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Kiev attacca l’opera di Berlino: canta il soprano russo Anna Netrebko

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Il soprano russo di fama mondiale Anna Netrebko ha partecipato alla prima del Macbeth di Verdi il 15 settembre all’Opera di Stato di Berlino. Non sorprende che il ministero degli Esteri ucraino abbia criticato il teatro dell’opera per la sua decisione.

 

In un post su Facebook, il ministero si è lamentato: «la voce dell’Ucraina in Germania dovrebbe essere ascoltata più forte del soprano Anna Netrebko», e ha anche affermato che i loro sforzi per impedire le esibizioni di Netrebko a Berlino «non hanno avuto la risposta adeguata».

 

Secondo RT, l’Ucraina intendeva protestare contro la sua presenza inviando l’ambasciatore Oleksiy Makeiev alla mostra anti-russa «Crimini di guerra russi», allestita accanto al teatro dell’opera, accompagnato dal ministro della Cultura della città di Berlino Joseph Chialo. Makeiev ha anche pubblicato un editoriale in cui denuncia la Netrebko in diversi organi di informazione tedeschi.

 

Secondo l’agenzia Associated Press, le autorità ceche, sotto pressione, hanno annullato l’esibizione programmata di Netrebko a Praga il mese scorso.

 

All’inizio di quest’anno, Netrebko ha anche vinto una causa contro il Metropolitan Opera di New York, per aver rescisso il suo contratto lì l’anno scorso. Secondo l’AP «il Met ha compiuto ripetuti sforzi negli ultimi giorni cercando di convincere Netrebko a ripudiare Putin, ma non è riuscito a convincerla, ha detto una persona a conoscenza degli sviluppi, parlando a condizione di anonimato perché quel dettaglio non è stato annunciato».

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Venerdì sera all’Opera di Stato di Berlino Unter den Linden la 51enne soprano austro-russa è stata celebrata dal pubblico con un’ovazione lunga un minuto.

 

Nel teatro dell’opera tutto esaurito con quasi 1.400 posti, dopo le prime arie, c’è stata una resa dei conti tra applausi e fischi persistenti. Secondo l’agenzia di stampa DPA, la Netrebko ha risposto due volte alle proteste dei suoi critici con le braccia incrociate in modo dimostrativo e un sorriso accattivante sul bordo del palco.

 

Con il passare delle tre ore della serata, ci sono stati applausi sempre più fragorosi per Netrebko, gli altri solisti, il coro e l’orchestra diretti da Bertrand de Billy. L’ambientazione, ripresa da una produzione di Harry Kupfer del 2018, avrebbe inquietanti parallelismi con le immagini di guerra dell’Ucraina in alcune scenografie.

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Il soprano di fama internazionale è stato criticato per la sua presunta vicinanza al presidente russo Vladimir Putin dopo l’inizio della guerra. Davanti al teatro dell’opera gli oppositori dello spettacolo hanno protestato per tutta la serata con forti grida, manifesti e bandiere ucraine.

 

Come riportato da Renovatio 21, la furia russofoba tracimata nel mondo delle arti aveva fatto saltare, anche in Italia, il balletto Il lago dei cigni di Tchaikovskij.

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Immagine di Simon Wedege Petersen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
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Zelens’kyj chiede a Marina Abramovic di divenire «ambasciatrice» per l’Ucraina

