristiano. E ancora oggi coloro che idealizzano chi indossa una divisa, magari una mimetica, dovrebbero riflettere su queste parole del mite Tolkien, che aveva colto tutta la folle disumanità dei vertici militari.

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Decise di specializzarsi in comunicazioni e segnalazioni, così da poter lavorare con messaggi e codici, così simili alle antiche lingue che amava decriptare. Avvicinandosi il momento dell’imbarco per la Francia, non sapendo quanto il conflitto avrebbe potuto durare e non sopportando l’idea di un’altra drammatica separazione, John Ronald Tolkien ed Edith Bratt si unirono in matrimonio il 22 marzo 1916 nella parrocchia cattolica di Warwick.

 

A giugno Tolkien era sul fronte della Somme, sotto il fuoco delle mitragliatrici. «Bisogna sperimentare personalmente i tempi bui della guerra, per capirne tutta l’angoscia», scriverà anni dopo nel Signore degli Anelli. Il fango, il sangue, l’agonia dei feriti, i volti stravolti dei caduti, il coraggio e lo spirito di sacrificio dei soldati semplici: tutto questo entrò indelebilmente nella vita di Tolkien, nella sua coscienza attenta. La necessità dell’eroismo e della solidarietà entrarono a far parte definitivamente della sua visione del mondo.

 

Nell’ottobre venne colpito da una seria forma di «febbre delle trincee», una malattia trasmessa dai parassiti che debilitava gravemente l’organismo. Dopo un ricovero all’ospedale da campo, visto che le sue condizioni non miglioravano, venne disposto il suo ritorno in Inghilterra. All’arrivo, nel novembre, fu trasportato in un ospedale di Birmingham. Era a casa, di nuovo vicino a Edith, e per lui la guerra era finita.

 

Per un’intera generazione di giovani europei la Grande Guerra ebbe a significare la fine dell’innocenza. Tolkien, ricoverato a lungo per le cure e la convalescenza, ebbe tempo e modo di riflettere a fondo su ciò che aveva visto e provato in quei pochi mesi di guerra a cui aveva preso parte: anzitutto il male, che non era rappresentato dal nemico, dagli avversari che condividevano le stesse fatiche, le stesse paure, gli stessi strazi, la stessa sorte fatale, ma il male che aveva spinto, attraverso la volontà di potere della politica, a mandare milioni di contadini, operai, impiegati, studenti, gli uni contro gli altri, costringendoli a combattersi, ad odiarsi, ad uccidersi: inglesi contro tedeschi, italiani contro austriaci e così via.

 

Tolkien non perse in quel disastro umano l’innocenza dell’infanzia né la speranza della giovinezza: al contrario acquisì dall’orrore della sofferenza e della morte una fede più matura e consapevole.

 

Gli avvenimenti dolorosi che già aveva personalmente sperimentato dai suoi primi anni – la morte del padre, le ingiustizie subite dalla madre e la sua morte, la pena provata nella separazione da Edith, la fatica degli studi ad Oxford – lo avevano reso un giovane sensibile certamente, ma privo della utopica ingenuità romantica di molti suoi coetanei più fortunati: John Ronald aveva imparato a distinguere e a comprendere i segni del destino, tracciati da Dio secondo un disegno che ci sfugge o che fatichiamo ad accettare. Un destino che non può che essere di bene, anche se su di noi, sulle nostre scelte, incombe la tentazione del male, del rifiuto, dell’opposizione, della corruzione.

 

Tutto il fango, la sporcizia, il sangue delle trincee, le lacrime, le urla e le bestemmie dei soldati, nonché l’arroganza, il cinismo e la stupidità degli alti ufficiali che mandavano migliaia di vite umane incontro a morte sicura in attacchi insensati in campo aperto, non riuscirono a far perdere al giovane Tolkien la sua fede, la sua speranza, la sua carità.

