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A Kiev hanno difeso Čajkovskij. In Italia no

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A giugno, l’Accademia nazionale di musica della capitale Ucraina Pëtr Čajkovskij, nota anche come Conservatorio di Kiev, ha rifiutato di rimuovere il nome del grande compositore russo.

 

Leone Tolstoj aveva già perso una piazza pubblica a lui intitolata; e c’è una proposta dal vivo per cambiare tutte le strade di Pushkin in tutta l’Ucraina in «via Stephen King Street». Il supporto all’ucronazismo da parte bestsellerista del Maine, non nuovo a esternazioni di goscismo cieco ed imbarazzante, erano venute alla luce poche settimane fa, quando due burloni radiofonici russi, fingendo di essere Zelen’skyj, avevan fatto dire al Kingo che Stepan Bandera era un padre della patria pari ai padri fondatori degli Stati Uniti.

 

Mettendosi contro il processo di pulizia etnoculturale in corso ovunque – non solo in Ucraina – lo scorso 16 giugno, il Conservatorio ha mantenuto la sua posizione: «Governi ed eserciti possono combattere, ma le culture non possono mai combattersi», ha spiegato Yurij Rybchinskyj, un importante cantautore ucraino e membro del consiglio di sorveglianza dell’Accademia.

 

«Čajkovskij, come Shakespeare, come Giovanna d’Arco, come Cristo, non appartiene a un popolo specifico, appartiene al mondo intero». Il musicista anche osservato che Čajkovskij proveniva persino da una famiglia di cosacchi di Zaporiggia – la città dell’Ucraina ora tristemente nota per gli attacchi alla grande centrale nucleare – che «trattava l’Ucraina con un amore incredibile» e che usava motivi della musica popolare ucraina in alcune delle sue opere.

 

Il compositore della musica per gli iconici balletti Il lago dei cigni e Lo schiaccianoci visitò l’Ucraina plurime volte e fu tra i fondatori del Conservatorio di Kiev.

 

La lettera dei membri del loro consiglio al presidente Zelens’kyj ha sottolineato il pericolo di «manipolazioni» che coinvolgono il nome di Čajkovskij, invitando le autorità del paese a prendere tutte le misure necessarie per «riportare il compositore con radici ucraine in Ucraina, proteggere la sua eredità dall’essere usata dall’aggressore come strumento per distruggere l’essenza ucraina».

 

Al momento nessuno del consiglio dell’Accademia è stato privato della cittadinanza, né trovato giustiziato per strada come è capitato ad altri definiti «collaborazionisti».

 

L’orrore della cancellazione della cultura russa – vero etnocidio culturale – è oramai visibile dapperttutto.

 

Il presidente russo Vladimir Putin aveva parlato degli sforzi dell’élite occidentale per armare la cancel culture «contro famosi compositori e scrittori russi ai roghi di libri nazisti». Un potente discorso pubblico contro questa «cultura dell’annientamento» era stato tenuto da Putin anche nel novembre 2021, prima della guerra, al Club Valdai, dove aveva paragonato la teoria del gender al coronavirus.

 

In USA vi sono state iniziative come quella della Metropolitan Opera che volevano vietare al soprano russo di fama mondiale Anna Netrebko di esibirsi.

 

Il 2 luglio 2021 il Cremlino aveva pubblicato la nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale, aggiornata per la prima volta dopo sei anni. Si tratta di un documento che segna una svolta dello Stato russo anche sul piano culturale.

 

Nella Strategia per la Sicurezza Nazionale sono per la prima volta contemplati attacchi ai «valori spirituali, morali, culturali e storici tradizionali della Russia» perpetrati da Stati, ONG e gruppi terroristici.

 

Se a Kiev Čajkovskij viene difeso, in Italia ciò non avviene.