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha chiesto alla controversa artista Marina Abramovic, il cui lavoro pubblico è stato accusato da alcuni di satanismo, di rappresentare l’Ucraina come ambasciatrice.   Abramovic, 76 anni, ha dedicato la sua carriera ad essere un’artista-provocatrice, incorporando spesso nudità, violenza e simboli satanici nelle sue esibizioni pubbliche di arte dal vivo.   «Sono stata invitata da Zelens’kyj a diventare ambasciatore dell’Ucraina, per aiutare i bambini colpiti dalla ricostruzione delle scuole e cose del genere», avrebbe detto Abramovic in un’intervista al Museo d’Arte Moderna di Shanghai, secondo il Daily Telegraph in un articolo ora cancellato.   «Sono stata anche invitata a far parte del consiglio dell’organizzazione Babyn Yar per continuare a proteggere il memoriale», ha aggiunto, riferendosi a un centro commemorativo dell’Olocausto dedicato agli ebrei assassinati dai nazisti in Ucraina.   «Sono stata la prima artista a sostenere la guerra dell’Ucraina contro la Russia e a dare la mia voce», ha dichiarato. «È sicuramente una ripetizione della storia».   Nel corso degli anni la Abramovic ha scritto messaggi grandi quanto un cartellone pubblicitario con il sangue di maiale, ha inciso pentagrammi sul suo stomaco con lame di rasoio, si è messa corna sulla testa e ha organizzato le famigerate cene di «Spirit Cooking» divenute notissime durante la campagna presidenziale americana 2016.

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Il nome della Abramovic infatti era conosciuto principalmente solo nei circoli artistici d’avanguardia fino a poco prima delle elezioni presidenziali del novembre 2016, quando il suo nome è apparso nelle e-mail pubblicate da Wikileaks ottenute dall’hacking dall’account di John Podesta, presidente della campagna presidenziale di Hillary Clinton. Il fratello di John, Tony, è un noto collezionista di arte visivamente inquietante.   Una delle e-mail hackerate era un invito di Abramovic a entrambi i fratelli Podesta chiedendo loro di unirsi a lei per lo «Spirit Cooking» nella sua residenza a New York.   Una performance «Spirit Cooking» del 1997 registrata in video prevedeva che l’artista utilizzasse il sangue di maiale per scrivere «ricette» sui muri. Gli unici ingredienti richiesti sono i fluidi corporei: «mescola latte materno fresco con latte di sperma fresco» e «urina fresca del mattino spruzzata sui sogni da incubo» e «con un coltello affilato taglia profondamente il dito medio della mano sinistra e mangia il dolore».     «L’atto della cucina spirituale implica che Abramovic usi il sangue di maiale come un modo per connettersi con il mondo spirituale, per cucinare pensieri piuttosto che cibo», secondo un articolo del 2016 del Guardian.   Tali lavori dell’artista le sono valsi le accuse di essere satanista e di mimare con i suoi rituali il cannibalismo.   Le si è sempre difesa parlando del valore spirituale della sua arte. «Il mio lavoro riguarda più la spiritualità e nient’altro», ha detto Abramović ad ARTnews nel 2016 dopo che le email di Podesta erano state rivelate. «Faccio il mio lavoro da così tanto tempo e questo è un malinteso. È assolutamente scandaloso e ridicolo… voglio dire, questo mondo sta davvero diventando un inferno. Sono completamente stupita, qualcosa viene decontestualizzato allo scopo di vincere. Viviamo in un mondo così strano».

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«Ci siamo divertiti molto», aveva detto la Abramovic al New York Times riguardo a quel particolare evento «Spirit Cooking». «Non c’era sangue umano, né servizi per bambini, né orge sessuali».   Secondo il Times, «quando le teorie del complotto hanno cominciato ad emergere, ha detto la signora Abramović, ha pensato che fosse “semplicemente folle”».   «Sono un artista, non un satanista!» ha dichiarato.   Alcuni anni fa, la Abramovic posò con Jacob Rothschild davanti a un dipinto di Thomas Lawrence intitolato «Satan Summoning his Legions» alla Royal Academy of Arts di Londra.   La fotografia ancora circola in rete.     Non solo Zelens’kyj e i Rothschild e i Podesta si sono fatti stregare dalla figura dell’artista serba, ancora ricercatissima.   Come riportato da Renovatio 21, venerdì 10 aprile 2020 – venerdì Santo dell’anno della pandemia appena iniziata – con il mondo in lockdown – venne pubblicato da Microsoft un video promozionale per HoloLens 2 con protagonista la Abramovic. Molti commentatori obbiettarono a questa strana scelta di testimonial da parte dell’azienda, e la casuale coincidenza di averlo fatto uscire il giorno di commemorazione della morte di Nostro Signore. Vi furono quindi in rete le solite accuse di «satanismo».   Il colosso informatico di Bill Gates (lui) dovette quindi ritirare il video promozionale. Attualmente il video è sparito dalla rete.   La Abramovic è diventata la prima donna ad avere una mostra retrospettiva personale alla Royal Academy of Arts nel Regno Unito, dal 23 settembre 2023 al 1 gennaio 2024. La BBC ha riferito che i visitatori entreranno nella mostra passando tra due modelle nude.

