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Squadra di pallavolo femminile universitaria rinuncia alla partita invece di affrontare un avversario transgender

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La squadra di pallavolo femminile dell’Università del Nevada è diventata l’ultima squadra a rifiutarsi di competere contro la San Jose State perché ha un uomo «transgender» nel team.

 

Lo scorso lunedì le giocatrici nevadiane hanno rilasciato una dichiarazione pubblica affermando che non scenderanno in campo contro gli Spartans per la loro prossima partita del 26 ottobre.

 

«Pretendiamo che il nostro diritto alla sicurezza e alla competizione leale in campo venga rispettato. Ci rifiutiamo di partecipare a qualsiasi partita che promuova ingiustizie contro le atlete», hanno affermato.

 

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L’annuncio della squadra è arrivato inaspettatamente. In una dichiarazione, l’ateneo ha condannato i giocatori per aver preso posizione.

 

«La decisione e la dichiarazione dei giocatori sono state prese in modo indipendente e senza consultare l’Università o il dipartimento atletico. La decisione dei giocatori non rappresenta inoltre la posizione dell’Università», ha affermato l’Università.

 

 

La questione è l’inclusione da parte della squadra di San Jose di un uomo 1,85 cm e che gioca come schiacciatore esterno. Anche altre squadre universitarie si sono rifiutate di giocare contro San Jose a causa della presenza di Fleming, tra cui Southern Utah, Boise State, Wyoming e Utah State.

 

Molti politici conservatori hanno rilasciato dichiarazioni di sostegno alla squadra del Nevada.

 

«Rispetto con tutto il cuore la decisione dei giocatori. Nessuno studente atleta dovrebbe mai essere costretto a giocare una partita in cui non si sente al sicuro, punto», ha affermato il governatore repubblicano del Nevada Joe Lombardo.

 

«Queste donne stanno vincendo anche sulla questione della PROTEZIONE dello sport femminile. È una questione di sicurezza, correttezza e privacy», ha commentato oggi su X il candidato al Senato degli Stati Uniti Sam Brown.

 

Non sono solo gli avversari della San Jose State a essere contrari al fatto che al transgender sia stato concesso di giocare. Anche le giocatrici dell’Università stanno protestando come veemenza.

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Brooke Slusser di San Jose è una delle 18 atlete universitarie che stanno attualmente facendo causa alla NCAA per le sue politiche pro-LGBT. Secondo il New York Post, ha testimoniato di non sapere che il giocatore transgenderro fosse un uomo nonostante condividesse la stanza con lui durante i viaggi di squadra. Afferma inoltre che le sue schiacciate sono in grado di raggiungere i 130 chilometri orari.

 

La pallavolo è uno degli sport in cui vi sono già da tempo episodi di danno biologico serio alle sportive.

 

A luglio era emerso il caso della pallavolista Payton McNabb, che aveva 17 anni quando una palla lanciata con forza da un avversario transgender la colpì in faccia, la scaraventò a terra e le fece perdere i sensi. L’atleta riportò danni cerebrali e paralisi al lato destro, che hanno messo fine ai suoi sogni di ottenere una borsa di studio universitaria per la pallavolo e hanno reso difficile per lei camminare senza cadere.

 

 

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Donne ferite – e non nei sentimenti – si contano in tante altre discipline.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel corso dell’anno è emersa la vicenda di una squadra di calcio «femminile» LGBTQ+ composta da cinque giocatori transgender che ha vinto facilmente un torneo in Australia dopo che altre squadre erano state avvertite che avrebbero compiuto «discriminazioni» rifiutandosi di giocare, nonostante le accuse che una delle giocatrici trans avesse rotto in due la gamba di un avversaria.

 

Mesi fa, una squadra di basket femminile di una scuola superiore del Massachusetts è stata costretta a rinunciare alla partita dopo che un giocatore transgender della squadra avversaria ha ferito tre giocatrici.