 

È il caso, risalente allo scorso aprile, del Teatro Comunale di Lonigo, dove doveva andare in scena Il lago dei cigni. Lo spettacolo, con protagonisti artisti ucraini, invece è saltato, su ordine diretto del loro governo.

 

I giornali parlano di «una telefonata da Kiev ha fermato lo spettacolo mentre gli artisti stavano arrivando in città».

 

Kiev decide anche quello che devono e non devono vedere gli spettatori italiani.

 

«Il Teatro ha dovuto cancellare la serata dopo che il corpo di ballo ucraino de “Le Étoiles dell’Opera Nazionale dell’Ucraina’ è stato contattato dalla National Opera of Ukraine e dal ministero della Cultura ucraino, che hanno intimato loro di fermarsi» ha scritto Vicenza Today. «Oltre a Lonigo annullate anche tutte le altre date in Italia. In breve ai ballerini ucraini è stato ordinato dal loro Paese di non rappresentare più l’autore russo».

 

Gli incassi dovevano andare al popolo ucraino. Ai ballerini è stato intimato di rappresentare, invece del capolavoro del compositore russo, Giselle, del compositore francese Adolphe-Charles Adam.

 

È una pagina orrenda per il teatro italiano e per l’arte mondiale. Una pagina oscura, quasi quanto i piani del regime Zelens’kyj, che sogna di portarci alla Terza Guerra Mondiale – l’unica via che ha di salvarsi – ma nel frattempo nuclearizza la storia e la cultura, in nome di una purezza nazionalista che forse non sarebbe sbagliato definire, sulla scorta della cultura del battaglione Azov tanto sostenuto da Zelens’kyj, propriamente nazista – o meglio, ucronazista.

 

 

 

 

 

Immagine di Ewa Krasucka TW-ON via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

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In mostra al Prado un dipinto ritrovato di Caravaggio

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Questo Ecce homo era stato erroneamente attribuito ad un pittore poco conosciuto, ed era stato quasi battuto all’asta per 1500 euro. Fu finalmente autenticato come opera di Caravaggio e fu esposto per alcuni mesi al Museo del Prado di Madrid.

 

Dipinto tra il 1605 e il 1609, questo dipinto raffigura Cristo, con le mani legate e il capo circondato da una corona di spine, durante la sua presentazione alla folla da parte di Ponzio Pilato, poco prima della sua crocifissione. È uno dei sessanta dipinti al mondo attribuiti al maestro italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio, detto il Caravaggio (1571-1610), specialista del chiaroscuro.

 

Il Museo del Prado parla di un dipinto di «straordinario valore», segnato da una storia straordinaria, e lo presenta al grande pubblico fino a ottobre. Una mostra resa possibile dalla «generosità» del suo nuovo proprietario, che ha accettato di prestare l’opera temporaneamente, ha dichiarato il 27 maggio il direttore del Prado, Miguel Falomir, nel corso di una conferenza stampa nella quale si è trattenuto dal rivelare l’identità del fortunato acquirente.

 

Secondo David Garcia Cueto, capo del dipartimento di pittura italiana del Prado, la scoperta di questo dipinto è «un evento importante», perché «sono passati più di 45 anni» da quando è stata identificata una nuova «opera di Caravaggio».

 

Per gli esperti che ne hanno studiato la storia, questo piccolo olio su tela entrò nella collezione privata del re Filippo IV di Spagna a metà del XVII secolo, prima di essere esposto negli appartamenti del figlio Carlo II.

 

Lasciato in eredità alla Real Academia de San Fernando, a Madrid, sarebbe stato recuperato nel 1823 dallo statista e diplomatico spagnolo Evaristo Pérez de Castro, in cambio di un altro dipinto, prima di essere trasmesso ai suoi discendenti.

 

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Il dipinto era caduto nell’oblio fino all’aprile 2021 quando, – scambiandolo per opera di un discepolo di José de Ribera, pittore spagnolo dell’inizio del XVII secolo ed estimatore di Caravaggio –, una casa d’aste di Madrid lo aveva quotato 1500 euro.