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  Immagine di Manfred Werner / Tsui via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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Guerra e pace secondo Tolkien

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Il Signore degli Anelli è il libro con cui John Ronald Tolkien ha riportato l’epica nella narrativa in pieno XX secolo. Un libro che non rappresentava però uno sguardo nostalgico a un passato idealizzato, ma che dava una rappresentazione di grande respiro della condizione umana, con tutte le sue miserie e tutte le sue nobiltà.

 

Il capolavoro di Tolkien è stato indagato sotto molteplici aspetti, ne sono state analizzate le fonti, è stata evidenziata la filosofia che è sottesa alla sua narrazione. Ma ci sono anche elementi della biografia dell’autore che aiutano a comprendere tutti i valori rappresentati nel racconto della Guerra dell’Anello. Ed è proprio nella partecipazione del giovane neolaureato ad Oxford alla Prima Guerra Mondiale che troviamo degli importanti spunti di riflessione.

 

Nell’agosto del 1914, mentre Tolkien si avviva a completare i suoi studi universitari e già coltivava la sua passione per le lingue, l’Europa si avviò verso l’orrore. Era iniziata la lunga, crudele guerra civile europea, l’inutile strage voluta dai vecchi nazionalismi e dai nuovi imperialismi che avrebbe sconvolto il Vecchio Continente per trent’anni, seminando morte e distruzione di uomini e di valori.

 

La Gran Bretagna non prevedeva la coscrizione obbligatoria, e così Tolkien poté continuare nei suoi studi, mantenendosi tiepido nei confronti degli ardori patriottici che spingevano migliaia di giovani inglesi a lasciare il lavoro e lo studio per indossare la divisa kaki e a farsi inviare verso i massacri delle trincee e dei campi di battaglia in territorio francese.

 

Ben pochi degli entusiasti che si preparavano cantando ad andare in guerra presagivano quella catastrofe che ne sarebbe seguita: la morte atroce di milioni di giovani vite, e la fine di un’epoca, forse di un mondo. Le forze dell’Intesa – Gran Bretagna, Francia, e poi Italia e Stati Uniti nel 1917 – si accingevano a distruggere la Mitteleuropea gentile e cristiana, a far scomparire quell’Impero che da Vienna amministrava pacificamente etnie e religioni diverse. Ma gli stessi vincitori non avrebbero tratto particolari benefici dal loro successo, vedendo nascere in breve tempo regimi totalitari o, come nel caso della Gran Bretagna, assistendo all’inesorabile declino dell’Impero e all’esplodere di gravi crisi economiche e sociali.

 

La mente e il cuore di Tolkien, in quei fatidici mesi, furono occupati da ben altro: nel giugno del 1915 finalmente concluse gli studi conseguendo il massimo della votazione. Era certo che a guerra finita avrebbe potuto rimanere a Oxford con un incarico accademico, e finalmente avrebbe portato all’altare la sua fidanzata Edith.

 

Tuttavia nell’estate del 1915 venne inquadrato come sottotenente nei Fucilieri del Lancashire, e iniziò l’addestramento. La vita militare gli risultò subito odiosa: «tra i superiori non esistono gentiluomini, e persino gli esseri umani sono rari», scriveva alla fidanzata. Il mito dell’ufficiale britannico evidentemente non fece alcuna presa su un giovane nutrito di sentimenti cavallereschi, ma anche improntato a un sano realismo cristiano. E ancora oggi coloro che idealizzano chi indossa una divisa, magari una mimetica, dovrebbero riflettere su queste parole del mite Tolkien, che aveva colto tutta la folle disumanità dei vertici militari.

