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Economia

L’India contro le criptovalute: «sono come uno schema Ponzi, minacciano la sovranità finanziaria di un Paese»

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Un alto funzionario della Banca Centrale indiana ha paragonato le criptovalute a uno «schema Ponzi» e ha suggerito un divieto assoluto. Lo riporta il sito di tecnologia ed economia Tech Crunch.

 

Si tratta della critica più aspra ricevuta al momento dal mondo di Bitcoin e compagni, un’accusa che arriva  poche settimane dopo che il governo ha proposto la tassazione degli asset digitali virtuali e ha aperto la strada per riconoscerli come monete a corso legale in quello che è il più grande mercato di Internet, l’India.

 

T. Rabi Sankar, vice governatore della Reserve Bank of India (RBI), ha detto a un pubblico in una conferenza bancaria che le criptovalute sono state «sviluppate specificatamente per aggirare il sistema finanziario regolamentato» e non sono supportate da alcun flusso di cassa sottostante.

 

“Abbiamo anche visto che le criptovalute non sono suscettibili di definizione come valuta, asset o merce; non hanno flussi finanziari sottostanti, non hanno valore intrinseco; che sono simili agli schemi Ponzi e potrebbero anche essere peggiori”, ha detto.

Le osservazioni di Sankar arrivano in un momento in cui il governo indiano ha inviato segnali che si sta muovendo nella direzione del riconoscimento della risorsa virtuale digitale come moneta a corso legale. Il ministro delle finanze della nazione Nirmala Sitharaman ha proposto di tassare il reddito maturato dal trasferimento di criptovalute e NFT nel bilancio federale all’inizio di questo mese.

 

La vendita di criptovalute e NFT si è fatta strada rapidamente in India nell’ultimo anno nonostante l’incertezza normativa. Secondo un’analisi della società di ricerca Chainalysis, il secondo mercato Internet più grande del mondo ha visto il secondo più alto tasso di adozione per gli investimenti in criptovalute.

 

«L’entità e la frequenza di queste transazioni hanno reso imperativo prevedere un regime fiscale specifico», ha affermato nel suo discorso sul bilancio.

 

La Banca Centrale indiana è stata finora molto cauta riguardo alle criptovalute. Nel 2018 ha vietato alle società finanziarie di occuparsi di criptovalute. Il divieto è stato annullato dalla Corte Suprema indiana due anni dopo , ma la maggior parte delle banche ha continuato a seguire la direzione della RBI.

 

 

Il discorso di Sankar ha chiarito che la RBI non ha cambiato la sua posizione di lunga data. «Come riserva di valore, le criptovalute come il Bitcoin hanno dato finora rendimenti impressionanti, ma anche i tulipani nei Paesi Bassi del 17° secolo. Le criptovalute sono molto simili a un contratto speculativo o di gioco d’azzardo che funziona come uno schema Ponzi. In effetti, è stato affermato che lo schema originale ideato da Charles Ponzi nel 1920 è migliore delle criptovalute dal punto di vista sociale».

 

Le criptovalute, ha continuato il Sankar, possono «distruggere» il sistema valutario, l’autorità monetaria, il sistema bancario e in generale la capacità del governo di controllare l’economia, ha avvertito.

 

«Minacciano la sovranità finanziaria di un Paese e lo rendono suscettibile alla manipolazione strategica da parte di società private che creano queste valute o dei governi che le controllano. Tutti questi fattori portano alla conclusione che vietare la criptovaluta è forse la scelta più consigliabile aperta all’India», ha affermato.

 

«Abbiamo esaminato le argomentazioni avanzate da coloro che sostengono che le criptovalute dovrebbero essere regolamentate e abbiamo scoperto che nessuna di esse resiste al controllo di base».

 

Si tratta di un momento particolarmente teso per il mondo del Bitcoin e delle criptovalute.

 

Con una decisione sorprendente, il governo di Justin Trudeau, assediato dalla protesta dei camionisti canadesi, ha annunciato l’estensione delle regole anti-riciclaggio e antiterrorismo alle criptovalute.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha annunziato la settimana scorsa la volontà di porre i Bitcoin sotto il completo controllo finanziario e informatico del governo.

 

La rivolta in Kazakistan di inizio annoha destabilizzato quello che era un non conosciutissimo paradiso per le società di criptovalute, che in territorio kazako trovavano leggi a loro favore ed energia a basso costo.

 

Nel 2001 la Casa Bianca di Biden aveva detto che sarebbe andata contro il Bitcoin. Il governo USA in queste ultime settimane ha dichiarato illegali alcuni NFT, un’altra forma di cripto-investimento ora molto popolare.