 

Allertato dagli esperti, il Prado ha poi invocato «sufficienti prove documentali e stilistiche» per ritenere che l’opera fosse di Caravaggio. Il Ministero della Cultura spagnolo ha bloccato la vendita.

 

«Gli specialisti» che hanno studiato attentamente questo dipinto hanno stabilito «in modo assolutamente unanime» che si trattava di un dipinto del maestro italiano, insiste David Garcia Cueto. Tra gli esperti che hanno partecipato all’autenticazione di questo Ecce homo, c’era Maria Cristina Terzaghi, docente di arte moderna all’Università italiana Roma Tre.

 

In un’intervista rilasciata all’AFP nel 2021, questa specialista di Caravaggio ha confidato di aver «capito subito che poteva trattarsi di un dipinto molto importante», dopo aver visto un’immagine del dipinto inviata da amici antiquari.

 

Il dipinto «è stato sottoposto a radiografie» e ad un «esame» approfondito durante il restauro, ha spiegato l’accademico italiano, presente alla conferenza stampa del 27 maggio. Tutti questi elementi dimostrano che si tratta di «un vero capolavoro di Caravaggio», ha aggiunto, evocando la natura delle pennellate, la composizione del dipinto e l’espressività dei personaggi, tutti tipici dello specialista del chiaroscuro.

 

Sorge una domanda: cosa ne sarà di questo dipinto dopo i nove mesi di esposizione al Prado? Secondo i media spagnoli, il dipinto – acquistato per 36 milioni di euro da un cittadino britannico residente in Spagna – potrebbe restare esposto al grande pubblico.

 

L’opera «non finirà a casa del suo acquirente» perché quest’ultimo vuole che entri a far parte «di collezioni pubbliche ma, per il momento, sotto forma di prestito», ha spiegato al quotidiano El País, Jorge Coll, responsabile della galleria d’arte responsabile della sua vendita.

 

Dal lato del Prado sono cauti: «È un’opera privata, quindi il suo proprietario avrà l’ultima parola» sottolinea Miguel Falomir.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Come è stata scattata la foto del secolo

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La foto più iconica del XXI secolo è stata scattata, ovviamente, nel momento più incredibile visto sinora: il mancato assassinio del candidato presidente americano Donald J. Trump, ferito di striscio all’orecchio invece che accoppato sul posto da un proiettile la cui traiettoria sino ad una frazione di secondo prima viaggiava attraverso il suo cranio.   Una serie di fotografi sul posto hanno saputo reagire d’istinto: invece che nascondersi – come sembra abbiano fatto invece alcuni agenti donna del Servizio Segreto che avrebbero dovuto proteggere il presidente – si sono precipitati a fotografare il momento storico, anzi metastorico, che si stava consumando sotto i loro occhi.   La gara per l’immagine più spettacolare – al punto da essere stata definita «perfetta» anche da un punto di vista compositivo – l’ha scattata Evan Vucci, il fotografo capo dell’agenzia Associated Press a Washington D.C.  

