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Verso la pace in Siria e in Libano

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire

 

 

In Medio Oriente cominciano a trovare applicazione gli accordi tra i presidenti Joe Biden e Vladimir Putin, conclusi in seguito alla disfatta militare occidentale in Siria. Le prossime tappe dovrebbero essere il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq e dalla Siria, l’espulsione delle forze turche dalla Siria nord-occidentale, il rientro dell’Iran nella comunità internazionale, la restituzione del Golan alla Siria e infine l’amministrazione russo-siriana del Libano.

 

 

Le conseguenze degli accordi di Ginevra − la cosiddetta Yalta II (16 giugno 2021) − sul Medio Oriente Allargato stanno per entrare in una nuova fase: il ritiro delle forze straniere che occupano porzioni della Siria. Dopo 12 anni di massacri, termina la guerra contro la Repubblica Araba Siriana.

 

La Siria passerebbe dallo status di Paese amico a quello di Paese alleato: ogni minaccia alla sicurezza della Siria sarebbe una minaccia alla Russia

Il presidente Bashar al-Assad è stato ricevuto al Cremlino. Nulla è trapelato del colloquio con l’omologo russo. Sembra tuttavia che, dopo le elezioni legislative libanesi di maggio 2022, la Russia vigilerà sul Libano, nonché sulla Siria.

 

Se Washington non manterrà gli impegni, la Siria potrebbe essere ammessa nell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (OTSC), l’alleanza militare che si raccoglie attorno alla Russia. In tal caso, il sostegno di Mosca a Damasco s’intensificherebbe notevolmente, giacché la Siria passerebbe dallo status di Paese amico a quello di Paese alleato: ogni minaccia alla sicurezza della Siria sarebbe una minaccia alla Russia.

 

 

Israele

Nelle ultime settimane i «ribelli» di Deraa, nel sud della Siria, hanno deposto le armi. Avevano già capitolato di fronte a un generale russo, ma si erano nuovamente mobilitati contro Damasco su richiesta dell’Arabia Saudita. Ora, dopo la revoca del sostegno militare israeliano, si sono arresi.

 

Si tratta di un fatto importante perché dimostra l’evoluzione del regime di Tel Aviv. Con le dimissioni di Benjamin Netanyahu, Israele si sta liberando dell’ideologia colonialista di Ze’ev Jabotinsky e tenta di diventare uno Stato come gli altri.

 

Nonostante la retorica di cui si avvale, il governo di Naftali Bennet e di Yair Lapid ha accettato di smettere di sostenere gruppi armati in Siria. Ciò non gl’impedisce tuttavia di proseguire la guerra segreta contro l’Iran nei territori libanese e siriano

 

Benché Tel Aviv acconsenta a molte concessioni, non cede sull’occupazione dell’altipiano del Golan, che le Nazioni unite considerano annesso illegalmente

In particolare, benché Tel Aviv acconsenta a molte concessioni, non cede sull’occupazione dell’altipiano del Golan, che le Nazioni unite considerano annesso illegalmente.

 

In un’intervista in arabo a Russia Today, commentando la visita del presidente Bashar al-Assad a Mosca, il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha dichiarato che la Russia intende liberare l’intera Siria dalle forze straniere insediate illegalmente: israeliane, turche e statunitensi. Si va verso una restituzione del Golan in cambio del ritiro iraniano dalla Siria.

 

La Giordania, che non si è mai direttamente impegnata contro la Siria ma ha consentito a Stati Uniti e Arabia Saudita di utilizzare il suo territorio per combattere Damasco, sembra sollevata.

 

Anticipando l’esito degli avvenimenti, i ribelli di Deraa non hanno voluto lasciare Idlib − nord della Siria − preferendo deporre le armi senza contropartita.

 

 

La Turchia

La successiva tappa dovrebbe essere il ritiro delle truppe statunitensi e turche dal nord del Paese, la resa dei mercenari kurdi, nonché la ritirata degli jihadisti ammassati a Idlib.

 

Ma qui sta il problema: la Turchia si rifiuta di andarsene perché Idlib è zona rivendicata sin dal Giuramento Nazionale del 1920 (1).

 

Ankara aveva visto nell’occupazione di questo territorio un avanzamento verso il ripristino della grandezza ottomana. Sicché il ritiro implica non soltanto una perdita territoriale ma anche il fallimento del sogno neo-ottomano.