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Decise di specializzarsi in comunicazioni e segnalazioni, così da poter lavorare con messaggi e codici, così simili alle antiche lingue che amava decriptare. Avvicinandosi il momento dell’imbarco per la Francia, non sapendo quanto il conflitto avrebbe potuto durare e non sopportando l’idea di un’altra drammatica separazione, John Ronald Tolkien ed Edith Bratt si unirono in matrimonio il 22 marzo 1916 nella parrocchia cattolica di Warwick.

 

A giugno Tolkien era sul fronte della Somme, sotto il fuoco delle mitragliatrici. «Bisogna sperimentare personalmente i tempi bui della guerra, per capirne tutta l’angoscia», scriverà anni dopo nel Signore degli Anelli. Il fango, il sangue, l’agonia dei feriti, i volti stravolti dei caduti, il coraggio e lo spirito di sacrificio dei soldati semplici: tutto questo entrò indelebilmente nella vita di Tolkien, nella sua coscienza attenta. La necessità dell’eroismo e della solidarietà entrarono a far parte definitivamente della sua visione del mondo.

 

Nell’ottobre venne colpito da una seria forma di «febbre delle trincee», una malattia trasmessa dai parassiti che debilitava gravemente l’organismo. Dopo un ricovero all’ospedale da campo, visto che le sue condizioni non miglioravano, venne disposto il suo ritorno in Inghilterra. All’arrivo, nel novembre, fu trasportato in un ospedale di Birmingham. Era a casa, di nuovo vicino a Edith, e per lui la guerra era finita.

 

Per un’intera generazione di giovani europei la Grande Guerra ebbe a significare la fine dell’innocenza. Tolkien, ricoverato a lungo per le cure e la convalescenza, ebbe tempo e modo di riflettere a fondo su ciò che aveva visto e provato in quei pochi mesi di guerra a cui aveva preso parte: anzitutto il male, che non era rappresentato dal nemico, dagli avversari che condividevano le stesse fatiche, le stesse paure, gli stessi strazi, la stessa sorte fatale, ma il male che aveva spinto, attraverso la volontà di potere della politica, a mandare milioni di contadini, operai, impiegati, studenti, gli uni contro gli altri, costringendoli a combattersi, ad odiarsi, ad uccidersi: inglesi contro tedeschi, italiani contro austriaci e così via.

 

Tolkien non perse in quel disastro umano l’innocenza dell’infanzia né la speranza della giovinezza: al contrario acquisì dall’orrore della sofferenza e della morte una fede più matura e consapevole.

 

Gli avvenimenti dolorosi che già aveva personalmente sperimentato dai suoi primi anni – la morte del padre, le ingiustizie subite dalla madre e la sua morte, la pena provata nella separazione da Edith, la fatica degli studi ad Oxford – lo avevano reso un giovane sensibile certamente, ma privo della utopica ingenuità romantica di molti suoi coetanei più fortunati: John Ronald aveva imparato a distinguere e a comprendere i segni del destino, tracciati da Dio secondo un disegno che ci sfugge o che fatichiamo ad accettare. Un destino che non può che essere di bene, anche se su di noi, sulle nostre scelte, incombe la tentazione del male, del rifiuto, dell’opposizione, della corruzione.

 

Tutto il fango, la sporcizia, il sangue delle trincee, le lacrime, le urla e le bestemmie dei soldati, nonché l’arroganza, il cinismo e la stupidità degli alti ufficiali che mandavano migliaia di vite umane incontro a morte sicura in attacchi insensati in campo aperto, non riuscirono a far perdere al giovane Tolkien la sua fede, la sua speranza, la sua carità.

 

Dall’esperienza bellica ne uscì profondamente segnato, ma non in senso negativo. Da lì maturò anche la grandiosa visione storica che è sottesa alle sue principali opere, Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion. Nei piccoli hobbit, in particolare nel fedele Sam Gamgee, è possibile riconoscere ad esempio il carattere determinato e pronto al sacrificio dei tommies, i soldati semplici inglesi

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Così certi paesaggi desolati, certe terribili descrizioni come quella di Mordor, «la terra nera», ovvero il regno del malvagio Sauron, protetto da una corona di monti, scarsamente accessibile, terra assolutamente inospitale dominata da una natura desolatamente aspra e ostile, con paesaggi infernali, difesa da nere fortezze, scaturirono anni dopo dal ricordo dei campi di battaglia.