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L’analista geopolitico Pepe Escobar ritiene che si tratti della «Iwo Jima 2.0», riferendosi alla nota foto dei soldati americani che durante la Seconda Guerra Mondiale issano sull’isola giapponese la bandiera a stelle e strisce.     Un’analisi pubblicata da Sara Oscar per il sito The Conversation scrive che «per capire esattamente cosa rende questa immagine così potente, ci sono diversi elementi che possiamo analizzare (…) Gli agenti formano una composizione triangolare che pone Trump al vertice; (…) L’agente ci trascina nell’immagine, ci guarda, vede il fotografo e quindi sembra vedere noi (…) Con sullo sfondo un cielo blu, tutto il resto nell’immagine è rosso, bianco e blu navy. I rivoli di sangue che cadono sul viso di Trump fanno eco alle strisce rosse della bandiera americana che si allinea con il rosso repubblicano del podio».   La Oscar ha sottolineato la conoscenza di Vucci dell’«importanza di mantenere un senso di compostezza fotografica nel riuscire a ottenere “lo scatto”, di essere sicuri di coprire la situazione da numerose angolazioni, compreso catturare la scena con la giusta composizione e luce».   Scrivendo sul Washington Post, Philip Kennicott ha descritto una fotografia a bocca chiusa come «fortemente costruita, con angoli aggressivi che riflettono il caos e il dramma del momento, e un potente equilibrio di colori, tutto rosso, bianco e blu, compreso il cielo azzurro sopra e lo stendardo decorativo bianco e rosso sotto. Trump sembra emergere dall’interno di una versione decostruita dei suoi colori di base».     Kennicott ha scritto che «è una fotografia che potrebbe cambiare l’America per sempre”, paragonandola al film Zapruder e all’immagine del 1988 di Michael Dukakis in un carro armato».  

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Sono fioccati anche paragono col dipinto di Eugène Delacroix del 1830 La Libertà che guida il popolo.     La testata The Spectator ha scritto che qualsiasi critico «riconoscerebbe che questa è una fotografia irripetibile – un’immagine che diventerà una delle più potenti nella politica e nella storia americana», salutando il lavoro di Vucci come «il fotogiornalismo nella sua forma più potente… l’immagine sarà ricordata come una delle fotografie politiche più importanti mai scattate».   The Atlantic, descrivendo una delle fotografie a bocca aperta, ha scritto che «è diventata immediatamente leggendaria» e che «qualunque cosa tu pensi dell’uomo al centro, è innegabilmente una delle più grandi composizioni nella storia della fotografia statunitense».     Il Washington Post ha scritto che una delle versioni a bocca aperta sarebbe «entrata sicuramente nel pantheon della fotografia americana». The Australian ha scritto che una delle fotografie a bocca aperta era «destinata a diventare una delle immagini distintive del nostro tempo», descrivendola come «perfettamente composta».   Il fotografo Vucci, che ha 47 o 48 anni, è un fotoreporter che ha già vinto il Premio Pultizer per foto che riprendevano la rivolta seguita al caso George Floyd.   Sappiamo che lavora oramai da più di un quarto di secolo. Dopo le Olimpiadi di Sydney 2000, il ragazzo ha fatto esperienza scattando nell’Iraq invaso dagli americani, anche in postazioni di combattimento dove ha testimoniato di soldati americani morti e feriti. Di lui si sa che negli ultimi anni ha scoperto il ju-jitsu che pratica anche in gara.   Come riportato da Renovatio 21, era sua la foto scattata in Vaticano con Trump sorridente accanto a Bergoglio con il broncio.  

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La sua foto-capolavoro, giustamente, è già finita sulla copertina di TIME.   Tuttavia è apparso in rete un video che mostra esattamente come è andata. Un filmato POV (cioè, in prima persona), visto proprio secondo la prospettiva di un fotografo che assiste alla scena e cerca la posizione per lo scatto migliore.   Questa clip non l’ha girata il Vucci, ma il collega del Washingon Post Jabin Botsford. Rende benissimo l’idea di quel momento.           Che dire. Uno pensava di averne viste tante, anche nel mondo del fotogiornalismo, che diciamo pure che pareva aver perso – per la superfetazione di immagini anche in movimento che ci bombardano – la carica iconica, epocale, insomma la sua specifica cifra di arte.   E invece.

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Le sanzioni impediscono il concerto di Kanye West a Mosca

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Il rapper americano Kanye West, noto come Ye, non si esibirà in Russia, ha dichiarato al quotidiano Podyem il fondatore dell’agenzia di concerti TCI, Eduard Ratnikov, spiegando che ciò potrebbe mettere a repentaglio la carriera dell’artista.