 

Per questa ragione, nel discorso alla 76esima Assemblea Generale dell’ONU, il presidente Erdoğan ha rispolverato la minaccia del sostegno al terrorismo tataro.

 

Nel 2015 Turchia e Ucraina crearono ufficialmente la Brigata Internazionale Islamica contro l’annessione della Crimea alla Russia (2). Tre mesi dopo, l’esercito turco abbatté un Sukoi russo, provocando una grave crisi politica. L’episodio però si risolse in breve tempo: l’opzione terrorista in funzione anti-Russia fu abbandonata nel 2016 e il presidente turco si scusò per l’«incidente».

 

Scompigliando lo scacchiere, la CIA tentò di far assassinare il presidente Erdoğan. L’operazione fallì e si tramutò in un colpo di Stato improvvisato, a sua volta naufragato. Con generale sorpresa, Ankara si volse verso la Russia e firmò a spron battuto un accordo per il gasdotto Turkish Stream, un altro per l’acquisto di sistemi anti-missile S-400.

 

Oggi Ankara si trova in una posizione difficile in quanto si erge nel medesimo tempo contro Mosca e Washington

Oggi Ankara si trova in una posizione difficile in quanto si erge nel medesimo tempo contro Mosca e Washington.

 

La minaccia di riattivare il terrorismo tataro è credibile perché Erdoğan, prima di diventare presidente, fu importante protagonista delle guerre di Afghanistan e Cecenia. In Afghanistan offrì il supporto della Millî Görüş a Golbukkin Hekmatyar; successivamente, mise a disposizione dei terroristi di Doku Umarov una retro-base per il loro Emirato di Ichkeria (Cecenia).

 

È ovviamente poco probabile che la Russia ceda al ricatto turco, giacché non l’ha fatto nel 2015. Mosca non è Bruxelles, che si arrese al ricatto dei migranti elargendo 5 miliardi di dollari alla Turchia. Anche se la minaccia non dovesse risolversi in nulla, il fatto di averla pronunciata alza comunque la posta: il presidente Erdoğan non intende cedere senza una forte compensazione.

 

Il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq e dalla Siria lascerà i mercenari kurdi senza protezione, esattamente come il ritiro statunitense dall’Afghanistan ha abbandonato alla loro sorte i collaboratori locali della CIA.

La minaccia di riattivare il terrorismo tataro è credibile perché Erdoğan, prima di diventare presidente, fu importante protagonista delle guerre di Afghanistan e Cecenia.

 

Visto i crimini commessi − in particolare contro gli arabi cristiani − i mercenari kurdi cominciano a cedere al panico. Alcuni di loro sono già in trattativa con Damasco.

 

L’incontro segreto dei capi di stato-maggiore statunitense e russo, generali Mark A. Milley e Valery Gerasimov, il 21 settembre a Helsinki, ha riguardato anche la questione siriana.

 

Non si sa quali decisioni siano emerse, ma Miley, ardente sostenitore di Biden, non intende certo boicottare gli impegni assunti dal presidente.

 

 

L’Iran

L’Iran, che durante i mandati di Mahmoud Ahmadinejad s’è imposto come potenza economica e sotto la guida del generale Qassem Soleimani come potenza militare, sta per essere reintegrato nella comunità internazionale.

 

Se le trattative ufficiali sul suo status nucleare segnano il passo, in compenso si moltiplicano i contatti segreti.

 

Gli Stati Uniti hanno alla fine accettato di relativizzare le ricerche nucleari iraniane, dal momento che hanno scopi pacifici. Durante l’ultimo anno della guerra imposta dall’Iraq all’Iran di Ruhollah Khomeini, Teheran si è auto-imposta di non fabbricare la bomba atomica e di abbandonare il progetto che Stati Uniti e Francia avevano sviluppato con lo scià Reza Pahlavi.

 

L’Iran, che durante i mandati di Mahmoud Ahmadinejad s’è imposto come potenza economica e sotto la guida del generale Qassem Soleimani come potenza militare, sta per essere reintegrato nella comunità internazionale

L’Iran ha rimosso il divieto dopo l’assassinio del generale Soleimani, voluto dal presidente Donald Trump. Non ci sono indizi per ritenere che Teheran abbia ripreso il progetto di fabbricare armi nucleari.