 

Dall’esperienza bellica ne uscì profondamente segnato, ma non in senso negativo. Da lì maturò anche la grandiosa visione storica che è sottesa alle sue principali opere, Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion. Nei piccoli hobbit, in particolare nel fedele Sam Gamgee, è possibile riconoscere ad esempio il carattere determinato e pronto al sacrificio dei tommies, i soldati semplici inglesi

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Così certi paesaggi desolati, certe terribili descrizioni come quella di Mordor, «la terra nera», ovvero il regno del malvagio Sauron, protetto da una corona di monti, scarsamente accessibile, terra assolutamente inospitale dominata da una natura desolatamente aspra e ostile, con paesaggi infernali, difesa da nere fortezze, scaturirono anni dopo dal ricordo dei campi di battaglia.

 

Nel conflitto Tolkien aveva anche perduto alcuni dei suoi più cari amici. Negli anni delle scuole superiori, al King Edward’s, aveva stretto un entusiasmante sodalizio umano e culturale con altri ragazzi dell’istituto: erano i TCBS, ovvero «Tea Club and Barrovian Society», coloro che prendevano insieme il tè, preferibilmente presso la sala dei Magazzini Barrow, a Birmingham.

 

La combriccola era animata principalmente dallo stesso Tolkien e da altri due ragazzi, Christopher Wiseman e Robert Gilson; al gruppo si aggiunse poi un altro studente di tre anni più giovane di Tolkien, che gli fece scoprire il fascino e il significato della poesia: Geoffrey B. Smith. Erano studenti entusiasti, innamorati dei miti antichi, e amavano ritrovarsi a leggere insieme, raccontandosi le loro impressioni, leggendo le poesie che componevano, facendo passeggiate estive.

 

Tolkien si esercitò con questo piccolo e appassionato pubblico di intenditori a leggere e commentare le saghe antiche, facendosi beffe di Richard Wagner del quale disprezzava l’interpretazione dei miti. Il TCBS fu uno dei maggiori motivi di gioia nella non facile giovinezza di Ronald, e la gratificazione che proveniva da queste amicizie riuscì in parte a compensare il successivo lungo distacco forzato da Edith.

 

La guerra separò drammaticamente i TCBS, che avevano continuato a frequentarsi anche dopo gli anni di scuola. Vennero uccisi nel corso del 1916 sia Gilson che il giovane Smith.

 

Questi, poco prima della sua fine, aveva scritto una lettera a Tolkien, le cui parole finali avrebbero risuonato a lungo profeticamente nel cuore dell’amico: «la mia principale consolazione è che se finirò nei guai questa notte – sarò fuori, in servizio, tra pochi minuti -, ci sarà sempre un membro del grande TCBS che racconterà cosa sognavo e su che cosa eravamo tutti d’accordo. Poiché la morte di uno dei suoi componenti non può, ne sono profondamente convinto, dissolvere il TCBS. La morte può renderci ripugnanti e inermi come individui, ma non può porre fine agli Immortali Quattro! Una scoperta che sto per comunicare anche a Rob, prima di partire questa notte. E la scriverò anche a Christopher. Possa Dio proteggerti e benedirti, mio caro John Ronald, e possa tu raccontare le cose che ho cercato di dire, anche dopo che io non sarò più qui per raccontarle, se questo sarà il mio destino. Tuo per sempre G.B.S.».

 

Tolkien accolse nel suo cuore questo mandato, e mise la sua arte e il suo talento al servizio di lettori cui offrì il racconto di gesta eroiche compiute non solo da nobili cavalieri, ma anche dalle piccole creature che anni dopo uscirono dalla sua fantasia: gli Hobbit.

 

Mostrò con la sua arte quello che è l’unico modo di combattere il Male: contrapporgli il bene.