 

Secondo Ratnikov, l’artista vincitore di un Grammy rischia di perdere completamente i mercati occidentali, sottolineando che le aspettative di un concerto a Mosca durante la sua visita sono irrealistiche.

 

I commenti sono arrivati ​​due giorni dopo che sui social media è stato diffuso un video che mostrava un uomo in tuta bianca che somigliava al rapper mentre entrava nell’hotel Four Seasons nel centro della capitale russa. Un altro video sembrava mostrare lui e il suo entourage all’interno di un sottopassaggio pedonale vicino a Piazza Rossa.

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I media locali hanno poi riferito che il motivo principale della visita di Ye era la festa di compleanno dello stilista russo Gosha Rubchinskiy, che West ha nominato nuovo direttore creativo del suo marchio Yeezy nel dicembre 2023.

 

«I funzionari che ho contattato dopo che Kanye ha annunciato che avrebbe fatto un tour in Russia e in Africa hanno paura di qualsiasi associazione con una mossa del genere», ha detto Ratnikov all’agenzia di stampa, senza fornire dettagli su dove e quando è stato fatto tale annuncio.

 

Secondo il promotore, l’artista potrebbe facilmente venire in Russia in visita privata «per soldi o per svago», ma un’esibizione vera e propria nel Paese è impossibile.

 

«Secondo le mie informazioni, nessuno ha mai discusso di nulla del genere con lo stadio Luzhniki; né a maggio, né a giugno, né ora. Le speculazioni sembrano fake news di qualche eccentrico in cerca di clamore», ha detto Ratnikov.

 

A maggio, i media locali hanno riferito che Ye stava pianificando di festeggiare il suo 47° compleanno con un concerto allo stadio Luzhniki di Mosca il mese successivo, ma non è riuscito a raggiungere un accordo con gli organizzatori dell’evento.

 

All’epoca, Ratnikov ha detto a Izvestia che le voci sul concerto estivo erano «false», ma ha confermato che i colloqui hanno avuto luogo ad aprile.

 

L’imprenditore ha affermato che le trattative sono saltate dopo che il rapper ha chiesto la bellezza di 5 milioni di dollari per l’esibizione.

 

L’anno scorso durante una trasmissione di Alex Jones il West, vestito con una strana maschera, aveva dichiarato di apprezzare Putin. Nella stessa intervista aveva lodato Aldolfo Hitler per l’invenzione dei microfoni moderni e preso per i fondelli Benjamin Netanyahu e tutto l’establishment ebraico-americano, con particolare riguardo per Ari Emanuel, fratello di Rahm ed Ezekiel e uomo forte di Hollywood.

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Come riportato da Renovatio 21, il Kanye aveva espresso in passato la sua totale opposizione ai vaccini, considerati come «il marchio del demonio».

 

In molti hanno lo hanno definito come instabile di mente. Dopo la fine del matrimonio con la diva TV Kim Kardashian – figlia dell’avvocato armeno-americano di O.J. Simpson e tra le massime celebrità statunitensi – si sarebbe risposato con una ragazza che sta portando in giro per il mondo con mise succinte è dire poco.

 

Poco sondata, di recente, la sua relazione con il brand Balenciaga, che aveva dato scandalo per inquietanti fotografie e campagne pubblicitarie che sembrano richiamare il tema della pedofilia. Kanye ha sfilato per la maison a Parigi e ha relazioni dirette con lo stilista georgiano di Balenciaga Denma Gvasalia.

 

Lo Ye aveva deciso di presentarsi come candidato presidenziale, circolando erraticamente per varie trasmissioni internet con due figure come Milo Yannopulous e Nick Fuentes, cattolici considerati controversi per ragioni differenti. Non è chiaro se tutti e due ancora lo frequentano in questa ultima svolta dell’artista, che, dopo aver parlato di religione, ora dice di voler aprire una casa di produzione pornografica.

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Immagine di Jason Persse via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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