 

Dopo che Washington e Londra hanno rivelato il Patto nucleare con l’Australia, i due Grandi non potranno più accusare l’Iran di proliferazione nucleare.

 

Gli Stati Uniti hanno anche rinunciato a fomentare la divisione del mondo mussulmano in sunniti e sciiti.

 

Contatti stabili stanno nascendo fra Arabia Saudita e Iran, fratelli trasformatisi in nemici. Ultima in ordine di tempo una riunione segreta tra i capi dei servizi segreti dei due Paesi, avvenuta il 23 settembre all’aeroporto di Bagdad.

 

Teheran dovrebbe rinunciare ad alcune azioni militari e concentrarsi sulla difesa delle comunità sciite nel mondo, inclusa l’America Latina. I Guardiani della Rivoluzione potrebbero perciò abbandonare la Siria e lasciare maggiore libertà d’azione allo Hezbollah libanese.

 

 

L’Unione Europea

Sul piano diplomatico, le ambasciate degli Stati membri dell’Unione Europea a Damasco hanno quasi tutte riaperto (non quella francese).

 

Sembra che l’Unione Europea abbia obblighi finanziari imposti da una vecchia risoluzione dell’ONU. Comunque sia, Bruxelles sovvenziona con sette miliardi di dollari la ricostruzione delle infrastrutture siriane.

 

La Commissione Europea, che continua ad avvalersi di seimila funzionari britannici a oltre un anno dalla Brexit, è stranamente rappresentata in Siria dall’ONG Oxfam, che aveva sostenuto l’organizzazione terrorista dei Caschi Bianchi.

 

In ogni caso, l’UE rimane ufficialmente sulla posizione enunciata quattro anni fa dall’ambasciatore statunitense Jeffrey Feltman, quando era all’ONU: non un soldo per la ricostruzione della Siria fintantoché il «regime» non sarà crollato (3).

 

L’UE rimane ufficialmente sulla posizione enunciata quattro anni fa dall’ambasciatore statunitense Jeffrey Feltman, quando era all’ONU: non un soldo per la ricostruzione della Siria fintantoché il «regime» non sarà crollato

Permane irrisolta la questione se il Libano debba passare o no nuovamente sotto amministrazione russo-siriana. La risposta determinerà l’impegno cinese nella regione.

 

Al momento, i tre presidenti libanesi − della repubblica, del governo e del parlamento − sono compatibili con l’amministrazione di Bashar al-Assad. Tuttavia quest’ultimo − che fu ingiustamente accusato di aver provocato l’assassinio dell’ex primo libanese Rafic Hariri e le cui truppe furono accolte con ostilità a Beirut − non sembra disponibile. Sarebbe però la soluzione più saggia.

 

L’annuncio della possibile candidatura alla presidenza del parlamento libanese del direttore della Sicurezza Generale, generale Abbas Ibrahim, è interpretato come entrata in lizza di un uomo consapevole della cultura della Grande Siria.

 

Fino agli accordi di Sykes-Picot del 1915, che hanno pianificato la creazione di Israele, Giordania, Libano, Siria e Cipro, questi cinque Stati facevano parte della medesima provincia ottomana.

 

 

La Cina

In caso di tutela siriana sul Libano in fallimento, la Cina interverrebbe per ricostruire la parte terminale dell’antica via della Seta, che nell’Antichità e nel Medioevo collegava la capitale cinese dell’epoca, Xi’an, al Mediterraneo, passando per Palmira e Damasco.

 

Beijing progetta di costruire sia una via ferroviaria sia strutture di telecomunicazioni.

 

In caso di tutela siriana sul Libano in fallimento, la Cina interverrebbe per ricostruire la parte terminale dell’antica via della Seta: Pechino progetta di costruire sia una via ferroviaria sia strutture di telecomunicazioni.

Si tratterebbe di una vittoria importante per i presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping, dal momento che un aspetto della guerra contro la Siria mirava esplicitamente a impedire questo progetto.

 

Sarebbe sorprendente che gli Stati Uniti, dopo aver imposto a Israele di annullare tutti i contratti con Beijing, consentisse alla Russia d’installare la Cina in Siria senza contropartita.

