Persecuzioni
Punjab, estremisti islamici usano la guerra di Gaza per colpire i cristiani
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nei giorni scorsi un radicale musulmano ha ucciso un 20enne cristiano. Alla base dell’attacco presunti post sui social da parte del giovane a sostegno dello Stato Ebraico nella guerra a Gaza. Un movente analogo aveva innescato a ottobre un assalto, costringendo alla fuga oltre un centinaio di persone. Attivisti invocano giustizia e l’intervento del governo.
L’omicidio avvenuto nei giorni scorsi di un ventenne studente cristiano, Farhan-ul-Qamar, oltre ad aver gettato nella disperazione una famiglia rilancia al contempo l’allarme sulle violenze contro le minoranze religiose in Pakistan, anche e soprattutto per i contorni in cui è avvenuto.
Il fatto risale al 9 novembre scorso nell’area di Pasrur, distretto di Sialkot (provincia del Punjab); a sparare sarebbe stato Muhammad Zubair, un musulmano, che secondo le prime ricostruzioni avrebbe colpito per presunti post pubblicati sui social dal giovane di sostegno a Israele nella guerra contro Hamas a Gaza.
Il giorno successivo la polizia ha arrestato l’assassino, ma alle ripetute richieste dei familiari di Farhan sul corso delle indagini e il vero movente dell’omicidio le forze dell’ordine hanno opposto un completo silenzio, rifiutandosi di rispondere alle domande. Gli inquirenti riferiscono che l’inchiesta «è ancora in corso» senza aggiungere ulteriori particolari, lasciando i parenti al buio.
Noor Ul Haq, padre di Farhan, racconta che l’omicidio è avvenuto alle 3 del mattino quando Zubair, identificato come un estremista musulmano, ha varcato il muro di casa ed è entrato nell’abitazione sfruttando l’apertura in un’ala al momento in ristrutturazione. L’assalitore ha aperto il fuoco esplodendo tre colpi che hanno colpito il 20enne cristiano al collo, orecchio e spalla; la famiglia, svegliata dalla madre, ha cercato di aiutare il giovane per poi essere tenuta sotto tiro e minacciata da Zubair per oltre 45 minuti, conditi da slogan estremisti e minacce a sfondo confessionale del musulmano contro la minoranza cristiana.
La sorella di Farhan, Shoua ul Qamar, non nasconde il proprio dolore sottolineando la natura gentile del fratello e il legame con la famiglia, invocando al contempo giustizia.
«Mio fratello è stato assassinato – afferma – davanti ai miei occhi, e viviamo in agonia ogni giorno. Chiediamo giustizia». Nello stesso villaggio si era già verificato a ottobre un incidente analogo, quando un cristiano di nome Aqib Javed è stato vittima di un assalto e il padre, Javed Masih, arrestato e trattenuto dalla polizia senza alcun motivo per una decina di giorni.
Alla base degli attacchi vi sarebbero presunte manifestazioni di sostegno dei cristiani a Israele nella lotta contro Hamas, respinte con fermezza dalla famiglia che nega simili prese di posizione – soprattutto pubbliche – da parte del giovane. Ciononostante, le voci pur infondate hanno innescato un clima di ostilità e violenza che ha spinto centinaia di cristiani a fuggire dalle loro case, in cerca di riparo.
Commentando la vicenda Joseph Jansen, presidente di Voice for Justice, esprime «profonda preoccupazione» e condanna per la «terribile situazione» in cui versano un centinaio di cristiani «costretti a fuggire» davanti alle minacce di «attacchi dei musulmani».
Evidenziando il caso di Aqib Javed, il cui padre ha dovuto affrontare una detenzione illegale di una decina di giorni, Jansen ha sottolineato le ingiuste ripercussioni subite da individui innocenti e «l’allarmante aumento» dell’intolleranza e dell’odio confessionale in Pakistan.
La vicenda di Farhan-ul-Qamar, unita ai recenti scoppi di violenza a Jaranwala incitati dai musulmani contro i cristiani, ha ulteriormente inasprito una situazione già «terribile» ed è «preoccupante che il governo non affronti i fattori sociali di fondo che alimentano questa violenza».
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Persecuzioni
Pakistan, conversioni forzate: tentato avvelenamento di un cristiano di 13 anni
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Saim era uscito di casa per andare a tagliarsi i capelli, quando una guardia di sicurezza, che aveva notato addosso al ragazzo una collana con la croce, ha iniziato a chiedergli di recitare preghiere islamiche. Il giovane, dopo essersi rifiutato, è stato costretto a ingerire una sostanza nociva.
In Pakistan si è verificato l’ennesimo tentativo di conversione forzata nei confronti di un ragazzo cristiano di 13 anni, costretto a ingerire una sostanza tossica dopo essersi rifiutato di abbracciare l’Islam.
L’episodio è avvenuto nella città di Lahore il 13 aprile: Saim era uscito di casa per andare a tagliarsi i capelli, ma è stato fermato da una guardia di sicurezza musulmana che aveva notato che il ragazzo aveva al collo una croce.
La guardia, di nome Qadar Khan, ha strappato la collana e costretto Saim a recitare una preghiera islamica, ma il ragazzo si è rifiutato, dicendo di essere cristiano. L’uomo ha quindi costretto Saim a ingerire una sostanza tossica nel tentativo di avvelenarlo.
Sono stati i genitori del giovane a trovare il corpo del figlio senza conoscenza dopo diverse ore che Saim mancava da casa. Il padre, Liyaqat Randhava, si è rivolto alla polizia ma ha raccontato di aver ricevuto un trattamento iniquo.
Gli agenti hanno registrato la denuncia solo dopo diverse insistenze e una copia del documento non è stata rilasciata alla famiglia di Saim, che ha detto inoltre che diverse parti del racconto non sono state incluse nella denuncia (chiamata anche primo rapporto informativo o FIR).
Joseph Johnson, presidente di Voice for Justice, ha espresso profonda preoccupazione per i crescenti episodi di conversioni religiose forzate in Pakistan e ha condannato quanto successo a Saim, aggiungendo che la polizia sta mostrando estrema negligenza nel caso. «Evitando di includere i dettagli cruciali nel FIR, la polizia ha sottoposto Saim e la sua famiglia a ulteriori abusi», ha affermato Johnson, chiedendo l’intervento del governo per un’indagine.
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Immagine di Guilhem Vellut via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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