 

 

Nell’hockey a fine 2022 si era avuto un caso di trauma cranico di una donna che, in una partita tra transessuali dei due generi, era stata impattata da un transgender maschio.

 

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Rimane negli annali il brutale incontro di arti marziali miste categoria femminile tra Fallon Fox (un uomo che si identifica come donna trans) e la lottatrice Tamikka Brents.

 


Come riportato da Renovatio 21, traumi ad atlete causate da avversari transessuali si sono visti in vari sport, come la pallavolo, l’hockey, la BMXJu-jitsu. MMA.

 

Nel frattempo, i record di ogni possibile disciplina femminile vengono stracciati dai transessuali, ma forse ora si tratta di un dettaglio minore: ora a essere minacciati non sono i risultati sportivi, ma i copri stessi delle atlete.

 

Polemica e scandalo si sono avuti anche alle tremende Olimpiadi di Parigi, dove i due partecipanti sospettati di essere trans hanno vinto tranquillamente l’oro nella loro categoria di pugilato.

 

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L’ONU dice all’Ungheria che deve accogliere gli LGBT

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L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha lanciato l’allarme sulla recente legge ungherese che vieta gli eventi del pride, esortando il governo ad abrogarla. Il premier ungherese Viktor Orban ha sostenuto che la legislazione mira a proteggere i minori da influenze dannose.   Martedì, il Parlamento ungherese ha approvato una legge che proibisce gli eventi del pride e autorizza le autorità a usare la tecnologia di riconoscimento facciale per identificare i partecipanti e dare loro multe di 500 euro circa. La legge, sostenuta dal partito Fidesz di Orban e dal suo partner minore, i Cristiano Democratici, è stata approvata con 136 voti contro 27 tramite una procedura accelerata.   La misura modifica i regolamenti di assemblea del paese per vietare eventi che violano le leggi ungheresi sulla protezione dei minori, che proibiscono la rappresentazione dell’omosessualità ai minori. Tutti i profitti derivanti dalle multe saranno inoltre dirottati verso le politiche di protezione dei minori. La legge ha scatenato proteste a Budapest, con i legislatori dell’opposizione che hanno utilizzato fumogeni nell’aula del Parlamento.

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In una dichiarazione di venerdì, la portavoce delle Nazioni Unite per i diritti umani Liz Throssell ha criticato duramente la nuova legge, affermando che l’agenzia è «profondamente preoccupata» per la mossa, che ha detto «si traduce in restrizioni arbitrarie e discriminatorie sui diritti delle persone LGBTIQ+ alla libertà di espressione, di riunione pacifica e alla privacy».   La funzionaria delle Nazioni Unite inoltre condannato le misure di sorveglianza, affermando che «dovrebbero essere limitate a quelle strettamente necessarie e proporzionate per raggiungere obiettivi legittimi e non dovrebbero mai essere utilizzate in modo discriminatorio».   Il capo delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha invitato le autorità ungheresi ad abrogare la legge e le ha esortate a combattere quelli che ha definito «gli alti livelli di intolleranza, discriminazione, bullismo e molestie legati all’orientamento sessuale».   Orban, che da tempo è un ardente critico delle «politiche woke», ha difeso la nuova legge, insistendo sul fatto che «la rete internazionale di genere deve togliere le mani dai nostri bambini», accusando le autorità dell’UE e la precedente amministrazione statunitense di “portare avanti i loro programmi dannosi», ma affermando che dopo l’elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, «i venti sono cambiati a nostro favore».   «Finalmente abbiamo lo spazio per agire e proteggere i nostri figli. Niente più rieducazione, niente più compromessi. I nostri figli vengono prima di tutto e noi combatteremo per difendere il loro futuro», ha scritto su X.   Come riportato da Renovatio 21, un anno fa Orban aveva dichiarato «nessun danaro» può far sì che l’Ungheria accetti immigrati e agenda LGBT.