 

Paolo Gulisano

 

Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

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Arruolamento forzato anche per l’autista ucraino di Angelina Jolie

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La visita a sorpresa della star di Hollywood ed ex ambasciatrice umanitaria ONU Angelina Jolie in Ucraina martedì scorso è stata interrotta dagli agenti della leva obbligatoria, che hanno arrestato un membro del suo entourage e lo hanno arruolato. Lo riporta la stampa locale.   L’episodio si è verificato a un posto di blocco militare vicino a Yuzhnoukrainsk, nella regione di Nikolaev, mentre il convoglio di Jolie era diretto verso una zona della regione di Kherson controllata da Kiev.   Nonostante avesse segnalato alle autorità di trasportare una «persona importante», un componente del gruppo – identificato in alcuni resoconti come autista, in altri come guardia del corpo – è stato fermato dagli ufficiali di reclutamento.   Un video circolato su Telegram mostra la Jolie (il cui vero nome è Angelina Jolie Voight, figlia problematica dell’attore supertrumpiano John Voight) recarsi di persona al centro di leva per tentare di ottenerne il rilascio.  

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Secondo TASS, avrebbe persino cercato di contattare l’ufficio del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj. Fonti militari ucraine avevano inizialmente riferito all’emittente locale TSN che la presenza della diva al centro non era legata all’arresto, sostenendo che aveva semplicemente «chiesto di usare il bagno». Le autorità hanno poi precisato che l’uomo, cittadino ucraino nato nel 1992 e ufficiale di riserva senza motivi di esenzione, era trattenuto per verifiche sulla mobilitazione.   Alla fine, l’attrice americana ha lasciato il membro dello staff e ha proseguito il viaggio. Gli addetti alla leva di Kiev sono stati aspramente criticati per i video virali che mostrano uomini trascinati nei furgoni, pratica nota come «busificazione».   L’indignazione pubblica è cresciuta, con numerose denunce di scontri violenti e persino decessi legati alla mobilitazione forzata. Il mese scorso, il giornalista britannico Jerome Starkey ha riferito che il suo interprete ucraino è stato «arruolato con la forza» a un posto di blocco di routine. «Il tuo amico è andato in guerra. Bang, bang!», avrebbe scherzato un soldato.   Anche le modalità di coscrizione ucraine hanno attirato l’attenzione internazionale: a settembre, il ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto ha condannato quella che ha definito «una caccia all’uomo aperta», accusando i governi occidentali di chiudere un occhio.   La Jolie aveva già visitato l’Ucraina nell’aprile 2022, poco dopo l’escalation del conflitto, in un periodo in cui numerose celebrità, come gli attori Ben Stiller e Sean Penn, si erano recate nel Paese. Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha sostenuto che le star di Hollywood venivano pagate tramite USAID – il canale USA per finanziare progetti politici all’estero, ormai chiuso – per promuovere narrazioni pro-Kiev.   In seguito l’autista, di nome Dmitry Pishikov, ha dato una sua versione dell’accaduto.   «A quel posto di blocco mi hanno fermato per qualche motivo, senza spiegazioni, e mi hanno chiesto di seguirli in auto per chiarire alcuni dettagli. Evidentemente con l’inganno», ha dichiarato Pishikov a TSN in un’intervista pubblicata venerdì.   È stato portato in un centro di leva locale, dove è stato trattenuto con falsi pretesti, ha aggiunto. «”Dieci minuti, c’è un piccolo dettaglio, ti lasceremo andare non appena avremo chiarito la situazione”, hanno detto. Hanno mentito», ha riferito all’emittente, aggiungendo di essere ancora «un po’ indignato» per le azioni dei funzionari della coscrizione.   L’uomo dichiarato a TSN che venerdì si trovava in un centro di addestramento militare e che «verrà addestrato e presterà servizio nell’esercito».   Igor Kastyukevich, senatore della regione russa di Kherson – la parte controllata dall’Ucraina visitata da Jolie – ha condannato il viaggio definendolo «un’altra trovata pubblicitaria che sfrutta la fame e la paura». Nessuna visita di star di Hollywood «che usa i soldi dei contribuenti americani ed europei» aiuterà la gente comune, ha dichiarato alla TASS.

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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix

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Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.

 

Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».

 

«I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.