 

Tuttavia, William Burns, il capo della CIA, due mesi fa ha dichiarato che l’agenzia di spionaggio starebbe lavorando sulle criptovalute.

 

Un miliardario in Bitcoin – cioè quello che si chiama, nel gergo delle criptovalute, una «balena» –  Mircea Popescu, 41 anni, è stato trovato affogato in Costa Rica pochi mesi fa.  La balena è andata sottacqua, mentre il suo patrimonio si è proprio inabissato: nessuno sa dove siano finiti i sui bitcoini.

 

Come riportato ripetutamente da Renovatio 21, il sistema che sorregge le criptovalute, la cosiddetta blockchain, è anche  il fondamento del sistema di green pass studiato dall’Unione Europea, destinato a diventare il portafogli digitale di ogni cittadino: un wallet che agisca come conto corrente con cui pagare ogni cosa (se sarà ancora permesso acquistarla) e da cui prelevare automaticamente le tasse.

 

Il fatto che gli Stati-nazione ora attacchino il Bitcoin non significa che stiano mordendo il freno sul progetto inevitabile (dice apertis verbis la BCE) dell’abolizione del contante. Significa, piuttosto, che il danaro digitale sarà controllato dall’alto – centralizzato, e non più neanche lontanamente decentralizzato.

 

La centralizzazione del potere su ogni parte della vita dell’individuo è l’obbiettivo della trasformazione che stiamo vivendo con la pandemia e i suoi effetti politici, sociali ed elettronici. Chiamate pure questo processo «Grande Reset».

 

 

 

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Economia

Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani

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Il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe rinunziando alla sua speciale tecnologia «Just Walk Out» che permetteva ai clienti di mettere la spesa nella borsa e lasciare il negozio senza dover fare la fila alla cassa. Lo riporta The Information, testata californiana che si occupa del business della grande tecnologia.

 

La tecnologia, disponibile solo nella metà dei negozi Amazon Fresh, utilizzava una serie di telecamere e sensori per tracciare ciò con cui gli acquirenti lasciavano il negozio. Tuttavia, secondo quanto si apprende, invece di chiudere il ciclo tecnologico con la pura automazione e l’intelligenza artificiale, l’azienda ha dovuto fare affidamento anche su un esercito di oltre 1.000 lavoratori in India, che fungevano da cassieri a distanza.

 

Di questo progetto denominato «Just Walk Out» – uno stratagemma di marketing per convincere più clienti a fare acquisti nei suoi negozi, minando attivamente il mercato del lavoro locale – forse non ne sentiremo la mancanza.

 

Nel 2018 Amazon ha iniziato a lanciare il suo sistema «Just Walk Out», che avrebbe dovuto rivoluzionare l’esperienza di vendita al dettaglio con l’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Diverse altre società, tra cui Walmart, hanno seguito l’esempio annunciando negozi simili senza cassiere.

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Tuttavia più di cinque anni dopo, il sistema sembra essere diventato sempre più un peso. Stando sempre a quanto riportato da The Information, la tecnologia era troppo lenta e costosa da implementare, con i cassieri in outsourcing che avrebbero impiegato ore per inviare i dati in modo che i clienti potessero ricevere le loro ricevute.

 

Oltre a fare affidamento su manodopera a basso costo e in outsourcing e invece di pagare salari equi a livello locale, le critiche hanno anche messo in dubbio la pratica di Amazon di raccogliere una quantità gigantesca di dati sensibili, compreso il comportamento dei clienti in negozio, trasformando una rapida visita al negozio in un incubo per la privacy, scrive Futurism.

 

L’anno scorso, il gruppo di difesa dei consumatori Surveillance Technology Oversight Project, aveva intentato un’azione legale collettiva contro Amazon, accusando la società di non aver informato i clienti che stava vendendo segretamente dati a Starbucks a scopo di lucro.

 

Nonostante la spinta aggressiva nel mercato al dettaglio, l’impatto dei negozi di alimentari di Amazon negli Stati Uniti, è ancora notevolmente inferiore a quella dei suoi concorrenti quali Walmart, Costco e Kroger, come sottolinea Gizmodo.

 

Invece di «Just Walk Out», Amazon ora scommette su scanner e schermi incorporati nel carrello della spesa chiamato «Dash Carts». Resta da vedere se i «Dash Carts» si riveleranno meno invasivi dal punto di vista della privacy dei dati.

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Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Economia

FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»

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I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.   L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».   L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».   «Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».

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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.   Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.   Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazionesuperinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.   Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.

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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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Economia

La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari

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Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.

 

Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.

 

Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.

 

Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.

 

L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.

 

Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.

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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.

 

Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.

 

Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.

 

I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.

 

Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.

 

Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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