Cina
Summit BRICS: Xi attacca l’Occidente (senza grandi risultati)
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Riunione annuale del gruppo formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Il tratto d’unione è la volontà di accrescere la cooperazione commerciale e promuovere un mondo multipolare. Nel comunicato finale non si fa riferimento alle proposte di Putin per indebolire il ruolo del dollaro. Dissidi sino-indiani ostacolano il rafforzamento della partnership tra i cinque Paesi.
Un’invettiva contro l’Occidente, accusato di avere una mentalità da Guerra fredda e di imporre sanzioni illegali. Nel suo intervento ieri al summit virtuale dei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), in quanto a retorica il presidente cinese Xi Jinping ha sposato la linea del suo omologo russo Vladimir Putin: le nazioni emergenti devono opporsi all’egemonia USA e lavorare alla creazione di un modo multipolare.
I BRICS si riuniscono regolarmente dal 2009. Nell’insieme rappresentano il 41% della popolazione mondiale, il 24% del PIL globale e il 16% del commercio internazionale. Nel loro dialogo però non sono mai andati oltre a impegni di maggiore cooperazione commerciale.
Anche il meeting di ieri non sembra aver raggiunto risultati concreti.
La dichiarazione finale congiunta è vaga, soprattutto su un tema centrale come l’invasione russa dell’Ucraina. La Cina non ha condannato l’attacco di Mosca e nelle dichiarazioni ufficiali incolpa «l’espansionismo» della NATO per la crisi. I partecipanti al summit hanno evitato di citare le parole «conflitto» e «guerra», riferendosi alla «situazione in Ucraina»: una cortesia a Putin, che parla di «operazione militare speciale». Hanno aggiunto solo di sostenere gli sforzi umanitari dell’Onu per la popolazione colpita.
Nel documento non si dice nulla su due punti sollevati da Putin per liberare la Russia dalla dipendenza finanziaria dall’Occidente. Alla vigilia del summit, il capo del Cremlino aveva detto che i partner BRICS stavano lavorando a una nuova valuta di riserva da opporre al dollaro, e a un sistema di pagamenti internazionali alternativo allo Swift, controllato da Washington.
L’unico vero tratto di unione tra i BRICS è la volontà di dare più voce ai Paesi emergenti nelle istituzioni multilaterali globali. Cina e India stanno comprando più petrolio dalla Russia, colpita dalle sanzioni occidentali. Dietro alla mossa vi è però l’opportunità economica (i prezzi scontati), non certo il sostegno alle mire territoriali di Putin.
Sulla rilevanza del formato BRICS incide poi sempre la difficile relazione tra Cina e India, che da due anni sono tornate a fronteggiarsi sull’Himalaya per questioni di confine.
Gli attacchi di Xi alla NATO nascono dal timore di veder nascere un gemello asiatico dell’Alleanza atlantica a guida USA. Pechino vede ad esempio con preoccupazione tutte le mosse del Quad (Quadrilateral Security Dialogue), ritenuto da Xi l’embrione di una «NATO asiatica» di cui fa parte l’India, oltre a Stati Uniti, Giappone e Australia.
Le tensioni sino-indiane si riflettono anche sul piano commerciale. La Cina ha proposto un accordo di libero scambio tra i Paesi BRICS, segnalando che il loro interscambio rimane ancora basso.
Il progetto ha scarse probabilità di successo proprio per le posizioni di Delhi al riguardo. È da ricordare che nel novembre 2020 il governo indiano si è rifiutato di aderire alla Regional Comprehensive Economic Partnership, il patto commerciale multilaterale dominato dalla Cina, sottoscritto anche dai 10 Paesi ASEAN, più Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.
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Immagine screenshot da YouTube
Cina
Il candidato vicepresidente della Harris legato al biolaboratorio di Wuhano?
Il candidato vicepresidente USA di Kamala Harris Tim Walz avrebbe legami con l’Istituto di Virologia di Wuhan. Lo riporta la testata statunitense Washington Examiner.