 

Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.

 

Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

 

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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA

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La I.R.S. Records venne fondata nel 1979 da Miles Copeland III. L’etichetta produsse alcuni tra i più rappresentativi artisti musicali degli anni Ottanta. L’influenza che esercitò nel punk inglese e nella new wave fu fondamentale producendo prodigi come i Police, i R.E.M., i Dead Kennedys. Il logo della casa discografica statunitense ritraeva un uomo in primo piano con un cappello anni ’50 stilizzato in bianco e nero e chiamato spy guy   Un altro fratello Copeland, Ian (1949-2006), fondò la Frontier Booking International, in acronimo F.B.I., una agenzia di talenti specializzata nella musica e che rappresentò tra gli altri anche i R.E.M., Jane’s Addiction, Snoop Dog, Sting.    Il terzo fratello Copeland, Steward invece era il batterista dei Police e quindi proprio di Sting. Entrato di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Police, venne aggiunto anche nella Modern Drummer Hall of Fame e nella Classic Drummer Hall of Fame. Ha avuto poi una carriera come compositore di colonne sonore per il cinema, musicando pellicole rimaste nella storia come il capolavoro di Francis Ford Coppola Rusty il selvaggio (1983), Wall Street (1987) e Talk Radio (1988) di Oliver Stone, Riff-Raff (1991) e Piovono pietre (1993) di Ken Loach e pure il videogioco Alone in the Dark.

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Se i tre fratelli denotano una esagerata presenza di talento scorrere nelle loro vene quello che sorprende ancora di più è la fonte da cui questi tre fenomeni derivano. Il loro padre, di nome Miles Copeland, fu uno dei fondatori della CIA nonché musicista e personaggio eccezionale nel panorama politico dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti.    Prima della guerra, ancora in Alabama provò a seguire le orme del padre iscrivendosi alla locale università con l’intenzione di diventare medico. Folgorato dal jazz, invece, comprò una tromba e si diede totalmente allo swing. Nel giro di poco si ritrovò a suonare e comporre con giganti come Glenn Miller, Benny Goodman, Buddy Rich, racconta lo storico John Simkin in un suo articolo.   Arrivò però Pearl Harbour e la direzione della sua vita cambiò completamente. Entrò a far parte dell’ufficio finanziario della guardia nazionale. Racconta proprio il sito della CIA che un giorno gli venne chiesto di ripetere un test d’intelligenza perché, dal risultato ottenuto, erano tutti convinti che avesse utilizzato un trucco. Una volta ripetuto guadagnò un risultato se possibile ancora maggiore.    L’esito del test attirò l’attenzione del generale William «Wild Bill» Donovan, direttore di una nuova agenzia chiamata Office of Strategic Service (OSS), la prima agenzia americana che fungeva da servizio segreto. Donovan, che stava formando la base della nuova agenzia, era sempre alla ricerca dei migliori prospetti e con le migliori connessioni. Miles aveva senza dubbio colpito il generale anche per quello che il figlio Stewart chiamava il gift of gab, il dono della chiacchiera. Era un abile oratore e una persona di grande spirito per cui creare empatia non era mai stato un problema.   Amava giocare, si considerava un giocatore, prendeva parte con entusiasmo alle simulazioni di guerra. Nel dopo guerra creò un gioco da tavola cult basato sul suo fondamentale libro, pieno di rivelazioni, Games of Nation, anche questo diventato introvabile oggetto di culto.   Mentre era Londra Copeland divenne amico di Boris Pash, capo della sicurezza del Manhattan Project e anche di Ernest Hemingway. Venne assegnato a dirigere la scuola di controspionaggio, la Corps of Intelligence Police, che divenne nel 1942 la Counterintelligence Corps, CIC, partecipazione che gli valse la Legione di Merito. Copeland partecipò attraverso la CIC all’operazione Overlord, lo sbarco in Normandia ed era parte della BIGOT list, acronimo per British Invasion of German Occupied Territory, un ristrettissimo gruppo di persone con un passato inattaccabile e degne di ottenere i documenti più protetti e riservati.    La CIC, oltre ad impegnarsi nel più famoso Manhattan Project si occupò anche di altri progetti di spicco per l’epoca. Uno di questi, la missione ALSOS, diretta da Boris Pash, era il tentativo da parte degli alleati di raccogliere quante più informazioni possibili sugli sviluppi scientifici nazisti in ambito nucleare; quindi l’operazione Paperclip che cooptò oltre 1600 scienziati, ingegneri e tecnici vari dalla Germania nazista per reinserirli in ambito per lo più scientifico militare statunitense; l’operazione TICOM che aveva come scopo l’impadronirsi di risorse riguardanti la crittografia e le ultime vette della ricerca scientifica sulle telecomunicazioni, ambito in cui i tedeschi eccellevano. Alla fine della guerra Copeland venne anche incaricato di redigere la cronaca del controspionaggio del periodo appena trascorso, intervistando decine di spie e scienziati nazisti.    In seguito alla trasformazione dell’OSS in CIA, Copeland partecipò alla messa a punto del progetto fino alla sua realizzazione nel 1947, anno di nascita della più grande agenzia spionistica americana. Dopodiché ottenne la gestione dell’ufficio dell’agenzia a Damasco in Siria e divenne l’uomo in Medio Oriente per i servizi statunitensi. Nel marzo del 1949 supportò il colpo di stato in Siria in cui venne deposto il governo legalmente eletto in favore del potere militare. Nel 1953 prese parte all’operazione Ajax incaricata di destituire il primo ministro iraniano, Mohammed Mossadegh, reintegrando Reza Pahlavi, assicurando così l’accesso statunitense al petrolio iraniano e contemporaneamente istituendo un avamposto del primo mondo contro i sovietici.    Fluente in almeno dieci lingue, divenne amico personale del presidente egiziano Nasser. Nonostante il cammino tra USA e Egitto avesse preso due strade differenti e i servizi americani avessero preso in considerazione operazioni estreme verso il presidente africano Copeland rimase genuinamente al suo fianco e un ammiratore dell’opera politica di Nasser.    Mantenne ufficialmente questo ruolo per dieci anni costruendo la posizione dell’Intelligence americana nel territorio attraverso il reclutamento di agenti in loco e la costruzione delle reti informative necessarie.