 

 

La Francia

La Francia, ex potenza coloniale di Libano e Siria, non vuole farsi estromettere. Il mese scorso il presidente Emmanuel Macron ha infatti partecipato al summit di Bagdad, sotto l’occhio vigile dei servizi segreti britannici.

 

Francia e Stati Uniti hanno svolto un ruolo centrale nella designazione di Najib Mikati come nuovo uomo forte della comunità sunnita libanese e, di conseguenza, nuovo primo ministro (l’incarico infatti è riservato a un sunnita).

 

Gli Occidentali hanno privilegiato l’uomo reputato da Forbes il più ricco del Paese, come a suo tempo fu Rafic Hariri. Per far questo hanno eliminato la famiglia Hariri, appoggiandosi all’Arabia Saudita. I beni di Saad Hariri − figlio di Rafic e anch’egli ex primo ministro − sono stati sequestrati con provvedimento giudiziario. L’operazione dovrebbe presto proseguire con la requisizione dei suoi beni in Libano.

 

Mikati, alla stregua degli Hariri, è simbolo dell’uso del Libano nel sistema economico occidentale alla guisa di Stato-pirata: non sottoscrive alcuna delle regole occidentali, ma serve per qualsiasi transazione segreta dell’Occidente, in particolare droghe e telecomunicazioni

Mikati − che certamente non è più onesto di Saad Hariri − dipende da Washington e Parigi in quanto il suo patrimonio è disseminato in Stati sotto tutela dell’Occidente. Mikati, alla stregua degli Hariri, è simbolo dell’uso del Libano nel sistema economico occidentale alla guisa di Stato-pirata: non sottoscrive alcuna delle regole occidentali, ma serve per qualsiasi transazione segreta dell’Occidente, in particolare droghe e telecomunicazioni.

 

In questo il Libano è simile a Israele, l’autoproclamato «Stato ebreo» specializzatosi nelle transazioni occulte di diamanti e armi (compresi i software). In entrambi gli Stati i profitti della classe dirigente non vanno a beneficio della popolazione.

 

L’appoggio della Francia a Mikati è vòlto a impedire che il Libano diventi una vera nazione in luogo di un aggregato di comunità. Parigi quindi farà il possibile perché il prossimo parlamento sia eletto secondo le regole inique prevalse sinora.

 

Il Libano è l’unico Paese ove nella maggior parte dei casi le cariche parlamentari passano di padre in figlio. Per assicurarsi che non siano adottate regole democratiche, la Francia intende dispiegare le proprie truppe per garantire la sicurezza dei seggi elettorali durante le elezioni del prossimo maggio.

 

Disconoscendo l’origine dei problemi, Parigi favorisce le riforme economiche rispetto a quelle politiche.

 

Disconoscendo l’origine dei problemi, Parigi favorisce le riforme economiche rispetto a quelle politiche

Il 24 settembre il presidente Macron ha ricevuto il primo ministro libanese Mikati. Appena nominato, quest’ultimo si è precipitato all’Eliseo, contravvenendo alla sacrosanta regola che vuole che un nuovo primo ministro non debba recarsi nell’ex potenza coloniale prima di aver incontrato i principali omologhi arabi.

 

Solo dopo che il panorama politico si sarà stabilizzato si potrà cominciare a sfruttare gli idrocarburi in Israele, Libano e Siria.

 

È infatti necessario delimitare i confini marittimi che gli accordi di Sykes-Picot delinearono ma non fissarono con precisione.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

Questo articolo è il seguito di:

«Perché una Yalta II?», 15 giugno 2021.
«Biden-Putin, una Yalta II piuttosto che un nuovo Berlino», 22 giugno 2021.
«L’architettura politica del nuovo Medio Oriente», 7 settembre 2021.

 

 

NOTE

1) «Serment national turc», Réseau Voltaire, 28 gennaio 1920.

2) «L’Ukraine et la Turquie créent une Brigade internationale islamique contre la Russie», par Thierry Meyssan, Télévision nationale syrienne , Réseau Voltaire, 12 agosto2015.

3) «Parameters and Principles of UN assistance in Syria», di Jeffrey D. Feltman, Voltaire Network, 15 ottobre 2017.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Geopolitica

La Casa Bianca si oppone allo Stato palestinese: documenti trapelati

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Il governo degli Stati Uniti sta esercitando pressioni sui paesi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affinché respingano la richiesta di adesione a pieno titolo dell’Autorità Palestinese. Lo riporta  il sito di giornalismo investigativo The Intercept, citando dispacci diplomatici trapelati.