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Come riportato da Renovatio 21, Orban l’anno scorso aveva definito la UE come una «parodia dell’URSS». I suoi attacchi alle politiche di immigrazione di Bruxelles vanno avanti da anni, con il risultato di essere messo sotto accusa dai potentati UE per la questione dello «stato di diritto», espressione che, dopo la pandemia, in bocca a qualsiasi istituzione fa piuttosto ridere.   Come riportato da Renovatio 21, Orban è stato osteggiato fortemente dall’ambasciatore omosessuale americano a Budapest, che è arrivato a fare velate minacce contro il governo ungherese.

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Le multinazionali sponsor abbandonano il Gay Pride di San Francisco

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Diversi sponsor di alto profilo hanno ritirato il loro supporto finanziario in vista dell’evento LGBTQ Pride di quest’anno a San Francisco. Lo riporta la testata statunitense Forbes.

 

Ciò avviene nel bel mezzo di una spinta da parte dell’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a tagliare i finanziamenti federali per i programmi relativi a diversità, equità e inclusione (DEI).

 

Diverse aziende, tra cui la società di telecomunicazioni statunitense Comcast, Diageo, proprietaria di marchi di alcolici come Guinness e Smirnoff, e Anheuser-Busch, la società proprietaria di Budweiser e Stella Artois, hanno ritirato il loro sostegno finanziario all’evento, ha scritto Forbes venerdì.

 

Gli organizzatori hanno stanziato 3,2 milioni di dollari per la festa di due giorni di quest’anno, che comprenderà una parata. Ci sono piani per sponsorizzazioni aziendali per coprire circa 2,3 milioni di dollari della somma, ha detto la direttrice esecutiva del San Francisco Pride Suzanne Ford al notiziario SFGATE in un articolo pubblicato all’inizio di questa settimana.

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In totale, cinque sponsor hanno addotto la mancanza di fondi e si sono ritirati, con una conseguente perdita complessiva di 300.000 dollari in finanziamenti aziendali, ha dichiarato Ford al canale televisivo KTVU Fox in un’intervista la scorsa settimana.

 

«Sono molto preoccupata. Ovviamente, c’è pressione da parte del governo federale», ha detto al canale. La politica anti-DEI di Trump ha avuto un ruolo nell’abbandono degli sponsor, ha detto Ford.

 

Secondo Forbes, in diversi altri eventi del Pride, tra cui quelli di New York, Houston e Washington, è stato segnalato che alcuni dei loro sponsor aziendali hanno ritirato o ridotto il loro sostegno.

 

«L’attuale clima politico ed economico ha avuto un impatto significativo sui livelli di sponsorizzazione da parte delle aziende», ha dichiarato il consiglio di amministrazione dell’Houston Pride a Forbes.

 

Sin dal suo insediamento a gennaio, Trump ha tagliato una serie di programmi, contratti e sovvenzioni relativi alle politiche DEI, sostenendo che sono uno spreco e discriminatori.

 

Diverse aziende sembrano aver ridimensionato il loro sostegno pubblico a LGBTQ l’anno scorso, dopo aver dovuto affrontare boicottaggi da parte dei consumatori.

 

Nel 2023, Anheuser-Busch ha dovuto affrontare un boicottaggio e vendite in picchiata dopo la sua campagna pubblicitaria Bud Light con il controverso influencer trans Dylan Mulvaney che ha generato una reazione diffusa.

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Come riportato da Renovatio 21, aveva destato scalpore negli ultimi anni la presenza alle varie sfilate Gay Pride di industrie militari statunitensi, come il produttore dei sistemi per bombe a grappolo Raytheon.

 

Al Gay Pride di Monaco di Baviera di due anni fa un cantante ucraino lanciò slogan dei banderisti, i collaborazionisti di Hitler ucraini durante la Seconda Guerra Mondiale, ora sul campo nei vari battaglioni combattenti di Kiev.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato l’allora segretario Jens Stoltenberg promise che la NATO avrebbe difeso «i diritti LGBT».