Il Walz avrebbe contatti di lunga data con l’Hormel Institute, un centro di ricerca medica con sede presso l’Università del Minnesota che collaborerebbe con l’istituto cinese al centro della controversia sulle origini del COVID-19.
In qualità di membro del Congresso, il Walz ha contribuito a garantire oltre 2 milioni di dollari di finanziamenti per le acquisizioni tecnologiche dell’Hormel Institute ed è stato un «forte sostenitore dell’Hormel Institute, anche supportando le sue principali espansioni», ha affermato il gruppo con sede in Minnesota nell’aprile di quest’anno.
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Walz ha elogiato ampiamente l’Hormel Institute, che ha visitato personalmente, affermando che «ha contribuito ad aprire la strada al Minnesota per diventare leader nell’innovazione biomedica» e «si adatta a dove ci vediamo come Stato» in futuro, con la sua enfasi su «energia verde, agricoltura sostenibile e la capacità di sfamare un mondo molto affamato».
L’Hormel Institute avrebbe collaborato con il famigerato Istituto di Virologia di Wuhano su diversi progetti, tra cui diversi studi sul COVID-19, e avrebbe ricevuto aiuto dalla sua controparte cinese. Un professore dell’Hormel Institute avrebbe anche frequentato la Wuhan University e ha lavorato con scienziati del Wuhan Institute su un articolo scientifico nel 2020.
In una dichiarazione al Washington Examiner, il portavoce dell’Università del Minnesota Jake Ricker ha affermato che l’università e l’Hormel Institute non hanno alcuna «affiliazione formale» con l’Istituto di Virologia di Wuhan o il Beijing Genomics Institute, un ente che Fox News ha detto essere partecipato dall’Esercito di Liberazione del Popolo (ELP).
«Le nostre scoperte sono sottoposte a revisione paritaria e pubblicate nel pubblico dominio con l’appropriata attribuzione a coloro che hanno contribuito a ogni studio», ha affermato Ricker. «La ricerca viene condotta con il pieno impegno dell’Hormel Institute e dell’università nel rispetto delle norme federali in materia di divulgazione, sicurezza, controlli sulle esportazioni e sanzioni».
Si tratta di un ulteriore tassello del rapporto tra il candidato vicepresidente Walz e la Repubblica Popolare Cinese, un rapporto recentemente al centro di grande attenzione.
Il Walz ha dovuto affrontare un esame sempre più attento per i suoi vasti legami con la Cina, con un ex studente che ha descritto l’uomo, che ha viaggiato in Cina più di trenta volte, come «maoista fino al midollo».
James Comer, a capo della Commissione per la vigilanza e la responsabilità della Camera, ha annunciato di recente un’indagine sui legami di Walz con il Partito Comuinista Cinese (PCC) con un comunicato stampa e una lettera al direttore dell’FBI Christopher Wray.
«Il PCC ha cercato di distruggere gli Stati Uniti attraverso campagne coordinate di influenza e infiltrazione che prendono di mira ogni aspetto della vita americana, compresi i nostri funzionari eletti», ha affermato Comer nel comunicato stampa.
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«Gli americani dovrebbero essere profondamente preoccupati che il governatore Walz, compagno di corsa alla vicepresidenza di Kamala Harris, abbia una relazione di lunga data e intima con la Cina. Il signor Walz ha visitato la Cina decine di volte, ha lavorato come ricercatore presso un’istituzione cinese che mantiene una devozione al PCC e ha parlato insieme al presidente di un’organizzazione cinese che il Dipartimento di Stato ha denunciato come uno sforzo del PCC per influenzare e cooptare i leader locali».
«I briefing dell’FBI hanno recentemente informato il comitato che la Foreign Influence Task Force dell’ufficio sta indagando sulle attività del PCC che sono simili all’impegno della Cina con il governatore Walz. Il popolo americano merita di comprendere appieno quanto sia profonda la relazione del governatore Walz con la Cina».
Il comunicato stampa prosegue descrivendo nei dettagli come Walz abbia iniziato a organizzare viaggi scolastici in Cina, finanziati dal PCC, nei primi anni Novanta, e poi abbia fondato una società privata che organizzava viaggi annuali in Cina, fino a quando non è stata sciolta pochi giorni prima che Walz entrasse al Congresso nel 2007.