 

La testata statunitense  ha riferito mercoledì di aver ottenuto copie di cablogrammi non classificati del Dipartimento di Stato americano che contraddicono l’impegno dell’amministrazione Biden di sostenere pienamente una soluzione a due Stati.

 

Secondo quanto riferito, il Consiglio di Sicurezza formato da 15 membri dovrebbe votare venerdì su un progetto di risoluzione che raccomanda all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, composta da 193 membri, che «lo Stato di Palestina sia ammesso come membro delle Nazioni Unite», il che equivarrebbe al riconoscimento della statualità palestinese, a cui il potere israeliano si oppone da sempre.

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Gli Stati Uniti insistono sul fatto che la creazione di uno stato palestinese indipendente dovrebbe avvenire attraverso negoziati diretti tra Israele e Palestina, e non alle Nazioni Unite. Il presidente Joe Biden ha precedentemente affermato categoricamente che Washington sostiene una soluzione a due Stati e sta lavorando per metterla in atto il prima possibile.

 

Secondo quanto riferito da Intercept, i dispacci descrivono dettagliatamente le pressioni esercitate sui membri del Consiglio di Sicurezza. Secondo il rapporto, in particolare all’Ecuador viene chiesto di fare pressione su Malta, presidente di turno del Consiglio questo mese, e su altre nazioni, tra cui la Francia, affinché si oppongano al riconoscimento dell’Autorità Palestinese da parte delle Nazioni Unite.

 

Secondo quanto riportato, il Dipartimento di Stato USA avrebbe sottolineato che la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi è il modo più rapido ed efficace per raggiungere uno stato duraturo e produttivo.

 

Un dispaccio diplomatico, datato 12 aprile, spiegava l’opposizione degli Stati Uniti al voto, citando il rischio di infiammare le tensioni, reazioni politiche e un potenziale taglio dei finanziamenti delle Nazioni Unite da parte del Congresso americano.

 

«Vi esortiamo pertanto a non sostenere alcuna potenziale risoluzione del Consiglio di Sicurezza che raccomandi l’ammissione della “Palestina” come Stato membro delle Nazioni Unite, qualora tale risoluzione fosse presentata al Consiglio di Sicurezza per una decisione nei prossimi giorni e settimane», si legge nel dispaccio trapelato.

 

L’Autorità Palestinese ha presentato domanda di adesione nel 2011, ma la richiesta non è mai stata presentata al Consiglio di Sicurezza. All’epoca, gli Stati Uniti – essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio – dissero che avrebbero esercitato il loro potere di veto in caso di voto positivo.

 

L’anno successivo, l’ONU ha elevato lo status dello Stato di Palestina da «entità osservatore non membro» a «Stato osservatore non membro», uno status detenuto solo dallo Stato di Palestina e dalla Città Stato del Vaticano.

 

Gli sforzi di lobbying da parte degli Stati Uniti indicano che la Casa Bianca spera di evitare un palese «veto» sulla richiesta di adesione dei palestinesi, ha suggerito The Intercept.

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Come riportato da Renovatio 21, secondo quanto emerso nelle scorse settimane la Casa Bianca ritiene che Netanyahu stia deliberatamente «provocando» gli Stati Uniti, tuttavia questo non ferma il favore di Washington nei confronti dell’esecutivo dello Stato Ebraico, il più di destra e religiosamente estremista della storia. A inizio anno il presidente Biden aveva dichiarato solennemente «sono un sionista».

 

Il Washington Post il mese scorso aveva rivelato che Biden sapeva che Israele stava bombardando indiscriminatamente.

 

La questione non riguarda solo l’attuale amministrazione Democratica USA: ad un incontro pubblico il genero ed ex consigliere senior per la politica estera di Donald Trump Jared Kushner ha dichiarato che è «un peccato» che l’Europa non accolga più rifugiati palestinesi, suggerendo che la «ripulitura» dei palestinesi dalla Striscia di Gaza dovrebbe essere accelerata.