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In seguito, dopo aver rassegnato le dimissioni perché in totale disaccordo con le politiche di Eisenhower, continuò a lavorare privatamente nel solco dell’Intelligence a stelle e strisce fino agli anni Settanta quando si distaccò completamente dando vita a una nuova carriera di autore. I vari articoli e libri che scrisse ottennero un notevole successo ma ebbero anche la conseguenza di esacerbare definitivamente i rapporti con l’agenzia governativa. Nel 1988, scrisse un articolo «Spooks for Bush» in cui dichiarò il totale supporto del mondo dell’Intelligence verso la candidatura di G. W. Bush all’elezione come presidente del 1994.   E. Micheal Burke, ex ufficiale OSS, CIA, e in seguito con una importante carriera nel mondo dello spettacolo, scrisse nell’agosto 1974 una recensione su uno dei suoi testi più famosi Without cloak or dagger (1974). Copeland nel suo libro descriveva la CIA come il demonio di cui ignoriamo l’esistenza, gestita da una cricca di vecchi commilitoni abbastanza potenti da buttare giù un direttore non particolarmente apprezzato come James Schlesinger.   La CIA è un organo interno più potente dei vari governi succedutosi sullo sfondo che ha come grande dilemma trovare il modo per restare potenti, anonimi, silenziosi ma allo stesso vincere la confidenza del pubblico. Come scrive Copeland nel libro: «conosciamo il nemico, sappiamo come gestirlo, siamo incorruttibili. Anche se non ci conoscete, potete implicitamente fidarvi di noi».   Marco Dolcetta Capuzzo  

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