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Polonia, vittima della pandemia woke

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In Polonia, le recenti decisioni della Corte Suprema mettono in luce i rinnovati attacchi della coalizione al potere e di una magistratura largamente progressista contro i valori tradizionalmente difesi dalla Chiesa. Alcuni osservatori denunciano il tentativo di minare sistematicamente i fondamenti cristiani della società.   Tra gli Stati Uniti e il Vecchio Continente non sono solo i fusi orari a essere fuori sincrono, lo sono anche, se non di più, le cosiddette leggi «sociali»: mentre dall’altra parte dell’Atlantico il nuovo inquilino della Casa Bianca ha firmato la fine della rivoluzione woke, in Polonia i sostenitori del progressismo stanno segnando punti.   In particolare sul tema dei cambiamenti di sesso nello stato civile, pudicamente ribattezzati «transizioni di genere». Finora, il quadro giuridico per questa pratica si basava su una combinazione di diagnosi mediche e decisioni giudiziarie, senza alcuna legge specifica, costringendo il più delle volte il richiedente a intraprendere un’azione legale contro i propri genitori. Ma tutto è cambiato il 4 marzo 2025.   L’importante decisione presa in questa data dalla Corte Suprema polacca segna una svolta. In una risoluzione definita «rivoluzionaria» da parte della stampa polacca, la Corte ha semplificato questa procedura, consentendo un riconoscimento più rapido del cambiamento di sesso nello stato civile, senza passare per il processo.   Una decisione accolta con favore dalle lobby progressiste, volta ad allineare la Polonia agli standard morali europei distorti dal woke, e che giunge sotto la pressione della coalizione filoeuropea al potere dal dicembre 2023, guidata da Donald Tusk. Quest’ultimo non nasconde il suo desiderio di trasformare profondamente la società polacca.   Così, il Primo Ministro polacco prepara il suo popolo alla guerra sul fronte politico e sceglie una cultura di morte sul fronte etico. E questo in tutte le direzioni. Il 6 marzo, il Ministero dell’Istruzione polacco ha annunciato che i corsi di educazione sessuale basati sulle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostituiranno l’educazione alla vita familiare precedentemente insegnata nelle scuole, come sottolinea The European Conservative.   Allo stesso tempo, la Corte Suprema del Paese ha approvato un intero nuovo arsenale legislativo contro i «discorsi d’odio»: esprimersi contro il movimento LGBT, le «transizioni di genere» o l’orientamento sessuale potrebbe essere punibile con diversi mesi di reclusione.   «Questa legge ha un solo obiettivo: imbavagliare le persone e imprigionarle per opinioni che normalmente hanno il diritto di essere espresse in uno stato democratico», ha commentato Michal Wos, membro del parlamento del partito conservatore di opposizione PiS. Tante leggi che segnalano un attacco tanto alla libertà di espressione quanto ai valori tradizionali.   In particolare, si mettono in risalto le parole pronunciate da J.D. Vance a Monaco di Baviera il 15 febbraio, davanti a un pubblico di capi di Stato: «La minaccia che più mi preoccupa in Europa non è né la Russia, né la Cina, né quella di alcun altro attore esterno. Ciò che mi preoccupa è la minaccia interna».   «Questo è il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, i valori che condivide con gli Stati Uniti d’America», ha avvertito il vicepresidente americano, prima di concludere con un vibrante «Dio vi benedica». L’emergenza e il pericolo sono ora sulle rive della Vistola.   Alcuni cattolici non si sbagliano: «Se non resistiamo ora a questi attacchi, i cristiani polacchi si troveranno presto nella stessa situazione dei credenti dell’Europa occidentale: perseguitati, messi a tacere e costretti a nascondere la loro fede nella vita pubblica», avverte Jerzy Kwasniewski, presidente dell’istituto giuridico Ordo Iuris.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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