Il Walz ha visitato la Cina circa trenta volte e ha ricoperto varie posizioni di influenza per quanto riguarda le relazioni tra Stati Uniti e Cina.
Nella sua lettera al direttore dell’FBI Wray, Comer chiede una serie di documenti e informazioni relativi alle attività di Walz in Cina e con la Cina, compresi quelli su individui e organizzazioni cinesi e su eventuali avvertimenti o direttive fornite al governatore Walz in merito a «funzionari governativi subnazionali che interagiscono con la RPC, il PCC e i rappresentanti del PCC».
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Immagine di Laurie Shaill via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Big Pharma
Deputati USA accusano Pfizer di aver testato nuovi farmaci sui prigionieri nella Cina comunista
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Cina
Con sempre meno nascite Pechino stoppa le adozioni internazionali
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Cominciate nel 1992 nel pieno della «politica del figlio unico», in oltre trent’anni hanno visto più di 160mila bambini e soprattutto bambine accolte da famiglie di tutto il mondo. La portavoce del ministero degli Esteri: «Adeguamento in linea con le tendenze internazionali». L’anno scorso solo 9 milioni di nuovi nati in tutta la Cina, nonostante oggi – al contrario di ieri – le autorità chiedano di avere più figli.
La Cina non invierà più bambini all’estero per l’adozione internazionale. Lo ha annunciato il governo, annullando così una serie di accordi iniziati nel 1992 – quando ancora Pechino era nel pieno della sua politica del figlio unico – e che hanno visto in più di trent’anni oltre 160mila bambini cinesi essere adottati da famiglie di tutto il mondo, la metà dei quali negli Stati Uniti secondo i dati di China’s Children International.
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Rispondendo a una domanda su una notifica in questo senso ricevuta dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la portavoce ministero degli Esteri di Pechino Mao Ning ha dichiarato che il governo cinese ha «adeguato» la sua politica sulle adozioni per essere «in linea» con le tendenze internazionali.
La funzionaria ha spiegato che – a parte alcuni casi legati a parentele fino al terzo grado con persone che vivono fuori dal Paese – «la Cina non invierà più bambini all’estero per l’adozione». «Esprimiamo il nostro apprezzamento ai governi e alle famiglie straniere che desiderano adottare bambini cinesi per le loro buone intenzioni e per l’amore e la gentilezza che hanno dimostrato», ha aggiunto.
Il cambiamento delle regole arriva mentre i politici cinesi lottano per incoraggiare le giovani coppie a sposarsi e ad avere figli, per la crisi demografica sempre più evidente.
La Cina ha uno dei tassi di natalità più bassi a livello globale e sta cercando di incentivare le giovani donne ad avere figli, finora però con scarsi risultati. Le nuove nascite nella Repubblica popolare nell 2023 sono scese del 5,7% a 9,02 milioni e il tasso di natalità ha raggiunto il minimo storico di 6,39 nascite per 1.000 persone, in calo rispetto al tasso di 6,77 nascite del 2022.
A livello generale la popolazione è diminuita di 2,08 milioni, o dello 0,15%, a 1,409 miliardi nel 2023. Un dato molto superiore al calo della popolazione di 850.000 unità nel 2022, che era stato il primo dal 1961, durante la Grande carestia dell’era di Mao Zedong.
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Dal 1979 al 2015 la Cina ha attuato una rigorosa politica del figlio unico dal 1979 al 2015 per ridurre la sua popolazione. Quando le famiglie sono state limitate ad avere un solo figlio, molte avevano scelto di tenere i figli maschi e di dare le femmine in adozione.
Le «tendenze internazionali» a cui la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha fatto riferimento si riferiscono alla decisone adottata a maggio dai Paesi Bassi di vietare ai propri cittadini di adottare bambini da Paesi stranieri.
Anche in Danimarca, i cittadini non potranno più adottare bambini dall’estero dopo che l’unica agenzia locale che se ne occupava ha dichiarato di voler interrompere le proprie attività.
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