 

Nel conflitto Tolkien aveva anche perduto alcuni dei suoi più cari amici. Negli anni delle scuole superiori, al King Edward’s, aveva stretto un entusiasmante sodalizio umano e culturale con altri ragazzi dell’istituto: erano i TCBS, ovvero «Tea Club and Barrovian Society», coloro che prendevano insieme il tè, preferibilmente presso la sala dei Magazzini Barrow, a Birmingham.

 

La combriccola era animata principalmente dallo stesso Tolkien e da altri due ragazzi, Christopher Wiseman e Robert Gilson; al gruppo si aggiunse poi un altro studente di tre anni più giovane di Tolkien, che gli fece scoprire il fascino e il significato della poesia: Geoffrey B. Smith. Erano studenti entusiasti, innamorati dei miti antichi, e amavano ritrovarsi a leggere insieme, raccontandosi le loro impressioni, leggendo le poesie che componevano, facendo passeggiate estive.

 

Tolkien si esercitò con questo piccolo e appassionato pubblico di intenditori a leggere e commentare le saghe antiche, facendosi beffe di Richard Wagner del quale disprezzava l’interpretazione dei miti. Il TCBS fu uno dei maggiori motivi di gioia nella non facile giovinezza di Ronald, e la gratificazione che proveniva da queste amicizie riuscì in parte a compensare il successivo lungo distacco forzato da Edith.

 

La guerra separò drammaticamente i TCBS, che avevano continuato a frequentarsi anche dopo gli anni di scuola. Vennero uccisi nel corso del 1916 sia Gilson che il giovane Smith.

 

Questi, poco prima della sua fine, aveva scritto una lettera a Tolkien, le cui parole finali avrebbero risuonato a lungo profeticamente nel cuore dell’amico: «la mia principale consolazione è che se finirò nei guai questa notte – sarò fuori, in servizio, tra pochi minuti -, ci sarà sempre un membro del grande TCBS che racconterà cosa sognavo e su che cosa eravamo tutti d’accordo. Poiché la morte di uno dei suoi componenti non può, ne sono profondamente convinto, dissolvere il TCBS. La morte può renderci ripugnanti e inermi come individui, ma non può porre fine agli Immortali Quattro! Una scoperta che sto per comunicare anche a Rob, prima di partire questa notte. E la scriverò anche a Christopher. Possa Dio proteggerti e benedirti, mio caro John Ronald, e possa tu raccontare le cose che ho cercato di dire, anche dopo che io non sarò più qui per raccontarle, se questo sarà il mio destino. Tuo per sempre G.B.S.».

 

Tolkien accolse nel suo cuore questo mandato, e mise la sua arte e il suo talento al servizio di lettori cui offrì il racconto di gesta eroiche compiute non solo da nobili cavalieri, ma anche dalle piccole creature che anni dopo uscirono dalla sua fantasia: gli Hobbit.

 

Mostrò con la sua arte quello che è l’unico modo di combattere il Male: contrapporgli il bene.

 

Paolo Gulisano

 

Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

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La Cina vuole mettere al bando il cosplay. Grande lezione di civiltà