 

Come riportato da Renovatio 21, Kushner, che proviene da una famiglia di palazzinari ebrei sostenitori del Partito Democratico e pure tra i primi finanziatori di Netanyahu, avrebbe poi fatto un’agghiacciante dichiarazione sul futuro del mercato immobiliare a Gaza: «Le proprietà immobiliari sul lungomare di Gaza potrebbero essere molto preziose… se le persone si concentrassero sulla creazione di mezzi di sussistenza»

 

I lanci di aiuti USA nel frattempo, oltre ad aver danneggiato i pannelli solari di un complesso ospedaliero, hanno ucciso almeno cinque palestinesi a Gaza.

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Geopolitica

Israele attacca l’Iran

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Israele ha effettuato attacchi in Iran nelle prime ore di venerdì, hanno riferito diversi organi di stampa, citando alti funzionari statunitensi. La notizia arriva meno di una settimana dopo che la Repubblica Islamica ha lanciato una raffica di droni e missili contro Israele.   L’agenzia di stampa iraniana Mehr ha riferito che diverse esplosioni sono state udite intorno alle 4 del mattino, ora locale, nei cieli sopra la città centrale di Isfahan.   L’emittente IRNA ha affermato che le difese aeree sono state attivate in alcune parti dell’Iran. Ha aggiunto che Israele ha colpito obiettivi anche in Siria e Iraq, colpendo aeroporti militari e un sito radar.   Hossein Dalirian, portavoce del programma spaziale civile iraniano, ha scritto su X che diversi droni sono stati abbattuti. Ha aggiunto che non vi è alcuna conferma di un attacco missilistico su Isfahan.   Secondo Al Jazeera, l’Iran ha sospeso i voli in diversi aeroporti, compresi quelli che servono Teheran e Isfahan.   La CNN ha citato un anonimo funzionario americano che ha affermato che i siti nucleari non sono stati presi di mira.   Altre fonti in rete parlano di sette città colpite, comprese fabbriche di armamenti.   Video non verificati caricati su internet dai pasdaran mostrerebbero la contraerea iraniana intercettare i missili israeliani.   Un altro video circolante in rete mostrerebbe una base militare a Isfahan in situazione di calma e normalità.   L’esercito israeliano ha detto all’AFP che «non abbiamo commenti in questo momento» quando gli è stato chiesto delle notizie di esplosioni e attacchi in Iran e Siria. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha rifiutato di confermare al Times of Israel che Israele è responsabile delle esplosioni udite a Isfahan.   L’attacco è avvenuto, coincidenza, nel giorno dell’85° compleanno dell’ayatollah Khamenei.   Secondo il Jerusalem Post, vi sarebbero stati attacchi anche in Siria – dove sarebbero stati colpiti siti dell’esercito siriano nei governatorati di Suwayda e Daraa – ed in Iraq, dove sarebbero state colpite le aree di Baghdad ed il governatorato di Babil.   Il 1° aprile, Israele ha colpito un edificio del consolato iraniano a Damasco, in Siria, uccidendo sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). L’Iran ha risposto lanciando droni e missili kamikaze contro Israele il 13 aprile. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno affermato che la maggior parte dei colpi è stata intercettata con successo e ha riportato solo lievi danni a terra. Il costo della difesa per Israele ammonterebbe a circa un miliardo di dollari.   Come riportato da Renovatio 21, è emerso che alcuni droni iraniani sono stati intercettati dalla contraerea saudita.   Gli attacchi all’Iran, che mirano con evidenza ad un’escalation – visto che Teheran aveva specificato in varie sedi che dopo la sua rappresaglia considerava il caso chiuso – potrebbero avere per il gruppo al comando in Israele anche un preciso fine di politica interna.   Secondo il politologo John Mearsheimer «gli israeliani vorrebbero portarci in una guerra con l’Iran… con Hezbollah… Penso che il punto di vista israeliano, nel profondo, sia che quanto più grande è la guerra, tanto maggiore è la possibilità di una pulizia etnica».  

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Putin ha parlato con il presidente iraniano

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Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.

 

Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.

 

Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.

 

Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.

 

Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».

 

Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.

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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.

 

Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.

 

«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.

 

Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.

 

Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.

 

Se Renovatio 21 è stata bandita dai principali social atlantici un motivo ci sarà – e già dovrebbe fungere, agli occhi degli accorti, da grande bollino di qualità.

 

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