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La Repubblica Popolare Cinese vuole dare un giro di vite contro i cosplayer. La notizia sta rimbalzando in tutto il fandom globale di anime e manga, sconvolgendo la nerditudine intossicata dall’industria culturale giapponese.   Come parte di un nuovo disegno di legge sulla sicurezza proposto dai legislatori cinesi all’inizio di questo mese, la «Legge sulle sanzioni per l’amministrazione della pubblica sicurezza» aggiungerà una linea che potrebbe rendere il cosplay illegale in determinate circostanze.   Per chi non conoscesse il termine, il cosplay è l’attività di indossare costumi e accessori per rappresentare un personaggio specifico del proprio fumetto, cartone, serie, film preferito. Si tratta di un fenomeno con molta diffusione presso i fanatici di prodotti culturali nipponici, che usano travestirsi in occasione di mostre e convegni sul tema. I risultati sono spesso visivamente sgradevoli se non disturbanti, in alcuni casi addirittura pericolosi per la fiducia nella specie umana.   Una clausola particolare della legge stabilirebbe che i cittadini non potevano indossare abiti che «ferissero i sentimenti della Nazione cinese», definizione poi ampliata con una definizione secondo la quale qualsiasi abbigliamento potrebbe essere vietato se «mettesse a repentaglio lo spirito nazionale cinese o ferisse i sentimenti nazionali».   Sebbene la legge non affermi specificamente che il cosplay viene messo fuori legge, molti commentatori vedono l’emendamento proposto come una conseguenza del recente rilascio di acque reflue nucleari in mare da parte del Giappone, operazione assai contestata da coreani e cinesi, popoli non sempre ben disposti nei confronti dei giapponesi, i quali, ricordiamo pure, avevano invaso le loro terre nella prima parte del Novecento.

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Le ruggini tra Cina e Giappone in particolare non si sono mai placate, anche davanti alla chiara cooperazione economica fra i due Paesi, percolando in polemiche completamente inaspettate: è il caso della costruzione del grattacielo Shanghai World Financial Center, un colosso di 492 metri completato nel 2008, che è stato fino al 2015 il palazzo più alto della città.   L’edificio ha sulla sua sommità un buco trapezoidale, ma la forma originaria era tonda. I cinesi accusarono il costruttore, la giapponese Mori Building Company, di voler simboleggiare, con il buco circolare, la bandiera del Giappone, che avrebbe così subliminalmente svettato inarrivabile sopra la seconda più importante città cinese, già teatro di una tremenda occupazione nipponica testimoniata nel romanzo autobiografico di James Ballard divenuto poi film di Steven Spielberg L’Impero del Sole.   Il cosplay potrebbe essere quindi visto come una sorta di cavallo di Troia attivato dal Sol Levante per manipolare la gioventù cinese.   In un recente video del canale giapponese Fuji TV, è stato mostrato un conflitto tra un impiegato cinese di un parco pubblico e alcuni cosplayer.   Da tempo si discute di un possibile decoupling di Cina e Giappone in termine di cartoni e fumetti, visto che la Cina starebbe facendo crescere in qualità e quantità un’industria propria, al punto di mettere in prospettiva un possibile sorpasso.   All’inizio di quest’anno, un co-fondatore dello Studio MAPPA, Masao Maruyama, ha dichiarato che in futuro la Cina potrebbe benissimo superare il Giappone nel settore degli anime.   «In Giappone, le persone non sono più addestrate all’animazione. L’unico motivo per cui la Cina non ha ancora raggiunto il Giappone è a causa di una serie di restrizioni imposte alla libertà di espressione lì. Se di più la libertà sarà liberata, il Giappone sarà sopraffatto in un batter d’occhio» ha dichiarato il Maruyama.

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Renovatio 21 ritiene che la Repubblica Popolare Cinese sia co-responsabile della devastazione economica occidentale, oltre che della sanguinaria persecuzione dei cristiani e dell’assassinio di centinaia di milioni, forse un miliardo (considerando ora la provetta selvaggia cinese) di bambini non nati.   Purtuttavia, non è che possiamo restare indifferenti davanti ad una grande lezione di civiltà come questa: proibire il cosplay per salvare il decoro e pure l’onore di una generazione che si sta richiudendo in se stessa, rintronandosi in un autismo disperante a forza di cartoni e pupazzetti.   Per cui, per una volta – un orologio rotto due volte al giorno ha ragione – stavolta stiamo con Xi e contro i cosplayer.   No al cosplay. Sì alla vita.   Qualcuno che voglia finanziare una campagna di pubblicità progresso in merito, c’è?   (Stiamo facendo satira: cosplayer italioti, non mandatoci anche voi messaggi minatori)

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    Immagine di Cory Doctorow via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)  
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